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Passarono i giorni ed il lavoro e la famiglia mi richiedevano sempre più tempo, mentre Marta era ogni giorno più presa con la preparazione della maturità.
Vedersi era quasi impossibile e quindi ci tenemmo in contatto tramite messaggi, che spesso andavano sul pesante, ricordando il nostro incontro nella casa di campagna.
Purtroppo, nonostante la voglia di rivedersi c’erano delle difficoltà oggettive che ci impedirono di incontrarci. Spesso lei mi mandava delle sue foto molto intime che a malincuore dovevo cancellare dopo averle viste per evitare che cadessero sotto gli occhi sbagliati.
Tra l’altro, Silvia aveva cominciato ad avere un’idea non tanto positiva di Marta, che secondo lei nelle occasioni in cui ci eravamo visti era vestita in modo non appropriato. “Secondo me è una di quelle ragazzine di oggi che pensano che il sesso sia un passatempo, magari lo prendono in bocca al primo che capita solo per la gioia di fregare i genitori”, diceva. Ed un paio di mie difese forse troppo accorate avevano rischiato di mettere tutto a rischio.
Vennero i giorni dell’esame di maturità e Marta riuscì a dare il meglio di sé, ottenendo il massimo dei voti.
Sua madre decise di fare una cena per festeggiare, alla quale invitò anche noi, i miei cognati e mio suocero, ma in quella occasione non ebbi modo di avvicinarmi per la guardia di Silvia, alla quale riuscii a sfuggire solo per pochi minuti sufficienti per mettere Marta all’angolo e sentire nuovamente il suo corpo sotto le mie mani.
Un incontro breve che fu estremamente controproducente, perché aumentò in me il desiderio di farla mia.
Luglio si avviava al termine e Marta partì, dapprima con i genitori e poi in viaggio premio con alcune amiche. Da parte mia, io accompagnai la famiglia al mare con i miei suoceri, facendo avanti e indietro nel fine settimana fino all’inizio delle ferie, a metà agosto.
Un giorno, mentre uscivo di casa per andare a comprare il giornale, sentii vibrare il cellulare e un led bianco mi avvisava di un messaggio. Non uno qualunque, ma uno di Marta, cui avevo assegnato quel colore in modo da sapere quando era lei a scrivere ed evitare rischi.
“Ci sei il 28?”, mi chiedeva.
Non potevo credere a ciò che stavo leggendo. Il 28 agosto sarebbe stato un lunedì e quindi io sarei rientrato a casa lasciando la famiglia al mare.
“Certo che ci sono, quando rientri?”.
“Torno il 26 e riparto il 29”.
“Dove vai?”
“Poi ti dico. Mi offri da mangiare per cena?”
“Tutto quello che desideri”, fu la mia risposta sincera.
Chiuse la conversazione con una serie infinita di cuori.
Quattro giorni più tardi, il mattino del 28 agosto, feci ritorno in ufficio, dove passai praticamente tutta la giornata. Marta mi scrisse chiedendo conferma e ci mettemmo d’accordo per le 19:30 da me. Stavo pensando a cosa prepararle quando lei mi chiese se potevamo prendere una pizza, perché da quasi un mese era in giro fuori Italia e una buona pizza le mancava sul serio.
Quando arrivò, poco prima delle 20, con il tradizionale ritardo, mi sembrò più bella che mai.
I lunghi capelli raccolti in una lunga treccia, una gonna jeans ed una canottiera rosa sotto la quale si vedeva l’impronta di un reggiseno, che in alcuni punti faceva capolino. Sulla spalla aveva un piccolo zainetto.
La feci entrare e non appena richiusa la porta ci baciammo a lungo come due adolescenti. Il problema era che io, ormai, non lo ero più.
Ordinai la pizza con consegna a domicilio scegliendo una pizzeria sconosciuta per evitare di incontrare corrieri che già mi conoscessero.
Quando arrivò ci accomodammo a tavola e mentre mangiavamo mi raccontò delle sue vacanze, dei suoi progetti, ma era abbastanza vaga.
“Dove andrai domani?”
“Sei un curiosone – mi rimproverò – una donna deve avere qualche segreto”.
Terminammo di mangiare e proprio mentre ingoiavo l’ultimo boccone di pizza mi chiamò Silvia. Marta rimase in silenzio e prima che rispondessi tolse la suoneria al suo cellulare, che ovviamente vibrava di continuo. Pensai che fosse normale per una bella ragazza, giovane e con tanti amici e spasimanti.
Per sicurezza mi allontanai per terminare la conversazione e quando tornai Marta si era accomodata sul divano. Mi sedetti accanto a lei ed iniziai ad accarezzarle il viso fissandola negli occhi come se fossimo due innamorati. Probabilmente, in quel momento, io lo ero per davvero.
La baciai nuovamente e con movimenti lenti ma decisi le infilai la mano sotto la canottiera per poi insinuarmi anche al di sotto del reggiseno. Quando Marta iniziò ad ansimare per come le tenevo il capezzolo tra le dita, si staccò e si sfilò la canottiera.
