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Preda

By 29 Novembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

 

La pioggia cadeva fitta, tanto per cambiare.

Dannatissima città. Sembra sempre il crepuscolo, anche a mezzogiorno!

L’ispettore Volta borbottava tra sé, sollevando il bavero dell’impermeabile di modo che le gocce d’acqua trasportate dalle raffiche di vento che riuscivano ad introdursi sotto la protezione dell’ombrello non gli si infilassero giù per il collo. Dribblava pozzanghere che sembravano piscine, accelerando sempre di più il passo per giungere alla meta il prima possibile e togliersi da quel tempo infame.

E intanto sognava l’estate, tre mesi caldi e -quasi- liberi dal maltempo, in cui anche su quella città, che pareva un imbuto dove si riversava qualsiasi perturbazione sorvolasse il continente, splendeva il sole. E sognava la sua zona d’origine, non certo assolata ma di sicuro meglio di questa malinconica spugna.

Ma chi gliel’aveva fatto fare di entrare in Polizia, e di accettare quel trasferimento?

Finalmente la sua meta si delineò tra gli scrosci e le folate. La vecchia insegna ormai non più tanto luminosa e la vetrina al contrario ben illuminata si stagliavano sulla parete grigia di un palazzo grigio situato in una grigia via di tristi palazzi. Volta si aspettava che anche gli abitanti della zona fossero grigi.

Riparandosi nei pochi centimetri di uscio chiuse l’ombrello e gli diede una scossa per liberarlo del grosso dell’acqua, poi spinse il battente ed entrò.

Un antiquato campanello annunciò a tutti i presenti, cioè apparentemente a nessuno, che qualcuno aveva aperto la porta. Volta se la chiuse alle spalle e restò lì a gocciolare sullo zerbino, alla ricerca di un portaombrelli e di qualche segno di vita.

Il primo lo individuò alla sua destra, seminascosto dietro una pila di libri. “Non esattamente la sistemazione più furba” pensò l’ispettore mentre con cautela ci infilava l’ombrello, cercando di non riempire di gocce i malcapitati tomi.

Il secondo apparve da una porticina in fondo al negozio, mimetizzata tra gli scaffali, sotto forma di un ometto oltre i settantacinque, un po’ curvo, con radi capelli grigi solo sui lati della testa e un sorriso cordiale. Insomma, lo stereotipo del commerciante in libri antichi.

“Buongiorno, desidera? …Oh, è lei, ispettore Volta! Come se la passa?”

“Buongiorno dottor Corradi! Eh, con questo tempaccio non molto bene, il mio umore è sotto i tacchi!”

“Non lo dica a me, la mia artrosi peggiora e anche la vecchia frattura della tibia si fa sentire sempre di più. Ma lei vorrà sapere del suo libro immagino, non parlare di reumatismi con un povero vecchietto! E’ arrivato, aspetti che glielo cerco!”

E come un fulmine il “povero vecchietto” sparì come inghiottito dalle pile di libri, per riemergere sorridente poco dopo, stringendo un vecchio tomo rovinatissimo.

“Mi dispiace per le pessime condizioni, ma è l’unico che sono riuscito a trovare! Le farò uno sconto, ovviamente.”

“Non si preoccupi per le condizioni, l’importante è che le pagine ci siano tutte e siano tutte leggibili.”

“Le pagine ci sono tutte, le ho controllate personalmente. Alcune si erano staccate e mischiate ma le ho rimesse in ordine e ri-incollate. Dato che ha fretta – aggiunse con aria di rimprovero – non ho potuto fare riparazioni più complete.”

“Va benissimo così, non è necessario un restauro. Grazie mille. Quanto le devo?”

“Sono centoventi euro, aspetti che le batto lo scontrino. Ma che ci fa un ispettore di polizia con un vecchio volume come questo?”

“Curiosità, semplice curiosità. Ha una busta di plastica? Così non lo bagno tornando a casa.”

 

***

 

La ragazza era seduta a un tavolino d’angolo con aria annoiata.

Ogni tanto guardava lo smartphone posato davanti a sé, lo sollevava, digitava qualcosa, lo posava di nuovo.

Le sue labbra carnose dipinte di rosso si arricciavano intorno alla cannuccia del suo drink, mentre lei aspirava pensosa il liquido contenuto nel bicchiere.

