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103 – L’esperienza carceraria del giovane Salvatore

By 20 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Salvatore e quando avevo diciassette anni, quasi diciotto, feci una grossa cazzata, assieme ad un mio amico, su uno scooter, scippai la borsetta ad una signora anziana, lei cadde e sbattè il capo in terra, rimanendo a lungo in ospedale tra la vita e la morte. Per fortuna non morì e si riprese. La polizia, ci fermò un chilometro più avanti e ci portò in caserma, fummo processati per direttissima e condannati a quattro anni di reclusione. Il mio complice, essendo maggiorenne fu destinato ad un carcere per adulti, mentre io venni trasferito presso un riformatorio per minori.
Dopo tre mesi e un giorno, esattamente al compimento della mia maggiore età, anch’io fui trasferito in un carcere per adulti. Da quel momento la mia storia e la mia vita in genere, prese una piega molto diversa.
Capitai in cella con un tipo sulla trentina, tutto muscoli e poco cervello, tatuato un po’ dappertutto, che era stato arrestato e condannato per stupro continuato e aggravato, nei confronti di alcuni ragazzini minorenni. Quando per la prima volta entrai in quella cella, mi ricordo il suo sguardo allupato e la sua lingua che si leccava ghiottamente le labbra. Durante l’ora d’aria, fin dal primo giorno, dei ragazzi all’incirca della mia età, mi domandarono se ero stato rinchiuso assieme a quello che chiamavano ‘obelisco’ . Non seppi cosa rispondere, ma descrissi il tipo e mi dissero che si trattava purtroppo per me proprio di lui. Chiesi perché fosse denominato ‘obelisco’ e mi dissero che era per le enormi dimensioni del suo cazzo. Successe così che un sabato mattina, fummo portati a fare la doccia, entrammo a gruppi di trenta in una specie di corridoio piastrellato, dove si trovava una fila interminabile di docce. Era un locale unico, non vi era privacy, tutti nudi e crudi, vicinissimi uno all’altro. Io ero un ragazzino, folta peluria scura solo sul pube e poi tutto liscio e carino. Avevo, mio malgrado, un bel sederino e un visetto che sembravo ancora essere quello di un quattordicenne adolescente.
Il cazzo con il glande coperto ne troppo grosso ne troppo piccolo, che, forse per quello che ci davano da mangiare ultimamente, mi veniva duro poche volte. ‘Obelisco’ era a circa tre metri da me e mi guardava con interesse, non so perché ad un certo punto, il ragazzo che stava alla mia destra si spostò e al suo posto si piazzò il mio compagno di cella. Madonna che roba!!!! Aveva realmente un obelisco al posto del cazzo. Largo in modo esagerato e lungo altrettanto esageratamente, con due palle che sembravano delle grosse arance pendenti. Lui al contrario di me era peloso come un orso, in pratica la pelle quasi non si vedeva, mi venne vicino, molto vicino e la sua mano mi afferrò una chiappa stringendomela con forza. Mi ordinò di girarmi e di piegarmi in avanti, inizialmente mi rifiutai poi con le minacce fui obbligato ad obbedire. Mi appoggiò il suo mostro contro il mio buchetto e spinse. Tutti ci guardavano e mi videro stringere i denti e mi sentirono pure gridare. Non intervenne nessuno. Per fortuna, un secondino, l’unico che assisteva alle operazioni, si accorse di quanto stava succedendo e venne in mio aiuto. Nel pomeriggio fui trasferito ed al mio posto entrò un vecchio con la barba bianca, mi dissero che era un boss mafioso e che non aveva paura di nessuno. Io fui rinchiuso in una cella con un ragazzo che aveva ventun’anni. Era stato incarcerato per una rapina, ne fui sollevato, non avrebbe più cercato di violentarmi. Per tastare il terreno le chiesi se fuori aveva la fidanzata e lui mi fece vedere una sua foto. Veramente una bella figa, in costume da bagno al mare assieme a lui.
Il tempo passava e io tristemente contavo i giorni che invece sembravano non trascorrere mai.
Un giorno, Ottavio, così si chiamava il mio coinquilino, mi chiese se mi dava fastidio se lui si fosse fatto una sega. Gli dissi di no e anche che anch’io non sapevo come fare per scaricare un po’ di voglia che avevo addosso. Lui mi propose di scambiarci il favore, lui la faceva a me e io a lui.