Istantaneamente le slacciai il reggiseno e per la prima volta me la trovai in topless davanti. Era un seno bellissimo, una seconda, con dei capezzoli minuti che non potei fare a meno di iniziare a succhiare, sdraiandomi su di lei e baciandole il seno, il collo, la bocca.
Lei mi stringeva a sé, mi aprì la camicia e senza che mi staccassi me la sfilò.
Mi misi a sedere appoggiando la schiena sul divano e lei si sedette a cavalcioni su di me, ma io volevo avere accesso libero tra le sue gambe e la girai, in modo che la sua schiena aderisse al mio petto. Con la mano sinistra continuai a palparle il seno e mentre le baciavo il collo e le spalle e godevo dell’odore dei suoi capelli, allungai una mano tra le sue gambe, fin dentro le sue mutandine. Passavo e ripassavo il medio nel solco tra le labbra, iniziando ad eccitarla.
“Bastardo”, ansimava continuamente, dondolando la testa da una parte all’altra e godendosi quel massaggio. Finché, dopo l’ennesimo “bastardo”, prese la mano con cui le toccavo il seno ed iniziò a succhiarmi il medio.
La cosa mi eccitò moltissimo, tanto che la spostai e dopo essermi sbottonato i pantaloni mi tolsi i boxer mettendole sotto gli occhi il mio cazzo pulsante.
Lei si mise in ginocchio al mio fianco e dopo aver più volte baciato dolcemente e lentamente la cappella, iniziò a succhiarlo. Sapevo già quanto era brava, ma quando iniziò quel pompino la testa mi diventò leggera come un palloncino e cominciai a vagare tra le nuvole.
“Quanto puoi restare?”, le chiesi, consapevole che non avevamo tutto il tempo del mondo.
Prendendosi ancora qualche secondo per succhiarmelo, si staccò e mi guardò negli occhi. “Abbiamo tutta la notte se vuoi, posso dormire qui”.
Capendo quanto quelle parole mi avessero reso felice, mi baciò e per un tempo infinito non facemmo che baciarci abbracciati l’uno all’altra.
Quando capii che la voglia di scoparla era troppa, la presi in braccio e la portai verso la camera da letto. Ed in quel tragitto capii che in realtà non volevo scoparla: volevo fare l’amore con lei.
La deposi sul letto e lei immediatamente si tolse la gonna di jeans restando davanti a me con un minuscolo perizoma rosa.
“Mi vuoi così o lo tolgo?”, chiese.
“Tienilo, ci penso io dopo”, le risposi tornando a sdraiarmi su di lei ed a baciarla.
Fu lei ad un certo punto a dirmi “Leccamela” e se fosse stato possibile avrei giurato che il mio cazzo in quel momento fosse diventato ancora più duro.
Scivolai con la bocca tra le sue gambe, scostai la stoffa del perizoma e mi trovai nuovamente (finalmente) a leccarla ed a bearmi del suo odore. All’azione della lingua unii quella del medio e poi anche dell’anulare che infilavo e ritraevo dentro di lei.
Continuai ben lieto di proseguire qualcosa che avrei volentieri portato avanti per ore, finché non fu lei a dirmi di volermi sentire dentro.
“Entra così come sei – mi disse – Stai tranquillo, non voglio sorprese, so quel che faccio”. Mi sorrise ed un attimo dopo mi trovai ad assaporare ogni millimetro della penetrazione che desideravo da mesi.
Non appena fui dentro di lei, sentii le sue gambe chiudersi intorno a me per spingere il più possibile il suo bacino verso il mio, come se la penetrazione potesse diventare una compenetrazione reciproca dei nostri corpi.
Dopo poco lei iniziò ad incitarmi, sempre di più, con sempre maggior foga, fino ad uno strozzato “sììììììì”, che se non fossi stato condizionato dall’ambiente avrebbe sicuramente portato anche me all’orgasmo.
Trovarmi, infatti, nella stanza in cui ero circondato da foto della mia famiglia non mi aiutava ma ebbe comunque un effetto positivo, ritardandomi l’eiaculazione.
“Girati”, le dissi.
Lei eseguì e si mise a pancia in giù. Era uno spettacolo indescrivibile per quanto stupendo. Palpai per qualche secondo le sue natiche, poi le aprii e tornai nuovamente dentro di lei. Mantenemmo quella posizione per un po’, finché, accarezzando la sua treccia non mi rovai a stringerla.
“Vuoi che mi tiri su?”, chiese.
Il mio assenso arrivò in automatico. Iniziai a prenderla a pecorina tenendole la treccia con una mano. Non la tiravo, non volevo farle male, ma mi piaceva.
Assestai qualche sculaccione che lasciò un’impronta decisa sulla sua carnagione chiara, finché finalmente mi liberai dentro di lei.
Eravamo sudati, eccitati, felici. Io temevo sempre di più di essere innamorato.
Marta andò in bagno a lavarsi, poi ci alzammo, ancora nudi, tornammo in cucina e facemmo uno spuntino, cui seguirono altre chiacchiere e prima di andare a dormire facemmo nuovamente l’amore.

