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Erotici Racconti

L’appuntamento

By 25 Settembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

L’APPUNTAMENTO

 

Xilia – Decisi per una minigonna molto corta. Se aveva già letto i racconti che gli avevo mandato e c’era qualche possibilità che decidesse di pubblicarmeli, meglio mettere altra carne sul fuoco. Se non li aveva letti, avrei stuzzicato il suo interesse, confidando nella sua eterosessualità…

All’ora precisa dell’appuntamento suonai il campanello.

 

Seeker – Quel giorno ero assolutamente incazzato col mondo creato. Liti in famiglia con la moglie, bambini assordanti e capricciosi, in ufficio tutti svagati e con la testa già alle ferie. E questi ultimi appuntamenti di lavoro, insopportabili a fine luglio. Alle 10 c’era Xilia, la ragazza che aveva mandato quei racconti che avevo letto frettolosamente fra un urlo della moglie e uno schiamazzo dei piccoli. C’era qualcosa che mi aveva intrigato, ma ero troppo svagato per apprezzarlo appieno. Ora la ragazza era lì davanti a me, con minigonna molto corta che – da cinquantenne ancora in piena salute – non potei non notare (e apprezzare). Decisamente certe visioni ti riconciliano con l’esistenza terrena. “Si accomodi” le feci cenno. E continuai: “Mi parli un po’ di lei”.

 

X. – “Sinceramente… preferirei evitare di dire chi sono…” risposi cercando di fingere una sicurezza che non avevo. “Sa… mantenere un po’ di mistero insomma…” Mi sedetti di fronte a lui, consapevole che il tessuto della gonna si sarebbe spostato verso l’alto e avrebbe messo in mostra ciò che pudore dovrebbe evitare. Me ne vergognai e notando il suo sguardo soffermarsi tra le mie cosce sentii il calore affluire alle guance e diventare dello stesso colore del mio perizoma. “Mi… mi chiamo Marinella comunque.” Mi allungai per stringergli la mano.

 

S. – Presi la mano di lei, fu come una scossa. C’era qualcosa che proveniva dalla sua carne. E mentre la guardavo, sentivo che lei mi sentiva come la sentivo io. Il mio sguardo vagava dalle sue cosce ai suoi occhi. Infine usai la mia esperienza che mi diceva che le donne si devono guardare negli occhi, dentro. Devi fare vedere che le guardi, che le esamini, che non hai paura di loro, anzi che devono essere loro a sentirsi prese, possedute prima di tutto dai tuoi occhi. “Piacere, Marinella. Beh visto che non vuole parlare di sé, mi parli dei suoi racconti. Io li ho letti, davvero interessanti, intriganti direi… Ma derivano da esperienze reali” e qui lo sguardo scese sulle sue cosce un attimo, aveva avuto un piccolo fremito ed era balenato un pezzo di perizoma ancora inedito “o è frutto di una fantasia, mi permetta di dirglielo, davvero sensuale?”. Mi accorsi solo ora che non le avevo più lasciato la mano e che tutto quello che le avevo detto era stato detto con le sue dita fra le mie. Le ripiantai lo sguardo negli occhi. Aveva occhi bellissimi, profondi. E lei ricambiava lo sguardo, non cedeva di un millimetro. Tosta, la ragazza. Come piace a me. Guardai anche il torace, il seno sembrava promettente sotto la camicetta. Mi piaceva, quella ragazza, eccome se mi piaceva. E non solo perché mi attizzava il suo corpo provocante e desiderabile. Era come era messa, come reagiva, come si poneva, questo mi piaceva in lei. “La ascolto” dissi, lasciandole la mano.

