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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

10 – Vendetta

By 7 Marzo 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Cristina uscì dal mare e si fermò qualche secondo a godersi il sole sulla pelle.
Era una magnifica giornata e aveva proprio voglia di gustarsela fino in fondo.
Con i soldi incassati per la prova nell’arena era riuscita a ripianare un po’ dei debiti del marito e così – lasciato il figlio ai nonni – si erano concessi un week end al mare.
Non era ancora giunto il momento di scialacquare, ma un po’ di riposo se lo meritavano.
Lei, soprattutto, anche se non avrebbe potuto spiegare il perchè a suo marito.
Si guardò attorno: non c’era traccia di lui, segno che probabilmente era già andato a casa.
Poco male: avevano affittato un bungalow che dava direttamente sulla spiaggia, lo avrebbe raggiunto in pochi passi.
Ancora in bikini si spostò lungo il vialetto ed aprì la porticina del bungalow.
Dentro era buio, stranamente.
Fece un passo dentro all’abitazione e, appena varcò la soglia, sentì delle mani ghermirle le braccia e qualcosa simile a uno straccio premerle sulla bocca per impedirle di urlare.
Sentì un paio di manette chiudersi attorno ai suoi polsi, poi la luce si accese.
Attorno a lei c’erano due uomini tarchiati – due perfetti sconosciuti – più un terzo che non poteva vedere ma che le teneva le braccia immobilizzate dietro alla schiena.
Appena dietro di loro vide suo marito legato ad una sedia e imbavagliato.
Stava per chiedere a quegli intrusi chi fossero e cosa volessero, quando da fuori entrò un uomo che non faticò a riconoscere: era il marito di Inna, nonchè il padre di Sara.
“Buongiorno Cristina – le disse sorridendo – Abbiamo faticato un po’ a trovarti, ma ce l’abbiamo fatta. Prima di proseguire, ho la tua parola che non farai niente di stupido, tipo urlare?”.
Cristina annuì, spaventata.
La fecero sedere su una sedia e le legarono polsi e caviglie alle gambe della sedia..
Il padre di Sara estrasse una foto dala tasca. Sembrava estratta da un filmato e ritraeva una ragazza nuda su un palco.
Cristina la riconobbe.
“Immagino che questa persona ti sia familiare – disse l’uomo – E’ mia figlia, la quale è stata recentemente indotta da una persona misteriosa a comportarsi in maniera diciamo bizzarra, ad esempio spogliarsi su un palco. Tra parentesi, mi risulta che anche tu abbia abusato della sua buona fede, facendola toccare di fronte a te”.
Il marito di Cristina sgranò gli occhi e guardò verso di lei, che evitò di guardarlo.  
“Ma non è per questo che siamo qui – continuò – Dalla ripetuta visione del filmato, infatti, abbiamo notato come mia figlia guardi spesso in una direzione precisa, e questo ci ha fatto insospettire.
Così, con la gentile collaborazione della direzione del locale, siamo entrati in possesso di altri filmati. Incrociando i dati, abbiamo verificato come Sara guardasse verso questa persona”.
Estrasse un’altra foto: era molto sgranata, ma ritraeva in maniera inequivocabile sua cugina Claudia.
“Questa è la persona che ha spinto mia figlia a fare certe cose. Conosciamo entrambi questa donna, vero?”.
Cristina annuì.
“Bene. Ora, quello che vogliamo da te è che tu ci dica dove si trova. Puoi parlare”.
Cristina deglutì. Non aveva il coraggio di guardare suo marito.
“E’ in vacanza”, disse solamente. Era vero.
“Dove è andata in vacanza?”, chiese il padre di Sara.
“Non lo so”. Era vero anche quello.
L’uomo si mise davanti a lei.
“So benissimo che tu e lei vi conoscete, questo me lo aveva detto Augusto quando vi aveva invitate all’arena ed era ancora un mio amico. Prima che mi ricattasse mettendo sul piatto la moralità di mia figlia, si intende.  Quindi, ammesso che tu non sappia dove sia, ora hai cinque minuti per scoprirlo e farcelo sapere”.
