Il mio nome è Michela, ho trentotto anni, sono sposata ed ho una figlia di dodici. Sono nata in un paesino di montagna, abbarbicato sulle Alpi Graie a mille e trecento metri di altitudine. La mia famiglia, inizialmente era composta: da mia madre, da mio padre e da me. Fin da piccolina, diciamo dopo i sei sette anni, dovetti rimboccarmi le maniche per aiutare i miei a portare avanti la baracca. Tutti e tre quindi, eravamo dediti ai lavori della campagna ed all’allevamento di poche vacche che ci davano il latte; latte, che i miei genitori rivendevano, dentro a dei fustini d’acciaio, alle cooperative ed alla centrale del latte. Avevamo anche delle povere galline, che facevano delle buonissime uova e che, ogni tanto, si facevano tirare il collo dalla mamma, la quale poi, provvedeva a farcele trovare nel piatto ben cucinate . Nel pollaio c’erano anche due maestosi galli, che con la loro attività si adoperavano a far si che la razza non si estinguesse mai. Poi campi, campi che mio padre arava, e sui quali coltivava l’erba medica per raccoglierla facendola seccare e divenire fieno per foraggiare le nostre prosperose mucche. Avevamo anche un grande orto, dove la mamma lavorava per coltivare le verdure necessarie per il fabbisogno della nostra piccola famiglia. Vivevamo in una bella casa, completamente in pietra, con i tetti costituiti da grandi lastroni anch’essi in pietra.
Ricordo che nel periodo estivo, che poi corrispondeva ai mesi in cui c’era più da fare, quando al mattino, mio padre saliva sul trattore ed andava per i campi, mia madre ed io ci salivamo con lui e lo seguivamo aiutandolo nel lavoro di raccolta del fieno tagliato. Lo raccoglievamo in balle che legavamo con del filo di ferro e poi papà passava e con il forcone del trattore, le sollevava e le buttava sul rimorchio. Ecco, a grandi linee quella appena descritta era la nostra situazione famigliare.
Il paesino, d’inverno era tristissimo, c’erano in tutto una ventina di persone, la maggioranza delle quali erano anziani, io ero la più piccola del paese, mentre la più vecchia aveva più di novant’anni. Dicevo del paesino; d’estate prendeva vita e si affollava di persone e famiglie in vacanza; purtroppo, come già raccontato in precedenza, per me questo periodo corrispondeva alla stagione durante la quale per noi, famiglia contadina, c’erano moltissime attività da portare avanti e quindi pochissimo tempo per socializzare. Mi ricordo che la domenica verso le undici, noi, dopo tre o quattro ore di lavoro sulle spalle, per far ritorno a casa, passavamo con il trattore sulla strada principale e vedevamo la gente uscire dalla chiesa dopo la messa. Tutti vestiti bene con le donne da una parte a formare capannelli e a spettegolare su questo e quest’altro. Gli uomini con indosso quei gilet colorati, tipo Missoni, con le mani nelle tasche dei calzoni, discutevano di calcio o di donne e lentamente si incamminavano verso l’unico bar a prendersi l’aperitivo. Il mio mondo era tutto lì, con gli orizzonti molto limitati, beh si, andavo a scuola, ma oltre all’anziana maestra, frequentavo solo ragazzini e ragazzine come me. Poi, in verità, a scuola non è che io fossi molto considerata dagli altri miei compagni, essi mi evitavano, in fondo ero solo la figlia di un contadino, mentre tutti gli altri provenivano da famiglie di paesi più a valle e molti dei loro genitori erano imprenditori o professionisti affermati. Così anche in quella piccola classe di appena dodici bambini, io ero emarginata e non potevo far amicizia con nessuno. All’età di undici anni i miei mi dissero che presto avrei avuto una sorellina, così cinque o sei mesi dopo nacque Maria e purtroppo, proprio per questo parto, in seguito ad una forte emorragia, mia madre ci lasciò le penne. Mi trovai a dodici anni a sostituire la mamma ed a preoccuparmi quasi da sola di mia sorella. La allattavo con il biberon, la cambiavo, la lavavo, la cullavo per farla dormire e le facevo tutto ciò che serviva per farla crescere bene. Per di più mi dovetti adoperare per lavare i panni di mio padre, stirargli le camicie e preparar pranzo per noi due. Così, dopo la prima media, dovetti abbandonare la scuola per dedicarmi in toto alla mia famiglia. Mio padre era sempre molto nervoso ed un paio di volte la settimana, la sera, trascurando i lavori della stalla, prendeva la vecchia Fiat Croma ed usciva senza nemmeno dirmi dove andava. Solo nel periodo invernale, quando la neve altissima invadeva le strade, rendendo il panorama uniformemente di un candore accecante, lui rimaneva a casa e si guardava la Tv. Mi rammento che spesso si alzava in piedi per sistemare meglio ‘il baffo’ per cercare di migliorare la cattiva ricezione dei programmi, poi bofonchiando si risistemava su quella scricchiolante poltroncina di vimini imbottita di cuscini a fiorellini. Arrivai in pratica a diciotto anni, senza sapere com’era fatto un uomo. Le uniche mie esperienze sessuali da ragazza diciottenne consistevano in quel peccaminoso desiderio di un ragazzo e nelle relative fantasie e colpevoli masturbazioni.
Qui ha inizio una storia diversa, fatta d’amore, amore vero intendo, quello tra un uomo ed una donna, tra una femmina ed un maschio. Il principio di questa favola per adulti avvenne proprio in una di quelle sere d’inverno, con la grande stufa a legna accesa, dentro a quella camera con i pavimenti in parquet e con le pareti rivestite di perline chiare.
Erano le due di notte ed io dalla mia cameretta, che condividevo con mia sorella, mi accorsi che sotto la porta filtrava la luce proveniente dalla cucina, udii una flebile musica sensuale e pensai che, come spesso succedeva, mio padre si fosse addormentato su quella poltroncina di vimini. Mi alzai ed aprii la porta, non vedevo mio padre, coperto com’era dall’alta spalliera della poltrona, ma sentivo perfettamente il suo respiro affannoso. Sullo schermo del televisore una donna, quasi nuda, si muoveva sinuosamente, con le gambe aperte e le mani che si agitavano fra le sue cosce e sui suoi seni. Mi avvicinai per spegnere l’apparecchio e svegliare mio papà. Beh, lui sveglio lo era già. Vidi in quel momento per la prima volta in vita mia il pene di un uomo. L’avevo sempre immaginato, ma non lo pensavo così grosso e lungo. Io stavo attonita, sempre dietro di lui, ma defilata da una parte. Lui se lo teneva in mano e faceva scorrere lentamente la pelle del glande su e giù. Un taglietto in punta lievemente aperto dal quale usciva un liquido trasparente; lui ci passò sopra il pollice poi unì l’indice e tra le due dita comparve un filamento che formava un arco verso il basso. Se lo impugnò nuovamente e ancora a far scendere e salire la pelle. Aveva gli occhi chiusi il mio babbo, non guardava più lo spettacolo in televisione e si masturbava ora più velocemente. Poi avvenne quello che io in quel momento definii il miracolo. Mentre lui, con la bocca spalancata, sospirava affannosamente in sordina, vidi uscire da quella piccola feritoia, molti zampilli di quello che poi seppi essere sperma. Stupita ed emozionata, gli occhi fuori dalle orbite, con la mano destra sulla bocca a soffocare qualsiasi rumore, in punta di piedi, rientrai velocemente in camera mia.
