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16 – Irruzione

By 8 Agosto 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Si svegliò sentendo uno scricchiolio sul pavimento della sua stanza.

Aprì gli occhi e guardò l’orologio digitale di fronte a lei: erano le 4.12 di notte.

Immaginò fosse Alice che andava in bagno o a bere qualcosa, quindi si ricordò che la ragazza non era in casa quella notte, poichè era andata a dormire da un’amica.

Forse era suo padre, allora.

Non fece in tempo voltarsi per vedere chi potesse essere che sentì delle braccia possenti immobilizzarla.

Nel buio assoluto della distinse due figure maschili, senza tuttavia riuscire a individuarne i lineamenti.

Sentì un fazzoletto che le veniva premuto sulla sua bocca, e riuscì a percepire un odore molto forte, quasi alcolico.

Provò a divincolarsi per liberarsi dalla stretta, ma gli uomini la tenevano saldamente e non riuscì ad effettuare alcun movimento; per di più, sentì subito le forze venirle meno, sicuramente per effetto del liquido intriso nel fazzoletto.

Compì ancora un tentativo disperato di urlare, ma non le uscì dalla gola nulla di più di un mugolio sommesso.

Qualche secondo dopo, chiudeva gli occhi e sprofondava nuovamente nel sonno.

 

Aprì gli occhi con in mente quella notte di qualche anno prima in cui aveva dormito sul ponte del traghetto che la portava in Sardegna.

Si era addormentata su una panca di legno e al risveglio era irrigidita in tutto il corpo.

Quando davanti a lei le immagini presero forma e il fuoco, si rese conto che l’unico paragone con il traghetto era dovuto alla scomodità del suo sedile.

Si trovava nella tavernetta di casa sua, sedeva su una sedia con le mani legate dietro alla schiena e le caviglie fissate alle gambe della sedia con delle corde.

Era vestita così come l’avevano prelevata dal letto, con una canotta viola e un paio di mutandine.

Davanti a lei, a un paio di metri, suo padre era legato ad una colonna.

Anche suo padre doveva essere stato sorpreso nel sonno, perché aveva addosso solo i boxer.

Sul divano alla sua destra era immobilizzata Inna, ancora in pigiama, con i polsi legati dietro alla schiena e la bocca imbavagliata.

Provò a parlare per chiedere a suo padre cosa stesse succedendo, ma capì di essere imbavagliata anche lei.

Il padre non era bendato, ma, non appena realizzò che la figlia era sveglia, con gli occhi prese a saettare verso un punto alla destra di lei.

Sara voltò la testa e vide un uomo con un passamontagna seduto a pochi metri da loro.

Sul tavolo accanto a lui era posata una pistola.

L’uomo guardò verso di lei e capì che era sveglia; quindi si alzò in piedi e urlò qualcosa in una lingua che Sara non comprendeva.

Udì un rumore di passi, quindi la porta della tavernetta si aprì ed entrarono altri due uomini, entrambi con il volto coperto da passamontagna.

“Bene, vedo che la famiglia è sveglia”, disse il più alto dei tre.

“Cosa sta succedendo? – domandò il padre di Sara – State commettendo uno sbaglio, voi non sapete chi sono io!”.

L’uomo che aveva parlato si tolse il passamontagna, svelando un viso che Sara non aveva mai visto.

Sorrise e prese una sigaretta da una tasca.

“È errato – disse – Noi siamo qui proprio perché sappiamo chi è lei”.

Parlava un ottimo italiano, ma Sara percepiva un leggero accento straniero nella pronuncia.

“Cosa volete farci? – domandò il padre di Sara – Siete stati mandati qui? Chi vi comanda?”.

L’uomo aspirò il profumo dalla sigaretta e lo ispirò fuori rumorosamente.

“Quante domande! Purtroppo noi non siamo qui per chiacchierare, siamo qui per lavorare. Anche se temo che il nostro lavoro non vi piacerà”

Il padre di Sara lo guardò con durezza; non sembrava spaventato.

“Se vi manda qualcuno, questo qualcuno vi paga. Ditemi quanto volete per liberarci e uscire di qui come siete entrati; sono sicuro di potervi accontentare”.

L’uomo scosse la testa lentamente, come se stesse parlando con un bambino a cui non entra in testa un concetto facile.

“Non è una questione di soldi; o meglio, non è una questione solo di soldi. Tra le persone si creano dei legami, di fratellanza, di comunità. Questi sono sentimenti e i sentimenti sono impossibili da comprare”.

Il padre di Sara guardò un punto di fronte a lui, cercando di elaborare una strategia più efficace di quella.

“Almeno lasciate libera mia figlia – disse – Chiunque abbia mandato voi sicuramente non ha nessuna questione aperta con lei. Se siete dei professionisti, sapete bene che non ci devono essere le vittime collaterali”.

L’uomo gettò in terra la sigaretta e la spense con la punta del piede.

“Siamo professionisti e in quanto tali sappiamo che dobbiamo rispettare gli ordini che ci vengono dati. Tu non sai quali ordini abbiamo, di conseguenza non è neppure il caso che ti metta a questionare in merito”.