Cristina scosse la testa.
“Non è vero che ci conosciamo. L’avevo già vista, ma non so nulla di lei. Non ho modo di rintracciarla”, mentì.
L’uomo scosse la testa.
“Mi dispiace, ma non ti credo. Vediamo se riusciamo a farti tornare la memoria. Igor!”.
Uno dei ragazzi si accostò a Cristina ed estrasse dalla tasca un lungo coltello, poi lo fece passare sotto la stoffa del bikini di Cristina. Diede un colpo secco e lacerò il tessuto, facendo cadere il reggiseno a terra.
Quindi si inginocchiò accanto a lei e ripetè la stessa operazione con gli slip del bikini.
Ora Cristina era nuda, legata davanti a suo marito.
Il ragazzo si alzò in piedi e si posizionò davanti a lei, quindi si abbassò i pantaloni.
“No, vi prego!”, disse Cristina.
Il padre di Sara si sedette e accavallò le gambe.
“Parla, e tutto questo ti sarà risparmiato”, disse.
Igor estrasse il membro dai boxer e lo sfregò sulle labbra di Cristina.
La donna fece per girare la testa, ma uno schiaffo la costrinse a cambiare idea.
“Apri la bocca, stupida zoccola!”.
Cristina eseguì l’ordine, e dopo poco sentì il membro di Igor solleticarle il palato.
Il ragazzo prese a muoversi avanti e indietro, lentamente.
Cristina teneva gli occhi chiusi, cercando di non pensare a suo marito davanti lei.
Igor prese ad ansimare sempre più forte e venne dopo qualche minuto.
Cristina ingoiò lo sperma, ringraziando Dio che fosse finito, ma chiedendosi allo stesso tempo cosa le sarebbe toccato dopo.
Non poteva tradire Claudia: quell’uomo era veramente incazzato, cosa le avrebbe fatto?
“Allora, tornata la memoria?”, chiese il padre di Sara.
Cristina serrò le labbra e scosse la testa.
“Geronimo, è il tuo turno!”.
Un altro ragazzo si accostò a Cristina.
“Toccala pure, se vuoi – disse il padre di Sara – le ho visto fare cose ben peggiori”.
Il ragazzo le afferrò i seni e li palpò con impeto, poi le pizzicò le labbra con i polpastrelli.
Cristina, legata come era, non riusciva ad opporre nessuna resistenza.
Dopo qualche minuto di tocchi più o meno pesanti, il ragazzo si alzò nuovamente in piedi e recuperò uno zainetto.
“E’ andata meglio a Igor”, commentò.
“Per il pompino? – chiese il padre di Sara – Ne ho provati di migliori, e parlo per esperienza personale. A me ne ha fatto uno un mese fa”.
Il marito di Cristina si dimenò sulla sedia, mugolando sotto al bavaglio.
Il ragazzo estrasse una bacchetta metallica collegata ad una scatola con un interruttore. Lo accese, e nell’aria si diffuse un marcato odore di bruciato.
Senza parlare, accostò la punta della bacchetta ad un capezzolo di Cristina.
La donna sentì subito bruciare e urlò.
“Cristina, parlerai sicuramente – disse il padre di Sara con tono falsamente paterno – Risparmiati almeno del dolore, lo dico nel tuo interesse. Ti sono affezionato, dopotutto entrambi scopiamo con la stessa donna, e cioè mia moglie”.
Il marito di Cristina si dimenò nuovamente, ancora inascoltato.
Geronimo accostò lo stiletto all’altro capezzolo, provocandole un altro urlo.
Il padre di Sara si accese una sigaretta, scuotendo la testa sconsolato.
Geronimo le scottò ancora il capezzolo sinistro, poi ancora quello destro.
Guardò verso il padre di Sara, che rispose con un cenno affermativo del capo.
L’uomo fece una carezza sulla guancia di Cristina, poi appoggiò la bacchetta sul clitoride.
Cristina urlò.
Tenne la bacchetta per qualche secondo, poi la sollevò.
Cristina deglutì e respirò ansimando.
Il padre di Sara si alzò e gettò la sigaretta a terra.
“Forza, che non ho tutta la giornata a disposizione! Usiamo i vecchi metodi!”.
