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Moana, vita da spogliarellista.

By 3 Ottobre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

In quel periodo lavoravo in un call center, ma mi annoiavo a morte. Tutto il giorno a telefonare a gente che ti avrebbe strozzato volentieri, e cercare di vendere loro un’assicurazione o chissà che altra diavoleria. Dopo cinque mesi ne avevo abbastanza, e così mi licenziai. Avevo voglia di un lavoro in grado di darmi emozioni forti. Diedi un’occhiata ai principali siti Internet in cui si chiedeva e si offriva lavoro, ma non c’era niente di speciale. Poi un giorno, ero in centro a guardare le vetrine dei negozi, e mi ritrovai davanti allo strip bar di zio Giuliano. L’insegna diceva: Biancaneve. Zio Giuliano non era davvero mio zio, ma era come se lo fosse, perch&egrave era davvero uno di famiglia. Era un amico molto stretto dei miei. Mi adorava, sia a me che a mio fratello. Era grazie a lui che i miei genitori si erano conosciuti. E così entrai nel suo strip bar per salutarlo. C’era poca gente, di solito il locale si riempiva dalle nove alle due di notte. Al momento non c’era nessuno, a parte qualche vecchio porco e alcune delle ragazze che servivano ai tavoli. Per servire ai tavoli indossavano solo un perizoma e una camicetta striminzita bianca, col logo del bar dietro la schiena. Ogni tanto si lasciavano palpare e smanazzare dai clienti, ma in quel modo riuscivano a tirare su qualche soldo extra.
Una delle ragazze mi vide e venne verso di me sorridendomi in modo amorevole. Se fossi stato un uomo me ne sarei innamorata all’istante. Ricambiai il sorriso e la mia attenzione cadde in mezzo alle sue cosce. Lì davanti, in quel perizoma, c’era qualcosa di strano. Era un bozzo, anche bello consistente, e allora capii di trovarmi non di fronte ad una ragazza bensì ad una trans. Ma era così femminile che neanche te ne accorgevi. Aveva i capelli neri, lisci, degli occhi molto dolci, un fisico da fare invidia a qualsiasi ragazza, e poi aveva quel grosso cazzo. Dio mio, quanto era grosso! Non riuscivo a fare a meno di guardarlo, e lei se ne accorse e scoppiò a ridere.
– Posso aiutarti? – mi domandò.
– Sì, cercavo mio zio Giuliano.
Mi disse di seguirla e le andai dietro, e guardai il suo delizioso culetto danzarmi davanti agli occhi. Mi condusse nell’ufficio dello zio, lui era lì che stava lavorando al computer, e quando mi vide venne a salutarmi baciandomi le guance.
– Vedo che hai conosciuti Jay – disse. – Jay &egrave una delle mie ragazza preferite. Gli uomini perdono la testa per i suoi spettacoli.
Lo strip bar dopo le dieci offriva degli spettacoli di lap dance e performance hard, tutto rigorosamente dal vivo. Jay ci lasciò soli e mio zio mi offrì da bere. Parlammo delle solite cose, e lui mi domandò di Berni. Gli dissi che tra noi andava bene, e lui ne fu veramente felice. Anche a lui, come a mia madre, Berni piaceva molto. Diceva che era un ragazzo con la testa sulle spalle. Poi ad un certo punto gli dissi quello che mi passava per la testa.
– Zio, che ne dici se iniziassi a lavorare qui da te?
– Tesoro, questo non &egrave un posto per te. E poi c’&egrave Berni. Cosa penserebbe Berni? Tu sei la sua fidanzata, immagina cosa penserebbe se gli dicessi che lavori qui, in uno strip bar.
– Non me ne frega niente. Dovrà accettarlo. E dai zio! Fammi lavorare qui.
– Moana, questo locale &egrave pieno di pervertiti. E io non voglio che qualcuno ti dia fastidio.
– Sono abbastanza brava a difendermi, non preoccuparti di questo.
Zio Giuliano tirò un sospiro di insofferenza e alla fine mi disse di sì. Avrei cominciato l’indomani, intanto sarei stata fornita della “divisa d’ordinanza”, cio&egrave perizoma e camicetta striminzita, ma non avrei dovuto dire niente ai miei genitori. Giuliano non voleva che glielo dicessi. Per me andava bene.
Quando il giorno dopo attaccai a lavorare ero euforica. Avevo un camerino tutto per me. Cio&egrave, non proprio tutto per me. Lo condividevo con le altre ‘artiste’. Così le chiamava zio Giuliano. Le artiste. Eh sì, perché facevano uno spettacolo. E di solito, chi faceva uno spettacolo, era un’artista. Perché la nostra era un’arte.
Entrai un po’ spaesata nello stanzino. Un luogo caotico, pieno di confusione e ciarpame, e cinque ‘colleghe’ che si facevano belle, con trucchi, borotalco e profumi irresistibili. Una Rumena, una Moldava, una Senegalese, una Polacca e la trans di cui già vi ho parlato. Bella da morire. Aggraziata. Coi tratti del viso molto femminili. E fu lei che subito mi accolse. La Rumena e la Moldava erano piuttosto fredde. Con loro non riuscii a socializzare. Invece con Jay, la trans, era diverso. Lei subito mi accolse, subito mi disse di sedermi e si mise a pettinarmi i capelli. Mi chiamava ‘amore’. E io mi legai a lei con un certo piacere. Era carinissima, soltanto che sotto c’aveva il cazzo. E che cazzo, signori miei! Quando lo vidi non volevo crederci. Portava dei jeans, e se li tolse per mettersi il perizoma, e lo vidi. Era un’anaconda. Lungo da far paura.
