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Una partita a tennis (a nuclear error)

By 2 Aprile 2022No Comments

Sono entrata in casa, ho appoggiato le chiavi sul mobile dell’ingresso e mi sono tolta le scarpe. Ho buttato la borsa in un angolo prima di posare la spesa in cucina. Stavo per entrare in camera a cambiarmi i vestiti, ma una volta in corridoio sono rimasta paralizzata di fronte alla porta aperta. Una scarica di rabbia incontrollata mi ha attraversato il cervello impedendomi di pensare per alcuni lunghissimi secondi. Le parole delle persone con cui avevo parlato nell’arco della giornata si ripetevano alla rinfusa nella mia testa. In alcuni casi sembravano assumere un significato nuovo a cui non avevo fatto caso fino a quel momento. Sono rimasta a fissare nel vuoto senza quasi respirare, poi mi sono diretta verso il salotto. Ho aperto il vestito, mi sono sfilata il reggiseno, le calze e le mutandine. Mi sono seduta sul divano e ho acceso il televisore.

Buon pomeriggio

Sapevo esattamente cosa aspettarmi per i successivi quarant’anni. Nei minimi dettagli. Il panico stava amplificando le scariche di rabbia continue. Speravo che la banalità dei programmi pomeridiani potesse soffocare i miei pensieri, spesso funzionava. Ho tolto l’audio e ho appoggiato il palmo di una mano sul tavolino di vetro davanti a me. Continuavo a trascinare il palmo sudato della mano aperta sulla superficie liscia del tavolino, producendo un suono simile a quello degli pneumatici di un’auto che inchioda all’improvviso bloccando le ruote.

– Ciao, andiamo a scopare? C. A. –
– Non so…conosciamoci meglio, prima. Vuoi? C.–

Mi mette sempre a disagio entrare nel portone di un palazzo in città. Non ci sono più abituato. Non faccio che guardarmi intorno come se fossi Alice nel Paese delle Meraviglie: l’ascensore non ha la porta, tra i cognomi sui campanelli non c’è quello che cerco, le scale nell’androne portano in due direzioni opposte e non so quale prendere. Per non dare l’impressione di essere spaesato imbocco la prima che trovo, senza pensare, anche quando conosco la strada.
Sono uscito dall’ascensore ancora con la sensazione di smarrimento. Un campanello senza nome sulla targhetta. Ho suonato tenendo il dito sul pulsante finché qualcuno non è venuto ad aprire.
“Sei il solito coglione.”
“Lo so, è che mi piace sentirmelo dire”.
Ho chiuso la porta alle mie spalle. Da una delle stanze provenivano i gemiti di una donna accompagnati dal suono di sculacciate. Sulla parete davanti a me, il viso di Hel con gli occhi chiusi sovrastava la città di Metropolis. Rossetto rosso fuoco su un alone blu scuro. Con una vernice verde chiaro avevano aggiunto la scritta: “INVISIBLE REALITY”. Una donna su tacchi altissimi e surreali è uscita da una stanza per entrare in un’altra, aveva addosso solo una maschera di lattice e un corsetto nero. Mi è passata di fianco mentre seguivo Pasticcina in una delle camere superando una montagna di preservativi colorati, ammucchiati come cioccolatini per gli ospiti sopra un carrello portavivande. Di fianco, oggetti di vario tipo: plug, frustini di cuoio, due paia di manette, pinzette per i capezzoli e un collare con tre grossi anelli di acciaio. Lo stereo stava diffondendo Brand New Cadillac dei Clash dalle casse sparse per l’appartamento. Ci siamo messi comodi sopra un divanetto di pelle verde scuro, appoggiato contro una parete nera su cui era stata dipinta una gigantesca “O” bianca tra le due virgolette. Come sempre niente addosso a parte le scarpe nere con le zeppe, una gamba ciondolava da uno dei braccioli. Sul lato opposto un’altra locandina ricopriva l’intera parete illuminata da un faretto alogeno; proprio sopra la scritta The Psychich erano stati praticati tre fori per i video glory hole. L’enorme teschio del poster brillava per la luce del faretto alogeno. Al centro della stanza gli schermi di tre vecchi televisori smontati, con il tubo catodico esposto circondavano un grosso schermo piatto digitale, su cui stava passando un video di Pasticcina intenta a succhiare cazzi. I cavi dello schermo si snodavano come tentacoli allungandosi dietro il divano. Non c’era altro arredamento nella stanza a parte una videocamera su un cavalletto, rivolta verso la stanza, proprio di fronte alla portafinestra del balcone. La spia rossa lampeggiava in standby riflettendosi sulle piastrelle nere del pavimento.
Ho aperto le tende e sono uscito sul balcone appoggiandomi alla ringhiera in ferro per fumare. Il rumore della tangenziale mi faceva sentire al sicuro. Sapere di tutte quelle auto in transito in piena notte a qualche centinaio di metri mi lasciava il tempo di rendermi conto di essere al riparo, invisibile. Pasticcina aspettava sul divano, facendo oscillare un guinzaglio di pelle nera agganciato al collare che si era messa nel frattempo, come un gatto che attende paziente di fronte alla tana di un topolino, muovendo distrattamente la coda. Ha difeso la posizione per alcuni minuti prima di inarcare un lato della bocca in una specie di sorriso. Non ho potuto fare altro che prendere atto della situazione e ho abbassato gli occhiali da sole sugli occhi.

Everything I want, He gives it to me. Everything I want He gives it but not for free

Ho atteso di restare sola in casa per tutto il giorno. Ogni volta che mi sentivo nervosa per qualche motivo, pensavo al momento in cui avrei finalmente avuto la casa tutta per me e iniziavo a fantasticare su quello che avrei fatto più tardi. Appena ho sentito armeggiare nell’ingresso mi sono precipitata a salutare sperando di riuscire ad accelerare il rituale delle raccomandazioni. Quando la porta si è chiusa una piacevole scarica di adrenalina mi ha attraversato il corpo facendomi salire la pressione sanguigna alle tempie. Una sensazione di calore si è allargata tra le gambe. Ho sentito scattare l’ascensore sul pianerottolo e automaticamente mi sono tolta tutti i vestiti. Mi sono sdraiata a terra lì nell’ingresso, ho appoggiato i piedi alla porta inarcando il più possibile il bacino. Sentivo il calore anche sulle guance accompagnato da un’ilarità ingiustificata. Ho aperto la bocca e ho lasciato che la mia pioggia dorata placasse con il suo tepore il desiderio che mi aveva tormentato per tutto il giorno. Con entrambe le mani ho allargato il più possibile la fica cercando di intercettare con la lingua il getto caldo che stava ricoprendo il mio corpo. Una lattina di soda versata in un bicchiere fino a riempirlo completamente. Sentivo l’odore fortissimo in bocca e nel naso, non riuscivo quasi a tenere gli occhi aperti per il bruciore. Un pensiero ha devastato le inibizioni nel mio cervello senza fare prigionieri: è squisita.
Ho fatto una pausa per masturbarmi, la schiena si è incollata come una ventosa sul pavimento. Poi ho ricominciato, questa volta con più calma, accarezzandomi il corpo completamente bagnato. Due liquidi colorati si stavano mescolando in un vortice frenetico. Il secondo orgasmo mi ha portato su una spiaggia tropicale dove mi sono lasciata cullare dalle onde del mare fino ad addormentarmi.

Dopo la doccia sono rimasta a guardarmi davanti allo specchio dell’armadio ancora nuda, con un asciugamano avvolto intorno ai capelli.
Bene, ora comincia lo spettacolo

– Tu sei sposato? Vivi con qualcuno? C. –
– No, vivo solo. Perché? Vuoi venire tu da me? C. A. –
– E da che parti è? Di dove sei, dico. C. –
– Non sono di Torino. Il nome del posto dici? Se preferisci ci vediamo a metà strada. C. A. –
– Sei gentile a letto? Vorrei sapere se intendi fare sesso anale. C. –
– A me non dice niente, se però a te piace non c’è niente di male. So essere gentile se è quello che vuoi. Mi accorgo di quello che vuole fare la persona con cui sto scopando anche se non me lo dice prima. Se non ti diverti anche tu non c’è gusto. Andiamo a divertirci? C. A. –
– …ho voglia di prenderlo in bocca. Vorrei anche che me lo mettessi nella passera. C. –
– Devi solo dirmi quando, ormai hai acceso la miccia, non vorrai che questo candelotto mi scoppi in mano? C. A. –
– Avrei voglia di scopare anche subito. C. –
– Allora devi di dirmi dove. Non dove lo vorresti. Questo l’ho capito. Intendo dove scopiamo? C. A. –
– …a me piace molto farlo in macchina. C. –
– Dove parcheggi? C. A. –

Mi piace lasciare passare la mattinata restando nel letto senza fare niente. Anche quando non sono completamente addormentata rimango a guardare la luce del giorno attendermi inutilmente, come un amante deluso si attenua col passare delle ore. Resto sveglia per un po’, a volte mi masturbo e riprendo sonno nel giro di qualche minuto. Nel primo pomeriggio mi sembra sempre di avere il cervello a bordo di un canotto all’interno del cranio. Almeno fino a che non inizio a rispondere ai messaggi.
Quando mi sono alzata, ho trovato un biglietto su cui era disegnato un rapporto orale con una matita blu. Dietro c’era scritto: “Gnam!”. Sopra il biglietto aveva lasciato una pen-drive verde. L’ho messa nel portatile e ho aperto la cartella nominata D_Timida_Ma_Curiosa. Nella prima foto si vedeva una ragazza in bikini, vent’anni al massimo. Teneva i pollici negli slip del bikini nero abbassandoli senza scoprire completamente la passera. Il viso non era inquadrato. Nella seconda, D era seduta sui talloni al centro di una stanza. Occhi chiusi, espressione naturale e rilassata. Impugnava due cazzi, uno per mano, tenendoli ai lati del viso. Sembrava un pugile che alza i guantoni verso il pubblico dopo una vittoria. Questa volta era completamente nuda, una bella bionda attraente. Un terzo uomo alle sue spalle le aveva appoggiato il cazzo sulla testa e stava ricoprendo il suo corpo snello con una vigorosa pioggia dorata.

Buon pomeriggio

– Si, si, ho capito. Dico solo che devi sentire scattare qualcosa prima di fare un passo in avanti. D. –
– Ma lo dico sempre anch’io, è una reazione chimica. C. A. –

Ho trovato una scusa come tante altre: “Questa settimana dovrò rincasare molto più tardi del solito. Ho un corso, pensaci tu alla cena”. Mi sono messa un vestito leggero, senza calze e senza mutandine come mi aveva chiesto. Sapere che aveva un piano da un lato mi aveva rassicurata. Allo stesso tempo mi si era gelato il sangue quando avevo letto il messaggio. Per un attimo avevo di nuovo provato la sensazione di trovarmi in trappola, come quando passo il pomeriggio davanti alla tv. Ho sempre questa sensazione di ambivalenza ogni volta che devo affrontare una situazione insolita. Lo stesso mi è successo quando ho parlato di sesso anale. A me non piace affatto, ma sapere che lui sarebbe stato disposto ad accontentarmi nel caso l’avessi chiesto mi ha provocato una scarica violenta di endorfina.

– Allora? Sei pronta? Apparecchio la tavola? C. A. –
– Quando sarò pronta lo saprai anche tu. Pasticcina. –
– Guarda che io non ne ho sputo niente. Non avrai deciso di lasciarmi morire di fame in mezzo al deserto? C. A. –
– Senti, adesso ti ho detto che la mia cremina è ancora alla ciliegia. Pasticcina. –
– Fammi sapere quando sarà tornata la solita cremina al limone. C. A. –

E lasciami perdere, gran coglione. Sto cercando di trattenermi. Poco fa ero sul punto di uscire di casa per andare a riempire l’acquedotto di LSD.