Igor e Geronimo slegarono le caviglie di Cristina dalla sedia – pur mantenendole le mani legate – e la gettarono sul letto, con la schiena sul materasso.
Quindi le legarono le caviglie agli angoli del letto, divaricandole le gambe.
“Omar! – disse il padre di Sara al terzo uomo – Scopatela!”.
Cristina cercò di divincolarsi, non riuscendo però ad allontanarsi di un solo centimetro.
Le braccia immbilizzate dietro alla schiena mettevano il seno in mostra più del solito, e fu su quello che Omar concentrò le sue carezze.
Suo marito prese ad agitarsi più del solito, ululando dietro al bavaglio.
Omar allungò una mano verso la topa di Cristina e la accarezzò.
“Sapete che sta maiala è bagnata?”, disse.
Geronimo si avvicinò. “Fammi sentire”, disse.
Allungò la mano e la passò tra le labbra della ragazza.
“E’ vero!”, confermò.
Cristina chiuse gli occhi. Non sapeva spiegarsi per quale motivo il suo corpo stesse reagendo in quella maniera, ma questo costituiva un’ulteriore umiliazione davanti a suo marito, il quale continuava a mugolare sulla sedia.
Anche il padre di Sara se ne accorse, e si mosse verso di lui.
“Sentiamo un po’ che vuole ‘sto cornuto”, disse, e gli allentò il bavaglio.
L’uomo prese fiato, poi disse: “Cazzo, è un’ora che cerco di chiamarvi! Non vi è venuto in mente che se Cristina conosce la ragazza nella foto, magari la conosco anche io?”.
Il padre di Sara alzò le spalle.
“Mi pare che ci siano diverse cose della vita di tua moglie che tu non conosci. Però un tentativo si può fare”.
Prese la foto e la mostrò all’uomo, che annuì immediatamente.
“Bastava chiedere. E’ Claudia, la cugina di Cristina. Però adesso non so dove sia, è in ferie”.
Il padre di Sara si lasciò sfuggire una risatina.
“E bravo il nostro maritino! Che bella famiglia ha tua moglie, vero? Tutte puttane!”.
Rise sonoramente, recuperando da una poltrona la borsa di Cristina.
Vi frugò dentro, estrando un cellulare.
“Capo – chiese Omar – posso scoparmela lo stesso?”
Cristina cercò di stringere le gambe, senza successo.
“No – disse il padre di Sara, intento a consultare la rubrica del telefonino – per ora non serve”.
Si fermò e sorrise.
“Eccola qui: Claudia Cugina. Direi che non ci sono dubbi. Mandiamole un bel messaggio!”.
Prese a premere sui tasti, declamando ad alta voce quello che scriveva.
“cara cugina, come stai? sono qui al mare e stavamo parlando proprio di te. solo che non mi ricordo dove sei ora. me lo ricordi, che ci sto impazzendo? baci”.
Sorrise soddisfatto.
“Facciamo un patto, Omar – disse – Se la risposta non arriva entro cinque minuti te la puoi scopare. Ci stai?”.
“Certo!”.
Azionò un vistoso cronometro da polso.
Un minuto.
Due minuti.
“E’ in vacanza, magari non ha neppure il telefonino vicino”, pensò Cristina.
Tre minuti.
Il padre di Sara sorrideva sempre.
Quattro minuti.
“Comincio a prepararmi”, disse Omar.
Si abbassò i pantaloni e tirò fuori il membro. Era decisamente eretto.
Si inginocchiò tra le gambe di Cristina e infilò la punta nella vagina.
Cristina chiuse gli occhi.
Il telefonino vibrò.
“Fermo! – disse il padre di Sara – Esci da lì!”.
“Non è detto che sia il messaggio che attendiamo”, rispose Omar.
Abbassò il bacino ed entrò tutto dentro Cristina, che emise un sospiro.
Il padre di Sara lesse il messaggio ad alta voce:”sono in kenya, al jumbo club. vuoi venire anche tu? eheh baci”.
Omar si fermò.
“Esci da lì, hai perso!”, gli ordinò il padre di Cristina.
Il ragazzo ubbidì a malincuore e si rivestì.
“Bravo maritino, ci hai risolto un problema – disse – Ora, come promesso, ce ne andiamo. Lasciamo tua moglie legata lì, però: sento che anche tu hai bisogno di farle un piccolo interrogatorio!”.
Risero tutti, e uscirono dal bungalow.
 