L’uomo estrasse dalla tasca uno smartphone e digitò qualcosa sullo schermo.

“Per altro, faccio fatica ad includere tua figlia tra le vittime innocenti – proseguì – Forse potremmo definir la vittima, ma innocente non lo è sicuramente”.

Accostò il telefonino al volto del padre di Sara.

Stava riproducendo un filmato; l’uomo vide scorrere i titoli di testa di una trasmissione chiamata Fate il vostro gioco.

Sara si rese conto di cosa stesse succedendo solo quando sentì il tema musicale che aveva accompagnato l’inizio della trasmissione.

Sentì il cuore battere a mille, mentre il suo corpo si copriva di sudore.

Tutto avrebbe voluto, tranne che proprio suo padre vedesse una cosa del genere.

L’uomo con il telefonino in mano gettò un’occhiata verso la ragazza e le fece un sorriso ironico, quindi si concentrò sull’uomo legato accanto a lui.

Il padre di Sara seguiva le immagini sullo schermo, la cui sequenza veniva accelerata dal suo carceriere dei punti meno interessanti.

In quel momento stava assistendo all’immagine di sua figlia che si toglieva il reggiseno.

“Non è male, vero? – commentò l’uomo ironicamente – Devo confessarlo, mi sono fatto almeno un paio di seghe pensando a lei”.

Fece un cenno agli altri due uomini, che si posizionarono accanto a Sara.

“Il nostro non è un bel lavoro, lo devo ammettere – proseguì – però è vero che talvolta rivela dei risvolti decisamente interessanti”.

Uno degli uomini estrasse dal giaccone un grosso paio di forbici e con queste lacerò le spalline della canottiera di Sara.

II tessuto ricadde in avanti, scoprendole i seni; con le stesse forbici, poi, tagliò la canotta lungo il dorso, in modo da dividerla in due, quindi gliela sfilò.

Sara non indossava reggiseno, rimase quindi vestita solo di un paio di mutandine.

“Lasciatela stare! – si lamentò comunque suo padre – non capisco cosa c’entriate voi con questa cosa. Sono problemi tra me e lei!”.

Sullo schermo passavano intanto le immagini di Monica che eseguiva pompini a degli sconosciuti.

Nessuno dei tre uomini rispose alle considerazioni del padre; anzi, l’uomo con le forbici si inginocchiò accanto alla figlia e con le stesse tranciò gli elastici delle mutandine, sfilandogliele con un movimento brusco.

Ora Sara era nuda, legata e completamente esposta di fronte a suo padre e agli altri uomini.

“Complimenti, hai proprio una bella figliola! – disse l’uomo senza passamontagna – non mi stupisce che abbia già preso così tanti cazzi”.

Sara mugolò qualcosa, che nelle sue intenzioni avrebbero voluto essere degli insulti, ma il bavaglio le impedì di pronunciare parole intellegibili.

Avrebbe voluto sparire istantaneamente.

“Chissà se ti è mai capitato – proseguì l’uomo – quando tua figlia ha cominciato a sviluppare certe forme, di andare a spiarla. Magari mentre dormiva. Non ti sei mai avvicinato per guardarla mentre faceva la doccia?”

Il padre di Sara diventò rosso in volto: “Questi non sono cazzi vostri e non vi permetto neppure di insinuare una cosa del genere!”.

L’uomo non si fece turbare dall’esplosione di collera del suo prigioniero; fece un cenno al suo collega con le forbici e lo fece avvicinare all’uomo legato.

Senza bisogno di nessun ordine esplicito, anche i boxer del padre di Sara vennero ridotti a brandelli, e si ritrovò anche lui completamente nudo.

“Hai ragione – disse l’uomo senza passamontagna – non è giusto che noi insinuiamo. Ora verificheremo in maniera certa se tua figlia ti è così indifferente”.

Gli uomini incappucciati presero un una corda e assicurarono le ginocchia di Sara ai bordi della sedia in modo che rimanesse con il sesso totalmente esposto.

Sara cercava di non guardare in volto suo padre; allo stesso tempo voleva evitare di guardarlo tra le gambe.

In diciotto anni di vita non l’aveva mai visto nudo e non riusciva neppure a immaginare quale imbarazzo stesse provando.

L’uomo si portò alle spalle di lei e la cinse con le braccia, come se volesse abbracciarla.

Le appoggiò le mani sui seni e cominciò ad accarezzarglieli.

Sara provò a divincolarsi, ma i legami erano stretti e non riuscì a sottrarsi alle manovre di quell’uomo.

Sul divano, a pochi metri, Inna guardava quanto accadeva, alternando lo sguardo tra Sara e suo marito.

Le mani dell’uomo si intrattennero per qualche minuto sui seni della ragazza, quindi presero a carezzarle la pelle della pancia e dei fianchi con un tocco leggero.

Sara, a dispetto della situazione in cui si trovava, sentì i capezzoli indurirsi.

Le dita dell’uomo le sfiorarono ancora la pelle, quindi le toccarono le grandi labbra.