Mi sono appoggiata alla ringhiera del balcone per fumare uno dei sigari alla menta che avevo sfilato dai suoi jeans. In strada i furgoncini delle consegne avevano già iniziato a scaricare la merce. Portelloni scorrevoli e carrellini carchi di scatoloni di ogni tipo. Un esercito di instancabili formichine al lavoro. Nei palazzi di fronte, le luci nelle cucine erano quasi tutte accese, le api operaie stavano per lasciare l’alveare e volare verso le altissime colonne di fumo bianco che fuoriuscivano dalle ciminiere sulla linea dell’orizzonte. Ho guardato verso la tangenziale, iniziavo ad essere d’accordo con C. A. nelle prime ore del mattino la luce ha qualcosa di speciale. Sono rimasta ancora qualche istante a guardare i lampi intermittenti delle lucciole di passaggio sul cavalcavia dell’autostrada. Poi ho spento il sigaro nel portacenere e sono rientrata in casa.
Devo dormire. Un’alluvione sta sommergendo Londra. Ma sai che c’è? Io abito vicino al fiume.

Stavo pensando agli urli stonati di Kim Gordon, la sua voce alienata sbucava dalle casse del mio stereo attraverso un passaggio spazio-temporale, sovrapponendosi a quella della turbina del Patrol. Strillava nel microfono dello studio di registrazione: “You told her so!”, mentre affrontavo i tornanti per arrivare all’autostrada. Ci sono momenti in cui aver rimosso completamente l’insonorizzante dal vano motore mi lascia qualche dubbio. Fortunatamente non era questo il caso. Ogni volta che pestavo l’acceleratore lo sguardo andava allo specchietto retrovisore e una nuvola di fumo nero si alzava alle mie spalle. Sembravo un aereo di linea in volo a bassa quota. Ancora ridacchiavo per l’immagine jpg che mi aveva mandato C. prima di lasciarmi l’indirizzo: una splendida bionda con indosso soltanto un paio di slip rossi scattava una foto davanti allo specchio. Il flash copriva il viso come una maschera, lunghi capelli lisci scendevano lungo i fianchi formosi. Già vedevo i guanti con la scritta Guardian sull’indice, scivolare sui suoi fianchi fino a fermarsi sul culo sotto le mutandine. Affondavo nel profumo dei suoi capelli. Le teste di cuoio della Squadra Speciale del Cazzo Duro hanno sfondato la porta blindata delle mie inibizioni aprendo la strada ad un torrente in piena di endorfina. Ho scalato la marcia prima di affrontare un altro tornante, ma un brusco rumore metallico mi ha riportato alla realtà. Ogni volta che sterzavo verso destra sentivo uno scatto preoccupante, metallo contro metallo. Brutto segno. Ho messo la freccia e ho accostato nella prima piazzola di sosta libera, poi sono sceso lasciando il motore acceso e ho fatto il giro della macchina fermandomi davanti al muso giallo e nero.

Che mi dici piccolina?

Sono rimasto a fissare la scritta NISSAN sulla mascherina, con le mani sui fianchi.

Provate un po’ a trovare le otto differenze tra queste due vignette!

Lo sguardo è caduto quasi per caso su una delle balestre. Il biscottino sulla sinistra si era completamente staccato dal telaio coricandosi su un fianco: “Cazzo!”.
Fopp!

– Senti. Se riesci a staccare le dita dal grilletto, dammi le ultime notizie dalla tua passera, sono un po’ preoccupato. Sempre fradicia? C. A. –
– Si mi sono di nuovo bagnata, è tutto umido là sotto. C_Ca. –
– Senti che facciamo: mi scrivo “Hey! There!” sul cazzo e te lo sgancio…
come la bomba H su Hiroshima. C. A. –
– Non riesco a credere alla carica sessuale che riesci a trasmettermi. C_Ca –
– Non sono io. Quando sono da solo non succede niente. Devi esserci anche tu da qualche parte nella mia testa perché succeda qualcosa. C. A. –
– Te lo faccio scoppiare dove vuoi. C_Ca –
– KABOOM! C. A. –

Mi sono seduto sul bordo del sedile dal lato passeggero puntando i piedi sul battitacco. Ho acceso un sigaro alla menta e sono rimasto a fumare con lo sportello aperto. Avevo il giubbotto di pelle intorno alle spalle. Me lo sono tirato sulla testa come si fa quando ti ritrovi senza ombrello sotto un temporale. Khoda Shefa Midehed, il cielo da sollievo come dice Edgar Allan Poe quando gli pestate un piede. Ho allungato gli occhiali da sole sul naso per dare un’occhiata in cielo: neanche una nuvola.

– Lo so… Ma se non c’è questa scintilla a innescare questo qualcosa, non succede niente. D. –
– Guarda, ci sono le cose che vogliamo e ci sono le cose che non sappiamo neanche di volere. Con il primo messaggio mi hai chiesto se volessi dare un’occhiata a delle tue foto un po’ spinte, è solo la punta dell’iceberg. Desiderare è offrire, ma se te ne stai a guardare gli altri che giocano senza puntare le tue fiche non succede proprio niente. Non te lo dice certo nessuno quando è ora di giocare la tua mano. C. A. –
– …lo so, lo so…D. –

Mettimi nell’angolo e inizia sculacciarmi già che ci sei

– Sei mai stata frustata? Hai presente? Come si vede nei film sado-maso. A nessuno piace essere frustato. Serve a superare la corrente prima di prendere il largo. Se il tuo desiderio è più forte delle frustate dopo un po’ senti la voce di Galileo che strilla: “Eppur si muove!”. Metti a fuoco qualcosa su te stessa, è la tua voglia di scopare a tenere in mano la frusta. C. A. –
– Ma lo so, è solo che qualche tempo fa ho spiegato ad una persona quello che avrei voluto fare…quando ho finito di parlare mi stava guardando come se fossi scesa da un altro pianeta. Poi mi ha detto: “Tranquilla è tutto nella tua testa”. Facendomi sentire ancora più strana. D. –
– Ma davvero? E dove dovrebbe essere? Nel tuo culo? C. A. –
– E adesso perché mi hai detto questa frase? Dico sul serio. D. –
– Che? C. A. –
– No, davvero…nel senso…qualcosa si è mosso quando mi hai parlato del culo. D. –

Ho infilato i jeans elasticizzati, quelli con la cerniera su un lato della caviglia. Una maglietta rosa: Hello Kitty! L’anello nero al dito medio della sinistra. Da sotto il letto avevo appena riesumato un paio di All Star nere completamente scolorite. Risalivano ai tempi del liceo, credo. Ho preso qualche banconota dal cassetto in cui tenevo i soldi e l’ho infilata nella tasca dei jeans. Le chiavi della Lancia Y erano appoggiate di fianco alla moneta portafortuna. Quel fissato mi aveva già contagiata con le sue manie. In corridoio, una ragazza seduta su una sedia girata al contrario, leggeva il giornale dondolandosi mentre aspettava il suo turno di fianco alla porta di una delle camere. Indossava una tuta di lattice aderente fino all’inverosimile, una maschera antigas nera sul viso. Le sono passata di fianco pensando: “Finalmente qualcuno che conosce il modo giusto per tenersi informato”. Alle sue spalle un enorme quadro sulla falsa riga dei dipinti di Warhol, quelli con la faccia di Marylin o di Mao ripetute all’infinito su colori diversi. Solo che al posto di Marylin o di Mao c’era una ragazza nuda, si stava abbracciando le gambe mostrando in primo piano la passera rasata. Ho aperto il portoncino blindato con la pioggia di cuoricini stampata sopra e sono uscita sul pianerottolo. Prima di infilare gli occhiali a specchio ho dato un’occhiata fuori della finestra sulle scale: neanche una nuvola.
B1. La lancia Y rosa scintillava sotto i neon del seminterrato. Perfetta, come se fosse appena uscita dalla catena di montaggio. Mi sono avvicinata togliendo l’antifurto. Aveva detto: “Ho bisogno di un favore: il mio Patrol mi ha appena piantato sulla statale e devo assolutamente incontrare una persona a Torino”. Gli avevo risposto: “Non ti sembra per caso di esagerare zuccherino nel chiedermi di accompagnarti da un’altra donna?” Lui ha continuato: “Devo anche fare un’altra cosa molto importante: devo togliere un lucchetto da un box auto che ho venduto qualche giorno fa. Non è andata male 10000, non è molto però arrivano giusto in tempo”. Non sono mai stata un premio Nobel in matematica, ma sapevo come si sarebbe conclusa la giornata: al buio di un seminterrato come quello in cui mi trovavo.

“Ok dammi il tempo di arrivare”.

Ripensavo al suo messaggio giocherellando con il portachiavi della Lancia infilato nel mignolo. Roteava facendo tintinnare la scritta Broadway: First Class. Le cose più belle nella vita succedono contro ogni aspettativa. Era una delle perle di saggezza che il Super Coglione snocciolava quando aveva voglia di farsi una scopata, spacciandosi per un guru del Cazzo Duro. Ho infilato una mano in tasca per toccare la moneta portafortuna.
“Sai qual è la cosa più importante nella vita, Pasticcina?”
“No, sentiamo…”
“La fortuna”.
Lo stereo si è accesso automaticamente dopo l’avviamento. Sade ha iniziato a cantare Your Love is King, con la sua solita voce suadente. Una pantera si muoveva silenziosa in mezzo alla vegetazione. Ho allungato l’indice verso la calamita viola e nera leopardata attaccata al centro del cruscotto fuxia fino a sfiorarla. Una scritta con lo stesso carattere del portachiavi diceva:

PUSS!

Mi sono seduta sul bordo del letto ancora nuda e ho lasciato cadere l’asciugamano che avevo intorno ai capelli. Stavo cercando di posizionare la fotocamera digitale in modo che non fosse visibile nel riflesso dello specchio. Ho aperto le gambe e mi sono appoggiata con le braccia sul letto.
18:00 in punto. Dopo aver preso alcune foto con l’autoscatto, ho aperto la porta d’ingresso e l’ho lasciata spalancata. Sarebbero dovuti arrivare di lì a poco. Sono tornata in camera e ho ripreso a masturbarmi. Il citofono mi ha interrotto prima che potessi raggiungere l’orgasmo. Ho aperto il portone in strada e sono tornata ad aspettare sul letto. Quando me li sono trovati davanti non ho pensato neanche per un attimo a cosa dire. Ho appoggiato le mani al bordo del letto, inarcando leggermente la schiena ho iniziato a succhiarli a turno. Avevo addosso solo le scarpe nere aperte e un braccialetto di pelle, una treccia sottile intorno al polso, eppure non mi sentivo affatto vulnerabile. Continuavo ad ingoiare sperma, aspettando che la nave si staccasse definitivamente dal molo per abbracciare il mare aperto.
Uno di loro mi ha girato a pecorina spingendomi il cazzo nel culo, in fondo fino alle palle. Un altro si è messo davanti a me masturbandosi sulla mia faccia. Mi dava dei colpetti leggeri alle guance con il cazzo. Cercavo di agganciarlo con la lingua per mettermelo in bocca, ma ogni volta che ci andavo vicina un colpo da dietro me lo faceva scappare spostandolo leggermente dalla giusta traiettoria. Il flash della macchina fotografica scattava in continuazione. Il terzo a un certo punto ha stappato una bottiglia, a giudicare dai rumori si stava godendo lo spettacolo seduto da qualche parte. Finalmente sono riuscita a cacciarmi in bocca il cazzo di quello di fronte a me. Mi è venuto dentro quasi subito. Ho appoggiato un gomito sul letto e l’ho stretto con la mano impugnandolo con tutte le dita. Quando l’ho tirato fuori un fiotto di sperma mi è colato dalle labbra finendo sulle lenzuola. Lo spettatore silenzioso si è avvicinato con una benda, mi ha coperto gli occhi di rosso. Poi l’ha tirato fuori e mi ha pisciato in faccia, inzuppando completamente il materasso. La sirena della nave ha finalmente fischiato emettendo un lungo getto di vapore. Dopo hanno riempito a turno una caraffa di vetro che si erano procurati dalla cucina. Quando è stata piena fino all’orlo mi hanno fatta inginocchiare e mi hanno versato il suo contenuto sulla testa. L’orgasmo che mi ha travolta è stato più intenso di tutti quelli che avevo raggiunto masturbandomi. Un treno in piena velocità con tutte le carrozze. Ero ancora sdraiata a terra in una pozza tiepida, quando due di loro hanno lasciato l’appartamento senza dire niente. Ho sentito la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi subito. Per un attimo mi è quasi venuto il dubbio che l’altro non li conoscesse nemmeno, poteva anche averli incontrati in strada poco prima. Una volta soli mi ha fatto stendere di nuovo sul letto e ha cominciato a scoparmi nella passera. Ho raggiunto di nuovo l’orgasmo non appena me l’ha messo dentro. Non riuscivo più a controllare i miei pensieri. Indossava un paio di guanti neri da motociclista e un giubbotto di pelle nero senza niente sotto. I jeans sbottonati. Mi ha sfiorato i capezzoli con il petto nudo e mi ha fatto venire un’altra volta. Ho voltato la testa da un lato, vedevo la luce del giorno svanire fuori della finestra. Strofinando la faccia sul lenzuolo sono finita con una guancia in una pozza di sperma, un quadrifoglio è piovuto dal cielo allargandosi su di me. Da una zona segreta del mio cervello le sinapsi si sono messe a trasmettere un ordine con priorità assoluta alla mia lingua. Senza rendermene conto mi sono messa a leccare la pozza di sperma, ritrovando per l’ennesima volta il piacere della penetrazione non ancora conclusa.