 

X. – Mi metteva soggezione e inoltre non ero pronta a parlare delle esperienze che avevo vissuto per poter scrivere quei racconti. “Sono reali.” Un lampo di piacevole stupore apparve e scomparve sul suo volto. “Cioè, io credo che occorra vivere per poter raccontare… Credo l’abbia detto Shakespeare…” Non distoglieva lo sguardo dal mio, se non per brevi attimi, in cui l’occhiata gli sfuggiva tra le mie cosce. Sembrava così concentrato che mi chiesi se stava davvero ascoltando quello che dicevo. Seguì qualche secondo di silenzio imbarazzante che, rendendomene conto io stessa mentre le parole già mi uscivano, volli interrompere io con una battuta. “Chissà, magari un giorno scriverò anche di questo incontro…” e gli sorrisi, realizzando solo dopo cos’era appena uscito dalle mie labbra.

 

S. – “Beh, di questo incontro potrà scrivere solo se diventerà interessante…” le dissi, stavolta fissando in modo inequivocabile le cosce (belle, tornite, lisce). “Sa – continuai – ho letto un suo racconto sotto forma di intervista a una certa Claudia; a un certo punto lei le dice… – cercai l’appunto e glielo lessi – «Faresti qualunque cosa ti ordinassi? Mi sa di sì, da quanto ho letto anche a te non dispiacciono certe cose. Allora ti farei spogliare, ti legherei al letto e mi divertirei a farti provare sensazioni molto diverse. Ti farei il solletico fino a farti piangere, poi ti accarezzerei; ti brucerei con la cera bollente e poi ti bacerei. E quando saresti esausta, asseconderei la tua vendetta….». Beh, queste fantasie fra donne sono molto eccitanti… per un pubblico maschile, e non solo, credo…” La guardai. Non faceva una piega, ma poi captai una punta di sorrisetto malizioso. Ripresi la palla al balzo: “Ma lei queste sensazioni estreme vorrebbe davvero provarle? E lo soffre il solletico? O preferisce… la cera bollente sul corpo nudo?” Mi accorsi di aver divagato decisamente dal tema dell’incontro, ma era lei a stimolarmi certe uscite; era più forte di me: a delle cosce così non si resiste… E continuavo a fissarle con una voglia ormai chiaramente percepibile, palpabile (come avrei palpato quelle cosce se avessi avuto da lei un minimo input per farlo…).

 

X. – Come spesso mi accade quando l’eccitazione si fa reale e tangibile, mi assalì improvvisamente quella sfrontatezza che sorprende ogni volta anche me. “Ho fatto anche di peggio…” Lasciai che la frase decantando facesse il suo effetto, poi mi alzai in piedi portando la mano all’estremità inferiore della gonna. La sollevai fino in cintura, scoprendo completamente il mio intimo. Lo scostai verso sinistra per mostrargli la bruciatura di sigaretta sul lato destro del pube, a un centimetro dalla sottile striscia di peli pubici che l’estetista mi aveva lasciato. “Ho amici che non si fanno molti scrupoli.” Mi girai verso la porta, sollevai la minigonna anche dietro, lasciando che vedesse i segni dei morsi sui miei glutei. Glieli lasciai ammirare qualche secondo più del necessario, poi mi voltai nuovamente verso la scrivania dietro la quale mi fissava senza parole, e mi ci appoggiai, protendendomi verso di lui. “E no, non soffro il solletico, mi spiace.” Gli sorrisi, inequivocabilmente.

 

S. – La provocazione era esplicita, assoluta, irresistibile. Ma io ero in crisi profonda.

Sensi di colpa a ogni angolo, incertezze su tutto, remore di ogni tipo. Mi dicevo: ecco, questa ragazza ci sta, è disinibita, sento anche che si sta eccitando, è un’occasione d’oro… e tu che fai? Pensi che non si deve, che non si può, che devi lasciar perdere… Le remore, le incertezze, i sensi di colpa prevalsero. Mi rivolsi a lei con un tono freddo e alquanto stizzito: “Si rimetta a posto. Mi fido, non occorre che lei mi faccia vedere queste cose”. Ma appena dette queste cose, subito me ne pentii. Ero, sono, sarò una contraddizione vivente. E in fondo il mio tono brusco era un SOS rivolto a quella ragazza. Aiutami, voleva dire. Dillo tu quello che io non riesco a dirti. Fallo  tu quello che io non so fare. Ma ero anche consapevole che stavo  rovinando tutto, irrimediabilmente.