I capelli cortissimi e scuri non nascondevano il lungo collo adornato da una sottile catenina cui era appesa una pietra semipreziosa posata proprio nel punto in cui si congiungevano le linee delle clavicole. Il suo incarnato dorato spiccava nel locale poco illuminato, complice la generosa scollatura dell’aderente canotta che lasciava scoperte ampie porzioni di pelle.

Quando l’uomo la vide agitare il bicchiere vuoto alla volta del barman, capì che quella era la sua occasione. Una giovane donna così bella, sola, non la si incontra tutti i giorni. Si avvicinò al banco e posando una banconota da venti euro davanti al ragazzo disse: “Il drink della signorina lo pago io…e lo consegno anche. Tenga il resto.”.

Prese il bicchiere che l’altro gli porgeva, e con la propria birra nell’altra mano si avvicinò al tavolino dove la ragazza lo osservava ora con aria interessata.

Da vicino era ancora più bella, soprattutto quando un sorriso dolce le si dipinse sul volto alla vista del cocktail che lui le porgeva. Forse era meno giovane di quanto avesse giudicato: ventiquattro o venticinque, invece dei massimo ventidue che dimostrava da più lontano.

Sedette. Parlarono. Ogni tanto gli sembrava che lei lo osservasse con troppa attenzione, ma si disse che in fondo un passerottino dall’aria così delicata faceva bene ad essere guardinga davanti a un omone come lui. Non si sapeva mai se un malintenzionato si nascondesse dietro un viso cordiale.

Tutto questo perse importanza un paio d’ore dopo, quando le piccole mani della ragazza lo spinsero contro il muro di un vicolo dietro il locale, sotto un balcone per ripararsi dalla pioggia insistente.

In punta di piedi lei gli cercò la bocca, appendendosi al suo collo.

L’uomo le strinse i fianchi sottili, quasi sollevandola, mentre le divorava le labbra e la lingua. L’odore di lei era inebriante, e la sua erezione, iniziata appena aveva posato lo sguardo su quei seni incastonati nella scollatura dell’abito, era ormai dolorosa. Non aveva mai incontrato, nella sua vita, una donna più eccitante. Non voleva altro che possederla, ancora e ancora.

Le sue mani si insinuarono nella canotta, trovando le rotondità delle sue mammelle nude sotto la stoffa dell’indumento. I capezzoli erano già turgidi. Li strinse delicatamente tra le dita. La ragazza gemette inarcandosi contro di lui, premendosi il fallo duro contro il ventre.

Lui invertì le posizioni, spingendo la ragazza contro il muro, sollevandole la canotta ed esponendo alla fioca luce del lampione gli splendidi seni. Si tuffò a leccare e succhiare la carne morbida e le dure punte, mentre con l’altra mano le sollevava la gonna, trovando stupito solo la sua pelle: niente mutandine.

Infiammato dal pensiero, e col membro che pulsava di desiderio, le sfiorò la vulva, trovandola bagnata. Le sue dita si insinuarono poi dentro di lei. Era bollente e pronta, e a giudicare dai suoi gemiti e dai suoi baci voraci, vogliosa.

Non riuscì ad attendere oltre, l’idea di procrastinare gli sembrava assurda e quasi dolorosa.

Si slacciò i pantaloni, abbassandoli insieme ai boxer quel tanto che bastava a liberare il fallo ormai teso allo spasmo, e la sollevò di peso; lei si aggrappò alle sue spalle e gli avvolse le gambe intorno ai fianchi.

L’uomo le arricciò la gonna intorno alla vita e le afferrò le natiche, posizionandola con la vulva sul glande. Lei staccò una mano dal collo e diresse il membro verso il proprio orifizio.

Un colpo di reni e lui scivolò dentro come un coltello nel burro. Gemettero all’unisono.