– Senti, potrebbe esserci un contrattempo. Mi puoi aspettare? Devo assolutamente arrivare in un garage a Torino Nord. Non mi ci vorrà molto.
Scendo un attimo di sotto per togliere un lucchetto da un box e sono libero. Ti spiace? C. A. –
– No…non so. Ma se hai cambiato idea non è la fine del mondo. C. –
– Ma no, non ho cambiato idea… Per farmi perdonare ti porto un regalo, è una sorpresa. C. A. –
– Ti aspetto dove avevamo detto, non fare tardi. C. –

Mi sono fermata nel parcheggio di un supermercato, in uno degli ultimi posti liberi all’ombra di un albero. Dovevo solo trovare il coraggio di entrare al bar senza biancheria sotto il vestito a fiori. A giudicare dalla reazione ai piani bassi non sembrava un compito poi così difficile. Ho alzato gli occhiali da sole sopra la testa per guardare il cielo di un azzurro intenso sopra il tetto del supermercato. Neanche una nuvola.
Fopp!

– Allora come è andata? C. A. –
– Come sarebbe? Vuoi dire che tu non c’eri in mezzo a loro? A chi ho dato le mie foto allora? D. –
– Ma si, c’ero, scherzavo. Secondo te quale ero dei tre? C. A. –

Sono rimasta sola quando era ormai sera inoltrata. Stavo per mettermi sotto la doccia, ma una vocina dentro la mia testa mi ha trattenuta.

Signorina sarebbe ora che lei facesse qualche puntata se vuole continuare a restare seduta ai tavoli

Ho messo la fotocamera su Rec. Mi ero fatta inculare per tutto il pomeriggio, ma la mia voglia di sesso ancora non si placava. I capelli stavano ancora gocciolando per la brocca che mi avevano rovesciato in testa. Ho trovato con la lingua un po’ di sperma quasi rappreso sul labbro superiore. Le sborrate che avevo preso durante tutto il giorno in bocca e in culo mi sono passate davanti agli occhi in una sequenza infinita. Uno degli zombie di George Romero mi aveva appena azzannato strappandomi un brandello di carne, ora vagavo per casa in cerca di qualcosa di adatto da infilarmi nel culo. Lo sguardo si è fermato su una bottiglia di birra abbandonata da qualcuno nel lavandino.
BREWDOG ELVIS JUICE
L’ho girata per leggere l’etichetta sul retro: juiced up N ready to roll. Ho premuto il tasto Rec e ho passato le due ore successive davanti allo specchio, sedendomi sulla bottiglia mentre mi masturbavo. Sono approdata su un’isola deserta in mezzo al Pacifico. Volavo a pochi metri da terra e mi osservavo camminare nuda lungo la spiaggia. Un altro orgasmo mentre la fotocamera sibilava dal pavimento. La scritta Elvis Juice è quasi scomparsa completamente dentro di me. Sono venuta ancora più forte emettendo un urlo strozzato.

ELVIS HAS LEFT THE BUILDING

Stop!

– Sicuramente quello scemo! D. –
– Hai trovato il biglietto? C. A. –
– No, di che parli? Non ho trovato nessun biglietto. D. –

Sul tavolo del salotto avevo trovato un biglietto. Sopra si vedeva una donna sdraiata sul letto mentre scopava con un uomo con il viso coperto da una maschera di Anubi. Sull’altro lato c’erano un indirizzo e una data.

– Non so come si intitola, lo chiamo La Seconda Bocca. Sai la storia di Anubi, no? Invece di posare una piuma sull’altro piatto della bilancia ascolta la voce della ragazza attraverso la passera. Se quello che dice è la verità, la ragazza è salva. C. A. –

Altrimenti? Finisce all’inferno?

– Devo pensarci. D. –
– Questa volta ci sarà un’altra ragazza. Andiamo a divertirci. Che ci fai a casa da sola? Sono tutti in ferie…
Verso sera, quando inizia a fare buio. C. A. –

Una pistola roteava sopra a un tavolino. Il fumo di sigaretta copriva i volti delle persone lì intorno.

Pam!

Appoggiato alla fiancata del Patrol, muovevo la testa per seguire ogni macchina in transito con lo sguardo. Appena sparivano dietro la curva giravo di nuovo la testa per aspettarne un’altra. Era in un ritardo pazzesco. Sarei potuto andare a casa a piedi, tornando lì più tardi con gli attrezzi per riparare la balestra senza rischiare di mancarla. Una frase di Max Stirner mi dava il tormento: “Se il verbo si è fatto carne, è diventata un’idea fissa. Io non riesco a liberarmi dell’idea; dovunque mi giri me la ritrovo”.

Ho messo benzina alla prima stazione di servizio, non appena entrata in tangenziale. Dopo aver spostato la Lancia rosa nei parcheggi per le auto, sono entrata nel bar per usare il bagno. Ho fatto scattare il chiavistello facendolo girare con una certa fatica. In una regione remota del mio cervello una sensazione di pericolo mi suggeriva che qualcosa stava andando storto. Ho azionato lo sciacquone e mi sono voltata per uscire. Quando però ho provato a girare il chiavistello nell’altro senso mi sono accorta che si stava muovendo a vuoto nella serratura.
Cazzo! Sono chiusa dentro!
Ho respinto il panico frugando nelle tasche. Solo i preservativi che avevo raccolto dal carrello portavivande prima di uscire. La borsa era rimasta in macchina insieme al telefono. Mi sono arrampicata sul water cercando di sbirciare fuori dal finestrino poco più in alto. Kitty era ormai incollata in una chiazza scura sulla mia pelle. Picchiando con il palmo della mano aperta sulla porta ho strillato “Hey! Aiuto! Sono chiusa dentro!”. Ma non ho ottenuto nessuna risposta. Ho abbassato il sedile e mi sono seduta sul water, avevo il fiatone. Cercavo di non perdere il controllo concentrandomi su qualcosa di piacevole. A intervalli regolari, tornavo a picchiare sulla porta chiedendo aiuto. Per calmarmi continuavo a pensare alla sera prima passata davanti alla videocamera. In quanto a succhiare cazzi non ero seconda a nessuno. Avevo letteralmente fatto il pieno di sperma. Scopare davanti alla videocamera è una vera soddisfazione. Pensare che qualcuno si masturbi guardandomi o che magari prenda l’ispirazione per farsi una bella scopata aumenta il piacere che provo come un catalizzatore. Dall’altro lato della porta nessun rumore. Il caldo, il panico e il pensiero dei cazzi che mi venivano in faccia avevano prodotto un unico risultato: dovevo farmi un ditalino e anche alla svelta. Sentivo la fica completamente bagnata strusciare contro la cucitura dei jeans, li ho sbottonati in fretta. Mentre sfilavo una gamba con una mano, con l’altra mi stavo già massaggiando la passera, appena sotto la testa di tigre tatuata sull’inguine. Aspettavo di mettermi comoda per infilare dentro le dita, ma ho sentito qualcuno fuori della porta: “C’è qualcuno dentro? Questa porta si blocca sempre. Dovrebbero metterci un cartello. Sei ancora lì?” Il chiavistello è saltato all’improvviso, senza che avessi nemmeno il tempo di capire quello che stava succedendo la porta si è spalancata sbattendo contro il muro. Mi sono ritrovata davanti un ragazzo foruncoloso con indosso la divisa della stazione di servizio. I jeans erano finiti sul pavimento. Sentivo la fica che urlava vendetta sotto di me, avevo perso completamente il controllo. Il commesso non è più riuscito a spiccicare una parola. E’ rimasto impalato sulla porta con la bocca spalancata, ricambiando il ruggito della mia tigre rosa che lo avvertiva di stare alla larga. Per un attimo sono rimasta divertita da quello che il ragazzino, a occhio e croce appena maggiorenne poteva pensare nel ritrovarsi di punto in bianco di fronte ad una bella passera completamente depilata e con due dita già infilate dentro. Ho approfittato della sua paralisi per sfilarmi completamente i jeans. Da una delle tasche ho estratto con due dita uno dei preservativi. Tenendo lo sguardo fisso sul ragazzo che a sua volta non si staccava un attimo dalla mia passera, mi sono portata il preservativo alla fragola alle labbra. L’ho scartato con i denti. Con l’indice e il medio l’ho appoggiato alla bocca come se volessi fare le bolle di sapone. Invece di soffiare ho succhiato. Ho sentito il serbatoio posizionarsi sulla lingua. La tigre sopra la fica ha ruggito ferocemente prima di divorare il bimbo foruncoloso. Mi sono seduta sui talloni di fronte a lui con il preservativo in bocca. Gli ho sbottonato i pantaloni, sul grembiule che indossava un cuoco con i baffetti arricciati ammiccava strizzando l’occhio, facendo il segno Ok! Ho afferrato il cazzo con l’indice e il pollice e me lo sono infilato in bocca mettendogli il preservativo con le labbra. Sono arrivata quasi a toccarmi la laringe per srotolarlo fino in fondo. Il suo cazzo era completamente eretto, ho iniziato a pomparlo tenendo fermo l’anello rigido di lattice con due dita. Con l’altra mano ho afferrato le palle tenendole tra pollice e indice. Lo massaggiavo delicatamente mentre la testa andava avanti e indietro sotto il grembiule. Il commesso più fortunato del mondo che nel frattempo avevo ribattezzato Gastone ha emesso un gemito, ho sentito il serbatoio dello sperma gonfiarsi contro il palato. Mi sono sfilata il cazzo dalla bocca e ho accompagnato Gastone contro il muro con la mano che ancora lo stringeva per le palle. Gli sono passata di fianco tenendo i jeans infilati sotto il braccio. Volevo guardarlo in faccia prima di uscire dal bagno, ma sono riuscita soltanto a intravedere le gambe che si allungavano sul pavimento mentre si accasciava a terra strisciando contro il muro.