Il mattino dopo mi svegliai presto. Non avevamo abbassato le tapparelle e la luce di un mattino di tarda estate rischiarava la stanza. Sollevai il lenzuolo per guardarla dormire. Avrei voluto toccarla, farla nuovamente mia, ma era troppo bella, troppo incantevole in quel momento.
Restai così per circa un’ora, cercando di capire cosa provassi realmente, finché si svegliò.
Facemmo colazione e mentre mordeva un biscotto mi disse la verità.
“Lione”.
“Cosa?”
“Vado a Lione”.
Avevo capito che non era il riferimento ad un semplice viaggio e rimasi in silenzio.
“Vado a dare un’occhiata per un appartamento, tra un paio di settimane iniziano le lezioni ma ho molte cose da fare”, continuò lei.
“Capisco – dissi – quindi noi ci rivedremo…”
“Non so quando, la mia vita cambierà parecchio da domani”. Venne a sedersi sulle mie ginocchia e mi baciò. “Scusa se non te l’ho detto, volevo avere questa notte con te, ma non volevo che la trascorressi anche tu con l’angoscia che potesse essere l’ultima”.
“Perché deve essere l’ultima?”, chiesi.
“Non lo so”.
Finimmo di mangiare in silenzio. Io fui contento di non aver detto le parole che ogni uomo teme di dire, anche se ormai forse le avevo dette a me stesso.

La accompagnai alla porta quando fu pronta per uscire.
“Quindi finisce qui?”, le chiesi.
“Temo di sì, ma almeno avremo un bellissimo ricordo”.
Aveva ragione. D’altra parte non sarebbe potuta continuare quella storia, troppo difficile, troppo pericolosa. Soprattutto per me.

La guardai andare verso la sua macchina dalla finestra della camera in cui poche ore prima avevamo fatto l’amore.
“Ti amo”, sussurrai. Le parole morirono in un piccolo alone di condensa sul vetro, che sparì in pochi secondi.
Da allora la rividi solo un paio di volte, sempre insieme al ragazzo che conobbe in Francia e con cui adesso vive.
Ma alla fine aveva avuto ragione lei: solo così una passione poteva diventare indelebile nei nostri cuori.

Sarò grato a tutti coloro che, avendo letto l’intero racconto, volessero condividere con me le loro sensazioni scrivendo a clamartinel78@gmail.com. Come detto, questo per me è molto più di un semplice racconto.

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