Rimasi per un paio di giorni dubbioso, poi lui spazientito mi domandò se avevo deciso e io gli dissi che per me andava bene. Aspettammo la notte e quando tutte le luci si spensero e avvenne l’ultimo controllo da parte dei secondini, ci sedemmo sul letto suo e ci denudammo la parte inferiore del corpo. Lui me lo prese in mano e mi segò, fin quando i miei zampilli fuoriuscirono dal meato andando a sporcare il pavimento. Per la prima volta io impugnai un cazzo che non era il mio e lo masturbai. Ottavio fu velocissimo e sborrò dopo un paio di minuti al massimo. Schizzi lunghi e densi si spiaccicarono anch’essi sul pavimento della cella. Queste seghe rappresentarono per me l’inizio dei rapporti omosessuali, che io dentro di me giustificavo con la carcerazione che ci impediva di avere normali rapporti con l’altro sesso. Furono quindici giorni di seghe ma poi il mio amico Ottavio mi chiese se volevo provare un pompino, me lo feci fare e lui alla fine sputò tutto il mio seme per terra. In quella occasione lui, mentre mi spompinava il cazzo, si masturbava il suo e così in pratica lui sborrò alcuni istanti prima che io eiaculassi. Non mi chiese di contraccambiare e per qualche giorno lui si accontentò di fare i pompini a me. Per un buon mese la cosa funzionò in quel modo, ma poi un giorno superò forse l’imbarazzo e mi chiese se glielo potevo fare io. Gli dissi di si ma solo se mi prometteva di non venirmi in bocca. Questa richiesta fu un arma a doppio taglio, perché da quel momento a sua volta mi proibì di sborrargli in bocca. Così una volta, sentii che stava per arrivare e mi sforzai di tenermelo in bocca e lui mi erutto nel cavo orale un fiume di sperma caldo. La legge del contraccambio funzionò e da lì in poi entrambi ci venivamo tranquillamente in bocca. Una di queste volte lui spalancò la bocca e mi fece vedere che sulla lingua teneva un piccolo rigagnolo di sperma mio, quindi buttò la testa all’indietro e lo ingoiò. Fu un tacito segnale che voleva significare che avrei dovuto in qualche modo ricambiare. Così la volta seguente, lui mi sborrò in bocca e io gli feci vedere il suo sperma sulla mia lingua e poi tenendo la bocca spalancata lo ingoiai tutto.
Il problema che mi tormentava l’animo si stava ingigantendo di giorno in giorno. Lo facevo perché avevo desiderio di sesso e il farlo con un uomo era una specie di placebo che in qualche modo sostituiva la voglia di farlo con una femmina? Oppure, come sembrava a me, lo facevo perché ci stavo provando gusto? In parole molto povere, stavo diventando gay? Lo ero già? Inconsciamente lo ero sempre stato? Alla fine optai per una ulteriore soluzione, ero semplicemente un bisessuale e questa tendenza latente faceva da sempre parte di me. Era una soluzione che psicologicamente mi salvaguardava dall’essere gay ed evitava che io smettessi di avere rapporti con il mio compagno di cella. Così l’escalation continuò fino ad arrivare a rapporti penetrativi completi dove io lo inculavo e lui godeva come una troietta in calore. Quando inevitabilmente toccò a me soddisfare le sue voglie penetrative, gli chiesi un periodo di riflessione piuttosto lungo, durante il quale evitai persino le semplici e quasi innocenti seghe reciproche. Poi una notte, dopo quasi un mese di assoluta castità, mi infilai nel suo letto e me lo inculai. Lui alla fine mi fece girare supino, mi sollevò le gambe appoggiandosele alle spalle e mi infilò il suo cazzo nel culetto vergine. Urlai e lui mi tenne per un tempo interminabile la mano sulla bocca, quasi a soffocarmi, fin quando ancora lo sentii trafiggermi il culo, lacerandomi impietosamente la rosetta anale. Rimasi in quella cella con il mio amore ancora circa sette mesi, poi un giorno, una guardia entrò sorridendo e gli disse che la sua detenzione era terminata. Mi abbracciò strettamente e io ricambiai, poi se ne andò, scomparendo per sempre dalla mia vita. In carcere le cose funzionano in modo strano, ovvero, se uno è ‘accoppiato’ nessuno ti corteggia, se invece uno è ‘single’ tutti hanno diritto a fotterti. Me ne accorsi, il primo giorno in cui feci la doccia da solo. L’amico Obelisco, mi venne vicino e mi toccò il culo, vidi quella proboscide gigantesca e quei coglioni mostruosi e questa volta senza più remore, gli impugnai il cazzo che immediatamente si raddrizzò mostrandosi in tutta la sua espansione. Il gigante mi appoggiò la mano sul capo e mi spinse giù, mi trovai inginocchiato sulle piastrelle delle docce e lui che mi colpiva sul viso con quell’enorme batacchio. Provai a prenderglielo in bocca ma non ci riuscii e lui continuò a colpirmi sulla bocca fin quando una marea di sperma mi inondò il volto ricoprendomelo completamente. Giuro che non avevo mai visto in vita mia, nemmeno nei video porno, uscire da un cazzo così tanta sborra tutta assieme. Fu il primo e l’unico incontro con ‘ Mister Obelisco’ . Dopo circa un mese di solitudine in parlatorio incontrai il mio avvocato che mi diede la buona novella. Era riuscito ad ottenere, vista la mia buona condotta, gli arresti domiciliari. Avrei scontato a casa mia gli ultimi sei mesi di detenzione.