Fopp!

– Che fine hai fatto? Ti sto aspettando da ore. C. A. –
– Mi sono fermata a fare il pieno, sono appena partita. Pasticcina. –
– Devo chiederti un altro favore… –

Mi sarebbe piaciuto uscire di casa con un vibratore infilato nella fica, ma avevo paura di non riuscire a guidare lo scooter fino al luogo dell’appuntamento. Ho indossato un paio di pantaloncini di jeans stretti, a mala pena mi coprivano il culo. Dentro avevo un plug nero, un regalo di C. A. Mi sembrava più semplice tenerlo fermo sul sellino. Niente mutandine come aveva detto. Una maglietta grigia con la scritta Nike. Sono scesa nel seminterrato dove mi aspettava lo scooter giallo di fianco all’Audi station wagon. La Suzuki 4×4 sarebbe rientrata di lì a poco. Ho buttato dentro il portaoggetti la fotocamera digitale e mi sono allacciata il casco aperto su cui avevo appiccicato l’adesivo verde di una donna intenta a bere un cocktail. Le labbra rosso vivo si stringevano su una cannuccia bianca e rosa, una fettina di lime sul bordo del bicchiere pieno fino all’orlo di un liquido giallo. Essere l’unica a sapere cosa rappresentasse per me quel disegno incollato sul casco mi dava una certa sicurezza, era come un messaggio in codice. Mi ero ripromessa di non masturbarmi, almeno fino a quando non avessi avuto l’opportunità di succhiare il cazzo di C. A. o di leccare la passera della sua amica, anche se sentivo il mio corpo implorarmi di sdraiarmi a terra con le gambe appoggiate al muro per bere un po’ di quel cocktail delizioso. Ho piegato il retrovisore verso di me per vedere il riflesso del mio viso. Mi sentivo di nuovo come uno zombie in preda alla frenesia di carne umana.
Prima di girare la chiave dell’avviamento ho inforcato un paio di occhiali da sole Route 66 come quelli di C. A., me li ero procurati dopo che avevamo girato il video. Finalmente la voglia di scopare era riuscita a stemperare l’ansia per l’appuntamento. Avevo decisamente una gran fame di cazzo.

– Dici che staremo comodi sulla tua macchina? C. –
– Ci sono solo due posti, però i sedili sono belli comodi. Dal lato del passeggero c’è una bella maniglia a cui aggrapparsi, proprio sul cruscotto. C. A. –
– Ho voglia di scopare. Non riesco a pensare ad altro. Solo non posso stare fuori a lungo…c’è un parcheggio qui vicino. Dobbiamo proprio metterci nella tua macchina? C. –
– Sei mai stata in un capannone abbandonato? Uno di quei capannoni nella zona industriale. Hai presente? La facciata con i vetri rotti, i portoni spalancati. Auto abbandonate ferme nel piazzale con l’erba alta. Ci sono sempre delle auto abbandonate in posti come quelli. Non so perché la gente vada in posti del genere per disfarsi della macchina, restano lì per chissà quanto; la vernice sbiadita dal sole, le gomme sgonfie. Alcune hanno il cofano annerito da un incendio, altre enormi chiazze d’olio sotto la scocca, sembrano pozze di sangue. C’è qualcosa di perverso nei capannoni abbandonati, è come vedere una radiografia del proprio cranio o di un’altra parte del corpo. Una parte di te che di solito è nascosta, invisibile. C. A. –

Non riuscivo a credere che mi avesse convinto ad accompagnarlo ad un appuntamento con un’altra donna senza chiedermi di partecipare. Ancora meno mi sembrava possibile aver accettato di accompagnare la sua nuova amica da lui, come se fossi una specie di servizio per la consegna a domicilio della passera. Di una cosa però ero sicura: per nessun motivo al mondo mi sarei lasciata scappare l’occasione di dare un assaggino prima di arrivare a destinazione.

– Hai un bel coraggio a chiedermi una cosa del genere. Pasticcina. –
– Sei arrivata dove ti avevo detto? C. A. –
– Si sono arrivata, ha un SUV bianco? Pasticcina. –
– Mi aspetta nel bar del centro commerciale. C. A. –
– Lo sai che ti costerà? Pasticcina. –
– E se ti dicessi che potrebbe esserci un altro cambio di programma? C. A. –

Mentre camminavo verso la porta girevole del centro commerciale mi ha di nuovo assalito una scarica di rabbia incontrollata. Pensavo che sarei dovuta restare ad aspettare per chissà quanto e non sapevo neanche se l’avrei incontrato per davvero. Mi vedevo tornare a casa delusa, tra le braccia dell’unica cosa che ultimamente dava segno di reale interesse nell’attendere il mio ritorno: Buon pomeriggio…
Una stretta di panico mi ha afferrato dietro al collo. Sono rimasta immobile a fissare la porta girevole: di nuovo in trappola. Un carillon mi accompagnava malinconico verso l’inferno. Ho chiuso gli occhi per un secondo, poi ho ripreso a camminare. Appena entrata sono passata di fianco ad un cartello giallo appoggiato sul pavimento: ATTENZIONE A NON SCIVOLARE! FICHE BAGNATE. Mi sono voltata incredula: PAVIMENTO BAGNATO. Ho ripreso a camminare verso il bar senza capire cosa mi stesse succedendo. Alla mia destra l’insegna di un’agenzia di viaggio diceva: Saint Tropez, relax, divertimento e lussuria. Una donna nuda con un enorme cappello di paglia e degli occhiali da sole con la montatura verde smeraldo prendeva il sole su un lettino. Le gambe divaricate pendevano dal lettino mentre si allargava la passera con entrambe le mani. Non ho potuto fare a meno di notare le sopracciglia alla Greta Garbo, attraevano il mio sguardo come una calamita. Ho lanciato un’occhiata dentro l’ufficio: l’impiegato dell’agenzia lavorava al computer mentre una ragazza nuda con le mani ammanettate dietro la schiena gli stava facendo un pompino. Mi sono tornate in mente quelle storie assurde sull’acquedotto contaminato con LSD. Ho affrettato il passo verso il bancone del bar, intercettando per caso la voce di una commessa ad una delle casse del supermercato, stava dicendo: “Mi spiace, solo contanti, il bancomat è fuori uso. Abbiamo già provveduto a chiamare il tecnico che ripara i vibratori”. Nell’aiuola al centro del corridoio la testa gigantesca di una donna con la pelle blu cobalto e i capelli a caschetto giallo paglierino mi fissava con lo sguardo assente. Le enormi labbra rosse si contraevano come se volesse lanciarmi un bacio.
Ho raggiunto il bancone del bar sul punto di svenire. Cercavo una spiegazione razionale nel caldo soffocante, pensavo: forse lo stress mi ha giocato un brutto scherzo. Una donna sui quaranta si è avvicinata per ordinare. Sembrava una qualunque cliente. Ho aspettato che iniziasse a parlare senza toglierle gli occhi di dosso nella speranza che mi riportasse alla normalità. Quando però il cameriere le si è avvicinato, lei ha detto: “Senta, avete trovato le mie mutandine? Questa mattina non sono riuscita a trovarle e sono dovuta uscire senza. In compenso adesso ho la fica completamente bagnata. Allora? Le ha lei?”
“Mi spiace, ma non le abbiamo. Però in questo modo se a qualcuno dovesse venire voglia di metterglielo dentro da dietro, non si troverebbe costretto ad armeggiare per spostarle da un lato”.
“Va bene, però non esagerate. Almeno usate il preservativo.”
Ormai il vestito mi si era incollato al corpo per il sudore. Stavo per mettermi a urlare. Un’altra cliente alla mia destra mi stava sillabando qualcosa con le labbra senza emettere alcun suono: “Hai bisogno soltanto di una cosa: scopare”.
Quando ho distolto lo sguardo, si è avvicinata la cameriera per prendere l’ordinazione. Aveva i capelli neri raccolti sulla testa. Rossetto rosso fuoco e sopracciglia alla Greta Garbo. Qualcosa nella linea del mento che la rendeva stranamente sensuale. Una minigonna cortissima sopra i collant neri. Si è chinata verso di me e ha cominciato ad aprirsi la camicetta facendo saltare via i bottoni uno dopo l’altro.
“Il suo bicchiere di sperma lo vuole pieno fino all’orlo?”
Stavo cercando qualcosa che andasse bene come risposta, ma non riuscivo più a capire la semantica delle parole che mi passavano per la testa.
“Hey! Aspetti qualcuno? Un uomo? Hey! Tutto ok? Hai preso qualcosa?”
“Ho bisogno soltanto di…ho bisogno di…”
“Senti dimmi solo se sei tu che hai un appuntamento con Capitan America.”
La domanda rimbombava nella mia testa in tutta la sua assoluta assurdità. Certo che sono io. Ho messo a fuoco la ragazza che mi stava di fronte. Occhiali a specchio, una maglietta rosa di Hello Kitty con una striscia di sudore sul punto di asciugarsi sotto il seno. Jeans aderenti e scarpe da ginnastica nere scolorite. In una mano teneva una borsa di pelle bianca e nera. L’espressione seria e affaticata non intaccava affatto la bellezza dei suoi lineamenti, resa ancora più attraente dal neo che aveva su un lato della bocca. Ho ripreso il controllo abbastanza da rispondere: “Si. Credo di essere io.”
“L’hai mai incontrato prima?”
“No, non ho mai incontrato nessuno per scopare.”
I clienti del bar e i camerieri si sono voltati verso di noi con una sincronia degna di un team di canottaggio.
“Vieni sediamoci a un tavolo. Hai preso qualcosa? Droghe intendo, qualcosa per stare su?”
“No, scherzi? Io ho solo bisogno di…!
“Si, lo sappiamo. Puoi chiamarmi Pasticcina.
Non dirmi il tuo, se non hai un soprannome puoi dirmi l’iniziale del nome. “
“C”.
Pasticcina si è seduta ad uno dei tavolini, posando la borsa vicino alle gambe. Ha infilato una mano dentro la borsa poi ci ha ripensato.
“Allora?”
Mi sono seduta di fronte a lei.
“Sembri un caso urgente. Voglio dire: bella mia…”
Ha lasciato la frase a metà. Aspettavo che riprendesse a parlare quando un piede caldo e morbido si è fatto strada pazientemente tra le mie gambe. Ho sentito la pianta del piede distendersi sulla fica, massaggiandola dall’alto verso il basso e viceversa. Aveva qualcosa intorno ad una delle dita, un anello forse. La cameriera questa volta era una bionda corpulenta. Con un sorriso di cortesia, ma palesemente a disagio ha chiesto: “Cosa prendete?”
Senza rivolgerle lo sguardo Pasticcina le ha risposto: “Allora? Arriva questo bicchiere d’acqua o no?”
La cameriera si è allontanata aprendo e chiudendo la bocca senza parlare. Il piede si è ritirato lentamente. Sentivo la fica bagnata inzuppare il vestito a fiori. Dietro al bancone la cameriera stava confabulando con un suo collega lanciandoci occhiate furtive.
“Non farci caso. Sono come le illustrazioni di un libro. Non possono farci niente.” Ha frugato nella borsa e ha tirato fuori un paio di manette facendomele vedere sul palmo della mano, ma evitando di metterle in mostra. Mi ha afferrato sotto il tavolino e senza che me ne rendessi conto ne ha chiusa una intorno al polso. L’altra l’ha stretta intorno al suo.
“Vieni.”
Ci siamo alzate per uscire. Camminando Pasticcina teneva le manette vicino ai fianchi. Quando incrociava qualcuno troppo incuriosito si avvicinava a me facendole scomparire dietro la schiena aspettando di passare oltre prima di riportarle davanti. Se invece aveva l’impressione che le persone intorno a noi fossero impegnate da qualcos’altro o semplicemente distratte, si allontanava lasciando che la catena delle manette si tendesse. Dopo qualche passo si avvicinava di nuovo passandomi rapidamente la mano sotto il vestito. Sentivo il medio su cui portava un anello nero entrarmi dentro insieme all’anulare. A volte anche da dietro, quasi torcendomi il braccio. La disinvoltura con cui si muoveva mi aveva dato l’impressione che avesse fatto quel gioco molte altre volte. Arrivate alla porta girevole mi ha strattonato portandomi vicino a sé. Ha aspettato che la porta compisse metà del suo giro e le ha dato un calcio per farla bloccare tenendoci chiuse dentro. Tre lunghissimi secondi prima che ricominciasse a girare. Mi ha infilato due dita nella fica, masturbandomi in maniera talmente aggressiva e brutale che per poco non mi sono bastati per raggiungere l’orgasmo. Prendevo il sole nuda, sdraiata sul molo di un’isola tropicale. Percepivo distintamente il calore degli scogli sotto il mio corpo. Una sensazione intensa quanto effimera. La porta ha ripreso a girare e siamo uscite nel parcheggio. Passando di fianco al mio SUV bianco ha dato uno strattone dicendo: “Non preoccuparti puoi lasciarla lì, andiamo con la mia.” Si è diretta verso la piazzola di sosta per lo scarico delle merci. Una Lancia Y rosa attendeva parcheggiata di traverso, a metà delle strisce gialle intorno alla sagoma dell’omino che spinge un carrellino. In questo modo ne occupava due contemporaneamente. Dopo aver posato la borsa a terra ha disinserito l’antifurto con la mano libera. Ci siamo avvicinate dal lato del passeggero e mi ha spinto dentro facendomi sedere sul bordo del sedile. Mi ha tolto le manette e ha buttato distrattamente la borsa sul sedile di dietro. Poi si è chinata verso di me, allargandomi le gambe con un ginocchio. Mi sono aggrappata con le mani allo schienale, mentre lei ha inserito il bloccasterzo in modo da potersi tenere al volante. L’altra mano si è posata sulla mia fronte coprendomi gli occhi. Spingeva il ginocchio avanti e indietro, una pressione che aumentava gradualmente e si allentava di colpo seguendo un ritmo costante. Gli scogli sotto di me scaldavano il mio corpo con il riverbero del sole. Le onde verdi del mare andavano ad infrangersi a pochi metri, alzando schizzi di schiuma gelata che poi precipitavano sulla mia pelle facendomi rabbrividire. Ho sentito la sua lingua scivolare dentro la bocca. Roteava intorno alla mia, non ho potuto resistere all’impulso di succhiarla, sentivo la saliva colarmi sul mento. Mi sono alzata per guardarmi intorno. Le onde verdi dei primi metri si perdevano in un blu intenso costellato di macchie azzurro chiaro. Alla mia sinistra un gigantesco tornado carico di fulmini e nuvole grigie roteava senza avanzare di un millimetro. Occupava tutto il campo visivo su quel lato fino al cielo. Sul lato opposto si apriva l’isola con la sagoma di una mezza luna. Oltre la spiaggia bianchissima una foresta fitta e rigogliosa la ricopriva completamente. Dal molo riuscivo a vedere una serpentina più scura perdersi in mezzo alla vegetazione. Non avevo mai provato una sensazione così piacevole.
A qualche chilometro in mare aperto, un’enorme balena si stava immergendo sollevando al cielo la coda. Il suo tuffo per inabissarsi era interminabile. Ero in grado di vederla come se mi trovassi a pochi metri da lei, mi bastava restare a fissarla per qualche secondo. La pinna enorme si allargava lanciando in aria una massa d’acqua impressionante. Alzava una miriade di schizzi intorno a sé. Il dorso della coda ricoperto da alghe verde smeraldo sprofondava ad una lentezza sconcertante al punto che mi sembrava impossibile pensare di poterla fissare abbastanza a lungo da vederla immergersi completamente.
“Se la fissi troppo a lungo non riuscirai più a tornare indietro.”
Ho riaperto gli occhi. Pasticcina era in piedi di fronte a me, teneva le braccia appoggiate allo sportello aperto in modo da nascondermi alla vista dei passanti. Una chiazza scura sul ginocchio. Mi sono sistemata sul sedile allacciandomi la cintura e ho guardato di nuovo verso di lei: “Tu…”.
Lo sportello si è chiuso. Lei ha fatto il giro della macchina, si è messa al volante e ha avviato il motore. La sua mano si è allungata verso lo stereo, sul display è apparsa la scritta: playlist 2. Set. Forensic Science Time Travellers. Una musica elettronica assordante è partita vibrando sotto la nuca. Per un secondo la scena sull’isola tropicale è riapparsa davanti ai miei occhi. Ha voltato il retrovisore in modo che potessi vederla in viso, da dietro il sedile è comparso un portasigarette d’argento. Mi ha offerto il suo contenuto, alcune sigarette con il filtro e due sigari sottili.
“Dopo che sui pacchetti di sigarette sono comparse quelle immagini rivoltanti per mettere in guardia sui pericoli che derivano dal fumo, ho dovuto trovare una soluzione. Voglio dire: tutte le cose piacevoli fanno male. Per chi mi prendono?”
“Non fumo, grazie”
Ha afferrato uno dei sigari facendogli emettere uno schiocco con una pressione delle dita sull’estremità del filtro. Dal portaoggetti ha recuperato un accendino a gas con un disegno: una donna verde con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sul corpo. Impugnava due pistole automatiche. Un fazzoletto sulla bocca e due foglie di marijuana tatuate sui dorsi delle mani. Si è accesa il sigaro aspirando una lunga boccata: “mmm. Menta”.