La Rumena e la Moldava erano belle ma insignificanti. Ed erano antipatiche. Avevano nei miei confronti un atteggiamento negativo, come se in qualche modo fossi lì a rubargli il lavoro. Hai voglia a dirgli che era solo una cosa temporanea! Non volevano sentir ragioni. Io ero l’intrusa, la raccomandata, la nipote del proprietario. Ma Jay mi disse di non starle a sentire quelle due, perché erano due stronze.
Jay sembrava sempre così felice, così sorridente, piena di vita. E com’era bello il suo sorriso. Rideva a denti stretti, e i suoi denti erano così bianchi, e lei era così seducente. Ma come faceva? Qual era il suo segreto?
Indossai anche io il perizoma e la camicetta, e iniziai a servire ai tavoli. Nel giro di un’oretta mi avevano già palpato il sedere una decina di volte, e alcuni clienti mi avevano infilato nell’elastico del perizoma delle banconote di grosso taglio. Cavolo, quel lavoro cominciava a piacermi, anche se dovevo beccarmi qualche smanazzata.
Quella sera sul palco dello strip bar si sarebbe esibita Jay. Lo spettacolo sarebbe cominciato alle dieci, e quindi la vidi ritornare in camerino per mettersi un vestito adatto allo show. Aveva indossato il pezzo di sopra di un frac e un cappello a cilindro, e poi aveva cambiato perizoma, adesso ne aveva uno di lattice nero. Salì sul palco, e tutti cominciarono a scalpitare, a invocare il suo nome, volevano vedere il suo cazzo. E allora cominciarono a infilarle i soldi nelle mutandine, e cercavano di toccarglielo. Jay c’aveva molta passione.
– Jay, faccelo vedere! ‘ urlavano dalla platea.
E Jay si sfilò il perizoma e zac! Fece uscire quella proboscide fuori. E tutti a esultare, osannare, in ginocchio. Che meraviglia. Jay era una professionista del settore! Questo potevo dirlo tranquillamente.

Continua…

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/07/biancaneve-strip-bar.html Fuori allo strip bar era tutto buio e i clienti cominciavano a uscire, e alcuni mi guardarono, mi fecero i complimenti: “sei stata bravissima, brava”. E io: “grazie grazie, &egrave stato il mio primo giorno”. E loro: “però sei stata brava. Sei bellissima”.
Zio Giuliano mi vide e mi chiese se avevo bisogno di un passaggio, ma io gli risposi che avrei telefonato a Berni per farmi venire a prendere con la macchina. Allora lui mi baciò le guance e se ne andò. Così chiamai Berni, il mio fidanzato, ma non ci fu niente da fare. Aveva il telefono staccato. Ero davvero nei guai, cominciai a chiedermi come avrei fatto a ritornare a casa.
Vidi andar via le mie colleghe. Jay fu l’ultima ad uscire, e mi chiese come avrei fatto a tornare a casa.
Che carina, si preoccupava per me. Era molto gentile. Non lo so, in qualche modo avrei fatto.
– Vieni a dormire da me ‘ mi disse. ‘ Abito qui a due passi. Prendiamo un taxi e siamo da me in cinque minuti.
– No grazie, devo assolutamente tornare a casa, sennò i miei genitori si preoccupano. Non vogliono che rimanga fuori tutta la notte.
– Sei un amore. Ecco, prendi il mio numero di telefono. Se non riesci a raggiungere casa, chiamami, che ti vengo a prendere e ti faccio dormire da me.
E così vidi Jay allontanarsi; un taxi passò a prenderla e non la vidi più. L’ultimo cliente uscì dallo strip bar; un uomo di una cinquantina d’anni. Anzi, forse di più. Forse aveva anche passato i sessanta. Giacca e cravatta, di sicuro un professionista, uno che lavorava, uno che faceva l’amministratore delegato o qualcosa del genere. Uno che stava per tornare dalla moglie che stava dormendo col pigiamone imbottito. Mi guardò, si accese una sigaretta e sorrise.
– Tu sei quella nuova ‘ mi disse.
– Sì, sono quella nuova.
– Beh, complimenti davvero. Non sei niente male.
– Grazie.
– E poi ‘ste Moldave, ‘ste Rumene, hanno un po’ rotto i coglioni. Lavorano con freddezza, con meccanicità, non so se mi spiego.
– Meccanicità?
– Sì, per loro stare nude o stare vestite davanti agli uomini &egrave la stessa cosa. L’importante &egrave che gli dai i soldi. Capisci?
– Sì, capisco.
– &egrave tutta questione di cash. Capisci? Tu invece no. Si vedeva che eri in imbarazzo. Si vedeva che non eri a tuo agio.
– Eh già.
– Vuoi un passaggio?
Non avevo altra scelta. Berni non rispondeva. L’unica cosa che potevo fare era accettare quel passaggio da quello sconosciuto.
– Ok, ma non si metta strane idee in testa.
Bella macchina, davvero. L’uomo aveva una bella Mercedes, grigio metallizzato, e dentro era tutta pulita, profumata, con l’alberello profumato che dondolava sullo specchietto. Bella macchina, davvero.
– Una sciocchezzuola ‘ mi disse e con la mano del cambio mi accarezzò una coscia. ‘ Chissà, magari se saprai gestire bene il tuo denaro, un giorno ne avrai una anche tu.
Sì, chissà. Può darsi. La mano ritornò sul cambio e la macchina andò dritta verso la variante. L’amministratore delegato parlava molto, gli piaceva parlare, e farmi domande, e chiedermi perché avevo deciso di fare quel lavoro, da dove venivo, chi erano i miei genitori, quanti anni avevo. E per quanto nelle mie possibilità cercai di dargli delle risposte molto dettagliate, più che altro per perdere tempo, perché la strada era ancora lunga.
– Diciotto anni? ‘ mi chiese. ‘ Pensa un po’, ho una nipotina della tua stessa età. Certo, lei non si esibisce negli strip bar. Lei &egrave iscritta alla facoltà di medicina.