Poi l’uomo si avvicinò al muro in modo che lei ci appoggiasse le spalle e diede un altro colpo, spingendosi ancora più a fondo. Si ritrasse e spinse di nuovo, mentre lei gli veniva incontro. La sua vagina stretta, bollente e bagnata era il paradiso, il suo profumo la cosa più estatica che avesse mai sentito. Non gli importava di essere in un vicolo dove sarebbe potuto passare chiunque, sarebbero potuti essere anche in mezzo a piazza San Pietro la domenica mattina per quel che gli importava, solo quel caldo avvolgente e quell’odore contavano. E l’orgasmo che sentiva montare, in sé e in lei, l’orgasmo che sentiva sarebbe stato il più sconvolgente della sua vita.

Non sapeva ancora quanto…

 

Norzia gemette più forte, premendosi contro l’uomo che la stava penetrando. Era perfetto, l’aveva capito dal primo momento: grande e muscoloso, pieno di energia e di vita.

E le saette di piacere che le derivavano dal suo energico modo di prenderla le dicevano che non si era sbagliata. Si mosse in modo da sfregare il clitoride contro il ventre teso di lui, e nuove stilettate di godimento la attraversavano. Sì…sentiva l’orgasmo montare, il proprio e quello di lui. Il tempo era giusto…

All’ennesimo colpo la marea la prese, facendole inarcare la schiena e battere la testa contro il muro, mentre un grido profondo le sgorgò dalla bocca spalancata. Ondate di piacere la squassarono, facendola vibrare, facendole stringere i muscoli vaginali come una morsa sul fallo che si muoveva dentro di lei.

Aprendole tutti i canali recettori.

Un urlo di trionfo le attraversò la mente. Il primo fiotto di sperma le colpì il fondo della vagina, mandandola in visibilio, presto seguito da numerosi altri. E i suoi canali recettori, pronti,  risucchiarono ogni goccia di seme, e con esso ogni stilla di vita.

Mentre lui godendo e gridando le riversava dentro il suo liquido seminale, lei non si prese solo quello. Attraverso il membro pulsante gli risucchiò l’essenza vitale. E succhiò, succhiò a lungo, mungendolo con la vagina, anche dopo che lui aveva smesso di muoversi.

E infine lo lasciò accartocciato in un angolo, immagine avvizzita di quello che era stato un tempo, quando era ancora vivo.

 

***

 

Il telefono squillò fastidiosamente dal suo angoletto sulla scrivania ingombra, interrompendo la lettura dei fogli fotocopiati. Volta aveva passato tutta la sera e parte della notte a scartabellare, e finalmente verso le due del mattino aveva trovato quello che cercava. Dopo un sonno insufficiente e una doccia gelida per svegliarsi aveva fatto una copia delle parti che gli interessavano e si era recato in ufficio, dove stava rileggendo bene, più e più volte, le due paginette che rispondevano alle sue domande.

“Ispettore, ne hanno trovato un altro!”

“Dove?”

“Nel vicolo dietro al Madigan’s. Incartapecorito come gli altri.”

“Vado subito, dì a Porta di preparare la macchina!”

Rimesso il cordless nella sua sede, Volta si alzò e infilò l’impermeabile. Poi ebbe un ripensamento e prese le fotocopie, le piegò con cura e se le mise in tasca. Era meglio che nessuno le vedesse. Quando aveva provato ad accennare che secondo lui quelle morti non avevano niente di naturale, dove per naturale si intendeva una causa conosciuta alla scienza come una coltellata, un avvelenamento, botte, un proiettile… i colleghi e i sottoposti l’avevano guardato come si guarda uno da internare. Quando il suo superiore aveva saputo che si portava in ufficio libri vecchi e nuovi riguardanti esseri soprannaturali gli aveva fatto un richiamo. Da allora aveva seguito la sua pista, ed il suo istinto, per conto proprio. Durante il giorno aiutava i colleghi a seguire la pista della ragazza dai capelli corti, che testimoni avevano notato insieme a ciascuna vittima poco prima del ritrovamento del cadavere, ad analizzare video di sorveglianza e prove rilevate dalla scientifica, ma finito l’orario lavorativo si dedicava alle sue indagini personali.

E quelle indagini lo avevano condotto a quel negozio, a quel libro. A quelle due pagine. A quella parola.

Succuba.