“Cosa facciamo adesso, andiamo in Kenya?”, chiese Igor avviando l’auto.
Il padre di Sara accanto a lui rise. “No, anche se mi piacerebbe. Non dovremo fare niente, neanche alzarci da qui; mi basterà avvisare il mio amico Giancarlo dell’Interpol. Anzi, lo faccio subito!”.
Estrasse dalla tasca interna della giacca un telefonino e recuperò un numero dalla rubrica. “Giancarlo? – disse – Ciao, sono io. Ho un’informazione per te. Ti ricordi del traffico di diamanti su cui abbiamo parlato qualche mese fa? Ho un nome che potrebbe interessarti, si chiama Claudia F. e in questo momento si trova in Kenya. Appena rientro in ufficio ti trasmetterò la foto, tu però avvisa subito i tuoi colleghi in Africa. Mi raccomando, sembra innocente e indifesa ma è molto pericolosa”.
Chiuse la comunicazione.
“Visto? – disse a Igor – niente di più facile! Ora aspettiamo che la trappola scatti da sola”.

Claudia si servì un caffè nel locale colazione del villaggio turistico. Fabio, il suo ragazzo, era rimasto a dormire.
La sera prima avevano bevuto un po’ troppo e lui aveva esagerato.
Rimescolò il caffè e vide arrivare Gisella. Avevano conosciuto Gisella e Marco lì in vacanza.
Così come loro, anche Gisella e Marco erano una coppia che viaggiava da sola; avevano più o meno la stessa età ed era stato facile fare amicizia.
Anche loro erano al stati al tavolo delle bevute la sera prima e anche nel loro caso Marco era rimasto a letto.
“Sola anche tu?”, chiese Claudia alla ragazza che si sedette davanti a lei.
“Ovvio – rispose Gisella – prima di tre ore temo che Marco non sarà neppure vivo”.
“Senti, avevo intenzione di andare a comprare dei teli mare in città. Tanto né Fabio né Marco sarebbero venuti volentieri, perché non approfittiamo della loro assenza per andarci io e te?”. Gisella annuì: “Certo, mi sembra un’ottima idea; anche io ho bisogno di comprare delle cose. Finisco colazione e andiamo”.
Claudia e Gisella uscirono dalla terzo negozio con un’ulteriore borsa piena di oggetti.
Non era colpa loro, ma lì le cose costavano così poco ed erano così belle!
Si guardarono attorno per capire quale sarebbe stata la tappa successiva e Claudia notò un uomo alto con i baffi; l’aveva già visto prima nel primo negozio in cui si erano recate.
Che le stesse seguendo?
Stava per richiamare l’attenzione di Gisella, quando quell’uomo fece alcuni passi nella loro direzione; le arrivò di fronte ed estrasse un tesserino dalla tasca.
“Sono Greg Smih – disse – polizia di Stato. Per piacere, venite con noi!”.
Come apparsi dal nulla, attorno a loro si erano disposti cinque poliziotti in divisa e con le armi sfoderate.
“Non capisco – disse Claudia – noi siamo delle turiste, cosa succede?”.
“Per piacere, venite con noi!”, ripeté il poliziotto.
“No, aspetta – si oppose Gisella – noi non veniamo! Dobbiamo parlare con i nostri fidanzati, siamo straniere”.
“Non costringetemi a usare la forza – ordinò Smith – venite con noi!”.
“Non si fa così – disse Claudia – voglio parlare con il console!”.
Il poliziotto guardò i suoi colleghi. “Andiamo!”, ordinò.
In un attimo le ragazze si trovarono immobilizzate, le mani legate dietro alla schiena con delle manette.
Un furgone cellulare accostò rapidamente al marciapiede e spalancò le porte posteriori.
“Facciamo in fretta”, disse Smith.
Le caricarono sul furgone.
Il viaggio durò circa venti minuti, quando le porte si aprirono nuovamente Claudia e Gisella vennero scaricate in un cortile polveroso.
“Dove siamo?”, chiese Claudia.
Nessuno rispose.
Le sollevarono di peso e le portarono all’interno di un edificio; li vennero accolte da altri due poliziotti.
Tutti assieme le condussero quindi in una stanza che sembrava uno studio medico: le pareti erano coperte di piccole piastrelle azzurre e dentro allla stanza – oltre a una scrivania e delle sedie – c’erano una specie di barella, delle corde e degli strumenti di misurazione.
Claudia e Gisella vennero fatte sedere su due sedie; nessuno tolse loro le manette.
Quattro poliziotti le tenevano sotto mira con delle armi.
Entrò nuovamente il comandante Smith con un foglio in mano. Guardò quella che sembrava una foto, poi verso Claudia, poi di nuovo la foto.
“Sei Claudia F.?”, chiese.
Lei rispose di sì.
“Vogliamo sapere del traffico di diamanti”, chiese Smith.
La ragazza lo guardò stupita: “Non so di cosa parlate!”.
Il comandante Smith sospirò: “Per piacere, non fateci perdere tempo. Su di te c’è una segnalazione dell’Interpol, quindi non facciamo giochini”.
Claudia scosse la testa:”Io non so di cosa parlate! Ci deve essere un errore!”.
Il comandante batté un pugno sul tavolo: “Non c’è nessun errore e non andrete via di qui senza averci raccontato i fatti; quindi ti do due minuti per dirci chi è il contatto in Kenya, oppure cambieremo metodo!”.
Claudia sentì il cuore accelerare: “Io non so di cosa parlate, credetemi! Chiamate il villaggio, noi siamo turiste! Voglio parlare con il console, siamo straniere, è un nostro diritto!”.
Il comandante Smith scosse la testa: “Il traffico di diamanti è una piaga per il nostro paese, il console non vorrà entrare in una vicenda come questa”.
Si rivolse ai soldati: “Ragazzi, preparate l’interrogatorio!”.
Claudia venne fatta alzare in piedi e i polsi, già chiusi dalle manette, vennero assicurati a un gancio che pendeva dal soffitto.
Uno degli uomini le si avvicinò con delle grosse forbici e le tagliò di dosso la canottiera e i pantaloncini, lasciandola solo più in biancheria intima.
“Continuiamo?”, domandò Smith.
“Vi state sbagliando!”, urlò Claudia.
“Continuiamo”, disse Smith.
Il poliziotto si avvicinò nuovamente e con le forbici le tagliò anche il reggiseno, poi eseguì la stessa operazione con le mutandine. Ora Claudia era nuda.
Il comandante Smith prese un gatto a nove code.
“Potrai far terminare questo dolore parlando”, disse, e sferzò il ventre di Claudia.
La ragazza urlò.
Ancora un colpo, questa volta sul seno.
Un altro urlo.
Ancora un colpo sul sedere, poi la schiena, poi le spalle, poi di nuovo sulla pancia.
Gisella chiuse gli occhi per non vedere.
Il comandante Smith continuò a frustarla per cinque minuti, poi si rivolse di nuovo al poliziotto: “Slegala, la mettiamo sulla barella”.
Il poliziotto le liberò polsi, poi  glieli legò nuovamente dietro la schiena e – sollevata di peso – la fece sdraiare sulla barella. Con belle corde legarono le sue gambe in modo che rimanessero divaricate.
“Ora proviamo qualcosa di nuovo”, disse il comandante Smith.
Da un cassetto estrasse un oggetto che sembrava una carota di plastica; assieme a questo prelevò un barattolo.
“Questa è salsa piccante”, spiegò.
Immerse il oggetto nella salsa in modo che fosse ben imbevuto, poi si avvicinò a Claudia.
“Avrai già capito dove questo sta per essere introdotto. Vuoi parlare?”.
“Io non sono niente!”, urlo Claudia.
“Come preferisci”, disse Smith.
Prese l’oggetto e lo inserì a fondo nella vagina di Claudia.
Urlò.