Per fortuna eravamo quasi arrivati. Non lo sopportavo più. Vedevo la linea ferroviaria che costeggiava il quartiere dove vivevo. Eravamo quasi arrivati; bastava andare un pochino più avanti ed era fatta, e invece cominciò a rallentare.
– Aspetti un attimo. Cosa diavolo sta combinando? Perché sta accostando qui, in questo spiazzo?
Le ruote calpestarono il selciato e le foglie secche, facendo scricchiolare tutto. Poi lui spense il motore e mi guardò per qualche istante. Mi sorrise appena, e poi si abbassò la lampo dei pantaloni, facendo venire fuori il suo cazzetto moscio e rugoso.
– Ma cosa fa? Lo rimetta dentro, per carità.
– Che fai, non me lo dai un bacetto della buona notte, prima di rientrare a casa? ‘ mi chiese.
– Non mi sembra il caso.
– Ma come, io ti ho accompagnata fin qui, e questo &egrave il tuo modo di ringraziarmi? Dai, solo un bacetto.
– Ehi, io non le faccio queste cose. Io sono fidanzata – gli mostrai l’anello di fidanzamento che portavo all’anulare della mano destra.
– Ho capito. Cinquanta vanno bene?
– Cinquanta? Cinquanta non so che farmene. Ma neanche cento. Neanche per tutto l’oro del mondo. No no, non se ne parla.
– Duecento?
Sarei potuta scendere e farmela a piedi, tanto ero quasi arrivata, però la tentazione di provare quella sensazione era davvero forte. La sensazione di darmi via per denaro. Non l’avevo mai fatto, e adesso mi avevano appena fatto una proposta. Cosa si provava a fare un lavoro di bocca per denaro? Ero davvero curiosa di vedere come mi sarei sentita dopo. E soprattutto l’offerta non era affatto male. Duecento euro. Cavolo, quanta roba ci potevo comprare con duecento euro.
– Va bene, però si fa in fretta e poi ognuno per la propria strada.
Era tutto rugoso e moscio, ma dopo averlo messo in bocca iniziò a diventare duro. Ci volle un pò a dire il vero, ma sono sempre stata molto brava con la bocca. Ci sapevo fare davvero bene, e quindi riuscivo sempre a far alzare tutti i cazzi, anche quelli più timidi. Lui mi mise una mano tra i capelli e mi spinse la testa più giù, fino a farmi entrare pure le palle in bocca. Sentivo che stavo per soffocare, poi finalmente mi lasciò. Avevo le lacrime agli occhi, ma continuai a sbocchinarlo, e lui mi diceva che ero una gran troia. Ad un certo punto sentii il suo cazzo pulsare, stava sborrando, e riuscii in tempo a farlo uscire fuori. Lo masturbai facendolo fiottare copiosamente. La sborra saltò dappertutto, pure sui miei capelli.
– Brava, che bocchinara che sei ‘ sussurrò.
Mi ricomposi sul sediolino e gli chiesi i soldi. Lui li prese dalla tasca dei pantaloni e me li diede. Prima di lasciare la macchina l’amministratore mi accarezzò il viso, e mi disse che sarebbe stato molto contento di rivedermi. Gli diedi la buonanotte e strinsi le quattro banconote da cinquanta euro nella mano. Con quei soldi e le cospicue mance dei clienti dello strip bar ero carica di denaro. Sapevo di aver fatto una cazzata, soprattutto perch&egrave quello che avevo fatto non era giusto nei confronti del mio fidanzato. Ma ero riuscita a mettere su davvero un bel gruzzoletto. L’indomani sarei andata a spararmeli tutti in vestiti e scarpe.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/07/un-pacco-di-soldi.html Ancora non avevo detto nulla a Berni del mio nuovo lavoro. Però era giusto dirglielo, d’altronde era pur sempre il mio fidanzato. Non potevo taciergli una cosa del genere. E poi ogni volta che andavo a lavoro non potevo sempre dirgli che uscivo con le amiche. Questa balla avrebbe retto poco. E così decisi di dirglielo. Ma per farlo dovevo cogliere l’occasione giusta. Qual’era l’occasione giusta se non dopo aver fatto l’amore? Eravamo a casa mia, nella camera da letto dei miei. Fare l’amore nella camera da letto dei miei mi dava un eccitazione fuori dal comune; lì dove i miei avevano consumato migliaia di sensazionali orgasmi, io consumavo i miei, e davo il mio corpo a Berni. Ma lo facevo solo con lui. Non mi piaceva farlo nella camera dei miei con altri uomini, solo con lui, che era il mio uomo, e che i miei genitori stimavano. E proprio per questo mi sentivo autorizzata a utilizzare il loro letto per concedere il mio corpo e far godere il mio uomo. Solo perch&egrave era Berni, l’uomo che i miei avevano accolto in casa come un figlio.
E quindi eravamo lì, e io stavo dando il meglio di me. Avevo cominciato sbocchinandolo con passione, ma ad un certo punto fui costretta a fermarmi, altrimenti avrei rischiato di farlo venire subito. A quel punto ho cercato di farlo rilassare, e abbiamo pomiciato un po’, poi lui si &egrave attaccato con la bocca alla mia vagina, e ha cominciato a succhiarmela come se fosse stata un frutto succoso. Gli piaceva tanto succhiarmela, e devo dire che in questo era molto bravo, e riusciva sempre a farmi venire. Poi lo feci stendere sul letto e mi ci misi sopra a smorza candela, che era la nostra posizione preferita. Dopo cinque minuti iniziò a sborrarmi dentro. Sentii il suo seme caldo esplodermi nel corpo. Mi sfilai il suo cazzo da dentro e mi riposai accanto a lui.
