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La mattina seguente, mentre ero al lavoro ricevetti via messaggio il buongiorno da Marta: “Ti scrivo quando sei al lavoro così tua moglie non ti rompe le palle”. La ragazza aveva capito che non doveva farmi correre rischi e questo mi fece piacere.
Iniziammo a sentirci spesso, purtroppo soltanto tramite messaggi a causa della difficoltà di ritrovarsi, anche perché la mia disponibilità era legata all’orario di lavoro, la sua all’ultimo anno di liceo ed alla preparazione della maturità.
Passarono molte settimane, arrivò aprile ed un giorno Silvia mi preannunciò che avrebbe portato nostro figlio per un paio di giorni al mare. Mio suocero doveva discutere con un architetto gli interventi di ristrutturazione di una casa di sua proprietà e lei aveva pensato di far respirare al bambino un po’ di aria di mare.
Immediatamente pensai ad organizzarmi per vedere Marta. Non appena fui libero, le scrissi:
G: “Dopodomani sera sarò solo. Che ne dici se ne approfittiamo per vederci?”
M: “Cazzo, no!!! Ho l’anniversario dei miei. Possiamo fare in un altro momento?”
G: “Purtroppo no”
M: “Non faremo molto tardi perché il giorno dopo mio padre ha un appuntamento importante, poi forse riesco a venire da te, ma non ne sono sicura”
A quelle parole, nonostante non sembrasse possibile incontrarci, ebbi un sussulto. Si stava proponendo per venire da me!
G: “Tu avvisami a qualunque ora, ci metto un attimo a venire da te, anche solo per vederti 5 minuti”
M: “Ok!”
Chiuse la conversazione aggiungendo una serie di baci che mi fece impazzire.
Trascorsi due giorni di attesa e la sera in cui ero libero ero tesissimo. continuavo a guardare l’orologio, notando il trascorrere delle ore. Le 21. Le 22. Le 23.
Alle 23:15 mi arrivò un messaggio:
M: “Siamo rientrati da 5 minuti… mi spiace”
G: “Posso essere sotto casa tua tra 10 minuti”
M: “Appena si mettono a letto posso provare a scendere ma non ti garantisco nulla…”
G: “Mi troverai davanti al portone”
Mi preparai in un attimo e mi catapultai in macchina.
Dopo 10 minuti ero davanti al grande portone in legno del palazzo signorile in cui Marta abitava con i genitori. Aspettai con ansia, finché non sentii il rumore della serratura del portone che veniva aperto. Marta si affacciò e mi fece cenno di entrare.
All’interno regnava l’oscurità, interrotta solo dalla luce dei lampioni che filtrava da due finestroni laterali di vetro smerigliato.
Marta aveva raccolto i suoi lunghi capelli in una coda di cavallo, indossava un pigiama azzurro perché, come mi disse, il rosa le dava il voltastomaco.
M: “Sei matto – mi disse ridendo – Non posso stare molto, i miei non stanno ancora dormendo. Allora, cosa volevi dirmi?”
La guardai negli occhi, aveva l’aria del gatto che gioca con il topo.
Mi avvicinai e la baciai. Per qualche istante lei non sembrò rispondere al mio bacio, tenendo le labbra chiuse. Poi, all’improvviso le aprì e mi offrì la sua lingua.
Ci baciammo e ci abbracciammo, tenendoci stretti fin quasi a soffocarci.
Il mio cazzo diventò di marmo e lo premevo contro il suo ventre in modo che lei lo sentisse bene. Marta allungò una mano tastandolo da sopra il pantalone. Le iniziali carezze si trasformarono presto in palpate vogliose sottolineate da qualche gemito.
“Fermati, ti prego – disse staccandosi dalla mia bocca – Adesso meglio se rientro”.
“No ti prego”, le dissi, rapito dalla voglia di scoparla lì, nell’ingresso del palazzo.
“Tranquillo, ci vedremo prima di quanto tu non creda”, aggiunse allontanandosi e mandandomi un bacio.

Tornai a casa in preda all’eccitazione, le scrissi durante il tragitto ed iniziammo a dialogare così fino alle 2 del mattino, quando mi diede la buonanotte fotografandosi le mutandine.
Ma non volle dirmi nulla riguardo alla sua ultima frase.