– Senti, sai che non puoi essere sempre arrapata. Voglio dire, anche la tua libido ogni tanto dovrà prendersi una pausa. C. A. –
– A volte mi sembri piombato sulla terra da un altro pianeta. Non avrai intenzione di allungare l’indice verso la mia passera, ripetendo telefono casa? C_Ca. –
– Dico solo che capita a tutti di avere dei momenti in cui viene voglia di fare qualcosa che non ha niente a che vedere con il sesso… C. A. –
– Ma certo che capita. Il punto è un altro… C_Ca. –

Fopp!

Mi stavo ancora chiedendo se il modo in cui Suzi Gardener distorce la pronuncia della effe e della erre mentre ripete She’s FFFRRRightening fosse un esplicito riferimento al modo di cantare di Johnny Rotten. Ormai avevo abbandonato le speranze di arrivare in tempo all’appuntamento con C. Sul sedile del Patrol c’era il bigliettino con il numero del carro attrezzi. Ero stato sul punto di chiamarlo, poi l’avevo scaraventato nella cabina. L’occasione di ritrovarmi a giocare con C e D allo stesso tempo, aveva amplificato la mia resistenza. Senza contare che ora si presentava anche l’eventualità che si aggiungesse Pasticcina.
Tenevo lo sguardo fisso sulla curva da cui ero sceso con la balestra sganciata, prima di fermarmi. Una macchina rossa si stava avvicinando ad una lentezza snervante: Citroen Due cv. Il tettuccio aperto. Il passeggero teneva i piedi scalzi appoggiati sul cruscotto. Turisti in vacanza, nessun dubbio a riguardo. Mi è passata davanti dandomi il tempo di guardare i due occupanti a bordo: due ragazze. Quella alla guida aveva i capelli castani, legati con la coda. Labbra rosso fuoco sorridenti. L’altra aveva i capelli neri lisci, con la frangetta sulla fronte, lo stesso colore sulle labbra faceva risaltare un tatuaggio floreale sulla spalla scoperta. Dalie, a prima vista.

Sirene spiegate sulla pista di decollo: Oh my God! That’s some funky shit!

Sono rimasto a guardarle allontanarsi pensando che mi ci sarebbe voluto un sigaro alla menta per tirarmi su il morale. Quando sono riemerso dalla macchina con il sigaro in bocca, la Citroen stava tornando indietro sulla corsia opposta. Mi è passata davanti alla stessa velocità di prima solo per fare inversione nuovamente all’altezza del tornante e fermarsi davanti al Patrol. La Frangetta si era sporta dal finestrino incrociando le braccia sullo sportello. Le tette enormi sporgevano all’esterno insieme alle braccia.
“Ciao. Senti, serve aiuto?”
Ho continuato a fumare, facendo di no col capo. La sua amica alla guida rideva fumando uno spinello.
“Cerchiamo un posto per dormire. Tu sai dove possiamo dormire?”
Dopo una lunga pausa in cui tutte e due hanno continuato a ridere senza togliermi gli occhi di dosso la tettona con la frangetta ha continuato: “Senti…cerchiamo anche uno stalone italiano per…” Si è voltata per farsi suggerire dall’amica: “Scopare. Vuoi Scopare? Siamo venute per farci montare dai staloni italiani.” Terminata la frase ha tirato dentro le braccia sollevando la maglietta per scoprire le due tette enormi e sode. L’amica alla guida stava ridendo fino alle lacrime con la testa piegata all’indietro. Ho abbassato gli occhiali da sole e ho lanciato a qualche metro quello che restava del sigaro. Dopo aver chiuso il Patrol mi sono avvicinato, tenevo le mani sui fianchi e continuavo a guardare i suoi capezzoli grandi come hamburger. Lo sportello si è aperto, entrambe hanno allargato le gambe restando a guardarmi dubbiose. Ho alzato un sopracciglio senza cambiare posizione. A quel punto si sono guardate di nuovo e si sono abbassate i pantaloncini alle caviglie continuando a tenere le gambe aperte. Nessuna delle due indossava le mutandine. La ragazza alla guida ha aspirato una profonda boccata dalla canna, è rimasta qualche istante con la bocca socchiusa trattenendo il fumo nei polmoni poi l’ha soffiato verso di me. Uno sbuffo di fumo pungente e dolciastro mi ha raggiunto scavalcando le spalle di quella tatuata che ormai si era sfilata completamente la maglietta. Ho visto i loro piedi scavalcare con indifferenza i pantaloncini abbandonandoli sul pavimento della Citroen. Mi hanno squadrato serie ancora per un po’, quindi la ragazza tatuata è scesa completamente nuda mostrando anche un tribale appena sopra il culo. Si è appoggiata con il gomito al tettuccio della macchina e ha ribaltato il sedile per farmi salire. Mi sono seduto al centro del sedile posteriore e ho allargato le braccia su tutto lo schienale lasciando le gambe aperte. In macchina stavano ascoltando una stazione radio di musica leggera tenendo il volume bassissimo. “Sapete una cosa? Questa è proprio la mia canzone preferita”.

Prima di rivestirsi la ragazza alla guida si è voltata per passarmi lo spinello quasi alla fine. Il suo seno perfetto si muoveva verso di me, stretto da una canottiera aderente grigia con il disegno azzurro di una bottiglietta di Coca Cola stappata. Aveva il viso simile al muso di un felino. Ho storto un lato della bocca e si è fermata interpretando la mia espressione. La testa si è piegata da un lato, ha iniziato a succhiarmi sul collo. Una bellezza difficile da descrivere. Sentivo le sue labbra pizzicarmi la pelle sul collo. Avvolto da un intenso profumo di glicine ho attraversato una via affollata in una città mediorientale. La luce attenuata del tramonto teneva in ombra i volti delle persone che mi scorrevano di fianco. Edifici dalle architetture inconfondibili facevano da sfondo a quella che sembrava la scena di un mercato rionale. Nuvole di vapore sbuffavano dalle finestre aperte. Un gruppo di prostitute cercava di attirare i clienti chiamandoli con un gesto della mano. Alcune mi guardavano passare, sottili catene d’oro avvolgevano i loro fianchi scoperti. Al fondo della strada una scala di pietra scendeva verso un belvedere da cui si poteva osservare il deserto distendersi in un labirinto delirante di sabbia. Sotto la luce irrequieta di una stella aggrappata al pallido bagliore della luna piena, una donna africana mi chiamava con lo sguardo per condurmi nella piramide alle sue spalle. Aspettava paziente, stringendo un calice di metallo su cui risaltava un serpente intento a mordersi la coda, le sue spire avvolgevano il bordo del calice scomparendo tra le mani della donna completamente nuda. Un istante prima che riuscissi a scorgere il contenuto del calice, la sensazione innescata dal bacio sul collo si è interrotta riportandomi indietro. Per un attimo ho avuto l’impressione che volessero dirmi i loro nomi, ho scosso la testa continuando a fissare la ragazza al posto di guida negli occhi.