 

X. – Che stronzo, pensai. Prima mi stuzzica poi mi tratta come una puttanella vogliosa.

Ripiombai sulla sedia coprendomi il più possibile con il poco tessuto della minigonna. Il mio sguardo divenne più sottile. I secondi di silenzio si susseguirono inutili. “Allora,” dissi infine, fredda e oltremodo risentita per l’umiliazione appena subita, “le interessano i miei racconti o stiamo solo perdendo tempo entrambi?”

 

S. – Era tosta, la ragazza. E mi piaceva il suo rancoroso chiudersi a riccio. Le sorrisi. Fu un sorriso solare come non mi veniva da tempo. Il sorriso era stato la mia arma del passato, quando sorridevo a tutto, al sole, alle stelle, alla vita, ai sogni. Poi lo avevo rinfoderato troppo e troppo spesso, lo avevo chiuso in una directory sperduta della mia esistenza, lo avevo copincollato forzatamente e svogliatamente in situazioni fasulle. Ora era lui, quello vero, quello delle grandi occasioni. “Lei mi è simpatica”, le dissi. “Molto” aggiunsi con una di quelle pause della mia voce che da sempre costituivano una delle migliori attrazioni per le donne (che, chissà perché, spesso si lasciano incantare da un suono, da un tremolio del tono, da un’esitazione…). E spiando con ansia le sue reazioni buttai lì: “Ha impegni a pranzo? Qua vicino c’è un ristorantino non male… posso offrirle un pasto così fumiamo il kalumet della pace?”. La guardai ancora, speranzoso e un po’ timoroso di aver comunque fatto già una frittata irreparabile… 

 

X. – Continuava a spiazzarmi. Non sono molte le persone che ci riescono. Ne rimango sempre affascinata.

Fino a un minuto prima l’avrei mandato volentieri al diavolo – e con parole molto meno educate – e ora eccomi indecisa se accettare o meno il suo invito.

I suoi occhi ora erano fissi sui miei, senza più distrazioni, o forse vincendole. Faticavo a capire se gli interessavo davvero, ma di sicuro era impegnato a farmelo credere. Il suo sorriso, falso o sincero che fosse, era decisamente irresistibile. Mi chiesi se acconsentendo alla sua offerta sarei un giorno finita a consumare con lui un rapporto sessuale più o meno trasgressivo. Mi chiesi se quel giorno sarebbe stato oggi stesso. Mi chiesi che aspetto avesse il bagno degli uomini del suo “ristorantino” e mi ci immaginai inginocchiata…

Non sarei mai andata a letto (o nel bagno degli uomini) con lui solo in cambio di una pubblicazione; va bene dare una buona impressione e far bella presenza, ma ho un orgoglio a cui non piace scendere a compromessi e se i miei racconti sono destinati a essere stampati su carta voglio che sia per il loro valore, non per quello delle mie labbra o del mio corpo.

Fare l’amore con quest’uomo, paradossalmente, mi avrebbe portato a rifiutare la pubblicazione. Concretizzai in quei pochi secondi questo pensiero e il senso di delusione che ne seguì mi fece immediatamente capire quanto in realtà mi sarebbe piaciuto fare sesso con lui. O anche solo mangiarci insieme.

Mi chiesi se però accettare avrebbe significato complicarsi ancor più la vita. Aveva la fede al dito e le foto dei marmocchi come sfondo del desktop parlavano chiaro. Non sarebbe stato il mio primo uomo sposato, certo, ma aver a che fare con questo tipo di relazioni è sempre un pandemonio di sentimenti e di sotterfugi organizzativi che mi davano un’ansia terribile al solo pensiero. Ne valeva la pena?

Guardai nel nero lucido al centro dei suoi occhi, sperando inutilmente di leggerci attraverso. Guardai le sue mani ferme e poi di nuovo quel suo bel sorriso, in attesa di allargarsi o di ritornare serio.

“No,” dissi infine, “non ho impegni.” E sorrisi anch’io, all’avvenire.

 

THE END

 

 

 

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