Dopo pochi secondi udii la porta del bagno aprirsi e chiudersi e poi in meno di cinque minuti la musica cessare e la luce scomparire da sotto la porta della mia stanzetta.
Mi misi a letto, accesi la luce dell’abat-jour e mi accertai che la mia sorellina dormisse, poi da sotto le lenzuola sollevai la camiciola da notte ed insinuai fra le mie gambe la solita mia mano destra. Ero bagnata, mio padre, lui e il suo pisellone, mi aveva fatta eccitare a dismisura. Trovai sotto i polpastrelli delle mie dita il bottoncino che faceva capolino, lo sollecitai girandogli sopra in cerchio ed in breve i miei sensi si accesero ulteriormente fino a portarmi violentemente all’orgasmo. Mi pulii con dei fazzolettini umidi e mi rilassai.
Pensai naturalmente a mio padre, poverino, lui da parecchi anni non aveva più una moglie e certamente per lui era veramente frustrante fare da solo a quella età. Poi mi addormentai e mi svegliai al mattino bella pimpante e piena di voglia di vivere.
Preparai la colazione al mio papà e alla mia sorellina, poi canticchiando mi diedi da fare in casa a riassettare e a preparare qualcosa per il pranzo. Mi ricordo che quella mattina, guardai mio padre con un occhio diverso, era diventato improvvisamente un uomo. Non lo idealizzavo più come colui che sta sul piedistallo e che decide su tutto e tutti, ma ora, in fondo, lui mi faceva tenerezza, l’avevo colto in un suo momento di debolezza, in un frangente intimo e molto privato. La sera, mi venne il desiderio di coccolarlo un po’ e lo pregai di andare tutti assieme a vedere la tv in sala, usando quel divano che tenevamo sempre perfettamente in ordine e diligentemente coperto da un lenzuolo color rosso granata. Era il divano buono, quello per gli ospiti. Ma nella mia vita in quella casa, mi ricordo che solo una volta all’anno si metteva a disposizione di un ospite quel divano. Si, solo in occasione dell’arrivo del prete che passava a benedire le case, a prendere le offerte per la chiesa ed a bersi un buon caffè o un ‘cicchetto’ di Genepy.
Papà, inaspettatamente mi disse di si ed aggiunse anche che era ora di vivere quel simulacro rappresentato in casa nostra da quel divano inutilizzato.
Tutti e tre, papà in pigiama e noi femminucce con la camicia da notte, ci sprofondammo su quei fantastici cuscini imbottiti e in breve mia sorella si addormentò. La svegliai appena e l’accompagnai in camera, l’aiutai ad infilarsi sotto le lenzuola, le diedi un bacino sulla fronte e le augurai sottovoce la buonanotte. Tornai in sala e mi sedetti vicinissima a mio padre accoccolandomi contro di lui. Il mio acerbo seno era premuto contro il suo braccio destro e le mie cosce bianche erano scoperte fino a pochi centimetri dalla mia intima intimità. Lui, un paio di volte, mi chiese di spostarmi e di non stargli così addosso, ma io, facendo la gattina, miagolando un po’, strinsi più forte a me il suo braccio. La sua mano callosa si appoggiava inerte alla mia coscia ed io, fingendo di guardare lo spettacolo in tv, spiavo le sue reazioni ed anche l’eventuale erezione. Il pigiama era largo però mi parve di vedere sulla parte sinistra un bozzo sferico che puntava ed a volte si muoveva come se si contraesse. Mi disse che doveva andare in bagno, si sganciò da me e si sollevò in piedi, lo vidi, imbarazzato, nascondere con le mani la palese protuberanza che si evidenziava a livello pubico. Quando dopo una decina di minuti fece ritorno notai che tutto si era normalizzato. Lo lasciai da solo ed io mi appoggiai al bracciolo alla mia destra e poco dopo a mia volta andai a raggiungere il mondo di Morfeo. Fu papà a svegliarmi dicendomi di andarmene a letto. Profondamente addormentata mi alzai e biascicai: Buonanotte !! Quindi dopo essere andata in bagno mi infilai sotto le coperte e fulmineamente mi addormentai.
Lui al mattino alle otto, già non era più in casa, mi affacciai sul balcone innevato e vidi le porte della stalla aperte. Lo chiamai per la colazione e lui mi rispose dicendomi che sarebbe arrivato subito. Trascorsi la giornata con una specie di pizzicore che mi percorreva il corpo e mi tormentava anche la mente. Non vedevo l’ora di rimettermi con lui su quel divano e finalmente, dopo cena, la cosa si avverò nuovamente.
Andai in camera mia e come sempre mi preparai per la notte. Mi svestii e nuda mi guardai nel grande specchio che rifletteva la mia immagine. Come se fosse adesso mi rammento di quella giovanissima figura perfetta; l’ovale purissimo del viso che accoglieva i miei splendidi occhi azzurri sotto la corona delle ciglia scure, mi soffermai sul disegno della mia bocca e la trovai morbida e sensuale. Sciolsi i miei fulvi capelli, essi sotto la forte luce del lampadario a gocce luccicavano rimandandomi accesi bagliori. Le spalle erano minute, ma i seni non molto voluminosi, si dimostravano sodi e saldi, la vita stretta sui fianchi ben modellati, le cosce oblique, le lunghe gambe dalle caviglie snelle che si appoggiavano sui miei piccoli piedi. Mettendomi di profilo voltai il capo e osservai il mio culetto. Parrò immodesta e di certo narcisista ma il mio sedere liscio e ben modellato, con quei suoi piccoli globi sporgenti e tondi, era per me motivo di grande soddisfazione.
Mi cambiai indossando al posto della solita camicia da notte felpata, un’altra camicia, di colore grigio perla, leggermente più corta, molto più scollata e soprattutto parecchio trasparente. Come d’altra parte facevo di consueto, non misi le mutandine e quindi mi guardai ancora allo specchio.