Succuba erano tre sillabe apparentemente innocue che definivano quel mostro travestito da bella ragazza. Un predatore mimetizzato da preda, con un nome da preda. Succuba dava l’idea di qualcuno che subiva, e invece…

Quando si chinò sull’ennesimo cadavere, il corpo di quello che gli dissero essere stato un uomo grande e grosso e forte e che adesso era ridotto ad una forma avvizzita che pesava meno di un bambino di terza elementare, il corpo di un uomo che lasciava sole una figlia piccola e una madre anziana, prese la sua decisione.

Poiché nessuno gli credeva, nessuno gli voleva dare retta, nessuno avrebbe preso le contromisure adeguate, ci avrebbe pensato lui.

In fondo, ora conosceva il suo punto debole.

 

***

 

Norzia osservava la pista affollata di caldi corpi umani stretti in quello che per lei era un rituale assurdo e incomprensibile.

Ma erano umani, cioè cibo, non le interessava di capire il loro modo di comportarsi.

Il suo sguardo scandagliava la massa informe di braccia e gambe, alla ricerca del suo pasto. Si fermò su un uomo molto alto, un po’ meno robusto di come li preferiva, ma la fissava da un po’ con aria interessata, e lei aveva fame. Inoltre quella scocciatura che gli umani chiamavano polizia aveva iniziato a collegare la sua immagine ai resti dei suoi pasti…le toccava sbrigarsi. E poi avrebbe dovuto cominciare a nascondere meglio gli scarti. E a pensare ad un trasferimento a breve. Peccato…le piaceva questo posto piovoso.

Si alzò col bicchiere in mano e si avviò alla volta dell’uomo. Camminava in modo fluido, sembrava quasi che scivolasse lungo il pavimento anziché posare un passo dopo l’altro. Il suo bacino ondeggiava sensuale, accompagnato dalle lievi oscillazioni dei seni sotto la maglietta stretta e scollata.

Con un sorriso sfacciato, agitando il bicchiere che ormai conteneva quasi solo ghiaccio, gli chiese: “Mi offri da bere?”.

Lui spalancò gli occhi, forse sorpreso, ma poi sorrise soddisfatto: pensava di aver preso all’amo la preda senza nemmeno fare fatica. Se avesse saputo che era l’esatto contrario!

 

La ragazza, la succube, sorrideva compiaciuta: pensava di aver preso all’amo la preda senza nemmeno fare fatica. Se avesse saputo che era l’esatto contrario!

Non era stato facilissimo trovarla, ma nemmeno difficile. Cercava le sue vittime in locali di un certo tipo: di bassa lega, poco illuminati, piuttosto affollati.

Li aveva battuti tutti tutte le sere per un paio di settimane, scrutando la folla per individuare il taglio di capelli corto e sbarazzino, il nasino all’insù, i vestiti succinti.

E adesso finalmente l’aveva trovata. Non solo, lei stessa si era avvicinata a lui, senza il minimo sforzo da parte sua se non il fissarla.

Parlarono per un po’, cercando di sovrastare il frastuono. Parlarono di tutto e di niente, argomenti generici che uscivano dalla mente subito dopo averli pronunciati. Volta la esaminava sfacciatamente, apparentemente per soppesare le sue bellezze, in realtà per individuare i punti più vulnerabili.

Il momento in cui lei gli propose di uscire a prendere una boccata d’aria sembrò un sollievo. La tensione che gli attanagliava lo stomaco in un nodo indissolubile si sciolse. Ormai il dado era tratto, e ne sarebbe uscito vincitore, o non ne sarebbe uscito affatto.

Ma c’era dell’altro. Un odore sottile e invitante, quello della pelle di lei, si era fatto strada fino alle sue narici e ora il suo corpo fremeva di desiderio.

Soli, nel vicolo, il profumo del mostro lo assalì come un pugno. Buono, era dannatamente buono. Fresco e caldo allo stesso tempo, sensuale come niente che avesse mai annusato prima. Il suo pene diede l’ennesimo strappo, e raggiunse la completa erezione.

L’ispettore afferrò con le mani quel corpo meraviglioso, e cercò per un attimo di scacciare dalla mente l’idea che era un mostro, un essere alieno e crudele che si nutriva di persone, cercò di concentrarsi sulla pelle liscia e sui seni morbidi. Non fu difficile, in fondo.

Affondò la testa nel suo petto dopo averle sollevato la maglietta. Il profumo lì era ancora più forte, inebriante. Leccò la cute, tracciando una scia di saliva fino al capezzolo, che prese tra le labbra e iniziò a succhiare con forza.