La soluzione del dilemma, però, non tardò ad arrivare. Infatti, mio cognato mi chiamò due giorni dopo: il padre di Marta, per festeggiare il compleanno della moglie, aveva deciso di invitare tutti i presenti alla cena di qualche mese prima per un pranzo nella sua casa di campagna.
Quando lo dissi a Silvia ne fu felice, perché da come le era stata descritta quella casa doveva essere davvero bella. Io ero ancora più entusiasta.
Quando, quel fine settimana, arrivammo all’indirizzo che ci era stato segnalato, ci rendemmo conto che la presentazione non era stata ottimale: la realtà era ancora migliore di quanto ci aspettassimo. Un giardino enorme e molto ben curato circondava una villa a tre piani costruita circa 150 anni prima da un nobile poi caduto in disgrazia. Quando questi se ne era dovuto disfare, il nonno di Marta l’aveva rilevata e ristrutturata.
Oltre allo stupore per la bellezza del luogo, i padroni di casa ci colpirono per la loro accoglienza, avendo previsto la presenza di un’animatrice per intrattenere i bambini e consentirci di trascorrere un pranzo in tranquillità.
Questo si svolse in un’atmosfera di grande relax, anche se per me fu una tortura non essere seduto vicino a Marta.
Quel giorno, approfittando della bellissima giornata di sole, aveva indossato una camicetta a maniche corte verde chiaro ed un paio di shorts bianchi che esaltavano il suo sedere perfetto. Non ero riuscito a sedermi accanto a lei, perché fu mio cognato a sedervisi accanto anche se poi la ignorò preferendo conversare con il padrone di casa.
Dopo il dolce, Silvia chiese alla padrona di casa se era possibile fare un giro della casa, che era stato rinviato al momento del nostro arrivo a causa del ritardo dei miei suoceri. In particolare, Silvia era interessata ad una collezione di bambole antiche di cui aveva sentito parlare durante il compleanno di mio cognato.
Noi uomini, alla proposta del giro della casa, restammo un po’ interdetti, di fronte alla prospettiva di sentirci raccontare tre piani di stanze e di chiudere il giro con bambole antiche. Fu la padrona di casa a trarci d’impaccio rivolgendosi al marito e chiedendogli di mostrarci il capanno della caccia, ormai non più utilizzato ma tenuto in ordine come lo era molti decenni prima.
“Grazie – dissi ai nostri ospiti – non prendetela come un’offesa ma a me la caccia ha sempre fatto un po’ senso, se per voi non è un problema resto qui a godermi la giornata di sole”.
“Ma ci mancherebbe – mi disse il padre di Marta – faccia come se fosse a casa sua”.
“Guarda che c’è anche una piccola cappella privata…”, aggiunse mia moglie sapendo di incuriosirmi. In effetti non era raro che, un tempo, i nobili avessero delle piccole cappelle che utilizzavano per funzioni ristrette alla cerchia familiare.
“Sì, è vero – aggiunse la madre di Marta – è molto piccola ma piena di storia per la nostra famiglia. Lì è stato battezzato mio marito ed anche Marta. E spero che lei la vorrà usare per i battesimi dei nostri nipotini quando verrà il momento. Marta, mostri tu la cappella?”
“Va bene mamma”, rispose lei come se fosse un peso.
“Per favore Marta!”, la riprese la madre. E stavolta la ragazza si mostrò più entusiasta nell’accettare.
Mentre andavamo verso la piccola costruzione, che distava circa 250 metri dalla casa in quanto vi era stata annessa solo in un secondo tempo, mi veniva da ridere pensando che sarei stato io a dover mostrare la “cappella” alla ragazza e non il contrario.
“Sono stata brava?”, mi chiese mentre camminavamo.
“Bravissima, tua madre ti ha perfino sgridata”.
Entrati nella cappella, ci ritrovammo in uno spazio abbastanza angusto, in totale una ventina di metri quadrati con due piccole file di panche per lato, sufficienti per una dozzina di persone.
Un piccolo altare finemente decorato si poneva davanti a loro e sulla sinistra una sedia con imbottitura e bordatura in velluto era la seduta del prete.
“Io mi sedevo sempre lì da piccola, è molto comoda”, mi disse Marta, mentre io curiosavo. Ero in presenza della persona che più mi eccitava al mondo, ma eravamo pur sempre in un luogo sacro.