Con quella mise le mie curve da eterna adolescente erano comunque abbastanza visibili. La leggera stoffa, dopo aver avvolto il seno, cadeva sui miei fianchi e li segnava il giusto, fasciando in modo molto sensuale anche il rilievo del mio sedere. Sfiorai con le dita i capezzoli e loro subito mi risposero irrigidendosi e premendo prepotentemente contro l’impalpabile stoffa. Come la sera precedente, mi sedetti a fianco del mio papà tenendo abbracciata a me la mia piccola sorellina. Attesi che Maria, come consuetudine, si addormentasse e quindi la misi a letto, tornai e mi attaccai, come una cozza allo scoglio, al braccio di mio padre. Notai che alcune volte, distrattamente, il suo sguardo cadeva nel solco delle mie collinette e più di una volta lo vidi osservare le mie gambe che da seduta rimanevano scoperte fino quasi all’inguine.
Il bozzo, come la sera prima, ricomparve arrogante e superbo a puntare contro la stoffa del pigiama, quasi a volersi liberare da quella stretta prigione.
Finsi di dormire e appoggiai il capo sulla sua spalla, simulai il respiro regolare di chi dorme e tra le palpebre dischiuse spiai le sue reazioni. Lui spostò lentamente il braccio destro e me lo mise attorno alle spalle, la sua mano pendeva come un corpo inerte contro il mio seno, delicatamente le sue dita mi vellicarono i capezzoli, sentii un fremito percorrere il mio corpo e mi mossi lamentandomi un po’ . Lui subitamente sollevò la mano e rimase immobile, ripresi a simulare il sonno e dopo qualche minuto percepii chiaramente la sua mano infilarsi nell’ampia scollatura della camicia da notte. Il mio seno destro era interamente nella sua mano, un fiume di umori mi inondò la vagina. Approfittai che in quella posizione lui non mi poteva vedere in viso ed aprii gli occhi, osservai attentamente l’altra sua mano che massaggiava il membro scorrendovi sopra, poi, con il pollice infilato sotto l’elastico del pigiama provvide a infilarne il bordo sotto i testicoli. Io, da finta addormentata, scivolai lievemente in basso appoggiando il volto sul suo petto. Vidi quel magnifico esemplare di cazzo, a pochi centimetri dalle mie labbra. Non sapevo allora che il pene si potesse anche prendere in bocca, ma comunque il mio istinto femminile mi attirava verso quella grossa cappella tumida e violacea. La sua mano destra ora si era spostata sull’altra tettina e si muoveva per sfiorarmi il rigido e puntuto capezzolo.
Ormai certo del mio sonno profondo, il mio paparino iniziò a masturbarsi senza ritegno, io vedevo il fungo porcino comparire e scomparire sotto la pelle del suo glande, lo vedevo gonfiarsi sempre di più, fin quando all’ultimo istante lui lo piegò in avanti ed eiaculò abbondantemente con lunghi schizzi che si spiaccicarono sul parquet del salotto. Immediatamente tirò su l’elastico del pantalone e poi si pulì le mani impiastricciate di sperma sulla parte interna della giacca del pigiama stesso. Mi svegliò e mi condusse verso la mia stanza provvedendo a farmi evitare di pestare il suo seme sparso qua e là sul pavimento.
Beh, credo sia inutile dirvi che anche in quella occasione mi masturbai ferocemente e raggiunsi un orgasmo così intenso, che fino allora non avevo mai provato.
La sera seguente lui dopo cena uscì, non prese la macchina e spiandolo dal terrazzino della mia camera lo vidi svoltare in piazza all’altezza della chiesa. Mi vestii, presi mia sorella e la condussi dagli anziani vicini di casa e chiesi loro se me la potevano guardare per massimo venti minuti. Gentili come sempre loro acconsentirono e così me ne andai seguendo la stessa direzione che aveva preso mio padre. Passai davanti alla chiesa e notai uno dei due battenti appena accostato. Piano piano aprii uno spiraglio, giusto il necessario affinché riuscissi ad entrare, poi, una volta scivolata all’interno, silenziosamente lo richiusi. Nell’aria aleggiava un gradevole profumo di incenso, solo alcune candele erano accese; in fondo, sulla sinistra, dalla porta che dava in sacrestia, una sottile lama di luce gialla si proiettava sul pavimento in marmo. Percorsi la navata laterale e giunsi alla pesante porta, spinsi il battente e mi trovai nella grande camera che precedeva la sacrestia. Sgattaiolai fino all’uscio e sbirciai dal buco della serratura. Giuditta, la perpetua, appoggiata con i gomiti alla scrivania e con la veste e la sottoveste sollevate, mostrava generosamente il sedere a mio padre.
Lui le stava dietro, in piedi, con il cazzo fuori e glielo batteva con forza sulle chiappe.
Udii lei supplicare mio papà a metterglielo dentro e lui le disse che era una puttana lecca balaustre. Poi vidi mio padre sputare della saliva fra le chiappe della donna e quindi la grossa cappella appoggiarsi al buchetto del sedere di lei. Vidi il mio genitore spingere e grugnire come un maiale, poi il grosso cilindro di carne sprofondò nelle viscere della donna. La sentii gridare…….
‘Ohhh Santa Maria!!!!!!!’
Lui le sculacciava le grosse natiche e si muoveva come un ossesso dentro al suo culo; percepii sotto ai miei jeans un lago caldo propagarsi all’interno delle pieghe della mia figa.
Sentii godere lei e subito dopo anche lui, poi lei gli porse un piccolo fazzoletto bianco, di quelli che Don Angelo usava per pulire il calice del vino la domenica sull’altare e mio padre invece si pulì per bene l’uccello. Anche lei usò un fazzoletto analogo per pulirsi la figa e il culo e quindi si salutarono baciandosi a stampo sulla bocca. Corsi via, percorsi la navata a tempo record e mi precipitai a recuperare mia sorella. Quindi, trafelata ed ansimante, con il cuore in tumulto, arrivai a casa e ci infilammo in camera nostra. Spensi rapidamente la luce e mi misi ancora vestita sotto le coperte. Sentii la porta di casa aprirsi e poco dopo anche l’uscio della mia cameretta si aprì, il capo di mio padre fece capolino nello spiraglio e poi la porta si richiuse. Senza accendere l’abat-jour mi spogliai e mi rimisi a letto. Ebbene si, anche in quella occasione cedetti alla tentazione e con le dita fra le mie cosce arrivai velocemente all’orgasmo. Per un’ora buona pensai a mio padre ed alla perpetua. Lei non era una meraviglia di donna, aveva una cinquantina d’anni un po’ corpulenta e, da quel che avevo visto, possedeva pure un bel culo grosso e grasso. Gliel’aveva messo in quel buchetto così stretto!! Non avevo mai pensato che si potesse fare, per me quello stretto anello, rappresentava solo il buco da dove usciva la cacca. Mi toccai il mio e lo trovai strettissimo, provai a infilarci un dito ma faticai parecchio, non mi sembrava così piacevole e poi un dito era un dito ma il pisellone di mio padre era tutta un’altra cosa!!!