Quella Diana che dicono essere la Fortuna

“Senti, lo so che ormai sembriamo uno scuolabus del cazzo, ma dobbiamo fare un’altra tappa con il servizio di consegne a domicilio della passera.” Pasticcina stava guidando con il sigaro in una mano, sicura che la stessi guardando nello specchietto retrovisore.
“Ok, io però non posso stare fuori molto a lungo.”

Ho un guinzaglio avvolgibile proprio attaccato al collo, sai è invisibile, ma non mi lascia allontanare più di qualche chilometro

“Non è lontano, siamo quasi arrivate. Spero solo che non abbia raccontato cazzate, dicendo che si tratta di un regalo per farsi perdonare.”
“A me ha detto la stessa cosa…” Non ha battuto ciglio, continuando a guardare diritto davanti a sé. Si è limitata a portare la mano col sigaro alla bocca per aspirare una profonda boccata.
“Ti ha detto che cosa gli è successo di preciso?”
“Niente di nuovo, è solo un fissato. Se ne va in giro con quel ferrovecchio che scambia per un fuoristrada convinto che si tratti della cadillac dei Blues Brothers. Questa mattina ha fatto i conti con la realtà ed è rimasto in panne sulla statale mentre scendeva dalla sua tana sui monti per venire all’appuntamento”. Stava ancora parlando quando la Lancia ha rallentato per accostare. Una ragazza bionda, non avrà avuto più di diciotto anni, aspettava sul marciapiede appoggiata contro il sellino di uno scooter giallo.
Aveva indosso ancora il casco e gli occhiali da sole. Ci ha guardato rallentare tenendo le mani in tasca, appena Pasticcina si è fermata ha sporto le spalle in avanti come se volesse chiedere: “Allora?”.
Siamo scese dalla macchina.
“Sei D?”
“C. A.?”
“Dovremo resistere all’impulso di strapparci i capelli per la sua assenza. Ha avuto un guasto con il catorcio. Stiamo andando a recuperarlo sulla statale. E quello?” Indicava lo scooter dietro la ragazza con lo sguardo.
“Mi serve un posto dove lasciarlo. C’è un’altra cosa però…” Sembrava preoccupata.
“Sentiamo.”
“Devo usare il bagno.”
“Anch’io”. Ho detto annuendo. Pasticcina ci ha guardate con un mezzo sorrisetto assorto. Poi si è aggiunta: “Ok”

Fopp!

Hanno continuato a scambiarsi qualche parola in inglese, mentre la Due Cv procedeva sulla statale. Non capivo perché continuassero a parlare in inglese anche tra loro, visto che nessuna delle due sembrava avere una grandissima pronuncia. Sul cruscotto ho notato la scritta Black Night Eye, proprio sopra l’autoradio. Uno stereo incorporato, probabilmente di serie con la macchina, mangianastri per le cassette. La seconda cosa che non capivo era il volume, come facessero ad ascoltarlo così basso, forse lo avevano abbassato prima di fermarsi. Sopra al portaoggetti pieno di cassette l’occhio di Horus disegnato con un pennarello indelebile bianco. Ci siamo fermati in una piazzola di sosta per far passare dietro la ragazza con la frangetta. Prima di sedersi sul sedile posteriore si è di nuovo sfilata i vestiti tenendo indosso soltanto le scarpe nere aperte. Mi ha infilato decisa una mano nei pantaloni abbassandoli quel tanto che le bastava per metterselo in bocca senza sbottonarli. Sono rimasto a farmi spompinare con le braccia distese sullo schienale godendomi la pressione morbida del suo seno sulle ginocchia. Le labbra sbavate di rossetto nero le davano un aspetto ancora più provocante. L’amica ci guardava nello specchietto, respirava affannosamente con una mano infilata nei pantaloncini, sembrava che qualcuno stesse correndo in mezzo a delle pozzanghere. Mi ha afferrato con il pollice e l’indice aperto infilandosi il cazzo in bocca fino alle palle, per una manciata di secondi è rimasta immobile, quasi volesse inghiottirlo. Quando le ho messo una mano dietro la nuca ha cominciato a passarmi la lingua sul cazzo, tenendola premuta con le labbra. La ragazza seduta davanti stava gemendo sempre più forte. Ci siamo inginocchiati sul sedile rivolti verso il lunotto, lei ha posato le mani sul culo divaricando le natiche in modo che fosse inequivocabile quello che avrebbe voluto fare. Ho afferrato uno dei preservativi profumati di Pasticcina e l’ho scartato con due dita. Poi mi sono messo a scoparla nel culo, fissando il cuore avvolto nel filo spinato, tatuato al centro del tribale sulla schiena.

Menta

Il sedile anteriore si è piegato in avanti per far passare dietro anche l’altra ragazza. Si è tolta i vestiti fuori della Citroen. Ci ha spinto nervosamente su un lato cercando spazio per sdraiarsi a leccare la passera dell’amica impegnata a farsi inculare. Lei le ha passato le mani sul collo fermandosi a tenerla sotto il mento, proprio sulla gola distesa. La sentivamo inghiottire voracemente mentre scalciava contro il sedile. Le ha messo le mani sui fianchi, lei a sua volta aveva messo le sue sui miei piegando leggermente le braccia all’indietro. Ho spinto in avanti quella con la frangetta per afferrarla, si è piegata tra le gambe dell’altra per leccarle la fica. Ho continuato a scoparla sempre più velocemente fino a venirle dentro, sentivo la lingua della ragazza sotto di noi spingersi oltre, sulle palle. Una sensazione quasi impercettibile, eppure riuscivo a concentrarmi solo su quello. Siamo rimasti nella stessa posizione per lunghissimi minuti prima di rivestirci, un vento leggero entrava dai finestrini aperti asciugando il sudore sulla pelle. La ragazza con la frangetta stava ripetendo una specie di litania in una lingua che non capivo, sembrava una lingua dell’est, poi è scivolata davanti lasciandomi solo con l’altra. Ho sentito delle unghie sul collo e sulla schiena provocarmi una scarica di brividi. Avevo di nuovo di fronte agli occhi la donna con in mano il calice di metallo al centro del belvedere. La piramide dietro di lei sembrava sempre più vicina, la Luna era diventata enorme nel cielo. I suoi occhi azzurri mi fissavano mentre un lunghissimo serpente corallo si avvolgeva al suo corpo salendo verso il collo. Ho disteso il braccio indicando la testa del serpente. Muovendo freneticamente la lingua si è inarcato passando sul mio indice ed è risalito fino alle spalle. Il suo morso proprio sulla carotide mi ha provocato un piacere intenso, spingendomi a chiudere gli occhi. La donna ha avvicinato il calice alla ferita lasciando che si riempisse mentre mi baciava sulla bocca. Di nuovo profumo di Glicine.

Un fiume lunghissimo di cui non sarei nemmeno riuscito a immaginare l’estensione si snodava in mezzo alla savana allargandosi tra una miriade di paludi e canneti. Il sole basso al tramonto proiettava ombre lunghissime riflettendosi sulla sua superficie. Scorreva lentamente verso la linea dell’orizzonte perdendosi a vista d’occhio.

Quando ho riaperto gli occhi mi ha parlato nella mente e mi ha detto il suo nome, si chiamava Nil. Si era distesa sul sedile della Citroen aggrappandosi al collo con il viso in parte nascosto contro una spalla. Ha guardato la sua amica, nello stesso momento ho pensato Sin. Ha guardato di nuovo verso di me: “Mind detention…Goul”. Ed è scoppiata a ridere tornando con lo sguardo sull’altra che sbucava oltre il poggiatesta con lo stesso sorriso sulle labbra. Sono salito dal lato del guidatore e ho messo in moto. Volevo alzare il volume della musica, ma non appena mi sono mosso per farlo, il volume è diventato altissimo nella mia testa. Il suono pulito e impeccabile come nessun supporto digitale avrebbe saputo riprodurre. Superato il cartello Hotel Marina il lago è apparso sotto di noi.
Ho preso una cassetta dal portaoggetti e l’ho inserita nello stereo.
Sabra Cadabra

Stavo cercando di spostare su un lato della tazza la pellicola di panna che si era formata sulla cioccolata calda.
“Non so come tu riesca a bere un intruglio come quello, con questo caldo”. Pasticcina era seduta di fianco a me intenta a sorseggiare un bicchiere enorme di tè verde ghiacciato. Davanti allo sgabello vuoto di fianco a lei, una birra Brewdog Elvis Juice con una fettina di limone infilata nel collo.
“Mi è sempre piaciuta la cioccolata calda, non sarei riuscita a buttare giù nient’altro…”
“Sicura?”. Parlava guardandomi maliziosamente, intenta a leccare il bordo del bicchiere. D è tornata dal bagno con un’aria finalmente sollevata. Si è seduta davanti alla sua Brewdog tamburellando con le dita sul bancone e le ha dato una lunga sorsata.
“Il posto dove dobbiamo andare per recuperare C. A. è molto lontano? Non posso rientrare troppo tardi…”
“Certo zuccherino”. Si è rivolta a D: “Se non sbaglio hai con te una fotocamera digitale, non l’avrai lasciata nello scooter?”.
D si è tolta dalle tasche posteriori una fotocamera piatta e il suo obbiettivo.
“Ci servirà molto presto…credo”. Si è messa a ridere nel bicchiere di tè verde facendo rimbombare la voce.
D ha messo via la fotocamera e ha passato l’indice e il pollice sul collo della bottiglia di birra, facendo scorrere le dita sulle goccioline di condensa di cui era ricoperta. L’altra mano era sparita in mezzo alle gambe.
Il cameriere del bar si è avvicinato, tenendo una mano su un fianco, ha messo l’altro braccio sul bancone. Con un mezzo sorrisetto idiota ha chiesto: “Posso servirvi qualcos’altro?”.
Pasticcina ha incrociato le braccia sporgendosi in avanti verso di lui.
“Tre cannoli belli lunghi, giganti. Pieni di panna fino a scoppiare”. E ha mimato la lunghezza con le mani.
D ha subito aggiunto: “Il mio alla crema”. Poi ha dato l’ultima sorsata alla birra.
Pasticcina si è girata lentamente verso di lei e ha alzato gli occhiali a specchio: “Senti… bella mia…”
Siamo uscite dal bar una dopo l’altra inforcando gli occhiali da sole.
D si è allungata stendendo le gambe sul sedile dietro dopo essersi tolta le scarpe e si è messa a guardare delle foto che aveva scattato senza farci vedere di cosa si trattasse. Non so perché, ma trovavo che avesse dei piedi molto sensuali con quello smalto nero. A volte restava ferma sulla stessa foto un po’ più a lungo mettendosi una mano tra le gambe, si era sbottonata i pantaloncini di jeans. Lady Gaga ha interrotto una lunga pausa di silenzio: “I know that we are young and I know that you may love me…”, la suoneria del telefono di Pasticcina.
“Spiegami che cazzo ci sei andato a fare all’Hotel Marina adesso…Ma davvero e non hai paura che qualcuno si porti via la tua cazzo-mobile caro? Non lo so ancora se ti ho perdonato… Lo sai già qual è il primo buco che trovi libero: il tuo”. Ha chiuso e si è girata verso di me. “Niente di grave, un altro cambio di programma. In realtà ci ha accorciato la strada, non dovrai scappare lasciandoti dietro la scarpetta, non ti preoccupare”.
Ha guardato dietro, D ormai si stava masturbando senza farsi troppi problemi. Pasticcina ha sporto all’indietro la mano. Lei ha buttato i pantaloncini e ha posato la macchina fotografica in un angolo. Si è piegata in avanti sedendosi sulla mano di Pasticcina. Si teneva ai poggiatesta mentre ansimava con gli occhi chiusi. Siamo entrate in una galleria, doveva sembrare adatta al suo scopo perché Pasticcina si è fermata subito in una piccola piazzola di emergenza davanti alla via di fuga. Il paraurti è passato vicinissimo al muro e la Lancia si è girata di traverso. Il paraurti posteriore era talmente vicino al muro che non si riusciva a fare il giro della macchina da dietro. Mi ha dato un lunghissimo bacio con la lingua spingendomi a togliermi il vestito ed è scesa per raggiungere il bagagliaio. Cercavo di capire cosa stesse facendo quando l’ho vista passare davanti alla macchina. Aveva indosso soltanto un paio di stivali di vinile alti fino al ginocchio e una cintura fallica nera. Gli occhiali a specchio sugli occhi. C’era un traffico tutto sommato abbastanza intenso a quell’ora. Passavano anche numerosi camion, la Lancia Y ondeggiava ogni volta per lo spostamento d’aria. Ho visto lo sportello aprirsi, era praticamente invisibile alle macchine, a parte le gambe. Si è fatta dare la fotocamera e l’ha sistemata a terra in modo che riprendesse solo dalla vita in giù, inquadrando allo stesso tempo le auto in transito nella galleria oltre lo sportello aperto. Davanti a me le sue mani stavano passando una lozione profumata sulla punta di gomma del cazzo sintetico, spremendolo con le dita strette a pugno.