– Ti amo Moana.
Quando mi diceva così potevo dirgli qualsiasi cosa. In genere quando dovevo confessargli le mie scopate con gli altri uomini lo facevo sempre dopo averlo fatto sborrare, e subito dopo che mi diceva quelle parole: “ti amo”. Dopo aver sborrato me lo diceva sempre. In verità me lo diceva anche in altre occasioni. Berni era un ragazzo molto dolce. Però dopo aver fatto l’amore me lo diceva in un modo che mi faceva sciogliere. Lo diceva con un tono di voce così caldo che mi faceva capire davvero quanto tenesse a me. A quel punto dovevo approfittare del suo amore per confessargli le cose più inconfessabili.
– Tesoro, c’e una cosa che devo dirti.
– Ci risiamo – mi rispose. – Sei stata a letto con un altro uomo.
– No no – continuai scoppiando a ridere. – Questa volta no. Quello che volevo dirti e che ho lasciato il lavoro al call center. Ora lavoro al bar di mio zio Giuliano.
– Scusami un attimo… tuo zio non aveva uno strip bar?
– Sì, proprio così.
– E tu lavori in uno strip bar?
– Sì, esatto.
– E cosa fai?
– Servo ai tavoli.
– Ah beh, se &egrave solo questo.
– Sì però servo in perizoma. E qualche volta dovrò anche esibirmi. Sai, a turno noi ragazze del serizio ai tavoli ci esibiamo in spettacoli di striptease.
– No Moana, non mi va bene. Non voglio che altri uomini vedano la mia donna nuda. E’ proprio una cosa che non mi va giù.
– Ma tesoro, &egrave solo per lavoro. Oltre l’orario di lavoro sarò solo tua.
Per convincerlo ripresi il suo cazzo in bocca e lo feci godere di nuovo. Alla fine cedette, ma gli dovetti promettere che sarei stata per davvero soltato sua. Glielo promisi. Col cuore sarei stata soltanto sua. Col cuore. Il corpo &egrave un’altra questione.
Intanto zio Giuliano la sera dopo mi disse che quel sabato sarebbe toccato a me fare lo spettacolo di striptease, ma considerando il fatto che ero sua nipote potevo essere esonerata dal farlo. Mi disse che se le altre avrebbero fatto storie c’avrebbe pensato lui a metterle a tacere. Ma io gli dissi che lo avrei fatto. Era chiaro che lui non voleva. Non voleva che facessi quello spettacolo, semplicemente perch&egrave per lui ero come una figlia, e vedermi lì tutta nuda, davanti ad un pubblico di allupanti, lo avrebbe fatto ingelosire tantissimo. Ma io insistetti. Dovevo farlo, anche per non passare davanti alle mie colleghe come la privilegiata di turno, la scansafatiche della situazione.
A quel punto dovevo solo decidere come comportami, perch&egrave ognuna delle mie colleghe aveva un proprio numero. Il numero di Jay per esempio era quello di presentarsi in frac, con tanto di cappello a cilindro, e sfoderare il suo enorme cazzo davanti a tutti. E questo numero era di certo quello più apprezzato dai clienti dello strip bar. Io avrei dovuto inventarmi qualcosa di altrettanto spettacolare. Qualcosa di porchissimo, da far restare tutti a bocca aperta.
Comunque avevo abbastanza tempo per pensarci. E ora che avevo confessato tutto a Berni potevo esercitarmi con lui. Infatti provai più volte in sua presenza dei numeri di striptease che mi venivano in mente, ma finiva sempre allo stesso modo, cio&egrave ci eccitavamo come matti e ci mettevamo a fare l’amore. E dopo mi esortava a ripensare a quello che mi aveva detto mio zio, cio&egrave al fatto che potevo anche non farlo. Ma io volevo farlo a tutti i costi. Un mio rifiuto avrebbe potuto scatenare dei forti malumori nelle mie colleghe, che gia’ non mi vedevano di buon occhio essendo la nipote del proprietario dello strip bar.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/07/confessioni-post-coito.html E venne il fine settimana. C’era una serata speciale allo strip bar di zio Giuliano. Infatti la serata sarebbe stata arricchita dalla presenza di una star del porno: Ramona Centofoglie. Ma chi era Ramona Centofoglie? Non ne avevo la più pallida idea. Devo essere onesta, non conoscevo molto bene il cinema porno. Conoscevo i nomi più famosi, tipo Franco Trentalance, ma solo perché aveva fatto l’isola dei famosi. Ma non avevo mai sentito parlare di Ramona Centofoglie. E quel giorno l’avrei conosciuta. Ramona era già nel camerino. Quando entrai scoprii finalmente com’era fatta e mi resi conto che non me l’aspettavo così. Immaginavo che le pornodive fossero delle donne perfette, biondo platino, slanciate, con cosce lunghe e affusolate. E invece Ramona era tozza; aveva un bel seno, certo. Ma era tozza. Aveva un naso grosso e i denti storti. Aveva dei folti capelli crespi castani, e indossava un corpetto in lattice che le stringeva le tette quasi fino a farle esplodere fuori.
Jay me la presentò. Era molto cordiale. Non ci conoscevamo neppure e lei già cominciò a chiamarmi ‘tesoro’, e mi baciò sulle guance, e mi disse che ero molto bella. E poi mi disse che aveva sentito parlare molto bene di me da Jay. Ramona aveva un bell’odore, di maturità direi. Di sapone di lavanda e di sesso. Aveva parecchia ciccia sparsa su tutto il corpo. Le braccia, per esempio, erano piene di ciccia. E i fianchi, e le gambe, era bella tonda, Ramona.
– Jay mi ha detto che il pubblico ti adora ‘ mi disse.
– Beh, questo non lo so. Io faccio del mio meglio.