I pensieri si accavallavano nel mio cervello, pensai anche a Don Angelo, il vecchio prete, chissà se si era mai accorto della tresca tra la sua perpetua e mio padre. Magari con Giuditta ci faceva qualcosa pure lui !!! . Papà, forse si era eccitato per me e poi non sapendo come soddisfare le proprie voglie era andato dalla perpetua, mah, chissà da quanto tempo durava ‘sta cosa !!! Mi addormentai ed al mattino vidi mio padre più allegro, in bagno canticchiava e fischiettava e, mentre mangiava la colazione, era sorridente e disponibile al dialogo.
Un pomeriggio, mentre io ero in cucina a pelar patate, sentii bussare alla porta, aprii e davanti a me vidi Giuditta. Arrossii io per lei, poi le chiesi cosa volesse e lei mi rispose chiedendomi se potevo dire a mio padre di andare in chiesa perché Don Angelo gli doveva parlare. La salutai piuttosto freddamente e lei se ne andò. Riferii al babbo ciò che mi aveva detto la perpetua e mi parve di vedere un sorriso appena accennato comparire sulle sue labbra. Ovviamente quella sera lo lasciai andare e poi lo seguii.
Arrivai in sacrestia e questa volta non vidi nessuno, sentii però delle voci soffocate provenire dal salone dell’oratorio. Aprii allora la porta a vetri e mi accorsi che da sotto l’uscio della palestra, in fondo alla sala, proveniva della luce fioca. Mi mossi in quella direzione e con mille precauzioni sbirciai all’interno. Sullo spesso materasso del salto in alto, Giuditta e papà stavano scopando. Lei supina a gambe aperte e lui, con i calzoni calati alle caviglie, le stava sopra; vedevo il culo peloso di mio padre sollevarsi ed abbassarsi di colpo, ad ogni affondo, la donna, urlava in modo prolungato la prima lettera dell’alfabeto. Avevo freddo e non volevo ancora correre il rischio, di dover battere il record dei cento metri piani com’era successo qualche sera prima e considerando pure che avevo visto abbastanza, me ne andai.
Meditai profondamente pensando a questa nuova situazione. Ero delusa, mia madre era stata una bella donna e sapere che papà l’aveva sostituita con quella grassa e informe perpetua, non mi dava pace.
La brutta stagione poco per volta andò a morire sostituita da quell’aria frizzante oppure anche umida e piovosa, ma messaggera di primavera alle porte.
Un pomeriggio di una domenica di Maggio, mentre il sole scaldava la terra e rendeva tutto più semplice da vivere, mio padre incontrò nella piazza del paese una signora con il marito. Era una donna che quando aveva diciotto anni aveva flirtato con il mio babbo.
Poi lei aveva preso la sua strada e lui era rimasto a vivere ed a lavorare nel suo paese, al quale era tanto affezionato. Per farla breve fummo invitati per la domenica successiva a casa loro. Mio padre tentò di rifiutarsi ma lei ed il marito insistettero così tanto che riuscirono a convincerlo.
Partimmo, come d’accordo, il sabato pomeriggio della settimana seguente. La poca pratica di mio padre nel guidare ci fece arrivare in zona verso l’ora di cena. Una volta in paese domandammo ad un signore se sapesse dove abitava la signora Matilde e costui subito ci rispose……..
‘La contessa Matilde Giustiniani Del Monte? ‘
Mio padre sbalordito disse……..
‘Non so, è una mia amica……….’
Costui guardò perplesso la vecchia ‘Croma’ di papà e poi ci indicò la strada.
Seguimmo le indicazioni, costeggiammo un grande lago e poi voltammo a sinistra salendo verso la collina, ci trovammo davanti ad un magnifico viale di faggi che portava ad un enorme cancello mirabilmente intarsiato in ferro battuto. Dietro, nel verde trionfo del parco, si ergeva una incantevole palazzina in stile seicentesco, illuminata con lampade a luce soffusa che disegnavano sui muri lunghi coni gialli; essi creavano un’affascinante atmosfera, assolutamente idilliaca. Mio padre posteggiò la macchina sul piazzale ghiaiato e subito un inserviente si prese carico delle chiavi e spostò la vettura sotto ad una tettoia laterale. Un cameriere ci accompagnò all’interno e a quel punto, noi tre poveretti, rimanemmo completamente sbalorditi.
Le pareti in stucco veneziano dorato erano adorne di meravigliosi affreschi e l’arredamento era costituito da soli antichi mobili preziosi. Non si udivano rumori, tutto era ovattato; dai bastoni dorati delle ampie finestre, pendevano drappeggiate, tende fabbricate con morbide sete. I pavimenti, in marmo rosa, erano ampiamente coperti da soffici tappeti, l’ambiente era caldo ed in quell’enorme salone, alcuni caminetti diffondevano un piacevolissimo tepore.
L’amica di papà e suo marito, vestiti come se fossero stati invitati al matrimonio della Regina Elisabetta, ci vennero incontro, ci abbracciarono calorosamente e ci fecero strada verso uno scalone sempre in marmo rosa che a semicerchio saliva al primo piano.
Percorremmo una balconata e giungemmo davanti ad una porta, ci fecero entrare e ci dissero di accomodarci e di sistemarci che la cena sarebbe stata servita alle ventuno.
Due camere comunicanti, una matrimoniale e l’altra più piccola con un solo letto singolo, esse erano divise da una porta in legno lavorato completamente affrescata, posizionata al centro della parete. Nella stanza grande si trovavano un enorme letto matrimoniale e diversi mobili, tutti di grande pregio, poi, appesi agli altissimi soffitti con su dipinte raffigurazioni di donne nude e uomini altrettanto nudi, enormi lampadari di scintillante cristallo. Guardando ancora gli affreschi delle volte, notai i piccolissimi piselli che il pittore aveva dipinto a quei maschi così potenti e muscolosi e dentro di me risi di gusto.
Dopo aver sistemato le nostre poche cose, in attesa che papà facesse le sue abluzioni in bagno, uscii sul terrazzino semicircolare e mi appoggiai al freddo davanzale.
Sul lago lontano, vedevo la riva che di lassù mi pareva assai remota. A far risplendere la serata, il chiarore della luna che dall’alto dominava le tenui luci artificiali.
L’acqua del lago era uno splendore, pareva metallo fuso, mantenuto liquido da un grande ed invisibile fuoco. Vidi su quella lucente superficie una barca in lontananza, con su una lampara dondolante e pensai romanticamente a stare su quella barca con un bel ragazzo, dolcemente abbracciati, entrambi con gli occhi persi dentro a quella magnifica luna. Dio mio, come doveva essere bello! Tolsi i gomiti dal davanzale ed incantata, mi appoggiai con la spalla e la tempia allo stipite della porta ad ammirare ancora, il mirabile spettacolo che la natura generosamente mi offriva. Poi, dopo qualche minuto, infreddolita, rientrai lasciando le persiane ed i vetri spalancati e, in attesa del babbo, sognante, mi allungai ancora sul letto e mi parve di immergermi in una bianca e liquida luce, mi sembrò che un poco di quel lago lontano fosse salito fino a me e che in quelle tiepide acque io mi cullassi mollemente.
