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È una di quelle notti senza sonno, in cui il tempo è rallentato e sembra non passare mai. Freddo e caldo si alternano sotto le lenzuola, la mia dea dorme beata, il meritato riposo dopo una giornata intensa iniziata come sempre con un orgasmo potente per entrambi. Dopo aver fatto colazione era salita l’eccitazione. Il suo corpo ha un odore particolare, il suo sguardo malizioso, da predatrice, lasciava intendere che aveva bisogno di godere. Dopo l’usuale sigaretta eravamo tornati a letto: lei supina, con le braccia alzate, in un arrendevole posizione, tipica delle leonesse che quando vogliono accoppiarsi si sottomettono al leone. I suoi seni meravigliosi mostrano turgidi capezzoli che chiedono di essere stimolati, stuzzicati, leccati, succhiati, mordicchiati. Le mie labbra assaporano la sua corona per poi succhiare avidamente il capezzolo, leccarlo velocemente con la punta della lingua, allargare la bocca per prendere quanto più possibile di quel seno morbido. La mano scende sul suo sesso, in parte già bagnato. Il dito lo attraversa per tutta la sua lunghezza per poi entrare lentamente e prendere un po’ di quel succo da spalmare sul clitoride. La mia dea apprezza il trattamento, divarica le gambe mentre le bacio l’ascella, prima dolci baci poi più passionali fino a leccargliela. Il dito non si ferma nella sua opera, deve raggiungere il piacere massimo, quella con i cugini d’oltralpe chiamano petite mort. Mentre la sditalino la guardo, il suo viso rilassato, concentrato nel piacere che sta provando. Le sue labbra sembrano più gonfie, forse a causa dei pompini o semplicemente per via dell’eccitazione. Le trovo irresistibili, la bacio dolcemente poi con più passione finché tutta la mia lingua non si riversa nella sua bocca. Aumento il ritmo del ditalino facendo un movimento rotativo con il dito e aumentando la pressione sul clitoride. Irrigidisce le gambe, il suo respiro è sospeso è immobile prima del salto. Esplode il suo orgasmo, i suoi gemiti muoiono nella mia bocca mentre la sua mano prende la mia e l’accompagna in dolci movimenti per allungare il piacere. Quando si ferma mi guarda, la sua mano palpeggia il mio cazzo durissimo: la voglio! Mi metto su di lei, si strofina il mio cazzo bagnato lungo tutto il suo sesso, stimola il clitoride con la mia cappella bagnatissima, lo appoggia sulla sua fessura e lentamente lo lascia entrare per assaporare ogni centimetro di quel cazzo che tanto le piace. Mi prende tutto, fino ai coglioni. La stringo a me mentre lei mi graffia la schiena. I nostri bacini premono l’uno contro l’altro mentre il mio cazzo si muove in lei. Mi guarda estasiata mentre mi muovo, il suo sesso è bagnatissimo. Le metto una mano alla gola mentre aumento il ritmo, so che le piace: si eccita ad essere dominata. Proprio come quelle leonesse che si lasciano dominare dal capo branco nell’accoppiamento, letali nella caccia…tipica di una femme fatal. I nostri gemiti si rincorrono, si mischiano, lei mi titilla i capezzoli, li stringe, ne succhia uno, lo mordicchia. La troia sa che mi piace, sente il mio cazzo gonfiarsi mentre continua a succhiarmi il capezzolo. Aumento i colpi, il ritmo, ma lei non vuole farmi godere così. Mi mette supino, si nasconde sotto il lenzuolo e lo prende in bocca. Le sue labbra da pompinara mi lavorano il cazzo: lo strofina sulle labbra, sulla lingua. La testa che va su e giù mentre lo sega, lo assapora vogliosa prendendone in bocca il più possibile finché la sua bocca non prevale e schizzi di sperma le riempiono la bocca. Mi trastulla ancora un po’ il cazzo per gli ultimi spasmi di goduria per poi sparire nel bagno. La giornata passa tranquilla, appagati dall’unione dei nostri corpi, elemento essenziale e imprescindibile nel nostro rapporto. L’appartenerci rimanda alle antiche nozze sacre: hieros gamos. Il pranzo classico domenicale con abbondante vino rosso sancisce il preludio alla pennichella pomeridiana per poi lasciare posto ai nostri giochetti, lo stuzzicarci continuamente fino a sera. Momento magico in cui, proprio come due poli opposti, i nostri sguardi si attraggono. Quei sguardi in cui non c’è bisogno di parlare perché già dicono tutto, quei sguardi in cui le menti sono già connesse e parlano una lingua erotica in cui il piacere massimo è solo l’apice del discorso. Nel letto, sempre pieno dell’odore dei nostri corpi, le bocche parlano un linguaggio muto, gutturale, solo ansimi e gemiti: un linguaggio universale. Da parte di entrambi non c’è fretta di godere, è un gioco al piacere reciproco: portare l’altro lentamente a vette di piacere in cui l’aria è rarefatta. Il tatto, l’olfatto, il gusto, l’udito, la vista si mescolano tra di loro per un unico fine: sinestesia dei sensi. E quelle sue labbra, da subito il sogno proibito, rivendicano il possesso di ciò che le appartiene. Contraggo il mio basso ventre e una serie di fiotti riempiono quella bocca deliziosa di sperma: nettare per la mia dea. Sfiniti ci abbracciamo e il lento tepore dei nostri corpi chiude la domenica di ottobre.

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