Rec

Mi sono piegata verso D, seduta sul bordo del sedile e ho iniziato a leccarla. Per una frazione di secondo sono di nuovo stata attraversata dalla sensazione di ambivalenza, aspettavo che Pasticcina si facesse avanti. Mi ha inculata con la cintura fallica, pompandomi velocemente fin dall’inizio. La sentivo spingere verso il basso nel tentativo di allargarmi il culo il più possibile. La pressione del cazzo di gomma sulla passera dall’interno. D mi aveva afferrato la testa tra le mani tenendole aperte sulle orecchie. Mi muoveva la testa avanti e indietro. Dopo un po’ ho perso il conto del numero di volte in cui sono venuta. Un grosso TIR ha fatto ondeggiare la Lancia sulle sospensioni passando un più vicino degli altri. Ho alzato lo sguardo spostando le sue mani sul seno. Pasticcina ha lasciato andare i miei fianchi per mostrare il dito medio al camion di passaggio, ma non ha mai smesso di scoparmi. Ho cambiato posto prendendo in braccio D sulle mie gambe, le ho passato le mani sulla schiena, stava morendo dalla voglia di farsi Pasticcina. Poi sono scesa a cercare le mani, ho intrecciato le dita con le sue. Pasticcina si è sfilata la cintura e si è seduta sui talloni tenendo le mani sulle ginocchia. Abbiamo visto la sua pioggia dorata scendere sotto la scocca della macchina. Una gigantesca testa di tigre rosa sulla sua pancia ruggiva verso di noi. Ci ha fissato per tutto il tempo con la bocca socchiusa. La luce giallastra dei neon nella galleria riflessa nei suoi occhiali a specchio deve aver fatto scattare qualcosa nella mente di D che ha piegato la testa all’indietro, strofinando la guancia contro la mia. Contemporaneamente abbiamo preso la testa di Pasticcina tenendola premuta sulla fica. Ho chiuso gli occhi, quando li ho riaperti stavo nuotando nuda in un mare tropicale. Ho avuto l’impressione che si trattasse dello stesso mare in cui avevo visto la balena immergersi. Intorno a me la scogliera era coperta di alghe verdi, fluttuavano lente nella corrente. Sapevo che non avrei avuto nessun bisogno di risalire in superficie per respirare. Vedevo le altre due nuotare poco distanti. Ho attraversato un banco di pesci dai colori vivissimi. Guardavo la scogliera sott’acqua pensando che fosse in quel luogo che in tempi preistorici i pesci avessero abbandonato le profondità marine per evolversi in un’altra specie sulla terraferma. Un altro banco mi è passato davanti agli occhi facendomi perdere in un vortice di colori. Quando mi sono svegliata dal sogno ad occhi aperti, Pasticcina si stava passando la lingua sul labbro superiore, teneva le braccia distese appoggiate sulle ginocchia. D ha impiegato qualche secondo per lasciarsi andare. Da dietro le sue spalle ho visto cadere verso Pasticcina la sua pioggia dorata. L’ho baciata sul collo. Pasticcina lasciava passare il getto tra le gambe. Quando si è trovata alla distanza giusta ha inclinato la testa per intercettarlo con la lingua, senza lasciarsi bagnare il corpo si è riempita la bocca e l’ha trattenuta aspettando di avvicinarsi a noi. L’ha versata in quella di D, lei ha ingoiato senza farne cadere nemmeno una goccia. Poi mi ha baciato con la lingua, stavo per perdere i sensi. Ho desiderato di essere inculata di nuovo, sentivo i miei pensieri perdere significato erano diventati una sequenza incomprensibile di monosillabi.

Nuotavo nuda in mare aperto, pochi metri sotto la superficie, ma in acque profondissime. Una gigantesca balena mi veniva incontro, mi trovavo proprio di fronte alla sua bocca. Si stava immergendo inarcando la coda fuori dall’acqua. Una sequenza lentissima, interminabile. La sua testa era interamente coperta di alghe verdi e conchiglie. Ho guardato verso il basso. Una distesa di corpi intrecciati si estendeva su tutta la superficie del fondo del mare. Braccia incrociate alle gambe, volti nascosti uno dall’altro, su di loro una patina verde. Mi sono voltata verso l’alto, la coda della balena era enorme sopra di me, una torre altissima da cui scendeva una pioggia infinita di schizzi. Il riflesso del sole oltre il pelo dell’acqua. Mi sentivo come un granello di polvere di fronte ad una montagna. Quando ho socchiuso gli occhi sono riuscita soltanto a vedere due labbra sul punto di versarmi in bocca un nettare squisito.

Ero già stata in questo posto molte altre volte, un mare tropicale stupendo. Stavo nuotando nuda sott’acqua sopra una sabbia bianchissima tempestata di scogli colorati. Sono scesa sul fondo a pochi metri dalla superficie per accarezzare un’anemone dai colori vivacissimi quasi accecanti. I suoi tentacoli mi hanno sfiorata senza procurarmi alcun dolore. Accompagnata da un gruppo di meduse, ho raggiunto il limite di una fossa oceanica, poco distante dalla riva. Un enorme squalo bianco si è avvicinato per guidarmi verso l’interno della fossa, fissavo il suo muso inespressivo in mezzo ai riflessi di luce che penetravano dall’alto. Cercava di convincermi ad aggrapparmi alla sua pinna dorsale per trasportarmi nel punto più buio. L’ho lasciato andare e mi sono messa a nuotare verso la spiaggia.

Stop!

Prima che mi rivestissi si è avvicinata a me, pensavo volesse baciarmi di nuovo. Una mano si è fermata vicino alla spalla per poi spostarsi davanti ai miei occhi. Una coccinella rossa stava risalendo verso l’anello nero che portava al dito medio. Ha bisbigliato: “Perdonato”.

Quando mi hanno avvisato del loro arrivo stavo venendo nella bocca di Nil. Lei era sdraiata sul letto con i polsi ammanettati alle caviglie. Stavamo guardando delle diapositive in cui Sin era legata ad una croce di Sant’Andrea. Anche lei era ammanettata, nuda, seduta su una sedia sopra ad un vibratore davanti al muro su cui venivano proiettate le diapositive. Aveva un bavaglio nero con la pallina e una benda sugli occhi. Labbra rosso fuoco. Tenevo Nil con due dita nella fica muovendola avanti e indietro mentre la penetravo in bocca. Era girata verso il muro in modo da poter vedere le diapositive. Appena la sentivo vicina all’orgasmo sollevavo la fica, infilando dentro tutta la mano. Era un movimento molto semplice. La possibilità di aumentare la pressione della mano a proprio piacimento, accompagnandola verso l’alto o lasciandosi pesante sul letto la stava mandando al manicomio. In alcune diapositive, Nil versava della cera fusa sul corpo ammanettato alla croce. In altre indossavano una tuta di lattice e si masturbavano con un vibratore. Non distoglieva gli occhi dallo schermo improvvisato per un istante. Ogni volta che le venivo in bocca si sfilava il cazzo lasciando colare lo sperma sul viso, poi lo baciava come se stesse baciando le mie labbra. L’ho liberata delle manette per rivestirmi. Lei si è diretta verso Sin, nella diapositiva si stavano baciando tenendosi abbracciate davanti all’obbiettivo, entrambe indossavano una tuta blu scuro. Quella di Sin era quasi trasparente sulle braccia e lasciava intravedere le dalie tatuate. Le ha tolto le manette e l’ha fatta mettere a quattro zampe sul pavimento, salendo a cavalcioni sulla schiena. Poi le ha pisciato addosso.
Vicino ai loro vestiti ho lasciato un biglietto bianco sotto un paio di manette. Su un lato si vedeva la scritta nera “O”. Dall’altro lato c’era stampato l’indirizzo di Pasticcina.

“Certo che ve la siete presa comoda. E poi secondo te dovrei salire su questa specie di gelato alla fragola? Se puoi essere sicura di una cosa a questo mondo è che non salirò mai su una macchina che sembra un gelato alla fragola”. Mi ha aperto lo sportello dal lato del passeggero e si appoggiata al vetro sporgendo il culo all’infuori senza dire niente. L’ho baciata sulla bocca: “Hai sempre un così buon profumo sulle labbra. Limone?”
“Sali”.
Ho guardato sul sedile posteriore, una splendida bionda e D si stavano abbracciando nude.
“C?”
“Coccinella”. Ha specificato Pasticcina. Mi sono seduto mettendomi la cintura, stavano ascoltando Sade.
“Sapete una cosa? Questa è proprio la mia canzone preferita.”
Abbiamo imboccato la statale in direzione della città.
“Non staremo via molto, vero?”
“Ma che c’è che ti preoccupa tanto? Non ti avranno messo il lucchetto alla passera spero…”
C. A. l’ha interrotta: “Cazzo! L’avevo completamente dimenticato, dobbiamo fare un’altra piccola deviazione. Devo ancora togliere il lucchetto al box”
“E ci vorrà molto per arrivare a questo lucchetto?”.
D mi ha passato il dorso della mano su una guancia e ha iniziato a baciarmi sul collo.
“Coccinella e D. D…Dee…come Dee Dee Ramone.”
“Non centra un cazzo”
“Volevo soltanto trovarle un soprannome, o pensavi di avere tu l’esclusiva sulla creatività”
“Io ho un buon motivo per averle dato un soprannome”.
Lei mi ha sussurrato nell’orecchio: “Mi piace Dee, suona bene”
“Bella mia guarda che questo qui…lo sai che cosa sei vero?”.
Aveva disteso le gambe sul mi seno. Appena mi ha passato un piede vicino alla guancia me lo sono messo in bocca, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Sono di nuovo stata sull’isola. Ci trovavamo in cima ad una scogliera. Dee dormiva con la testa appoggiata sulle gambe di Pasticcina. Erano appoggiate ad una grossa quercia cresciuta sul ciglio della scarpata. Dietro di noi un vasto prato ricoperto di fiori gialli si allargava a perdita d’occhio. Lei stava sorseggiando una tazza di tè guardando le onde. La tazza sembrava uscita da una fotografia d’epoca anche se il disegno che la decorava mi metteva a disagio: mi dava l’impressione che mi stesse sfuggendo qualcosa. Una serie di fiori blu intrecciati tra loro da un serpente di cui non si vedeva la testa. Non capivo come C. A. riuscisse a resistere sotto il sole con il giubbotto di pelle e i guanti da motociclista, anche lui stava guardando le onde, teneva in braccio un gatto nero. Qualcuno mi ha posato una mano su una spalla, ho sentito un profumo di glicine molto intenso intorno a me. Una donna con i capelli castani lunghissimi sciolti dietro la schiena mi fissava senza parlare. Il viso ricordava un felino. Ci ha invitato a seguirla con un gesto della mano e si è incamminata verso un sentiero, scendendo verso la spiaggia.

