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161 – Marina ingenua campagnola diventa troia maiala

By 6 Maggio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Era autunno, dal cielo grigio, nebulizzate, milioni di microscopiche goccioline invadevano l’aria, per le strade, la gente, immersa in quell’atmosfera novembrina, avvolgeva le sciarpe di lana attorno al collo.
Noi, la mia famiglia e io, abitavamo in una grande cascina arrampicata sulle colline delle Langhe. Dalla finestra di camera mia, attraverso quella fitta e umida nebbiolina, vedevo la digradante valle e i lunghi filari delle vigne; quelle vigne dove i miei genitori e i miei fratelli più grandi, sudavano consumando il proprio fisico e il loro tempo a curar terreni e a tener puliti dalle erbe infestanti i molti lunghissimi filari. Le foglie delle viti mostravano affascinanti colori, dal giallo ocra al viola e al verde, alcuni grappoli bluastri, dimenticati nella recente vendemmia, si nascondevano timidi tra le larghe foglie. Tutt’attorno la vegetazione pareva essere stata dipinta dalle abili mani del grande Van Gogh.
La nostra era una famiglia unita, c’era mio padre, un uomo grande e grosso, con i baffi scuri e pungenti, le mani callose e la pelle arsa dal sole. Era burbero, ma sempre cedevolmente disponibile, specie nei miei confronti. L’immagine più cara che ho di lui è quella quotidiana, quando lui dopo pranzo se ne stava seduto a meditare sui lavori che i campi ancora gli richiedevano, appoggiava i gomiti al grande e massiccio tavolo della cucina, con indosso un paio di pantaloncini corti color avana e una canottiera blu; mi piaceva vederlo con quel bicchiere del suo buon vino in mano e in centro tavola la bottiglia di quel giovin vinello appena stappata, tenuta prudentemente a portata di mano. Non era un ubriacone avvinazzato, semplicemente si godeva, specie nelle calde giornate d’estate, quella straordinaria frescura interna, che le spesse mura e gli scuri accostati gli regalavano e gli piaceva farlo degustando a piccoli sorsi il frutto finale del suo lavoro fra le vigne.
Io sono Marina, l’unica figlia femmina dopo tre maschi, la più piccola, quella capricciosa, spesso petulante e indisponente, ma restavo sempre e comunque l’amore del mio papà.
La mamma, donnina dolce, facilmente arrendevole, dedita alle faccende di casa e a crescere i figli; ella si muoveva silenziosamente tra le mura domestiche, affaccendata a sistemar le camere, a riassettare la cucina e a toglier polvere e finissima terra; dai mobili, dalle suppellettili e dai parquet dei tanti pavimenti incerati. Me la ricordo carina, con i suoi capelli scuri, spesso coperti da un foulard di canapa nero e i suoi occhi attenti ad osservare tutti gli altrui movimenti. Lei e papà erano una coppia molto attiva, appassionata e passionale, la loro ridente camera, ancor oggi potrebbe raccontare le loro gesta, i loro ansimi, le loro voci acute e gutturali, che noi figli sentivamo trapassare gli spessi muri divisori. Pensando agli anni della mia spensierata giovinezza, mi vengono in mente come delle fotografie ingiallite, esse rappresentano me e i miei tre fratelli. Li vedo ancora bambini che giocano fra di loro e poi anche con me. Allora, Luigi, il più vecchio, aveva undici anni, Giuseppe nove e Antonio sei, io ne avevo solamente quattro. Si giocava nell’aia polverosa, sulla terra ricoperta di ghiaia irregolare che ad ogni nostra caduta, ci lasciava sulle ginocchia e sui gomiti ampie macchie striate e rossastre.
Papà e mamma sopportarono che noi figli, appena giunta la maggior età, ci allontanassimo da quella casa, che offriva a noi giovani poche alternative di vita diverse da quelle di fare il contadino.
Luigi e Giuseppe, aiutati economicamente dai nostri genitori, aprirono, nella vicina città, dapprima una bettola e dopo qualche anno un locale alla moda che oggi chiamano vineria. Antonio, scelse gli studi e con molta costanza e perseveranza riuscì a laurearsi in informatica e telecomunicazioni. Io, invece, mi diplomai e poi subito appresso conobbi un uomo che per alcuni anni condizionò pesantemente la mia vita. Mi piaceva moltissimo, bello come un Dio greco, con un carattere deciso e autoritario e una voglia di vivere e sperimentare tutto ciò che l’esistenza gli poteva offrire. In questa affannosa ricerca di situazioni sempre nuove, coinvolse naturalmente anche me e io, affascinata perdutamente di lui, mi lasciai trascinare a provare sempre nuove esperienze, che a suo dire avrebbero accresciuto il mio sapere e la mia poca esperienza della vita.

Fu così che per alzare sempre l’asticella, lui una sera mi condusse in una zona buia in mezzo alla campagna. Posteggiò la macchina in un parcheggio dietro ad un cimitero. L’atmosfera era realmente spettrale. La fioca luce dei lampioni si rifletteva contro le alte mura del camposanto e formava su di esse lunghe ombre sinistre. Molte altre auto erano parcheggiate, i vetri parevano essere tutti appannati e si intuiva che all’interno c’erano altre persone. In fondo, appoggiati al muro, alcuni uomini si muovevano attorno ad un grosso fuoristrada.
Lorenzo, mio marito, mi disse’..