Un altro poliziotto si avvicinò a Gisella.
“Vuoi aiutare la tua amica?”, chiese.
Lei scosse la testa.
”Vi state sbagliando, noi siamo solo turiste”, disse.
Il poliziotto non disse nulla, prese le grosse forbici e lacerò la canottiera di Gisella.
Sotto aveva reggiseno del costume da bagno.
Sempre in silenzio, strappò anche i laccetti del costume, facendolo cadere a terra.
Passò una mano sul seno di Gisella.
“Belle tette”, disse.
Gisella si dimenò, ma le manette non le permettevano di opporsi a quel tocco.
Il poliziotto avvicinò la sigaretta al capezzolo di Gisella.
“Allora, tu vuoi parlare?”, chiese.
La ragazza  cercò di allontanarsi e raddrizzò la schiena.
“No, ti prego, non farmi male!”.
L’uomo sorrise: “Allora proviamo con un po’ di dolcezza”.
Si slacciò la cintura dei pantaloni e estrasse il suo membro, quindi lo avvicinò al viso di Gisella. “Ora apri la bocca, oppure continuo a usare la sigaretta”.
Gisella aprì la bocca.

Claudia sentiva un bruciore insopportabile arrivare dal suo inguine; era come se qualcuno vi avesse cosparso della benzina e gli avesse dato fuoco.
Si morse le labbra per non urlare, mentre dietro di lei sentiva che Gisella stava avendo un rapporto orale con un poliziotto.
“Dove siamo finite? – si chiese – Che sistemi sono?”.
Il comandante Smith si avvicinò sorridendo.
“Proprio non vogliamo parlare, vero? – disse  passandole una mano corpo e sui seni – Noi abbiamo molto tempo, purtroppo per te”.
Prese dal casseto una piccola pinza e la avvicinò ai capezzoli di Claudia.
Senza dire una parola la aprì e la serrò attorno al suo capezzolo destro.
Claudia urlò.
L’uomo tirò verso di sé, torse la pinza, poi mollò la presa.
Non disse nulla, invece passò il palmo della mano sul seno sinistro di Claudia e ripeté la stessa operazione.
Claudia urlò di nuovo.
“Ora proviamo più in basso”, disse.
Sfilò l’oggetto dalla vagina di Claudia e le passò un dito tra le labbra, poi se lo leccò.
“Non male il ketchup mischiato ai tuoi umori! – disse ridendo – Dovremmo proporlo al McDonald’s!”.
Con le dita prese uno delle labbra di Claudia e le strinse con la pinza.

Il poliziotto estrasse il suo membro dalla bocca di Gisella.
“Brava zoccola”, disse; poi si rivolse ai suoi colleghi.
“Qualcuno di voi vuole favorire?”.
Uno di loro si avvicinò.
“Sì, faccio io. Però non mi piacciono i pompini. Aiutami”.
Entrambi afferrarono Gisella e la sollevarono dalla sedia.
Uno di loro prese un materasso, fino a quel momento appoggiato a una parete, e lo mise per terra.
Buttarono Gisella sul materasso e in due le strapparono di dosso pantaloncini e mutandine, poi la adagiarono sulla schiene e la legarono in modo che mantenesse le gambe divaricate.
“Non ho mai scopato una bianca – disse il poliziotto – vediamo se è vero che hanno la figa piccola”.
Si abbassò i pantaloni e estrasse il suo membro.
“Vi prego – disse Gisella – questo non può essere permesso!”.
Il poliziotto rise: “Noi siamo la legge, noi decidiamo cosa è permesso”.