Quando mi sistemai a casa mia, riuscii ad ottenere da mia sorella un computer per passare il mio tempo su internet. Così tra un video porno e qualche cazzeggio su you tube o su facebook passavo il mio tempo. Un pomeriggio i miei erano fuori e in camera mia venne mia sorella. L’avevo lasciata quindicenne ed ora era una neo diciottenne. Prima aveva le tettine piccole e le forme ancora parecchio acerbe, ora le tette erano cresciute moltissimo, erano diventate all’incirca una quinta misura e le curve, distribuite nei punti salienti, riempivano armoniosamente i suoi vestiti. Rimase con me circa un ora e io ebbi modo di esaminarla per bene. La figa, erano ormai più di tre anni che non la vedevo ed avere lei, seduta di fronte a me, sul letto, con degli hot-pants inguinali e le cosce completamente nude, mi dava un certo pizzicore che mi si trasmetteva direttamente al pene. Lo sentivo crescere dentro ai miei jeans e mentre parlavo con lei mi sentivo a disagio. Così dopo molta sofferenza le dissi che volevo stare solo e lei mogia, mogia se ne andò. Ebbe appena il tempo di uscire dalla mia camera che subito io liberai il cazzo dai pantaloni e iniziai a segarmi furiosamente. Quando avevo ormai raggiunto il punto di non ritorno e stavo per sborrare, la porta della camera improvvisamente si aprì. Non feci in tempo a fare niente, non riuscii più a controllare l’eiaculazione, vidi Valentina ferma immobile sulla soglia, con lo sguardo fisso sul mio cazzo e sugli schizzi prepotenti che da esso ne uscivano. Le chiesi scusa, cercai in qualche modo di giustificarmi, ma lei non fece una piega. Semplicemente entrò in camera mia, si chiuse la porta alle spalle e mi venne vicina, poi, con la sua manina delicata, mi accarezzò dolcemente il viso. Io stavo lì seduto, ancora con il cazzo gocciolante fuori dai jeans e lei si chinò abbracciandomi e stringendomi forte. Avevo le sue poppe durissime contro il viso e le mie braccia che la tenevano stretta a livello natiche. La lunga astinenza dalla figa, si, forse fu quella che in pochi secondi mi fece rinascere il membro. Non mi era mai successo di venire e dopo due, forse tre minuti, averlo di nuovo duro come il marmo. Lei si sollevò la gonna, vidi le sue mutandine, erano bianche a fiorellini, del tipo che usano le bambine piccole. Mi prese la mano e me la portò fra le sue gambe, sfiorai la morbidissima pelle dell’interno cosce e il mio dito medio percorse, sopra l’impalpabile tessuto, il solco appena accennato della sua giovane fighetta. Lei si era trasformata, in quel momento non era più la ragazzina diciottenne tutta casa e chiesa, era una porcellina che mi dimostrava di avere un sacco di voglia.
Le sussurrai in un soffio che era mia sorella, lei per tutta risposta si calò le mutande e la sua meravigliosa e quasi implume intimità si mostrò a me in tutto il suo splendore. Ancora la sua manina a guidare la mia, prima fuori e poi dentro ai suoi anfratti più reconditi, le mie dita scivolarono dentro una sorta di liquido sdrucciolevole e vischioso. Infilai due dita nella sua apertura, la trovai lubrificata e al tempo stesso molto stretta. Ancora la sua mano a togliermi le dita da dentro e a portarmi i polpastrelli contro il suo clitoride. Meraviglioso bottoncino sporgente e duro. Lo sfregai delicatamente per qualche minuto, poi lei si scostò da me e si avvicinò alla porta, fece girare la chiave nella toppa e appese le sue mutandine alla maniglia per celare il buco della serratura.