Sara sentì un brivido attraversarle il corpo.

L’uomo le infilò le dita dentro alla vulva e cominciò a masturbarla lentamente.

“Questa zoccola è già in calore…chissà quanti hanno già goduto dentro di lei”, commentò l’uomo senza passamontagna.

 

Il padre di Sara distolse lo sguardo da sua figlia, anche se nel compiere il movimento posò gli occhi sullo smartphone ancora accanto a lui, dove Sara stava facendo sesso con uno sconosciuto.

Cosa era capitato a sua figlia?

È vero che sull’isola le avevano aumentato la libido (vedi https://raccontimilu.com/viewstory.php?sid=24381), ma come aveva fatto a cacciarsi in quella situazione?

E poi, a parte quello, sembrava veramente padrona della situazione; si atteggiava sul palco come una stripper professionista.

Non potè fare a meno di rivolgere nuovamente lo sguardo a quanto stava capitando davanti a sè.

Sua figlia aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta, mentre l’uomo incappucciato aveva infilato tre dita dentro di lei e la stava masturbando con intensità.

Il padre di Sara sentì un preoccupante fluire di sangue verso i suoi genitali.

Si guardò il pene e notò come si stesse leggermente ingrossando.

Sbirciò verso gli uomini: non sembravano essersene accorti, erano concentrati su Sara.

Sua moglie, sul divano, gli lanciò un’occhiata di disapprovazione.

Lei se ne era accorta.

Arrossì imbarazzato, cercando di pensare ad altro e togliersi da quella situazione.

 

Era la seconda volta che sua figlia gli provocava una reazione del genere.

La prima volta era stato tre, quattro anni prima.

Si era da poco separato dalla sua prima moglie, Angela, e ancora non aveva conosciuto Inna; lui e Sara abitavano da soli.

Era riuscito a ritagliare una settimana tra i suoi mille impegni di lavoro e aveva portato sua figlia al mare. Erano almeno due anni che non capitava, aveva sempre delegato quelle incombenze a sua moglie.

Aveva affittato una piccola casa indipendente in Sardegna, proprio sulla spiaggia.

La prima mattina Sara si era svegliata molto prima del padre, così lui le aveva bofonchiato di cominciare ad andare in spiaggia e le aveva promesso che l’avrebbe raggiunta presto.

Un’ora dopo posava il suo sedere sul lettino che l’agenzia viaggi gli aveva prenotato.

Sua figlia non c’era, ma non si era curato della cosa. Era probabile che fosse in acqua.

Si era messo a leggere il giornale, fino a quando non aveva udito la voce di Sara che lo chiamava.

La ragazza era appena uscita dall’acqua e stava venendo verso di lui.

La prima cosa che si era chiesto fu se stesse guardando verso la ragazza giusta, visto che lei era ancora a qualche metro e lui non aveva indossato gli occhiali.

La seconda – appurato che era sua figlia – fu quando le fosse cresciuto il seno.

Nella sua mente, Sara era una ragazzina con il petto piatto e l’apparecchio ai denti; non si era accorto come nella realtà fosse invece una ragazza con una terza abbondante e una camminata sensuale che, anche in quel momento, stava facendo voltare almeno un paio di ragazzi.

I suoi occhi erano andati sui capezzoli, irrigiditi dalla temperatura dell’acqua e evidentissimi attraverso la stoffa azzurra.

Aveva subito distolto lo sguardo, vergognandosi di averlo fatto, ma l’immagine si era stampata nella sua mente.

Sara si era seduta accanto a lui e si era coperta con un’asciugamano.

“L’acqua è un po’ fredda”, aveva commentato.

“Lo avevo immaginato”, aveva risposto lui, senza distogliere lo sguardo dal giornale.

 

Più tardi, quello stesso giorno, si trovava in giardino a bere una birra e godersi il fresco.

Lui e Sara erano stati a cena e avevano passato una bella serata.

Lei gli aveva parlato di un ragazzo che frequentava e di una sua amica. Era la prima volta da anni che avevano occasione di passare un po’ di tempo assieme e lui si era congratulato con se stesso per aver organizzato quella vacanza.

Certo, una settimana non era molto, ma alla fine di quei sette giorni avrebbe conosciuto meglio sua figlia e il loro rappporto ne avrebbe sicuramente beneficiato.

Aveva guardato il cielo, cercando una stella cadente.

Era nella situazione migliore per osservarle, totalmente immerso nell’oscurità.

Si era dedicato all’astrologia per qualche minuto, fino a quando la sua osservazione non era stata disturbata da una luce che si era accesa alle sue spalle.

Si era voltato, quasi infastidito per il disturbo, e aveva realizzato come lui fosse proprio davanti alla finestra della camera di Sara.

La ragazza era entrata nella stanza e aveva acceso la luce, inconsapevole che il proprio padre fosse seduto a qualche metro da lei, nel buio.

Aveva appena terminato la doccia ed era ancora avvolta nell’accappatoio.

Suo padre si era alzato.

Lei non si era accorta di lui, ma non era il caso che lui rimanesse lì fuori.