– Ne sono sicura ‘ continuò lei. ‘ Io sono ormai dieci anni che faccio film hard, e posso garantirti che in te vedo delle qualità.
– Dieci anni? Accidenti. &egrave tanto.
– Sì, &egrave parecchio. Ma come vedi, faccio anche spettacoli negli strip bar, e su richiesta faccio anche feste di addio al nubilato e feste per bambini.
– Ho capito bene? Feste per bambini?
– Sì, feste per bambini ‘ rispose. ‘ Adoro i bambini. E loro adorano me quando metto il costume da clown. Sono brava, sai? Sono molto abile nel fare coi palloncini gli animaletti dello zoo, e quelli si divertono da morire.
– Ma come fai a conciliare le feste per bambini con le feste per ‘adulti’?
– Gli uomini e i bambini sono uguali. Sono immaturi allo stesso modo. Comprendi? L’importante e saperli fare divertire. Bene. E adesso che ci siamo conosciute meglio, mi faresti un favore grande come una casa?
– Certo, Ramona. Per una professionista come te farei qualunque cosa.
– Sei un amore. Ebbene, potresti prendermi una Coca al bar? Con il ghiaccio, per favore.
– Arriva subito.
– Io prendo un whisky ‘ disse Jay, che intanto si era messa davanti allo specchio a farsi bella coi trucchi.
– Jay, forse &egrave meglio un succo d’ananas. Cosa ne dici?
– Odio l’ananas. Voglio il whisky, tesoro. Grazie.
E così raggiunsi il bar e ordinai una Coca e un whisky. Un uomo mi raggiunse in tutta fretta e mi si piazzò dietro le spalle tanto da sentire il suo alito caldo sui capelli.
– Sei bellissima stasera, Moana ‘ mi disse.
Era di nuovo lui, l’amministratore. Quello a cui avevo fatto il pompino in macchina. Me ne accorsi senza neppure guardarlo. Mi bastava sentire la sua voce che mi dava subito una specie di scossa, una vibrazione negativa. Gli chiesi cosa voleva, e lui mi rispose che era venuto per me, e che dopo avrebbe voluto portarmi in albergo. Non gli risposi e allora lui insistette. Me lo disse di nuovo. Voleva stare con me tutta la notte, e fare con me tutto quello che non avevamo fatto quella volta in macchina.
– Dai, lasciami stare. Ma non ti vergogni? Potrei essere tua figlia.
Presi la roba dal bancone e ritornai nel camerino senza neppure salutarlo. Diedi la Coca a Ramona.
– C’&egrave qualcosa che non va, amore?
– No, va tutto bene. Sono solo un pò preoccupata.
– Vedrai, passerà.
Andai verso Jay che si stava truccando e lei mi sorrise. Quella sera avrebbe fatto di nuovo il suo bel figurone. Ma era indubbio che tutti aspettavano Ramona. Tutti pazzi per Ramona. Faceva uno spettacolo di magia che voi neanche vi immaginate. In genere lo faceva ogni volta che si esibiva, e veniva gente da tutte le parti per vederglielo fare.
Per quanto mi riguarda mi ero esercitata molto per il mio numero. Fui la prima a uscire sul palco e il pubblico esultò. Mi conoscevano ormai, mi chiamavano per nome, mi dicevano ‘faccela vedere, Moana!’. E applaudirono le mani, fecero dei fischi da stadio, mi incitarono a tirare su il mio vestitino a fiori. E io girai intorno al palo sculettando un po’, e poi tirai su l’orlo del vestitino, ma non abbastanza da fargli vedere il ‘cespuglietto’, come lo chiamavano loro. Il cespuglietto. Andavano matti per il cespuglietto.
– Volete vedere il cespuglietto? Eccolo qua.
Zac! Tirai su il vestitino e si alzò un boato d’approvazione.
– Avete ragione, avete ragione! Ho ancora le mutandine. Va bene, ora le tolgo.
Misi i pollici dentro l’elastico degli slip e feci finta di abbassarli, poi li rialzai e feci un altro giro intorno al palo. Poi di nuovo, li abbassai e li rialzai, e il pubblico si scannava, si facevano avanti, perché sapevano che poi avrei lanciato verso di loro le mie mutandine. Poi finalmente… Ta-dah! Giù le mutandine. Grande esultanza. Le feci roteare nell’aria e poi le lanciai verso di loro, i quali come una folla di affamati ci si avventarono sopra come se fosse un pezzo di carne. A poco alla volta sfilai il vestitino e lo tirai dietro le quinte.
– Quello non ve lo posso dare – dissi, ma loro da sotto il palco mi chiedevano pure quello. – No dico davvero. Non lo avrete mai. Ci sono troppo affezionata. Me lo ha regalato la mia nonna – e quelli continuarono a insistere. Volevano il vestitino. – Non posso darlo via in questo modo. Non fate gli stupidi. &egrave mio.
Feci dei giri intorno al palco e guardai verso di loro. Gli domandai se erano pronti per un po’ di pioggia. Loro non capirono, e allora glielo domandai ancora. E allora mi risposero di sì. Siete pronti? Allora mi avvicinai agli spalti e allargai le cosce, spinsi il bacino in fuori e il busto all’indietro. Con due dita mi allargai la vagina verso di loro e iniziai a fare la pipì, che sgorgò limpida e calda come da una fontana, come se io fossi una fontana rigogliosa, e il pubblico impazzì, si scannarono pur di mettersi con la bocca sotto il getto d’urina.
– Con calma ragazzi, ce n’&egrave per tutti – dissi.
