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Mamma ďi periferia IV

By 16 Ottobre 2022No Comments

Dopo gli avvenimenti di questi ultimi giorni apparentemente tutto è come prima, mio figlio si rivolge a me nello stesso modo, si comporta egualmente, e pare che con quel biglietto senta di aver risolto ogni cosa. Ma io credo, al di là delle apparenze, che i rapporti tra noi due siano molto cambiati. Nel senso che tra noi è scesa una cortina di imbarazzo, anche se invisibile, visto che entrambi non possiamo ignorare ciò che è accaduto l’altra mattina. In fondo conviene anche a me far finta di nulla, con la speranza che il tempo riaggiusti le cose anche nelle nostre interiorità. Così l’altro giorno mentre stavo rincasando, erano circa le sette di sera, in fondo al piazzale che attraverso per arrivare al nostro palazzo, vedo un gruppetto di ragazzi. Stavano semi-nascosti da un muricciolo e a mano a mano che avanzavo mi apparivano sempre più visibili. In mezzo al gruppo scorgo anche mio figlio. Stavano passandosi uno spinello. L’ho capito dai gesti, dal loro fare circospetto; erano così assorti nel loro rituale che non mi hanno notata.
Raggiunto l’appartamento, ho sentito la disperazione invadermi. Temevo per mio figlio, vista la strada che capivo stava imboccando.
Quando mio figlio è rincasato salutandomi come sempre, io stavo cucinando. Lui è andato in camera sua. Lì l’ho raggiunto, perché volevo assolutamente affrontare l’argomento. Così gli ho detto che l’avevo visto mentre stava con quei ragazzi. Lui ha negato. Io mi sono arrabbiata, gli ho detto che con quelle stupidaggini non si va da nessuna parte.
“ E dove vuoi che vada?” mi ha risposto, con un misto di sfida ma anche di rassegnazione.
Purtroppo non posso fare a meno di capirlo, e con la morte nel cuore sono tornata in cucina.
Lui mi ha raggiunto. Notai che aveva un sopracciglio lievemente gonfio.
“Che cosa hai fatto lì?” gli ho chiesto sfiorandogli l’enfiatura con un dito. Mi ha risposto che era successo in palestra durante l’allenamento pugilistico. Allora l’ho preso per un braccio e gliel’ho stretto. “Non pensi che ci possa essere qualcosa di meglio nella vita che prendere pugni e farsi del male?” Non mi ha risposto. Gentilmente si è divincolato il braccio e si è seduto a tavola. Mangiammo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo cena mio figlio si alza dicendo che sarebbe uscito.
“Non andare” gli dico perentoria.
“Dai mamma falla finita”, mi dice lui un poco spazientito.
“No, se devi andare in un sottoscala a fumare o a bere è meglio che resti in casa.”
Allora fa un gesto seccato e va in camera sua per prendere il giubbotto. Lo raggiungo nella stanza e gli metto le mani addosso, lo strattono.
“Non voglio, non voglio!” insisto disperata.
“Mamma lasciami andare” ha protestato lui ed esasperato mi ha spinto indietro facendomi cadere sul letto. Se non ché io mi sono aggrappata a lui facendogli perdere l’equilibrio. E’ caduto sopra di me con la testa sopra la mia spalla. Allora gli ho allacciato le braccia attorno al collo e gli ho ripetuto piano, vicino all’orecchio:
“Non ti lascio andare.”
Lui è rimasto inerte, senza reagire. Siamo rimasti così, immobili per qualche lungo attimo. Quando l’ho lasciato mi sono accorta che piangeva. Invece che rialzarsi, si era girato per sdraiarsi sulla schiena accanto a me, gli occhi chiusi, il viso pallido. Sopraffatta da una inesprimibile dolcezza gli ho dato un bacio sulla guancia, stringendomi a lui. Continuava a tenere gli occhi chiusi. Temevo che gli avrebbe infine riaperti e poi, di scatto, si sarebbe rialzato per uscire. Non avrei avuto molte possibilità di trattenerlo. Invece si è limitato a rimanere lì sdraiato sul letto accanto a me. Io gli avevo appoggiato la testa sulla spalla e mi accorsi che la patta dei pantaloni era notevolmente in rilievo.