Mio padre resuscitò dal bagno finalmente sbarbato e liscio, pettinato come mai l’avevo visto prima. Indossava il vestito carta zucchero, quello buono, sotto ad esso si era infilato una camicia bianca e, udite udite, una cravatta blue. Anche le mani erano pulite e linde. Non che lui fosse uno sozzone ma le mani callose a volte portavano sulla pelle un indelebile colore marrone che altro non era che la tangibile traccia del suo duro lavoro. Era un vero figo il mio babbo, un uomo niente male; nel vederlo così mi passarono nella mente le foto dell’album del matrimonio con mia mamma. Un poco più vecchio ma era sempre lui, il mio grande e fighissimo papà.
Nel salone, un lungo tavolo imbandito, di quelli che si vedono nei film, dove marito e moglie cenano soli, lontani dieci metri l’uno dall’altra.
Ci fecero sedere a tavola, io e mia sorella vicine al conte e il babbo lontano a fianco della contessa. Con loro c’erano anche i loro figli, due maschietti sui diciotto anni ed una femmina più vecchia che poteva averne all’incirca ventidue, ventitré.
Mi ricordo che io, immersa in quel lusso sfrenato, faticavo a scendere dalla mia nuvoletta. Osservavo tutti i particolari, i miei occhi vagavano qua e là e si soffermavano, ora sulle scintillanti posate in argento, ora sui tre calici di cristallo sfaccettati, che si trovavano ordinatamente disposti davanti ai piatti con il bordo laminato in oro. Notai che le impeccabili divise dei camerieri erano di colore e di foggia diverse da quella dell’azzimato maggiordomo. Ad un certo punto, mi accorsi che la contessa alzava il dito indice della mano destra, quasi ad indicare un lontano punto sul soffitto ed immediatamente, il maggiordomo accorse al suo fianco, lei fece un impercettibile cenno con gli occhi e subito uno dei calici sparì ed in pochi secondi ne comparve un altro. Vidi poi il capo rimbrottare sottovoce una ragazza vestita con il grembiulino bianco, lei subì la ramanzina con il capo chino, poi si fece carico del bicchiere incriminato e se lo portò via. I camerieri elegantemente, ci servirono i vari e numerosi piatti, tutti molto decorati e colorati ma venendo al sodo, le razioni, non furono in verità nemmeno troppo abbondanti. Comunque, dopo la frutta, il dolce, il caffè ed i vari liquorini, io credetti che la mia povera pancia stesse per scoppiare.
La conversazione si fece più particolareggiata e così venimmo a conoscenza della storia della Cenerentola Matilde. In pratica aveva conosciuto il giovane conte Lapo ed abilmente se lo era sposato, divenendo di diritto contessa di Val del Monte. Così da povera contadinella ora era divenuta una ricchissima donna rispettata ed onorata da tutti.
Verso la mezzanotte, il maggiordomo, si assentò un attimo e ritornò con in mano un’agenda, si apprestò alla destra del conte, posò sul tavolo lo spesso diario aperto e con l’indice guantato di bianco, probabilmente, mostrò al suo “padrone”, tutti gli appuntamenti e gli impegni per il giorno seguente.
A conferma di ciò, lui, da lì a poco, scusandosi con noi, ci salutò e se ne andò, scomparendo sulla scala in marmo rosa. Dopo altri dieci minuti anche Matilde si alzò, si scusò a sua volta e ci disse che se volevamo potevamo rimanere ma che lei si sentiva molto stanca e che sarebbe andata a letto. Per educazione seguimmo il suo esempio ed anche noi salimmo la scala ed entrammo in camera nostra.
Mio padre era molto brillo, mi accorsi che rideva con estrema facilità e che camminando, non riusciva a tenere bene l’equilibrio.
Andai in bagno per prima e dopo essermi rinfrescata i punti strategici, mi infilai la mia mitica camicia da notte grigia lucida ed uscii. Mio padre, vestito dei soli boxer, se ne stava seduto sul letto, tenendo i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa fra le mani…….
‘Papà, stai male??? ‘
Si voltò sorpreso, come se fosse la prima volta che mi vedeva in vita sua e poi……….
‘No, no, sto benissimo, mai stato meglio!!!!! Che serata !!!!! Eeehhh la Matilde !!! Eh,eh,eh,eh………. ‘
‘Ti è rimasta nel cuore quella donna eh??? ‘
‘Eh si eravamo giovani allora, ma me la sarei…….. eh,eh,eh,eh,eh ‘………. ‘
‘Te la saresti cosa???’
‘Eeeehhhhh, figlia mia……. eh,eh,eh, me la sareiiii……………. Scccopaaataaaa…. Eh,eh,eh,eh ‘….’
‘Papà ma come parli???? ‘
‘Eeehhh beh, eh,eh,eh, Scccopaaataaa……. eh,eh,eh. Sei giovaneeee, eh,eh,eh.
Sai cosa vuol direeee? Eh,eh,eh,eh………………….. ‘
‘Si papà, non so tanto ma qualcosa so anch’io……’
Onde preservare la purezza d’animo e di pensiero della mia sorellina Maria, la presi per mano e la condussi nella cameretta adiacente, la misi a letto, le feci recitare le preghiere, le rimboccai per bene le coperte, le augurai la buona notte, e, dopo aver spento la luce me ne tornai nella stanza matrimoniale.
La luce del bagno era accesa ed all’interno, mio padre canticchiava allegramente. Bussai alla porta e gli dissi…….
‘Papà, fai piano, è quasi l’una di notte!!!!!! ‘
‘Siiii, va beneee……… eh,eh,eh………… ‘
Pensai che mi sarebbe toccato mettere a letto pure lui e che dormendogli a fianco avrei passato la notte in bianco.
Nell’attesa mi infilai sotto le coperte ed attesi il suo arrivo. Mezza addormentata, sentii la chiave della porta del bagno girare nella serratura e lui, il mio babbo, comparve all’improvviso. Come un Dio greco lui era nudo, integralmente nudo…………
‘Ehiii, bambina miaa, eh,eh,eh,eh, lo hai mai visto un bel pisellone?????? Eh,eh,eh……… ‘
Finsi di scandalizzarmi e……….
‘Dai papà, sei ubriaco!!! Mettiti le mutande !!!!’
Il suo volto paonazzo portava stampato un sorriso compiaciuto. Si sedette sul letto e si infilò nudo sotto le coperte. Era un bell’uomo, muscoloso, con i pettorali pelosi, il ventre con gli addominali in evidenza ed ora che era ubriaco aveva perso quella maschera di uomo sempre serio, di uno con i sani principi del buon padre integerrimo.