Claudia smise di urlare quando Smith le tolse la pinza dalle labbra.
“Evidentemente sei abituata a queste cose – disse – ci avevano avvisati che tu eri molto brava”.
“Chi vi aveva avvisati? – chiese Claudia – Io non sono brava, io non sono nessuno”.
“Ora vedremo”, disse Smith.
La liberarono dalla barella e la agganciavano nuovamente al soffitto con il gancio.
“Ora verificheremo che tipo di trattamento è meglio per te”.
Anche lui si abbassò i calzoni.
“No, ti prego – disse Claudia – non violentarmi!”.
Due poliziotti si accostarono a lei e le sollevarono le gambe.
“Prego, comandante”, dissero.
Smith si avvicinò a lei e la baciò sulle labbra.
“Sei una bella ragazza – disse – mi è andata anche bene: lavoro e mi diverto”.
La abbracciò e la penetrò.

Il poliziotto si sollevò da Gisella, si mise nuovamente il membro nei pantaloni e si passò una mano tra i capelli.
Guardò verso i colleghi.
“Proprio niente male -disse – volete favorire?”.
Gisella chiuse gli occhi e sperò che nessuno avrebbe raccolto l’invito.
Invano.
Uno di loro disse: “Okay, però bisogna girarla”.
Gisella spalancò gli occhi: “No, vi prego, mi fa male!”.
I poliziotti risero: “Perché, pensavi di essere qui a divertirti?”.
La slegarono e la voltarono sulla pancia, poi le immobilizzarono le gambe come se fosse una rana.
Il nuovo poliziotto si inginocchiò dietro di lei e le passò una mano tra le chiappe.
“Bel buchetto – disse – sono abbastanza certo che non è la prima volta”.
Le diede uno schiaffo sulla chiappa e appoggiò il suo membro all’ano di Gisella.

Il comandante Smith uscì da Claudia.
“Non male – disse – ci va ogni tanto un po’ di svago sul lavoro. Ora proseguiamo”.
Due poliziotti portarono accanto a Claudia un attrezzo che sembrava essere un cavallo di quelli che si usano in ginnastica artistica; l’unica differenza è che al centro era infilato un oggetto che sembrava un vibratore.
“Ora vediamo se sei resistente”, disse Smith.
Sempre con i polsi legati al soffitto, sollevarono nuovamente Claudia e posizionarono il cavallo tra le sue gambe, quindi la calarono.
Claudia sentì il vibratore entrare profondamente dentro di lei.
Le legarono le caviglie alle gambe del cavallo; non aveva nessuna possibilità di muoversi, soprattutto con quell’oggetto piantato dentro di lei.
“Ora vediamo quanto duri”, disse Smith, e azionò un pulsante posto sul cavallo.
Claudia sentì una vibrazione fortissima propagarsi dentro di lei.

Il poliziotto spinse avanti il bacino e penetrò con il membro dentro il sedere di Gisella.
La ragazza urlò. Era vero che non era la sua prima volta, ma il poliziotto sembrava particolarmente dotato, oltre a non usare nessun tipo di delicatezza.
Gisella sentì l’uomo entrare dentro di lei di parecchi centimetri, poi il poliziotto prese ad andare avanti e indietro.

Claudia sentiva l’oggetto dentro di lei invaderla sempre di più.
“Curiosa come tortura – pensò – in fin dei conti le piaceva quasi”.
Capì presto il senso di quel supplizio.
Dopo qualche secondo venne.
Non avrebbe voluto farlo davanti ai poliziotti e Gisella, ma non poté farne a meno. Era affannata e aveva il respiro pesante, dentro di lei l’oggetto continuava a muoversi.
Il comandante Smith sorrise: “Bene, ora vediamo quanti orgasmi può sopportare consecutivamente”.

Gisella aveva le lacrime agli occhi, si voltò verso Claudia.
La sua amica aveva gli occhi chiusi, ma sembrava soffrire.
“Possibile che fosse un mercante di diamanti? – si chiese – In fin dei conti si conoscevano solo da qualche giorno e sicuramente quella non è una di quelle informazioni che si comunicano a persone appena conosciute. Cosa sarebbe stato di loro?”.
Sentì una fitta: l’’uomo dentro di lei non sembrava avere intenzione di smettere.