Cavolo, me la stavo tenendo dalla mattina. E infatti il fiume sgorgava in modo pazzesco, e non sembrava volersi fermare, e quelli lì sotto la prendevano nelle loro bocche, come degli assetati che avevano attraversato un deserto infernale. Era il delirio. Non avrei mai pensato di renderli così felici con quel trucchetto. Jay c’aveva ragione. Era stata lei a mettermi in testa quell’idea. Jay aveva sempre ragione, cavolo. Aveva tanti difetti, ma sul sesso ci capiva meglio di chiunque altro.
Il getto di urina stava finendo, diventava un rigagnolo e usciva debolmente, fino ad arrestarsi del tutto. Un uomo si sporse con la testa in mezzo alle mie cosce per riuscire a cogliere con la lingua fino all’ultima goccia. Ma arrivò la security e lo prese con la forza facendolo ritornare a posto. E così si concluse il mio numero. Salutai il pubblico e me ne ritornai dietro le quinte, sommersa da un applauso del tutto surreale, come se fossi io la star, e non Ramona, la quale era rimasta totalmente sorpresa da quello che avevo fatto, e mi si parò davanti applaudendomi e complimentandosi vivamente. Mi disse che ero bravissima, che non aveva mai visto nulla del genere, brava brava, continua così. Jay mi venne in contro con un accappatoio e me lo avvolse intorno al corpo, mi baciò una guancia con affetto e mi disse che ero stata sensazionale.
Dopo era il turno suo. Salì sul palco vestita come una sposa, con un lungo abito rosso scollato, con le tette che cercavano di uscire fuori dal corpetto. La folla esultò e Jay si fece avanti alzandosi l’abito e facendo vedere loro il grosso pacco, il rigonfiamento sotto quelle mutande nere in lattice. Ce l’aveva duro e i suoi fans allungarono le mani, mossi da un irrefrenabile istinto di toccarglielo, quello scettro del potere, quel simbolo della potenza e della fertilità.
Ramona Centofoglie fece un numero davvero speciale. Un numero che a raccontarvelo vi sembrerà incredibile. Ebbene, volete sapere di cosa si tratta? Va bene. Adesso ve lo dico, ma non vi darò alcuna spiegazione scientifica, perché al momento non ne ho nessuna. Ramona arrivò sul palco già nuda con una sedia e una bottiglia di Coca, si mise a sedere e allargò le cosce, infilò la bottiglia nella vagina e a poco alla volta il liquido le scompare dentro, e poi ad un certo punto lo sputò dalla bocca a grandi getti, facendola arrivare sul pubblico. Era la cosa più impressionante che avessi mai visto in vita mia. Era chiaro che era un trucco di prestigio che tutt’ora non riesco a spiegarmi. Eppure fu proprio quello che vidi coi miei occhi. Era un numero che non aveva prezzo, uno spettacolo che sbancava in ogni strip bar.
Alla fine dello spettacolo Ramona mi chiese il numero di telefono. Ci intrattenemmo a parlare e mi disse che avrebbe voluto presentarmi un produttore di film hard che sarebbe potuto essere interessato a me. Io le dissi che non mi interessava il cinema porno, ma lei insistette. Disse che dovevo conoscerlo assolutamente, quello lì. Era un uomo estremamente capace e abile, e anche molto rispettoso. Ramona mi riempì la testa con un fiume di parole, mi disse che avrei potuto guadagnare molto bene.
– Quanto bene?
– Molto ‘ rispose lei. – Senti, rimaniamo che ci sentiamo domani. Ti chiamo io, tu non devi pensare a niente. Non so perché lo faccio, tu sei una ragazza speciale. Forse &egrave perché, data l’età, potresti essere mia figlia. &egrave per questo che voglio aiutarti.
– Grazie Ramona, sei molto gentile. Ma non ti nascondo che sono molto scettica.
– No, non devi esserlo. Ti faccio diventare una regina, parola mia. A proposito, io adesso devo scappare. Ho un appuntamento. Tu intanto salutami Jay, d’accordo?
– A proposito, ma dove si &egrave andata a ficcare Jay?
Vidi zio Giuliano venire verso di me.
– Sono molto fiero di te – mi disse. – All’inizio, quando mi sei venuta a dire che volevi lavorare qui ho pensato che non ne saresti stata capace. Hai fatto proprio un buon lavoro. Rimanga tra me e te, ma sei meglio di tutte le altre messe insieme.
– Non esageriamo zio. C’&egrave Jay che &egrave davvero brava.
– Siete sullo stesso piano. Siete le protagoniste delle serate del bar. E questa ‘ mi disse riferendosi ad una busta con del denaro dentro (il mio stipendio), – te la sei davvero meritata. Dico sul serio.

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http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/08/la-fontana.html Intanto continuavo a lavorare allo strip bar. La sera ero sempre la, e la mattina andavo a seguire i corsi all’università. Devo dire che in quel periodo la mia vita era diventata piuttosto frenetica. Non avevo un attimo per rilassarmi. Non vedevo Berni da molti giorni, però lo sentivo al telefono. Era lui a chiamarmi, accusandomi in continuazione di non amarlo abbastanza. Ma in verità non &egrave che non lo amavo abbastanza, non lo amavo proprio più. Volevo da lui una prova d’amore, e doveva essere pure bella grossa. Se voleva riavermi come prima doveva stupirmi. Doveva fare qualcosa per farmi ritornare ad amarlo. Perché onestamente il mio amore per lui vacillava molto.
Allo strip bar mio zio mi prese da parte per dirmi una cosa. Quella sera non toccava a me fare lo spettacolo. E proprio di questo voleva parlarmi. Mi chiese di cambiare numero.
– Ma perché? – gli chiesi. – Il pubblico lo adora.
– Lo so, non lo metto in dubbio. Però guarda anche le tue colleghe. Anche loro di tanto in tanto cambiano. In questo lavoro bisogna sapersi rinnovare Moana. Per non parlare del fatto che ogni volta che fai il tuo numero il palco diventa un orinatoio, e il personale delle pulizie inizia a spazientirsi.