Gli domandai a bruciapelo……
‘Papà, ma non ti manca la mamma?’
‘In che senso?…’
‘Beh, voglio dire….. come donna’ non ti senti solo? Non ti manca una donna?’
‘Eh,eh,eh ‘… ma che domande fai? Sono cose da grandi, non puoi capire’ sei carina ma sei ancora piccola”
‘Beh, non sono così tanto piccola!’
‘Vedi amore del papà la mamma non c’è più da molti anni e si insomma certo che mi manca tua madre!!! ‘
Lui era nudo sotto il lenzuolo ed io vedevo la forma del suo pisellone che un po’ sembrava muoversi a scatti…..
‘Papà ma……. col sesso come fai?’
‘Michela!! Ma che domande fai? Queste non sono cose che ti riguardano!’
Quella risposta fu come una frustata ed io vergognandomi un po’, mi voltai dall’altra parte e spensi la luce. Subito dopo, urtando maldestramente contro l’abat-jour, anche mio padre spense la sua.
Trascorsero alcuni minuti al buio, poi papà riaccese la luce e si sedette sul letto…..
‘Amore’ sei sveglia?’
‘Si papà sono sveglia…..’
‘Scusami per prima tesoro… eh,eh,eh, non mi aspettavo una simile domanda da te, sai sei ancora una bambina e……. anche se sei bellissima insomma non è facile parlarne con te”
‘Si papà, lo immagino, ma comunque io non sono più piccola, sono maggiorenne, ho poca esperienza della vita ma sono cresciuta e mi preoccupo per te….’
‘Non devi preoccuparti per me amore mio, il sesso non è poi così fondamentale nella vita’ ci sono altre cose, se c’è è meglio, ma se non c’è’ va bene lo stesso’ si sopravvive”
‘Si va beh, ma insomma…….per te, il sesso c’è?’
‘Dai, non chiedermi certe cose’ lasciamo stare”
Da qualche minuto mio padre pareva essere più sobrio, forse erano le mie domande un po’ troppo private che l’avevano fatto rinsavire ma, era diventato più serio e meno ridanciano.
‘Papà, cosa c’è di male se mi rispondi? Poi, vedo che il tuo pisellone sta puntando contro le lenzuola……’
Tanto era stato baldanzoso prima, quanto era diventato imbarazzato in quel momento………….
‘Tu sei mia figlia e questi discorsi io con mia madre non li ho mai fatti….’
‘Pà, i tempi cambiano e le bambine crescono…….’
‘Sono discorsi troppo intimi e non so………’
‘Papà, ascolta, a casa, la settimana scorsa, io ti ho visto mentre ti masturbavi ed ho sentito la tua mano che mi toccava le tette…….. Ti ho visto fare tanti schizzi sul pavimento…… E poi so anche tante altre cose di te e della perpetua……..’
Mio padre divenne ancora più violaceo in viso e sicuramente anche un’altra parte di lui in quel momento divenne gonfia e paonazza. Non lo lasciai rispondere e da sopra il lenzuolo, posai la mia piccola mano sul suo membro rigido.
‘Michelina mia, che fai??? Ti prego, non fare così, ti pre… gooo ‘.’
Presi il lenzuolo e lo buttai al fondo del letto, glielo presi in mano e per la prima volta nella mia seppur breve vita, tastai la durezza di un cazzo.
Lui eccitatissimo mi pregò ancora di smettere, poi vinto dal forte desiderio, mi mise una mano dietro le spalle e mi attirò a se facendomi piegare in avanti. Quindi mi sussurrò con voce roca e sensuale………
‘Ohh, Michelina…….. Prendimelo in bocca…….. ‘
Mi sdraiai sul fianco e mi coricai quasi sopra di lui, la mia bocca si avvicinò al suo maestoso fungo e lo circondai delicatamente con le labbra. La pelle vellutata del suo glande era tesissima e lucente, la mia lingua ed il mio palato percepirono un buon sapore agro dolce.
Lui mi accarezzava la nuca e mi spingeva dolcemente la testa dettandomi il movimento, mentre io, da allieva diligente, succhiavo e leccavo il suo grosso membro.
Alzai gli occhi e lo vidi con la testa leggermente reclinata all’indietro godersi quello che poi seppi chiamarsi pompino. Lo sentivo respirare ed ansimare sottovoce, gli impugnai il cazzo e mentre proseguivo a spompinarlo iniziai anche a fargli una bella sega…….
‘Brava amore del papà’ che brava che sei’ impari in fretta…… mmmmmmhhhhhh ‘.. mi piace’ mmmmhhhhh’. Che bello’. Siiiiiii’.’
Lasciai per un attimo l’oggetto del mio desiderio e……..
‘Ti piace papà? Adesso ci penso io a farti godere’ sono una donna ormai’ adesso ci penso io a te”
‘Ooohhh, amoreee ‘..sei la mia piccola donna, uummhhhh”
‘Siiiiiii’.. Uummmhhh, Uummmhhh, Uummmhhh, Uummmhhh, Uummmhhh………’
Ad un tratto smisi di succhiargli l’uccello, mollai la presa, mi sfilai la camicia da notte e mi misi a cavalcioni sopra di lui. Sentii il suo cazzone grosso e nodoso sfregare contro la mia fighetta bagnata.
‘Michela, che fai?… Non possiamo, tu non l’hai mai fatto”
‘Papà’ mmmmhhhhh’. Non l’ho mai fatto ma ne ho tanta voglia’. Ho voglia papà’. Dammelo’.. mettimelo dentro…..’
Lui infilò una mano fra le mie gambe se lo prese in mano e lo guidò contro la mia vergine vagina……
‘Ti faccio male amore?’
‘Un po’ papà, ma continua, continua ti prego, ora sono io la tua donna…..’
‘Aspetta Michela aspetta….’
Come se fossi un fuscello mi sollevò di peso, io in confronto a lui ero così piccola e minuta che quasi scomparivo, lui mi adagiò sul letto a pancia in su, lentamente mi divaricò le cosce, si chinò su di me e prese a leccarmi dolcemente la figa. Vedere il mio papà fra le mie gambe aperte mi fece molta tenerezza, pareva quasi che temesse di farmi male. Mio padre mi teneva la figa aperta con due dita e mi leccava dolcemente il clitoride acerbo, poi lo sentii scendere fra le grandi labbra fino ad insinuarsi con la punta della lingua dentro il mio piccolo antro bagnato. Ansimavo e gemevo, mi sentivo il viso in fiamme ed il respiro che diventava sempre più affannoso.
‘Siii’ che bello papà’ continua’ mi piace tanto’. Mmmhhhhh’..’
Tra una leccata e l’altra con la bocca impastata……
‘Ti piace piccola? Adesso ti riempio la fighetta di baci’.’