La ragazza ansimò, e con mani rapide e sicure gli slacciò i pantaloni. Il membro non aveva bisogno di altri aiuti per svettare nell’aria umida, e lei lo afferrò golosamente iniziando a massaggiarlo.

Su e giù si muoveva la sua mano, stringendo e rilasciando, e Volta dovette farsi forza per non lasciarsi trascinare in un vortice di piacere carnale. In un lampo di lucidità capì che doveva fare presto, prima che il fascino perverso dell’essere prendesse del tutto il sopravvento. Bruscamente l’uomo si staccò, la girò faccia al muro e le tirò indietro le anche.

Inginocchiatosi a terra le sollevò la minigonna e insinuò il volto tra le sue cosce. Protese la lingua a leccare la vulva nuda e bagnata, la percorse tutta bevendo di lei, fino al clitoride sporgente.

La ragazza gemeva, premendosi contro il suo volto. “Scopami!” riuscì ad ansimare prima di perdersi in gemiti inarticolati.

Lui si sollevò e, accostata la punta del membro eretto all’orifizio madido, la prese per le anche e diede una spinta tremenda, affondando completamente in quel corpo incredibilmente caldo.

Stringendole i fianchi fino a farle male la martellò di colpi, e la succuba lo incitava a spingere più forte, più a fondo.

Volta sentiva la carne tra le sue mani vibrare, sentiva l’essere avvicinarsi all’orgasmo, e sentiva avvicinarsi anche il proprio. L’orgasmo più intenso della sua vita.

La succuba stava facendogli perdere la testa e solo con uno sforzo immane riuscì a mantenere fisso nella sua mente l’obbiettivo, mentre il suo corpo, il suo membro non gli appartenevano più: erano puro piacere, erano dell’essere che si contorceva sotto di lui, intorno a lui.

I colpi si susseguivano l’uno sull’altro senza sosta, portando entrambi sull’orlo del baratro…quando Volta sentì i muscoli vaginali stringere più forte la verga, il corpo di lei squassarsi nel primo spasmo dell’orgasmo, riuscì a raccogliere lucidità sufficiente da prendere il coltello che teneva nascosto nella manica.

La succube gridò di piacere e trionfo, inarcando la schiena e gettando indietro la testa, e Volta sentì qualcosa in lei che si spalancava. Terrorizzato ma allo stesso tempo eccitato come mai lo era stato in vita sua, sollevò la mano e le squarciò la gola esposta.

I gemiti di piacere si trasformarono in un orrido gorgoglio. In preda al panico e all’eccitazione, a una frenesia sconosciuta, Volta sollevò di nuovo il coltello e la trafisse allo stomaco, col fallo che ancora si muoveva a fondo dentro di lei. Eros e morte si fusero in quell’istante, e l’uomo sentì qualcosa dentro di sé che si rompeva.

Diede un’ultima spinta e si tirò fuori, lasciando al contempo il corpo senza vita, che si accasciò ai suoi piedi.

I fiotti di sperma che eruttarono dal membro congestionato si arcuarono nell’aria umida di pioggia e andarono ad imbrattare il muro contro il quale Volta si accasciò gemendo e gridando, prosciugato dall’orgasmo, dall’adrenalina, dal sollievo.

Mentre guardava, prendendo fiato, il corpo della succube si trasformò in quello di un essere sempre più vecchio, sempre più antico: intere vite passarono su quel volto deformato, le vite che lei aveva rubato nel corso dei secoli, le facce che aveva cambiato per raggiungere il suo scopo, finché si sfaldò in polvere che riempiva i vestiti e le scarpe.

Una folata di vento, uno scroscio di pioggia, e non si distinse più dal fango che ricopriva la strada.

L’ispettore si ricompose alla bell’e meglio e preso il coltello si avviò barcollando verso la sua auto.

Sarebbe stato un reietto per sempre. Per sempre alla ricerca di qualcosa che non poteva avere: un altro corpo come quello, di un profumo come quello, di una scopata come quella.

E per sempre da solo, per non doversi trovare a combattere l’impulso di squarciare la gola alla donna che stava amando.

 

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