Mentre tornava vicino a me si sfilò la maglietta e si tolse il reggiseno. Furono le tette più belle mai viste in vita mia!!! Il mio occhio confermò la prima impressione era sicuramente una quinta misura, era incredibile vedere quel seno quasi avvitato a quel corpicino filiforme e ancora acerbo. Lei camminava e le tettone non si muovevano di un millimetro. Le aureole marroncino chiaro e i capezzoli un po’ più scuri, grandi come la punta del mio dito mignolo, mi venne ancora vicina e mi prese per mano, mi fece appoggiare il sedere al letto e poi mi spinse facendomi adagiare per traverso sul letto stesso. Mi fu sopra, a cavalcioni sul mio cazzo impennato, la sua fighetta allagata per un attimo appoggiata alla mia cappella, poi la vidi arcuarsi all’indietro e lentamente la sentii calarsi sul mio membro teso. Le fui dentro fino all’elsa, lei si sollevava e si abbassava, muoveva la testa a destra e a sinistra, la sua bocca aperta e il respiro affannoso che ritmava i suoi movimenti. Le abbrancai le tette, non riuscivo a contenerle nelle mani, lei ora mugolava e danzava su di me con un movimento flessuoso e sensuale. Una bambina troia come una donna adulta. Si lasciò quasi cadere in avanti mentre ancora il suo bacino si muoveva penetrandosi profondamente, mi abbracciò, la sua bocca sulla mia e la lingua a scandagliarmi il palato. Ad un certo punto si sollevò ancora seduta sul mio cazzo e lasciò che le penetrasse a fondo, ebbi l’impressione che se avesse insistito ancora un po’ anche le mie palle sarebbero entrate dentro di lei. Rimase per interminabili secondi ferma, trafitta fino alla radice e poi urlò il suo piacere. Urlava e mugolava, aspirava l’aria e mi incoraggiava a scoparla ancora, disse una infinità di volte: siiiiiii. Poi si lasciò cadere contro il mio petto ansimante, la pregai di togliersi che stavo per sborrare, lei si affrettò a farlo ma la sua bocca accolse il mio glande e con la lingua lo leccò avidamente. Non si spaventò affatto quando i miei getti di lava le colpirono il palato, lei li fece scendere in gola come se niente fosse e deglutì fino all’ultima goccia.
O cazzo, Valentina, ma perché hai fatto tutto questo le chiesi. Mi disse che mi voleva bene e che capiva la mia necessità di possedere una donna, dopo quasi quattro anni di carcere. Obiettai che lei era mia sorella e lei mi disse che la legge non permetteva nessuna visita a chi è agli arresti domiciliari e quindi lei si era quasi sacrificata per me. Mi disse anche che naturalmente non sarebbe successo mai più, invece il giorno seguente, mentre io mi stavo facendo la doccia, lei entrò in bagno e si spogliò con la massima naturalezza. Bellissima, nuda e calda si insinuò dentro al box e mi si appiccicò contro. Le sue mani sul mio corpo, io combattutto e dilaniato da mille sentimenti contradditori, poi calamitato dalla sua bellezza ed eccitato fino al parossismo estremo, portai le mie mani su di lei, il mio pene durissimo fu fra le sue cosce a strusciare contro la sua figa. Mentre l’acqua ci accarezzava la pelle io la penetrai, le fui dentro, la sua fighetta mi accolse al suo interno e lei abbarbicata a me in pochissimo tempo venne e in estasi paradisiaca anche io le scaricai il mio seme dentro.
Lei se ne accorse e mi guardò allarmata, non prendeva la pillola. Il giorno seguente lei andò in un consultorio e le diedero da prendere la famosa pillola del giorno dopo. Da quel momento i nostri rapporti furono sempre protetti e le volte che non usavamo il profilattico io puntualmente mi tiravo indietro. A fine pena lei ed io ci siamo trasferiti in una casa nostra a mille chilometri di distanza e oggi viviamo come una qualsiasi coppia felici e contenti.

Buon sesso a tutti da parte di Ombrachecammina

Scrivete che come al solito vi risponderò

e-mail: alexlaura2620@libero.it

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