Claudia quindici minuti dopo era arrivata al ventunesimo orgasmo. Era distrutta, era coperta di sudore e non ce la faceva più.
Gisella accanto a lei era abbandonata sul materasso, aveva gli occhi chiusi e sembrava non curarsi di due uomini che si stavano masturbando davanti alla faccia.
I due vennero e le coprirono il volto di sperma.
Claudia trasalì: era in arrivo un altro orgasmo.
Si concentrò per non gemere.

Il comandante Smith spense l’interruttore.
“Credo che dobbiamo cambiare sistema”, disse.
Si rivolse ai colleghi alle sue spalle: “Lì come è andata?”.
Uno di loro sorrise: “Noi ci siamo divertiti, ce la siamo scopata tutti!”.
Smith scosse la testa: “Non siamo qui per divertirci. Dobbiamo cambiare metodo, così non arriveremo a nulla. C’è una sola cosa che potrà far loro cambiare idea. La pubblica umiliazione”.

Claudia provò a muovere le braccia, inutilmente. Cercò di fare lo stesso anche con le gambe, ma anche in questo caso non ottenne alcun risultato.
Era coricata sulla spiaggia, completamente nuda, legata a terra a dei picchetti simili a quelli che si usano quando si fa campeggio.
Accanto a lei, alla sua sinistra, c’era Gisella, anche lei legata alla stessa maniera.
La posizione, con le braccia aperte e le gambe divaricate, non le permetteva di celare niente di lei.
Tutto attorno a loro stazionavano dei poliziotti, immobili con le armi in mano.
Sentì un brusio e si voltò quella direzione. Vide una piccola folla, sette o otto persone, venire verso di loro.
Avanzarono fino al qualche passo da loro, poi si fermarono, intimiditi dalle armi dei poliziotti.
Claudia vide lo stupore dipingersi sui volti delle persone. Erano uomini e donne bianchi, probabilmente turisti.
“Ma quella, non è nel villaggio con noi?”, sentì.
Si voltò nella direzione della voce, e vide una donna bruna con gli occhiali.
Anche Claudia la conosceva. Capì allora dove si trovavano: erano legate sulla spiaggia del loro villaggio turistico.
Minuto dopo minuto, la folla diventava sempre più nutrita.
Si tenevano tutti a rispettosa distanza, ma dopo pochi minuti attorno a loro si era disegnato un anello di gente che guardava.
Claudia guardò verso Gisella, la quale la guardò a sua volta. Lo sguardo era eloquente: “Cosa ci capiterà ora?”.
Dalla folla era un continuo sussurrare, in molti le avevano riconosciute.
Ad un certo punto si sentì una voce più forte: “Fatemi passare! È la mia ragazza!”.
La folla si aprì e il ragazzo di Gisella venne fatto penetrare all’interno del circolo.
Guardò verso il comandante Smith con sguardo carico di rabbia.
“Cosa sta succedendo qui? – urlò- lasciatele subito libere! Quella è la mia ragazza, perchè è nuda e legata?”.
Il comandante Smith lo fermò con un solo gesto della mano, e quando parlò lo fece a voce così alta a farsi capire da tutti.
“Queste due ragazze sono accusate di traffico illegale di diamanti. La legge del nostro paese ci consente di torturarle affinché noi si possa ottenere le informazioni che ci servono. Quello che vedete fa parte della tortura, ed è illegale per chiunque interrompere”.
Il ragazzo di Gisella strabuzza gli occhi.
“Ma cosa dite? Traffico di diamanti? Non è vero!”.
Si guardò attorno, come per cercare supporto da parte di qualcuno.
Marco si rivolse ancora a Smith: “Cosa vuol dire che sono già state torturate? Cosa gli avete fatto?”.
Si sentì nuovamente trambusto, e un altro uomo venne condotto all’interno del circolo: era Fabio, il fidanzato di Claudia. Marco gli raccontò cosa stava capitando.
Fabio provò a scagliarsi contro Smith, ma i poliziotti lo trattennero.
Smith sorrise: “Voi avete la possibilità di interrompere tutto questo. È sufficiente parlare”.
Smith si rivolse  a Fabio: “Spogliati!”.
Fabio lo guardò come se fosse matto, contemporaneamente due poliziotti armarono i fucili e li puntarono verso di loro.
“Come ti ho detto – spiegò Smith – è illegale opporsi a questa operazione. Quindi, se tu non vuoi passare guai peggiori, adesso spogliati. Presumo che la tua ragazza ti abbia già visto nudo”.
Fabio, sotto la minaccia delle armi, si tolse i vestiti. Alcune donne della folla, per pudicizia, guardarono altrove.
“Bene, ora non dovrà fare nulla di nuovo. Dovrai scopare”.
Fabio sospirò e fece qualche passo verso Claudia.
“Fermo! – disse Smith – Cosa hai capito? Devi scopare con lei!”.
Smith tese un braccio verso di Gisella. Fabio lo guardò stranito.
“Ma lei non è la mia ragazza”, protestò.
Smith sorrise: “Lo so. Non siamo certo venuti fino a quando per farti scopare con la tua ragazza, non trovi”.
Un poliziotto agitò un fucile verso di lui. Non era il caso di fare i difficili adesso.
Fabio si avvicinò a Gisella e si inginocchiò tra le sue gambe.
Guardò verso Marco e verso Claudia. “Scusate, mi stanno obbligando”, disse.
Smith batté le mani: “Dai, muoviti! Garantiamo tutti quanti noi che la ragazza scopa bene!”.
Tutti i militari risero, mentre Gisella arrossì.
Fabio accostò il suo bacino quello di Gisella. Non era in erezione e prese a sfregare il suo membro sul pube di lei.
Gisella, da parte sua, sentì Fabio stimolarle la topa. Non era sicuramente la situazione in cui si sentiva a suo agio, però il lavoro meccanico di frizione sui genitali dopo un po’ produsse qualche risultato.
Anche Fabio dopo poco si trovò ad avere il membro eretto.
“Dai, penetrala!”, disse Smith.
Fabio inarcò il bacino e, lentamente, penetrò dentro Gisella.
La donna, senza volerlo, chiuse gli occhi e si fece scappare un leggero gemito.
Fabio penetrò completamente dentro di lei, cercando di non ricordarsi che attorno a loro c’erano centinaia di persone, alcune delle quali armate e per nulla gentili.
Cominciò ad andare dentro e fuori da Gisella, sentendo sempre di più l’eccitazione montare.
Gisella cominciò a ansimare, anche Fabio chiuse gli occhi per apprezzare quel momento.
“Non mi sta piacendo – si disse – prima vengo, prima finisce tutto”.
Guardò verso Gisella; non era comunque niente male. Molto formosa, tette grosse, era piuttosto diversa da Claudia.
Accelerò la velocità del bacino, sentendo che stava per venire.
Attorno a loro si era formato un silenzio in parte imbarazzato, in parte partecipe di quello che stava capitando.
Fabio venne finalmente, e contemporaneamente venne anche Gisella.
Fabio si abbandonò per qualche secondo su Gisella, rprendendo fiato, poi si sfilò.
Smith, ironicamente, accennò un applauso con le mani.
“Però, complimenti! Siete anche venuti assieme. Non si direbbe che è la prima volta che scopate!”.
Due poliziotti piantarono nella sabbia altri quattro picchetti, e anche Fabio venne legato nella stessa maniera.
“Ora, signori, sentite tutti – disse Smith rivolto alla folla e indicando nella direzione di Claudia – Chi vuole scoparsi questa donna?. Per piacere, tutti quelli interessati, si mettano in fila accanto a me!”.
Ci fu un momento di esitazione, poi dalla folla un uomo di colore molto corpulento fece un passo avanti.
Smith si rivolse a lui: “Chi sei tu?”.
“Sono uno deglii inservienti del villaggio”, disse.
“Bene. Perché vuoi scopartela?”.
“Perché lascia sempre il bagno in disordine e io devo perdere molto tempo a mettere a posto”.
Smith sorrise: “Mi sembra un’ottima motivazione. Scopatela!”.
L’uomo si liberò di tutti i vestiti e si accostò a Claudia.
Claudia chiuse gli occhi e distolse la testa. Quell’uomo le faceva veramente schifo, non avrebbe neanche toccato, figuriamoci farci sesso assieme.
L’uomo era già eccitato, e, senza perdere tempo con i preliminari, infilò il membro del sesso di Claudia.
Assunse subito un’espressione beata, e Claudia pensò che probabilmente – visto l’aspetto fisico ributtante – era parecchio che non scopava.
L’uomo prese a muoversi rapidamente, e dopo un attimo Claudia lo sentì venire dentro di lei.
Dalla folla alcuni suoi colleghi lo applaudirono ironicamente.
“Bene, ora vai via. Chi è il prossimo?”.
Un altro uomo si staccò dalla folla. Era un bianco.
“Io sono Dario. Vorrei scoparmela solo perché l’ho vista l’altro giorno in spiaggia e mi è piaciuta. Visto che è un obbligo civico…”.
Smith annuì molto serio: “Certo, tu stai combattendo contro la criminalità in questo momento. Vai!”.
L’uomo si spogliò. Claudia lo aveva già visto; un paio di giorni prima le aveva fatto qualche complimento pesante in spiaggia e lei lo aveva guardato con disprezzo.
L’uomo calò su di lei: “Adesso non fai tanto la superiore,  vero?”.

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