– Va bene zio, vedrò cosa posso fare.
Insomma dovevo inventarmi qualcosa di nuovo, ma non mi veniva in mente niente. Chiesi consiglio a Jay, la mia collega trans. Lei ne sapeva una più del diavolo. Di certo mi avrebbe aiutata. Ma anche lei era a corto di idee. Però mi propose di andare da lei dopo la serata e parlarne. Ci saremo sicuramente inventate qualcosa. E così a serata conclusa ce ne andammo a casa sua. Prima bevemmo qualcosa per schiarirci le idee. Jay aveva un liquore niente male, ma purtroppo non ci venne nessuna idea, piuttosto parlammo di tutt’altro. E sarà la stanchezza o l’alcol, ma a un certo punto ci venne a entrambe un sonno pazzesco e ce ne andammo a letto. Eravamo entrambe nude, e cercammo di ragionare su quello che potevo inventarmi, e intanto le tenevo il suo grosso cazzo in mano, ovviamente era eretto. Non so come fosse possibile, ma ce l’aveva sempre duro. In ogni modo glielo smanettai lentamente, scoprendo e ricoprendo il glande, ma in modo distratto. Cio&egrave era una cosa che facevo sovrappensiero, non lo facevo per farla godere o per farla schizzare.
– Come sei messa di culo? – mi domandò ad un certo punto.
– Che vuoi dire?
– Come te la cavi col sesso anale?
– Qualche volta l’ho fatto. Ma perché me lo chiedi? Mica posso farmi impalare sul palco del bar?
– Non ho detto questo – rispose Jay. – Girati, fammi vedere una cosa.
Mi girai e mi misi a quattro zampe sul letto. A quel punto Jay iniziò ad accarezzarmi le natiche, poi me le allargò e mi infilò un dito su per il retto.
– Accidenti, sei abbastanza stretta – disse. – Ci vuole un pò di olio, di quello per i massaggi.
– E tu ne hai?
– Certo che ne ho.
Jay prese un flacone dal cassetto del suo comodino e mi inondò il culo di quel liquido oleoso. Poi cominciò a infilarci le dita dentro, prima una, poi due, tre, quattro. Il buco iniziò ad allargarsi mostruosamente, tanto da permetterle di infilarci dentro tutta la mano. Era incredibile, era tutta dentro. Non credevo che il mio culo potesse accogliere qualcosa di così grosso. E a dirla tutta non provavo n&egrave dolore n&egrave fastidio. La mano era dentro il mio corpo, nella sua interezza. Poi lentamente la fece uscire fuori, e proprio mentre usciva provai un immenso piacere anale, molto simile ad un orgasmo. E allora mi abbandonai lanciando un grido di gioia e affondai la faccia nei cuscini del letto. A quel punto scoppiai a ridere, perché quel piacere che avevo provato mi sembrava assurdo. Godere con una mano nel culo. Era davvero incredibile pure solo immaginarlo. Eppure era stato così. In principio, mentre entrava non avevo sentito granché. Era quando Jay aveva cominciato a farla uscire che il piacere si era impossessato di me. Smisi di ridere soltanto quando sentii qualcosa contro l’orifizio anale. Jay mi ci stava infilando qualcosa di freddo, e il contatto con quell’oggetto mi fece tremare tutta.
– Che cos’&egrave? – domandai.
– Non preoccuparti, &egrave solo una palla da biliardo.
– Cosa?! No Jay, non scherzare!
– Smettila di frignare. Se ci &egrave entrata la mia mano, non vedo perché non possa entrarci una palla da biliardo.
La palla iniziò a entrare, ma avevo molta paura e allora ebbe non poche difficoltà a farsi strada. E Jay continuava a ripetermi che dovevo rilassarmi e lasciarla entrare. Ma era più forte di me. La mia maggiore preoccupazione era che mi si incastrasse dentro, e che poi saremmo state costrette a correre all’ospedale. Ve lo immaginate che figuraccia? Jay intanto la spingeva verso dentro con le dita e ci riuscì. Una volta dentro mi disse di non muovermi.
– &egrave dentro tesoro! Sei stata bravissima. Ora tienila lì. Cerca di controllare i muscoli. Brava, così. Tienila ferma con le pareti del retto, così. Bravissima. Adesso sputala fuori con tutta la forza che hai. Al mio tre. Uno, due tre… vai!
Feci forza e la palla schizzò fuori finendo dall’altra parte della stanza.
– Che spettacolo! – esclamò Jay. – Se farai questa cosa sul palco dello strip bar, il pubblico cadrà letteralmente ai tuoi piedi.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/09/acrobazie-anali.html La prima volta che feci quel numero con le palle da biliardo venne a vedermi anche Berni. Era la prima volta che veniva allo strip bar. Non ci era mai voluto venire, perché mi aveva detto che l’idea di vedermi servire ai tavoli mezza nuda, e di vedermi esibire una volta la settimana su un palco, davanti ad una platea di maschi arrapati, lo turbava molto. Ma io lo convinsi, dicendogli che se voleva essere il mio uomo doveva venire a vedermi. Quella sera convinsi anche Pier Vittorio a venire a vedere la mia esibizione. Pier Vittorio, per chi non lo sapesse, era il mio amico cinquantenne, a cui permettevo di smanettarsi guardandomi come mamma m’aveva fatto. Nuda.
Pier Vittorio era in prima fila e già pregustava le mie nudità. Prima di cominiare era venuto nel camerino a salutarmi e a omaggiarmi con un grandissimo mazzo di fiori. Quel gesto mi fece sciogliere e lo abbracciai con tanto amore, baciandolo teneramente sulle guance. Pier Vittorio arrossì come un peperone. Vi sembrerà strano, ma tra me e lui non c’era mai stato un contatto così diretto. Da quando lo conoscevo gli permettevo di guardarmi nuda, ma era la prima volta che lo abbracciavo. E il mio corpo, coperto a malapena, a contatto col suo, lo mandò letteralmente in tilt.