‘Si papà’ leccamela’. Leccami la figa’ aahhhhh’ aaaaaaahhhhhh!!!’
Ero fradicia di umori ed ero pronta a prendermi il cazzo di papà……
‘Ti è piaciuto amore?’
‘Si, tanto papà’ però adesso mettimelo dentro’ voglio essere tua’ prendimi papà’prendimi!!!’
Così dicendo, spalancai le cosce offrendo oscenamente la mia figa immatura a mio padre, lui era ormai in preda all’eccitazione e da quel momento abbandonò qualsiasi remora. Si distese su di me, ed appoggiò il cazzo alla mia piccola apertura, quindi spinse fin quando il dolore mi fece quasi svenire.
Fu dolcissimo mio padre, rallentò continuando però a stantuffarmi la figa.
Mi fece male per una decina di minuti poi sentendo il suo membro toccare il fondo della mia vagina, iniziai a provare piacere e poco per volta mi avvinghiai a lui spingendo il mio bacino verso il suo pube che intanto continuava a pomparmi, poi presi ad incitarlo………
‘Più forte’. Più forte papà’. Voglio sentirlo tutto’ tutto dentroooo
‘Siiii, te lo sbatto dentro fino alle palleeeee!!!!!
‘Aaaaaaahhhhh’. Siiiii’. Si papi’. Fino alle palleeee……. Ancoraaa, ancoraaa…..’
Mio padre accelerò il ritmo, ormai scopavamo come due forsennati. Fu così che finalmente provai un bell’orgasmo con un grosso cazzo dentro!!!
Quella sera misi a dura prova la resistenza del mio babbo rimettendomi io sopra di lui, a cavallo, mi guidai la cappella nuovamente contro la mia figa ormai deflorata e mi lasciai scivolare la grossa mazza tutta dentro fino alla radice. Mio padre mi prese per le chiappe e mi diede nuovamente il ritmo sollevandomi e lasciandomi cadere……….
Michelaaaa…. Sei fantastica’ scopi meglio di tua madre buonanima…… Mi fai morire”
‘Non pensare alla mamma papà adesso scopa me….. Sono io la tua donna papà’ non sei più solo’ Mmmmmhhhhh’. Mi fai godere tantissimo’. Sto venendo ancora’.’
‘Si amore, vieni’. Vieni piccola mia’. Godi’. Anche io vengo’. Vengo’. Sborrooooo!!!
Mi sborrò dentro la figa e quando mi sollevai, dalla mia vagina colarono fiumi di sborra che scivolarono fra le mie cosce depositandosi sul candido lenzuolo. Mi toccai poi con la mano e sentii un liquido vischioso molto caldo, mi guardai la mano e la vidi piena di sangue rosso vivo. L’ imene se n’era proprio andato e con lui la mia purezza.
Il giorno seguente tornammo a casa e la sera stessa mio padre volle rifare l’amore con me. Ma le sue intenzioni erano chiaramente altre e ‘………….
‘Papà, ti piace di più questa posizione??’
‘Si, si chiama pecorina…… Per l’uomo è la più bella perché ha davanti a se il sedere della donna e tu hai un sederino che è favoloso bambina mia!!!’
‘Ok papi, mettimelo dentro dai……’
Mi infilò il cazzo nella figa, mi scopò per una decina di minuti e mi fece venire, poi mentre mi aspettavo che venisse anche lui, di colpo me lo sfilò dalla figa e me lo punto sul buchetto posteriore………….
‘Cosa fai papà???’
‘Ho ancora voglia di leccarti……’
Sentii la sua lingua lambirmi la figa e risalire fino a leccarmi anche il buchetto del sedere.
Era bello sentire la sua lingua passare e soffermarsi a lungo sul mio piccolo sfintere.
‘Ummhhh, che figa fradicia che hai amoruccio mio ! Ti bagno anche il culetto con la mia saliva….. Ti piace quando ti lecco il culo?? ‘
‘Siii, papi, sii mi piace, mi pia…ce………’
Mi leccò ancora un po’ poi con un dito mi solleticò ancora la rosetta e la spinse leggermente dentro……..
‘Che fai papi??’
‘Dimmi se ti piace quando spingo il dito nel tuo buchetto….’
‘Si papi, mi piace ma mi fa anche un pochino male……’
Si rimise nella posizione precedente e me lo fece scivolare dentro la fighetta….
‘Ummmhhhh, papà, vienimi dentro dai………..’
‘No, Michelina, no meglio di no ho paura che mi resti incinta……’
‘Lo togli all’ultimo momento papi…….’
‘Ho un’altra idea amore mio….’
‘Vuoi che te lo prendo in bocca eh??’
‘No tesoro, no, l’idea è un’altra ‘…. ‘
‘Che vuoi fare papà??’
‘Te lo ficco nel culo Michela!!!!’
‘Oh no!!! No, non voglio, non voglio!!!!’
‘Stai brava, non gridare, e poi anche se gridi non ti sente nessuno, tua sorella è in chiesa a Messa. Anche noi facciamo la Messa adesso sai???’
‘Ma cosa dici papà, sei impazzito???’
‘Eh,eh,eh, si, facciamo la messa in culo!!!!!!’
‘No papà ti prego non voglio, non voglio!!!!’
‘Hai un culo che sarebbe un peccato non rompere!!!!’
‘Lasciami ! Sei cattivo ! Lì non voglio che lo metti !!!’
‘Che culo che hai amore che culooo!!!!’
Mi strinse i fianchi da farmi male piantandomi le unghie nella carne, poi sentii la sua grossa cappella dilatare il mio forellino e penetrare all’interno. In confronto alla perdita della verginità vaginale fu un dolore atroce; pensai che la mia stretta rosetta si fosse lacerata del tutto e in quel momento svenni. Mi svegliai poco dopo, con mio padre che teneva sempre il suo cazzone ben piantato nel mio culo e tirandomi per i capelli mi sollevava il viso e mi prendeva a sberle per farmi rinvenire. In effetti rinvenni e ancora sentii un fortissimo dolore…….
‘Dai Michelina, hai voluto il cazzo nella figa? E adesso completiamo l’opera ti svergino per bene il culo, te lo apro tutto!!!’
‘Papà lasciami stare sei un bastardo!!!’
In quel momento non riconobbi più mio padre, mi colpì le natiche con quattro o cinque sonore sculacciate poi………
‘E adesso stai ferma, ho il cazzo di marmo e devo sbattertelo nel culo!!!’
Le lacrime mi colarono copiose cadendo sul lenzuolo del letto, singhiozzavo mentre lui imperterrito continuava a spingermelo dentro. Mi sborrò nel culo mentre io seguitavo a sentire solo forte dolore. Me lo sfilò da dentro si pulì la cappella strusciandomela sulle chiappe e mi disse che lui aveva finito e che mi potevo rivestire.