Osservai le decorazioni in parte restaurate ed in parte rovinate dal tempo. “Quindi questa è ancora consacrata. La userai anche tu come vuole tua madre?”, chiesi.
Non ottenendo risposta mi girai.
Marta si trovava sulla sedia in velluto e mi fissava tenendo una gamba giù e l’altra appoggiata sul bracciolo. Con le gambe così aperte, gli shorts non potevano coprire interamente gli slip, a loro volta in cotone molto fine. Tanto da lasciare intravedere parte della fica rasata della ragazza.
“Marta… ma…”
“Vieni qui – mi disse – non è la prima volta che lo faccio qui”.
Mi avvicinai a lei e mi inginocchiai. A pochi centimetri dalla sua fica potevo percepire l’odore dei suoi umori, già abbondanti. Scostai con la punta dell’indice lo slip e vidi la sua fica. La toccai con la punta della lingua e lei ebbe un sussulto. Era già bagnata.
“Leccamela ancora, porco, ho tanta voglia”, mi disse tra un gemito e l’altro.
Presi la gamba che era sul bracciolo e la appoggiai sulla mia spalla in modo da sollevarla ancora di più e spalancare quelle cosce il più possibile. Con l’aiuto delle mani scoprii interamente la fica e tenendola aperta vi infilai dentro la lingua penetrandola più che potevo, alternando questi colpi di lingua con appassionate leccate del clitoride. Con queste la portavo sulla soglia dell’orgasmo, poi rallentavo, la penetravo un po’ e poi ricominciavo.
Dopo alcuni minuti di questo trattamento riprese a parlare: “Fammi venire, porco, non ne posso più, voglio godere”.
A quelle parole mi dedicai esclusivamente al suo clitoride finché lei non mi posò le mani sulla nuca come per soffocarmi contro il suo pube ed ebbe un lungo orgasmo.
Quando riaprì gli occhi dopo aver assaporato il momento si mise in piedi e mi fece sedere. Io prontamente mi sbottonai i pantaloni e tirai fuori il cazzo già in tiro e la cappella lucida e gonfia. Marta non ebbe esitazioni, dopo qualche bacio e qualche colpetto con la punta della lingua, leccò il cazzo risalendo l’asta dalla base alla cappella e qui giunta spalancò la bocca ed iniziò un lento pompino.
Le accarezzavo i lunghi capelli che fino ad ora erano rimasti sciolti ma che, dopo un paio di volte che li scostavo per vederle succhiare il cazzo, lei raccolse su un lato.
Chiusi gli occhi per fissare nella mia mente quel momento e quando li riaprii, con la coda dell’occhio vidi muoversi qualcosa. Guardando meglio attraverso una finestra dalla quale, per come ero seduto, riuscivo appena a sbirciare, vidi che i miei due cognati stavano venendo verso la cappella. Erano a circa 200 metri e stavano passeggiando lentamente godendosi la brezza della campagna.
“Stanno arrivando – le dissi – dobbiamo andare”.
Ma lei fu più risoluta: “Rilassati, scommetto che ho quasi finito!”. Con grande maestria, iniziò ad ingoiare rapidamente solo la cappella ed a massaggiarmi le palle con una mano.
Guardai ancora verso i miei cognati, erano a circa 100 metri. “Continua, ci sono quasi”, le dissi. Dopo pochi secondi, venni, senza curarmi di avvisarla. Lei non si scompose, bevve tutto lo sperma che le scaricai in bocca e quando fu sicura di aver pulito tutto mi regalò un sorriso prima di rialzarsi in fretta e sistemarsi.
Feci in tempo a coprirmi ed a mettermi davanti ad un bassorilievo della via Crucis quando i miei parenti entrarono. A quel punto iniziai a descrivere loro quella piccola chiesetta, chiedendo spesso a Marta conferma di quanto stessi dicendo. Ovviamente la maggior parte delle cose che dicevo erano puramente inventate ma il bluff mi riuscì bene.
Mostrai loro anche la sedia in velluto ed il marito di Antonella fece notare come quella avesse l’aria di essere molto comoda. Vi si sedette, commentando: “Ci si starebbe per ore per quanto è comoda”.
Io e Marta ci scambiammo uno sguardo complice.
In effetti su quella sedia ci eravamo trovati molto bene.

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