Nascoste nella vegetazione ai bordi del sentiero riuscivo a scorgere delle figure femminili, attendevano il nostro passaggio, alcune ci sfioravano con la mano, una ragazza nuda dalla pelle bianchissima inginocchiata al centro di un cespuglio di more guardava verso il mare. Un grosso gecko giallo e nero si stava arrampicando sul suo collo. Il sentiero si perdeva nella foresta, la sabbia della spiaggia veniva rimpiazzata da un selciato man mano che procedeva al suo interno. Stavo seguendo l’ombra della ragazza con i capelli castani quando la suoneria del mio telefono mi ha riportato indietro.
La Lancia Y si era fermata davanti all’ingresso di un palazzo in città. Un lampeggiante giallo segnalava l’apertura del cancello automatico. Siamo rimasti immobili come degli attori sul set di un film cinematografico obbligati a restare fermi per ripetere la scena.
Ho aspettato che smettesse di suonare senza rispondere, dopo qualche minuto la vibrazione mi ha avvisato di un messaggio in arrivo. Non riuscivo a credere al testo del messaggio.
“Che c’è Coccinella?”
“Dice che è stato al centro commerciale e ha trovato la mia macchina nel parcheggio”. Nella risposta mi sono affrettata a scrivere: “Non può essere, la mia è qui di fronte a me. C’è stato un contrattempo, è complicato”.
“E adesso?”
“Non lo so non riesco a immaginare cosa mi troverò di fronte quando sarò tornata a casa”.
C. A. si è voltato alzando l’indice per chiedere un minuto di tempo ed è sceso dalla macchina.

Fopp!

Ho raggiunto il seminterrato camminando il più velocemente possibile sulla rampa delle auto. Davanti al portone del box mi sono frugato nelle tasche, ho tirato fuori un mazzo di chiavi con cui ho aperto la serratura del portone e il lucchetto bloccato da un paletto nel pavimento di cemento. Con un calcio l’ho fatto scivolare all’interno insieme al paletto, poi sono risalito. Pasticcina mi stava aspettando in piedi contro lo sportello della Lancia dal lato del passeggero. Fumava una sigaretta guardando altrove. Non capivo neanche io cosa ci fosse di tanto attraente nella sua espressione. Stavo per risalire in macchina, lei mi ha guardato continuando a fumare.
“Sono stanca, guida tu”
“Senti bella mia, se c’è una cosa di cui puoi essere assolutamente sicura è che non guiderò mai una macchina rosa. Sembra proprio un gelato alla fragola…”.
Si è di nuovo guardata in giro e mi ha infilato una mano nei pantaloni.
“Spero per te che sia almeno sedici valvole”.
Sono salito dal lato del guidatore e ho messo in moto.
“Aaahh, finalmente dopo una giornata di duro lavoro posso godermi un po’ di relax in compagnia di tre belle femmine”
“Senti… zuccherino…non ti rendi conto di quanto sei ridicolo quando fai lo spiritoso in questo modo?”
“Ma se ti faccio arrapare da morire…”
“Sai cosa pensiamo quando fai lo spiritoso in questo modo? Vuoi che te lo dica?”
“Che ti faccio arrapare”
“Quando?”
“Ma se sono più macho di Macho Man Randy Savage. Sudo Denim After Shave bella mia fattene una ragione.”.
Dee ha sporto in avanti il telefono di Coccinella.
“Cambio la serratura VAFFANCULO”.
Lei teneva la testa tra le mani ripetendo sottovoce: “E adesso? Non riesco a immaginare cosa posso fare…”.
Dee le stava massaggiando la schiena.
“Sai qual è il bello dell’immaginazione? Puoi fare qualunque cosa devi solo sapere di potere”
“Non cominciare…”
“Ma si, è così. Ascolta. Qualche settimana fa sono stato nel bosco…”
“Volevi finalmente riunirti ai tuoi simili a quattro zampe?”
“Spiritosa, potresti fare concorrenza a Liza Minelli lo sai? No sul serio. In mezzo a questo bosco c’è una torre di osservazione per il birdwatching. Se Sali all’ultimo piano è pieno di scritte: tizio ama tizia, date, nomi di vario genere. Sulla ringhiera di ferro verso la valle c’è una scritta a pennarello. Dice: “AMMOREEE” scritto così con due emme. La prima volta che l’ho letta ho pensato è vero è così l’amore è un errore. Mi sembrava una frase da cuore infranto, poi però ho capito che in realtà è la verità: è sempre un malinteso anche quando è corrisposto. Anche quando fila tutto liscio. Le persone che amiamo non esistono realmente. Siamo noi a vederle in un certo modo e per questo ci innamoriamo, ma sono solo nella nostra testa. Quando ci scontriamo con la realtà e ci rendiamo conto che chi abbiamo di fronte non è quello che credevamo, il mondo ci crolla addosso. Sei mai stata in mezzo al litigio di due innamorati? Sono situazioni irreali. Poi ci si dimentica, a volte passa del tempo e tutto torna come prima…a volte no”.
Non appena ho finito di parlare ho guardato dietro. Dee mi fissava come un predatore pronto alla caccia. Si è rivolta a Coccinella e le ha detto: “Sei mai stata dentro un Tornado?”.

Ci ha aperto una donna con una tutina di lattice blu trasparente. Le lasciava scoperti soltanto gli occhi e la bocca. La pressione della tuta sul viso metteva in risalto le labbra rosse carnose e un trucco molto pesante sugli occhi. Viola glitterato. Non mi sembrava possibile che esistesse davvero qualcuno in grado di camminare su tacchi così alti. L’abbiamo seguita all’interno. Sotto la tuta riuscivo a intuire il disegno di un tatuaggio. Il mezzo busto di una donna con i capelli raccolti sulla testa, una benda da pirata copriva l’occhio destro. Sotto il busto all’altezza del seno una scritta a semicerchio diceva: Show no Mercy, appena sopra il culo. Una volta entrati ho sentito una strana musica provenire da una delle stanze, un pianoforte scordato accompagnato dal suono di una campana, sembrava suonata al contrario. Anche se non capivo come, avevo l’impressione di riconoscere la musica.
“Conosco questa musica.”
“La conosciamo tutti.”
“Einstürzende Neubauten”. Ho detto.
Pasticcina ha risposto: “Sade”.
Secondo Dee si trattava dei Radiohead. Una voce dall’interno della camera ha aggiunto: “Il Principe Igor”.
C. A. ha continuato dicendo: “La conosco benissimo anch’io, è la mia canzone preferita…”. Stava per dirmi il titolo, ma Pasticcina mi aveva già trascinato via dopo avermi passato un braccio intorno ai fianchi.
All’interno della stanza, due donne attendevano il nostro arrivo ai lati di una sedia elettrica. Quella sulla sinistra indossava una tuta nera con una scritta bianca sul petto: Dutiful. Il viso era nascosto dietro una maschera di vetro a specchio. Un semplice ovale senza i lineamenti del volto. Teneva tra le mani un calice di metallo. La ragazza sulla destra aveva una tuta identica, bianca con una scritta nera: beautiful; gli occhi scoperti e un bavaglio rosso in bocca con una pallina di acciaio. In mano stringeva un mazzo di rose nere. Le pareti sono svanite appena siamo entrati, siamo rimasti sospesi nel vuoto sopra la bocca di un vulcano in piena eruzione, al centro di un vortice di nuvole grigie attraversate da fulmini continui. Un gruppo di uomini ci ha tolto i vestiti, avevano il volto coperto da una maschera nera su cui era disegnata una stella a sei punte bianca. Tutti con la stessa corporatura, anfibi neri decorati con una serie di teschi, alti quasi fin sotto il ginocchio e pantaloni di pelle. Hanno afferrato Dee per un braccio e l’hanno fatta sdraiare a terra prima di inondarla, lei teneva le gambe aperte e si massaggiava i seni. Con la lingua cercava di leccarsi il mento mentre si riempiva la bocca. Pasticcina succhiava cazzi tenendo gli occhi chiusi, le giravano intorno fermandosi solo per metterglielo in bocca. Sono tornata con lo sguardo su Dee, era stata sollevata da terra e appesa a testa in giù con una catena, un’asta rigida le bloccava le gambe. Uno degli uomini mascherati la scopava in bocca tenendole due dita nella fica e una mano dietro la nuca. Appena le due donne ai lati della sedia elettrica si sono avvicinate, C. A. è passato in mezzo a loro per andarsi a sedere, sembrava muoversi al rallentatore. L’ho visto camminare davanti a me con il solito giubbotto di pelle e i jeans. Sugli occhi portava degli occhiali da saldatore neri, una croce rovesciata al collo pendeva sul petto nudo. Nell’istante in cui Dutiful si è chinata per sistemare il calice colmo di sperma di fronte a me, mi sono accorta di una donna in piedi dietro la sedia elettrica. Accarezzava dolcemente un gatto nero aggrappato alla sua spalla. Il viso aveva una strana fisionomia quasi asimmetrica e sopracciglia molto marcate. Beautiful mi ha fatto inginocchiare spingendomi la testa nel calice. Prima di affondare il viso nello sperma ho visto il vulcano sotto di noi, una specie di lastra invisibile ci separava dalla sua bocca in eruzione. Continue esplosioni di lava aprivano la strada ad un fiume rovente. Quando ho alzato la testa per riprendere fiato, Dutiful mi ha afferrato il mento tra indice e pollice. Il mio viso coperto di sperma era riflesso nella maschera a specchio. C. A. e la donna in piedi alle sue spalle si baciavano al centro di una tempesta di fulmini. Infuriava intorno a loro, rivelando uno spasmo di corpi intrecciati, trascinati dal tornado. Qualcuno si è messo a scoparmi da dietro, spingendomi di nuovo la testa nel calice. Un orgasmo continuo stava attraversando il mio corpo senza mai affievolirsi.
Sono tornata in me sull’isola tropicale. Mi trovavo al centro di una stanza dalle pareti bianche, il pavimento di legno era coperto di polvere e usurato. L’intonaco in molti punti lasciava scoperti i mattoni con cui era stata costruita la casa. La donna con il viso simile ad un felino mi stava fissando in silenzio, al suo fianco una ragazza con la frangetta teneva aperto un libro senza leggerlo. La Via Lattea scorreva oltre il muro alle loro spalle, come se la stanza fosse aperta su un’altra dimensione. Hanno sillabato una parola con le labbra, nella mia testa ho sentito una voce:

Apocalypse

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