Stavolta non ci fu bisogno di una muta richiesta da parte sua. Scesi con la mano su quel rigonfiamento. Mentre passavo la mano sulla tela ruvida e rigonfia lo baciai ancora sul viso. Lui non si mosse, come l’altra volta ristava immobile, come in ascolto.
Gli passai la mano sotto il maglione ad accarezzare la pelle nuda. Contemporaneamente volli baciargli il sopracciglio gonfio e nel farlo mi portai un poco sopra di lui. Lui stampò la faccia sul mio seno. Sentire il suo respiro passare caldo attraverso la stoffa fu un’emozione che ricordo ancora, e che si propagò a tutto il mio corpo. Lo strinsi a me baciandolo tra i capelli, mentre continuavo a carezzarlo sulla prominenza dei pantaloni che diventava sempre più dura.
Di colpo presi una risoluzione. Mi alzai e spensi la luce della stanza. Ora solo la luce della cucina filtrava nella penombra. Mi sdraiai di nuovo accanto a lui slacciandomi il vestito sul petto, che ora gli offrivo coperto solo del reggiseno. Il suo volto si immerse di nuovo nella mia carne, schioccandomi baci sulla pelle ora parzialmente esposta. Intanto abbassai ancora la mano sulla sua patta. Cominciai risolutamente a sbottonargli i pantaloni fino a ché penetrai con le dita sulla flanella degli slip che fasciavano il membro turgido. Passai le dita sotto l’elastico per afferrargli il pene. Bruciava, ed era teso e duro come un arco. Lo liberai completamente e cominciai a masturbarlo. Lo feci intenzionalmente , deliberatamente , senza mezze misure. Gli scivolai la mano su e giù , dal glande fino alla radice dei testicoli mentre il suo ansito aumentava.
Le sue braccia mi allacciarono, mentre la sua testa rimaneva schiacciata e nascosta sul mio petto. Velocemente mi slacciai la chiusura del reggiseno. Dopo un attimo le labbra umide e ardenti si posarono sulle mammelle completamente nude. Non so dire l’emozione che mi venne da quel contatto, la quale si propagò come liquida in tutto il mio corpo. Sentii le mie ciabatte cadere sul pavimento. Continuai a stringergli il pene che diveniva sempre più grosso. Ad un certo punto la sua mano scese verso il mio ventre ma, nonostante mi facesse piacere, la presi e la riportai più in alto. Continuai ad accarezzargli il pene mentre i suoi baci sulle mammelle si moltiplicavano ed io facevo piovere tra i suoi capelli i miei. Sentii il suo respiro contro il mio petto farsi più frequente. D’improvviso sentii la sua bocca aprirsi di scatto, come se stesse per mordermi, invece ne uscì un grido strozzato, come un lamento. Tutto il suo corpo si contrasse in uno spasimo, e poi un altro spasimo, e poi un altro e un altro ancora, mentre fiotti si seme bruciavano sulla mia mano, ricadendo sul mio vestito e sul suo ventre.
Finalmente si rilassò, spossato,abbandonandosi al materasso. Io, accanto a lui , palpitavo di tutte le emozioni del mondo. Stavolta non volli scappare. Gli baciai il viso più volte con tutta la dolcezza di cui sono capace. Senza badare alla mano ancora impiastrata di seme , gli accarezzai il ventre fin sul torace sollevandogli il maglione e baciandolo sulla pelle nuda e odorosa. Gli tornai ad accarezzare il pene, già più morbido. Sentii che quest’ultima carezza era la più colpevole di tutte, perché più consapevole e complice, e meno necessaria. Mio figlio sospirava quieto con gli occhi chiusi. Mi accorsi di essere ancora a seno nudo, perché la saliva di cui era cosparso si andava raffreddando

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