C’era molta attesa per il mio nuovo numero. In sala ne parlavano tutti, e si chiedevano cosa mi sarei inventata. I più nostalgici dicevano che niente avrebbe mai superato il numero della “fontana”, come lo chiamavano loro. Dicevano che la fontana era un numero che sarebbe rimasto nella storia dello strip bar. E forse avevano ragione. Forse quello che avrei fatto quella sera, pensai, non sarebbe stato all’altezza di quello che avevo fatto fino a quel momento. Questi pensieri iniziarono a farmi innervosire. E questo non andava bene. Perch&egrave se c’era una cosa che avevo imparato era che sul palco non potevi permetterti di mostrarti nervosa. Una volta che salivi lissù dovevi tirare fuori le palle. E io le avrei cacciate (in tutti i sensi).
Quando mi annunciarono (perch&egrave così funzionava, c’era una voce da un amplificatore che annunciava le varie ragazze del bar che si esibivano) ebbi un mezzo attacco di panico, e Jay dovette darmi una spinta per salire su. A quel punto ero io e il pubblico, che mi acclamava, mi adorava, voleva vedere cosa avrei fatto. Gridavano il mio nome, dicevano che volevano vedermi nuda e altre porcate simili. Indossavo un vestito nero di pelle, abbastanza corto che si vedeva il perizoma che portavo sotto. Chiusi gli occhi e tirai un sospiro e poi partii all’attacco. Afferrai con decisio e il palo e cominciai a girarci intorno con disinvoltura. Non mi piaceva dare tutto e subito al mio pubblico. Volevo prima farmi desiderare un pò, e allora li guardavo prima tutti, con sguardi da gatta morta, e loro pendevano dalle mie labbra. Guardai in direzione di Berni che se ne stava in disparte ma senza mai perdermi d’occhio. Quando meno se l’aspettavano mi sfilai il vestitino rimanendo in perizoma, e il pubblico proruppe in un boato da stadio. Misi gli indici nei bordi dello slip come se volessi abbassarmeli, ma feci soltanto finta. Feci altri due giri intorno al palo. Poi all’improvviso da dietro le quinte rotolarono quattro palle da biliardo. Era Jay a cui avevo chiesto la collaborazione. Le palle si fermarono proprio sotto i miei piedi. E infine Jay fece rotolare versi di me anche un flacone di olio per massaggi. I clienti del bar cominciarono a chiedersi cosa stava succedendo. Che senso avevano quelle palle? Allora decisi di farglielo capire e mi sfilai il perizoma, lanciandolo come sempre nel pubblico, ma questa volta lo lanciai ad una persona in preciso, ovvero a Pier Vittorio, il quale come facevano anche gli altri, se lo portò sulla faccia e lo annusò a fondo.
A quel punto presi il flacone e mi cosparsi le natiche di olio, e con le dita cercai di allargarmi l’orifizio anale. Il pubblico, di fronte a quello spettacolo, rimase senza parole. Mi misi a quattro zampe, con le natiche oscenamente aperte verso gli spettatori,o e raccolsi una palla da biliardo. Prima la mostrai a loro, lasciandola a mezz’aria per una manciata di secondi. A quel punto cominciarono a capire, ma notai un pò di facce perplesse. Qualcuno sicuramente si chiedeva: “non vorrà mica infilarsela nel culo?”. Erano increduli per quello che stava per succedere. Baciai la palla e poi la misi contro il buco del culo, la spinsi facendola entrare a poco alla volta, fino a farla sparire del tutto. Non ci potevano credere che avessi fatto una cosa del genere. Vidi la faccia di Pier Vittorio, aveva gli occhi e la bocca spalancati, come se lo avessero appena bastonato sulla testa. Poi decisi di fare uscire fuori la palla, che schizzò giù dal palco e ci fu una specie di rissa per chi doveva accaparrarsela. Un uomo riuscì a prenderla, e la baciò tutta come se fosse una reliquia sacra. Quella palla era venuta fuori dal mio corpo, era stata dentro di me, e quell’uomo la leccò tutta come se fosse un lecca lecca.
Poi feci entrare anche le altre palle. Questa volta ne feci entrare due, con lo stesso risultato. Le feci schizzare fuori con una potenza spettacolare, e anche queste finirono giù dal palco, e anche questa volta ci fu una guerra per prenderne almeno una. Infine toccò all’ultima palla che ebbe la stessa sorte. Dopo essere sparita nel mio retto eccola rispuntare fuori, e questa volta si misero tutti in posizione d’attacco. Era l’ultima delle quattro palle, e si sarebbero scannati per accaparrarsela. Schizzò fuori e rotolò giù. A quel punto mi rimisi in piedi, lo spettacolo era finito, e ricevetti un applauso chilometrico, e mi inchinai per ringraziarli, dopodich&egrave ritornai dietro le quinte, dove trovai tutte le mie colleghe che erano semplicemente sorprese da quanto avevo fatto, e vennero a congratularsi. Poi venne anche Pier Vittorio, che mi riempì di complimenti e io lo baciai di nuovo, ma questa volta sulle labbra, e lui a momenti mi sveniva davanti. C’era anche Berni nel camerino.
– Allora? Che te ne pare? – gli domandai.
– Mmh… m’hai fatto venire una voglia!
– E allora che aspettiamo? Andiamo a casa, così ci facciamo una bella scopata.
E così fu. Andammo a casa e scopammo. Ma tanto tanto. La mia performance anale aveva messo al mio Berni molto appetito.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/10/anale-dal-vivo.html

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