Aveva fatto qualche passo per allontanarsi, quando gli era venuta in mente la visione di quella mattina.

Aveva cercato di scaccciare quel pensiero, ma senza successo.

Non era sano che pensasse alle tette di sua figlia, se ne rendeva conto.

Però, diamine, mica voleva farci nulla!

Sara aveva anche dei begli occhi, mica si vergognava a guardarli.

La ragazza, ignara di tutto, si era tolta l’accappatoio dando le spalle alla finestra.

“Se mi muovo ora, lei mi sentirà e mi farò una figura di merda”, aveva pensato suo padre.

Sara aveva aperto un cassetto e aveva prelevato un paio di mutandine, quindi si era portata davanti ad uno specchio.

Il vetro riflettente aveva restituito a suo padre l’immagine del suo corpo.

L’uomo non era riuscito a frenare il suo istinto e aveva indirizzato lo sguardo verso il pube.

Un rado ciuffetto di peli le copriva le labbra.

L’uomo aveva sentito il proprio pene irrigidirsi.

Sara si era infilata le mutandine, e nel fare questo si era sporta in avanti.

Il seno si era staccato dal suo corpo e si era palesato nella perfezione dell’adolescenza.

Suo padre, fuori, aveva deglutito secco.

Nella potente luce della stanza aveva distinto chiaramente i capezzoli scuri e l’areola ampia.

Non poteva continuare a guardare, non se questo gli provocava un’erezione del genere.

Si era allontanato con circospezione e aveva preso la macchina.

La sera prima, quando erano arrivati, gli era sembrato di vedere qualche prostituta a un paio di chilometri di distanza.

 

Non era sua abitudine, ma doveva smettere di pensare a sua figlia.

Sara guardò verso suo padre.

Voleva dirgli che non doveva pensare male di lei, che tutto era spiegabile e che era sempre sua figlia, ma il bavaglio sulla bocca le impediva qualunque suono.

Meglio, per certi versi, perchè in questa maniera suo padre non avrebbe sentito i gemiti di piacere che le sgorgavano dalla gola.

Le dita dell’uomo incappucciato continuavano a frugare dentro di lei, provocandole cicliche ondate di brividi.

Chiuse gli occhi, cercando di ricacciare dentro di sè un orgasmo che presto o tardi sarebbe arrivato.

Non si accorse, quindi, che l’altro uomo incappucciato si era portato di fronte a lei e si stava abbassando i pantaloni.

Si rese conto della sua presenza solo quando l’uomo le afferrò le natiche e, con un movimento brusco, le spostò il bacino avvicinandolo a sè.

Sara sentì con terrore il pene già in erezione di quell’uomo appoggiarsi alle sue grandi labbra e, un attimo dopo, penetrare completamente dentro di lei.

La mastrubazione che aveva subito fino a quel momento l’aveva perfettamente lubrificata e l’organo dell’altro scivolò dentro senza trovare resistenza.

Sentì il pene dell’uomo penetrare profondamente dentro di lei, riempiendola come raramente le era capitato.

Guardò verso l’inguine di lui e notò solo in quel momento la pelle scura; il passamontagna e i vestiti le avevano impedito di capire che fosse di colore.

L’uomo l’afferrò per le natiche e estrasse il suo pene di qualche centimetro, quindi lo affondò nuovamente.

Sara sentì mille sensazioni pervaderle il corpo, mentre l’organo di quell’uomo sembrava toccarle profondità mai sfiorate prima.

Emise un lungo sospiro e chiuse gli occhi.

La stavano violentando, ma il suo copro sembrava non accorgersene.

Ancora una volta sentì il pene dell’uomo farsi strada dentro di lei, e ancora una volta chiuse gli occhi.

Cercò di allontanare dalla sua mente il pensiero di suo padre e di Inna a pochi metri da lei.

Sentì qualcuno armeggiare attorno al bavaglio e dopo pochi istanti il nodo venne slacciato.

Aprì la bocca per prendere aria, ma subito sentì due mani appoggiarsi sulle guance e guidarle la testa indietro.

“Apri la bocca, zoccola!”, disse una voce dietro di lei.

Un altro colpo del membro dentro di lei le fece vibrare tutto il corpo.

Reclinò la testa e aprì la bocca, vedendo come a pochi centimetri da lei ci fossero i jeans dell’uomo che fino a pochi minuti prima l’aveva masturbata.

Questi si abbassò i pantaloni, si sfilò i boxer e estresse il membro già eretto.

Ne scoprì il glande e lo appoggiò sulle labbra di Sara.

La ragazza sentì il liquide seminale dell’uomo umettarle la bocca e istintivamente vi passò la lingua sopra.

L’uomo trasse un sospiro di piacere e spinse il pene dentro alla bocca di Sara.

 

Il padre di Sara deglutì secco.

Avrebbe voluto liberarsi dei legami e ammazzare a mani nude quegli uomini, però allo stesso tempo non riusciva a togliere gli occhi da sua figlia.

Un uomo la stava scopando davanti e un altro le aveva appena messo il membro in bocca, eppure lei non stava opponendo nessuna resistenza.

Era legata, certo, ma si vedeva come fosse perfettamente rilassata.

Aveva inoltre i capezzoli duri, segno che le stava piacendo.

Non aveva molto da stupirsi: aveva appena visto un filmato in cui la ragazza si esibiva come una pornostar in televisione e risaliva a meno di un mese prima.

Chi era realmente Sara?

Cosa le passava per la testa?

Era lei la causa di quell’irruzione in casa?

Guardò verso sua moglie, che a sua volta stava fissando il suo inguine.

Anche lui portò lo sguardo verso il basso, e notò come il suo membro fosse ormai parallelo al terreno.

Si sentì arrossire e voltò la testa verso la sua destra, concentrandosi oltremodo sulla porta di ingresso, seppur inutilmente.

Davanti a lui i due uomini stavano rumorosamente sbuffando e non potè astenersi dal guardare nuovamente.

L’uomo con il membro dentro la bocca di Sara aveva portato le mani sui seni della ragazza e aveva preso a torcerle i capezzoli; l’altro continuava a entrare e a uscire da lei.

Sara aveva gli occhi chiusi e una leggera patina di sudore le stava ricoprendo il corpo.

L’uomo dietro di lei emise improvvisamente un gemito e lasciò la presa, mentre il suo sperma si riversava nella bocca di Sara.

L’orgasmo durò qualche secondo, durante il quale il padre di Sara vide sua figlia inghiottire senza problemi il seme di quell’uomo; poi, una volta finito, l’uomo si allontanò dalla ragazza e si rivestì in silenzio.

Si portò quindi accanto all’uomo senza passamontagna, che fino a quel momento aveva assistito in silenzio alla scena.

Sara raddrizzò la testa rimase ad occhi chiusi, continuando ad ansimare sotto i colpi dell’uomo di colore; anche lui sembrava avere il fiato corto.

Dopo qualche istante strinse le natiche di Sara con forza maggiore e interruppe il suo movimento.

Dalla sua gola si levò una specie di urlo, mentre il suo sperma entrava copiosamente dentro la ragazza.

Anche Sara aprì la bocca, ma rimase in silenzio, sentendo l’umore caldo dell’uomo fluire dentro di lei.

L’uomo mantenne il suo pene dentro alla ragazza per qualche secondo, quindi anche lui si sfilò da lei e si rivestì.

Sara guardò verso suo padre, consapevole di quello che a cui aveva assistito.

Aveva le labbra sporche di sperma e la sua vagina era appena stata deflorata da un membro enorme.

Soprattutto, aveva goduto davanti a lui.

Abbassò lo sguardo per la vergogna, notando solo in quel momento come il pene di suo padre fosse decisamente eretto.

Sorrise dentro di sé: evidentemente non era l’unica in famiglia ad avere una sessualità un po’ deviata.

L’uomo senza passamontagna si staccò dalla parete e indicò verso Sara: “Toglietela da quella sedia!”.

L’uomo di colore si chinò e slacciò le corde che le tenevano legate le caviglie, quindi la sollevarono di peso, mantenendole le mani legate dietro alla schiena.

Sara fu grata che la stessero sostenendo, perché sentiva le gambe decisamente deboli.

“È bello quando si comunica in famiglia – disse l’uomo – Ora, grazie a noi, vi conoscete molto meglio”.

I due uomini avvicinarono Sara a suo padre.

Tra loro c’era solo più qualche centimetro di distanza e il membro di lui, vergognosamente proteso verso di lei.

“Ora sai che hai una figlia puttana – disse rivolto al padre – E tu sai che a tuo padre non dispiace”.

I due la fecero avanzare ancora un poco, in modo che il glande di lui le toccasse sulla pancia.

Sara senti quanto fosse umido.

Il padre di Sara sentì un brivido attraversargli il corpo mentre con il pene toccava la pelle di sua figlia.

Non osava guardare verso sua moglie, sapeva che sicuramente stava disapprovando.

Sara non poteva fare diversamente, ma lui, seppur legato, stava mostrando a tutti quanto gli stesse piacendo.

Una volta finito tutto quello, avrebbe dovuto raccontare a sua moglie come certi stimoli non siano mai neutri quando si è un uomo. L’uomo con il passamontagna gli impugnò il pene e, con decisione, lo guidò verso il clitoride di Sara.

Il padre di Sara sentì un certo dolore alla base, quindi sentì il glande sfiorare il clitoride di sua figlia.

Sara, di fronte a, chiuse gli occhi. Non capì se era per l’eccitazione o semplicemente per non vederlo.

“Ma siete carini!- disse l’uomo senza passamontagna – Ora è il caso di elevare questo rapporto ad un livello superiore”.

Fece cenno ai due uomini che allontanassero Sara da suo padre.

“Siccome non ti sei perso un minuto di quello che abbiamo fatto a tua figlia- proseguì – avrai sicuramente notato come un orifizio sia ancora inspiegabilmente inviolato. Che dici, vogliamo provvedere?”.

Il padre di Sara si dimenò nelle corde.

“No, per piacere, finiamola qui. Avete avuto quello che volevate, no?”.

I due uomini voltarono la ragazza in modo tale che rivolgesse la schiena verso suo padre, poi con le mani le premettero la schiena in modo che si piegasse a novanta gradi.

L’uomo legato al palo vide sua figlia indietreggiare di qualche passo, fino a quando la punta del suo pene non incontrò l’ano della ragazza.

“Veramente, basta così! – li implorò – Vi do dei soldi, ci metteremo d’accordo…”.

“Non mi sembra che il tuo amico voglia smettere – commentò sardonico l’uomo accanto a lui, indicandogli il pene ancora perfettamente eretto – Sara, fai un passo indietro!”.

Sara sapeva che sarebbe successo.

Chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e indietreggiò di qualche centimetro.

Sentì subito un leggero dolore, poi si assestò meglio e lasciò che il pene di suo padre le penetrasse dentro.

Non era la prima volta che veniva sodomizzata, cercò solo di non pensare a chi avesse dentro di lei.

Sentì una mano posarsi sui suoi fianchi per invitarla a muoversi.

Prese ad ondeggiare lentamente, cercando allo stesso tempo di non provocarsi da sola eccessivo dolore all’ano.

 

Suo padre, dietro di lei, chiuse gli occhi.

A differenza di sua figlia, non poteva ignorare chi fosse davanti a lui e la cosa non faceva che renderlo ancora più eccitato.

Sara si muoveva bene, segno che non era un’esperienza nuova per lei, e quasta consapevolezza lo mandava ancora di più su di giri.

Sentì che stava per venire e cercò di ritardare il momento.

Gli bastò guardare la moglie per calmarsi di parecchio. La donna lo guardava con uno sguardo di fuoco e sembrava molto più turbata da quello che stava facendo suo marito che dalla condizione di prigionia in cui si trovavano.

L’uomo distolse lo sguardo. Non era in grado di opporsi in nessuna maniera a quello che stava capitando: Sara si stava muovendo in maniera estremamente sexy e lui era dentro di lei.

La conseguenza era inevitabile.

Chiuse gli occhi per non vedere nulla e lasciò che il suo sperma fluisse.

Fu un orgasmo molto violento, tanto che diede un colpo di bacino a Sara così forte da farla vacillare.

Gli uomini attorno a lui presero a ridere, mentre tenevano ferma Sara in modo che lo sperma del padre colasse completamente dentro di lei.

Il padre di Sara ansimò per qualche minuto, poi riaprì gli occhi e riprese a respirare normalmente.

I due uomini mascherati sorressero Sara per le braccia e la legarono nuovamente alla sedia, mentre quello al suo fianco estrasse un telefonino e digitò un rapido messaggio.

“Ora noi ce ne andiamo – disse serio guardando l’orologio – La figlia di tua moglie dovrebbe arrivare tra un’ora, quindi non avrete molto da aspettare”.

“Perchè ci avete fatto tutto questo?”, chiese, un attimo prima di essere imbavagliato.

L’uomo sorrise.

“Perchè ci hanno pagato, no? – rispose, dandogli un buffetto su una guancia – Niente di personale, mi raccomando”.

Si voltarono e lasciarono la stanza.

 

 

Sara entrò nel centro commerciale sentendosi subito rinfrancata.

Aveva lasciato a casa suo padre e Inna affinché stessero assieme e che si chiarissero tra di loro.

Da parte sua, si era fatta una lunga doccia, si era lavata i denti ed era uscita.

Non poteva dire che l’esperienza non l’avesse scorsa, ma purtroppo nel suo recente passato aveva sperimentato accadimenti anche più traumatici e sapeva che nulla avrebbe guarito le ferite meglio del tempo.

E nulla fa passare velocemente il tempo quanto distrarsi e, nel suo caso specifico, fare un po’ di shopping.

Entrò in un negozio di scarpe e si fermò a guardare alcuni stivali.

Faceva ancora caldo, ma presto sarebbe arrivato l’autunno ed era bene che non la trovasse impreparata.

Ovviamente erano tutte scuse, perché sia di scarpe che di stivali sicuramente non aveva nessuna carenza, ma riusciva sempre a trovare quel modello che sembrava adattarsi perfettamente al suo guardaroba.

Il fenomeno si verificò anche in quell’occasione: rimase qualche minuto a guardare estasiata un paio di stivali scamosciati blu, quindi entrò nel negozio e chiese di misurarli.

Le stavano perfettamente, erano comodi e, per di più, non erano neppure troppo cari.

Ringrazio la commessa, prese la scatola che le porgeva e si accinse a pagare alla cassa.

“Mi spiace, non mi accetta la carta”, le disse la commessa restituendole il bancomat.

Sara rimase interdetta. Aveva controllato il suo conto corrente proprio la settimana prima, e – tra le webcam e il gioco televisivo – sul conto c’erano alcune migliaia di euro.

“Potrebbe essere un errore? Può ritrovare per piacere?”, insistette Sara.

La cassiera scosse la testa: “Ho già provato due volte, mi dice sempre che è priva di disponibilità. Conviene che parli con la sua banca”.

Sara ripose il bancomat con una certa preoccupazione. Cosa poteva essere capitato al suo conto corrente?

Pagò in contanti, mise la scatola in un sacchetto e si avviò velocemente verso la banca.

Se si fosse sbrigata li avrebbe ancora trovati aperti.

 

Alice sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo quando Sara entrò nella sua stanza.

“Ciao, sorella. Posso fare qualcosa per te?”, chiese, dal momento che Sara era entrata ed era rimasta in piedi accanto all’uscio.

Sara entrò e si sedette sul letto accanto a lei.

“Sì, vorrei parlarti di una cosa. Mi è successo un fatto che mi ha sconvolta”.

Alice chiuse il libro e lo mise da parte.

“Certo, lo posso capire. Ti riferisci all’aggressione di ieri, vero? Una cosa tremenda!”.

Sara guardò sua sorella, poi sorrise e scosse la testa: “No, non volevo parlarti di quello, anche se l’argomento che mi preme è comunque collegato ai fatti di ieri”.

Alice rimase in silenzio e rivolse a Sara un’espressione interrogativa.

“Vedi, ieri pomeriggio sono andata a fare shopping, ma quando si è trattato di pagare ho scoperto che il bancomat non funzionava. Sono andata subito in banca, anche perché ero certa che sul conto ci fossero almeno quattromila euro”

Alice abbassò lo sguardo, poi disse: “Talvolta capita che non funzionino anche se ci sono i soldi”.

“Talvolta – disse – ma non non questo caso. Quando sono andata in banca, infatti, ho scoperto qualcuno aveva prelevato i soldi la scorsa settimana. La cosa era abbastanza strana, perché il conto è intestato a me e solo io posso prelevare”

Alice si sistemò i lunghi capelli dietro alle orecchie, gesto tipico di quando era nervosa.

“Ho insistito tanto con l’impiegato affinché mi facesse vedere la distinta con cui era avvenuto il prelievo. Quando finalmente l’ho avuta in mano, ho potuto constatare come la firma, anche se ben imitata, non fosse la mia. Come potevo fare a capire chi era stato?”.

Sara fece passare qualche secondo per studiare le reazioni di Alice; non ricevendo risposta, continuò: “Ho quindi convinto l’impiegato ad andare a visionare il filmato delle telecamere. Era molto restio – pare che ci volesse una denuncia ai carabinieri – e per convincerlo ho dovuto fargli un pompino in bagno, ma ormai certe cose non mi hanno più molto effetto. In ogni caso, abbiamo visto assieme il filmato e ora so chi ha prelevato”.

Estrasse dalla borsa un DVD e lo appoggiò sul letto tra loro.

“Sei stata tu, e non ci sono margini di errore. Hai voglia di raccontarmi la sua versione?”.

Alice prese a giocare con i bottoni della sua camicetta.

“Avevo bisogno di soldi – disse con lo sguardo basso – Andrea ha distrutto la macchina e non aveva la possibilità di cambiarla. Ho voluto aiutarlo. Io ho sbagliato e ti chiedo scusa, i soldi te li restituirò non appena potrò”.

Sara incrociò le braccia sul petto e guardò di sua sorella: “Sei sicura di aver solo questo da dirmi? Finisce qui la tua storia?”.

“Sì, Sara mi dispiace, ho sbagliato, ma ora non posso tornare indietro nel tempo. Ti ho detto che te li restituirò, fidati di me”.

“Posso fidarmi di te? – domandò Sara – Dopo questo episodio posso essere sicura che tu non cercherai di procurarmi degli ulteriori danni?”.

Alice reagì in maniera quasi seccata: “Certo, Sara! È vero che io e te abbiamo genitori diversi, ma ormai è come se fossimo sorelle, siamo cresciute assieme. Ho sbagiato a prenderti i soldi, ma ti voglio bene e non ti farei mai del male”.

Sara la guardò con un sorriso sprezzante: “Sei una stronza, Alice, e anche bugiarda. Ora ti spiego perché, e ti racconto anche come te la farò pagare”.

Sara si alzò in piedi, forse per il nervosismo, forse per allontanarsi da Alice.

“Ieri sera, mentre ripensavo a quello che avevo scoperto in banca, ho pensato anche all’aggressione che abbiamo subito. A mente calda non ci avevo fatto caso, ma c’erano alcuni elementi di quell’episodio che proprio non mi tornavano”.

Prelevò una sigaretta dal pacchetto di Alice e la accese.

“In primo luogo, non si capisce quale sia stato il motivo. Il loro capo ha detto più volte che erano stati pagati, ma chiunque sia stato il mandante, non è riuscito a far arrivare nessun messaggio. Ce l’avevano con mio padre? Ho forse con me, visto che alla fine sono quella che ha subito le cose peggiori? Se quella aggressione doveva servire a far cambiare qualcosa, sicuramente non è arrivata all’obiettivo: nessuno di noi sa perchè sia avvenuta”.

“Magari non c’era nessun messaggio – rispose Alice – Magari erano solo dei sadici fatti di droga che si sono divertiti a tormentarvi”.

Sara espirò il fumo della sigaretta: “Ci ho pensato, però non mi quadrava lo stesso. Intanto, non mi sembravano fatti di droga. Poi l’episodio denotava una certa preparazione: sapevano i nostri orari e sapevano anche i tuoi. Questa non è gente che passava lì fuori per caso e ha deciso di aggredirci”.

Sara tirò ancora dalla sigaretta: “Ma non è solo questo che non mi tornava. Come sai, mio padre non ha voluto denunciare l’accaduto alla polizia per evitare che venissero fuori determinate cose, tra cui, ad esempio, quello che ho fatto io, e quindi non c’è stata un’indagine. Però io mi sono guardata un po’ in giro e non sono riuscita a capire da dove questi siano entrati. Abbiamo tutte le porte blindate, tutte le finestre chiuse, e questi sono entrati senza fare nessun danno. Forse avevano le chiavi?”.

Alice guardò verso Sara senza parlare.

“Ma non solo. In questa orgia di violenza in cui si sono prodotti, perché non hanno fatto nulla a tua madre?”.

Alice alzò le spalle: “Non lo so. Questo bisognerebbe chiederlo a loro”.

“Invece lo chiedo a te. Chiedo a te anche perché quella notte non eri in casa”.

Alice si alzò dal letto: “Ero a dormire da una mia amica, lo sai benissimo. Ora me ne vado perché questa conversazione mi ha già stancata da parecchio”.

Sara la fermò con una mano, come se fosse un vigile: “Siediti nuovamente e stai zitta, che ti conviene. Perché tutti questi erano solo sospetti,ma si sono trasformati in certezze. È successo quando mi sono ricordata che il loro capo, prima di andarsene, aveva mandato un messaggio a qualcuno. A chi l’ha mandato? Non è stato difficile per me togliermi il dubbio: è stato sufficiente controllare il tuo telefonino ieri sera, mentre dormivi”.

Alice la guardò con odio.

“Ti sei dimenticata di cancellarlo, presumo, perchè non sei così stupida. Però il messaggio diceva: abbiamo finito, puoi rientrare in casa. Come lo spieghi?”.

“L’ho cancellato – le rispose Alice – Ora non puoi più provare nulla”.

Sara le sorrise.

“Non sono scema. L’ho fotografato con il mio cellulare, e ora anche io ho il numero di telefono del tizio che mi ha fatto violentare. Vuoi che ne parli con mio padre?”.

Alice abbassò lo sguardo.

“Non ho sentito la tua risposta. Vuoi che ne parli con mio padre?”, la incalzò Sara.

“No, ti prego”, disse Alice con un sussurro.

Sara indicò il pavimento.

“Mettiti in ginocchio quando parli con me!”.

Alice scese dal letto e si inginocchiò sul parquet.

“Ora dimmi perchè! Dimmi perchè mi hai fatto una cosa del genere!”.

Alice deglutì.

“Non doveva andare così, giuro. È stata tutta colpa tua!”.

“Mia?”, le domandò Sara sgranando gli occhi.

“Sì. Fintanto che tu vivevi con tua madre e tuo fratello, tuo padre non parlava mai di te. Lui vi considerava come una famiglia a parte, eravamo io e mia madre ad essere importanti per lui”.

Prese fiato e fece un singhiozzo. Aveva le lacrime agli occhi.

“Aveva dei progetti per me, voleva che lo affiancassi in azienda non appena avessi preso il diploma. Poi tu sei tornata da quella maledetta isola…”.

Fece una pausa per singhizzare.

“A quel punto parlava solo più di te. Di come ti avesse trascurato e di come si sentisse in colpa per non aver badato a te. Io non esistevo, c’era solo più Sara!”.

“E allora? Era necessario farmi violentare?”, le urlò contro Sara.

Alice scosse la testa.

“Non doveva andare così. Un mio amico mi aveva segnalato di averti vista in tv, e quando ho capito di cosa si trattasse ho pensato che sarebbe stato perfetto per sputtanarti. Così ho organizzato l’irruzione in casa.

“Dovevano solo spaventarvi un po’ e far vedere il filmato a tuo padre. Al massimo avrebbero dovuto costringerti ad un pompino, ma nulla di più. Invece la cosa è degenerata, si sono eccitati e hanno perso il controllo”.

Sara passeggiò furiosa per la stanza.

“Perchè secondo te per me è una passeggiata fare un pompino a uno sconosciuto?”.

Alice le rispose con malizia:”Ne hai fatto uno giusto ieri pomeriggio e non mi pare che tu sia morta”.

Sara le diede uno schiaffo, a cui la ragazza non reagì.

“Tu ora sei in mano mia, stronza. Non sarà ora, ma presto verrò a chiedere il conto di questa cazzata che hai fatto. E vedi di muovere il culo in fretta per recuperare i soldi, perchè ne ho bisogno”.

Si girò su se stessa e lasciò la stanza.

 

 

 

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