‘Togliti le mutandine e vieni con me”..’

Nel buio tentai di vedere l’espressione dei suoi occhi, poi lui con voce suadente ma ferma e decisa mi ripeté”..

‘Tranquilla, fai come ti dico, togliti le mutandine e seguimi, ti piacerà”..’

Come un automa, un po’ infreddolita, eseguii i suoi ordini. Mi prese per mano e mi condusse nei pressi di quel Suv, quindi mi lasciò lì e si allontanò di qualche metro da me.
Dal buio, come se uscissero dal nulla, comparvero altri uomini, alcuni avevano estratto il loro pene e se lo masturbavano. Sentii molte mani sfiorare e lambire il mio corpo, attonita e irrigidita, gridai per chiamare il mio Lorenzo.
Lui era sempre lì, poco distante, mi guardava e a sua volta si teneva in mano il cazzo scappucciandoselo lentamente.
Gli sconosciuti mi sollevarono il vestito e me lo sfilarono febbrilmente, anche il reggiseno fu sganciato e tolto, ero nuda fra una decina di maschi infoiati. La porta del Suv si aprì e vidi dapprima una scarpa scura con il tacco dodici e subito appresso una lunga e sinuosa gamba velata da calze a rete nere. La donna con gli occhi coperti da una mascherina tipo Zorro mi si avvicinò e con voce alterata mi disse”..

‘Ah, bene, una nuova allieva, vuoi godere bambina??’

‘Non so, mi ha portata qui mio marito, io ””

‘Taci , guarda come faccio io”’

Si accucciò davanti ad un bel cazzo e lo ingoiò profondamente, qualcuno le sollevò il culo in aria e un altro uccello trovò il suo caldo e umido nido. Un tizio che era in pratica nudo, mi ordinò perentoriamente di succhiarglielo. Pensai che forse era giunto il momento di lasciarmi andare e così mi abbassai e seguii l’esempio della donna con le calze a rete.
Il bastardo, senza alcun riguardo e senza nemmeno avvisarmi, mi sborrò in bocca tenendomi il capo premuto contro il suo inguine. Quella sera provai per la prima volta il forte dolore che deriva dalla sodomia. Un uomo con un cazzo troppo grande mi spaccò il culo incurante delle mie grida. E ugualmente incurante di tutto fu mio marito, lo vidi seduto sul cofano del Suv che osservava dall’alto le mie performance e si masturbava eccitatissimo. Quella sera ne portai molti all’eiaculazione usando la bocca, la figa e anche il culo, fu così che tutte le mie cavità furono riempite abbondantemente di calda sborra. Poi verso la fine, dal fuoristrada uscì un ragazzo che ebbi subitamente l’impressione di conoscere, a sua volta portava una mascherina sugli occhi, mi si piazzò dietro e mi infilò il suo cazzo nel culo sbattendomi con violenza e sculacciandomi le chiappe. La donna mi venne vicino e con le labbra che sapevano di sperma, mi prese il viso tra le mani e mi baciò infilandomi profondamente la lingua in bocca.
Vidi Lorenzo sborrare nello stesso istante in cui il mio segreto inculatore mi riempì le viscere con il suo seme. Mio marito fece poi un cenno al ragazzo mascherato e lui gli si avvicinò, quindi si strinsero la mano e tutto ebbe termine.
Con il buco del culo deflorato e dolorante risalii in macchina e ce ne andammo’..

‘Ti è piaciuto???’

‘Mi fa male dietro e spero di non essermi presa delle malattie con tutto sto sperma che ho ingoiato e inglobato in me!!!’

‘Tranquilla, sono tutte persone sane, le conosco tutte molto bene, comunque anche tu ne conosci un paio ”’

‘Io ne conosco un paio?????’

‘Si’ e anche molto bene direi”..’

‘Dai Lorenzo ma che cazzo dici????’

‘Non hai riconosciuto il fuoristrada?’

‘No, cioè si era della Mercedes, ma ce ne sono tanti in giro uguali ”.’

‘Chi c’è che conosci che ne ha uno identico???’

‘Non mi ricordo’. Non lo so’.. Ah’ si ‘. va beh’. mio fratello Antonio ne ha uno simile”’

‘Antonio, già, lui è sposato con”..’

‘Lisa, Lisa si chiama così sua moglie, ma che c’entra con quello che è successo questa sera??’

‘Svegliati Marina!!! Quello che te l’ha ficcato in culo, l’ultimo intendo, è tuo fratello Antonio e la donna è semplicemente Lisa!!!!’

Rimasi senza parole, in meno di un paio d’ore, ero diventata una troia trasgressiva e incestuosa ed avevo scoperto che mio marito era un grande sporcaccione e pure cuck-old !!!

Scrivetemi in tanti, vorrei vostri pareri e eventuali suggerimenti per i prossimi racconti.
Buon sesso a tutti da parte di ombrachecammina
e-mail: alexlaura2620@libero.it

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