Per una settimana non gli parlai e lui mi evitò accuratamente. L’atmosfera in casa era di ghiaccio, come di ghiaccio erano gli impacchi che per alcuni giorni feci al mio dolorante sfintere. La domenica successiva con Maria in oratorio, mio padre mi prese da parte e…….
‘Michela, vieni qui che ti devo parlare…….’
‘Cosa vuoi?’
‘Siediti che voglio spiegarti una cosa……..’
Mi sedetti e lui iniziò a parlare……
‘Volevo parlarti di quanto è successo la settimana scorsa. Ecco io sono un uomo solo e tu mi hai tentato fino a farmi capire che potevi essere tu la donna che sostituiva la mamma.
Fin qui è tutto chiaro?’
‘Si chiarissimo…..’
‘Ok, la mamma ed io facevamo l’amore allo stesso modo che l’ho fatto con te….’
“Cioè? ”
‘Eee.. cioè…..cioè che lei mi dava anche il culo e dopo le prime volte poi ci ha preso gusto e specie nei mesi prima del parto, per non disturbare la bambina, gliel’ho messo quasi sempre in quel buchetto lì e lei godeva come una matta. Hai capito adesso?’
‘Si pà ho capito, ma il dolore per me è stato troppo forte, forse la mamma aveva il buco più largo, non lo so, ma insomma mi hai fatta soffrire molto!!’
‘Michelina, la prima volta è la prima volta, ma la seconda sarà diversa, vedrai che comincerà a piacerti…..’
‘Pà, non ci sarà nessuna seconda volta…….’
‘Ci sarà, ci sarà, tranquilla, vedrai che ci sarà. Vedi, tua madre aveva un bel culo anche lei, ma tu sei un capolavoro, nemmeno il più bravo scultore del mondo potrebbe scolpirlo uguale!!!’
‘Papà, io non voglio più sentire quel dolore…..’
‘Vieni con me, andiamo a letto……..’
Tentai di scappare girando attorno al tavolo ma lui mi corse dietro e mi raggiunse prima che potessi uscire dalla porta di casa. Prendendomi per un braccio mi trascinò verso la camera da letto.
‘Vieni con me, non te ne pentirai, fai la troia per prendertelo in figa e adesso sei diventata schizzinosa per un po’ di dolore al culo??’
Mi prese e mi buttò sul letto, la sua mano destra artigliò la mia gonna e me la lacerò, la stessa fine fecero le mie mutandine, la maglietta e il reggiseno. Mi fece girare prona poi con forza mi sollevò i fianchi e mi sputò della saliva per lubrificarmi l’ano. Lui non si spogliò nemmeno, tirò fuori semplicemente il suo grosso e lungo batacchio e me lo appoggiò al culo ancora abbastanza slabbrato.
‘Toh, prenditelo nel culo troietta!!!!’
‘Ahiaaaaa, ahiaaaaa, mi fai maleeeeee…..!!!!’
‘Mi ecciti di più se ti lamenti sai???’
Me n’ero accorta dalla durezza del suo cazzone che ad ogni mia protesta sembrava gonfiarsi all’interno del mio intestino, dilatandomi ulteriormente lo sfintere.
‘Perché fai questo alla tua bambina???’
‘Perché mi piaci, perché sei una bella troia e perché mi fai godere come un matto!!!
‘Fai piano papà fai piano………….’
‘Dimmi che ti piace puttanella!!!!’
“Noo, non mi piace, non mi piace mi fai malissimo!!!!”
Mi appioppò quattro o cinque sonore sculacciate sulle natiche indifese e poi…..
“Zitta, zitta, prenditi il cazzone nel culo e godi, godi troietta di papà!!”
“Ahiaaaa,ahiaaaaaaa,che maleeeee”
“Ohh, ce l’hai quasi tutto dentrooooo”
“Ti pregoooo….”
“Ancora cinque centimetri poi te lo sei preso tutto troia!!!!!”
Me lo spinse dentro ancor di più, lo fece senza alcuna pietà…..
“Aaaahhhhhh, tuttooooo, tuttooooo, tuttoooooo, ti ci ficco dentro anche i coglioni maialina di papà!!!!”
“Fai pianooo, ti prego pianooooo”
“Ti ho spaccato il culooooo, ce l’hai quasi tutto piantato dentroooo!!!!!”
‘Mi fa un po’ meno ma..le……’
‘Adesso te lo ficco tutto dentro fino ai coglioni!!!’
‘Nooo, piano, pianoooo……’
Lo sentii entrare fino in fondo, la base larghissima del suo cazzo mi slabbrò ulteriormente il mio sfintere anale. Le grosse palle pendenti, mi sbattevano contro la figa, lui grugniva come un maiale e continuava a spingere. Per fortuna, che ormai la sua grossa mazza, aveva raggiunto il “fine corsa”. Interminabilmente lo sentii sfilarsi da dentro e poi ancora affondare millimetro dopo millimentro nel mio intestino.
Poi accelerò le sue immersioni e cominciò a sbattermi con colpi rapidi e profondi.
Percepivo ormai chiaramente, un certo piacere, che si mescolava al dolore dandomi delle sensazioni di godimento estremo. Il mio babbo bastardo non smise un attimo di pomparmi il culo e dopo un po’ di tempo cominciai a sentire arrivare da lontano un piacere sempre più forte. Alla fine, compresi che se mi fossi impegnata un po’ di più, la goduria sarebbe a mano a mano aumentata d’intensità. Provai a spingere come se dovessi fare la cacca e mi accorsi che il dolore diminuiva moltissimo, così in breve tempo arrivò il mio primo orgasmo anale.
Lui, subito dopo, con il cazzone affondato fino alla radice, mi sborrò in pancia, mi parve che una marea di liquido bollente mi avesse allagato completamente il ventre, poi, lui, con un flop sfilò il suo pitone dal mio culo ed io constatai con le dita che ce l’avevo aperto come la bocca di un vulcano .
Mio padre, da quella volta, ogni tanto, quando ne aveva voglia, mi faceva solo segno ed io, ubbidiente, lo seguivo in camera sua. Beh per qualche anno la cosa continuò fin quando io conobbi il mio attuale marito e me ne andai di casa. Il mio dubbio è ancora oggi uno solo: Maria, mia sorella, mi avrà sostituita in tutto e per tutto?
Maria, qualche anno più avanti, divenuta molto carina e piuttosto procace, mi confessò che……….
Buon sesso a tutti da parte di ombrachecammina
e-mail: alexlaura2620@libero.it
Sempre bello leggere i tuoi racconti, spero di non aspettare tanto per il prossimo capitolo
Storia interessante e piacevole lettura. Spero continui con il 10 capitolo
Racconti intriganti e piacevoli nella lettura complimenti. Aspetto da tempo e spero arrivi il terzo capitolo con finale
Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica