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29. LA SEGRETARIA

By 1 Maggio 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Fino ad allora ero stata una donna scialba, goffa, insicura e senza personalità. Avevo una famiglia medio borghese alle spalle, una madre apprensiva, un padre a volte assente e una sorella che pareva aver ereditato tutte le doti e le capacità che a me mancavano. All’età di ventisette anni vivevo ancora con i miei, svolgevo lavori saltuari e poco remunerativi ed ero ancora vergine.
Questa era la mia vita, sicuramente squallida ed insoddisfacente agli occhi dei più. Questa era stata la mia vita, fino a quel momento.

Quel giorno avevo partecipato al matrimonio di mia sorella Susy con un audace imprenditore e tutti la consideravano un’unione perfetta; ovviamente gli occhi dei presenti erano per lei, tanto incantevole, fasciata nel suo frusciante abito di seta avorio e raggiante come non mai. Io assistevo dal mio solito angolino, nessuno badava a me, ero il brutto anatroccolo. La mia non era invidia, adoravo mia sorella e non avrei mai potuto esserne invidiosa; la mia era piuttosto rassegnazione ed accettazione della condizione presente. Non avevo pretese, ero certa di non essere nel diritto di averne, ed ero sicura che mai nessuno avrebbe potuto trovarmi interessante. Così facevo da spettatrice alla mia vita ed alla vita di chi mi viveva intorno.

Quella sera, a festeggiamenti conclusi, avevo compiuto un gesto per me abituale, quando la frustrazione superava la soglia di tolleranza, quando mi guardavo impotente da fuori e pensavo che tutto quello che mi accadeva intorno fosse unicamente colpa mia, quando la sconfitta della mia esistenza mi schiacciava con la forza di un macigno. Quella sera mi ero tagliata, mi ero ferita con un piccolo temperino che avevo nascosto accuratamente perché mia madre non lo trovasse. Ero autolesionista, sì, lo ero ormai dall’età di tredici anni. I miei disagi e le mie sconfitte erano ferite che mi intaccavano il corpo e l’anima. Era il mio modo di affrontare la realtà, o forse il miglior sistema che conoscevo per sfuggirle.

Dopo il mio gesto catartico, ero scesa in cucina come nulla fosse, per bere una tazza di latte caldo. Sul tavolo avevo trovato un giornale di annunci. Distrattamente gli avevo dato una rapida occhiata, ma subito la mia attenzione era stata colpita dall’inserzione di un avvocato, in cui si richiedeva la collaborazione di una segretaria che sapesse dattilografare e rispondere al telefono. Forse quello poteva essere il lavoro che faceva per me, qualche mese prima avevo vinto un premio ad un concorso di dattilografia.

Il giorno seguente mi ero recata all’indirizzo indicato nell’inserzione e sul vialetto compariva una curiosa insegna luminosa in cui si segnalava la richiesta di una segretaria. Avevo bussato timidamente e, non ricevendo alcuna risposta, ero cautamente entrata. All’interno non c’era nessuno. In fondo al corridoio buio c’era una porta socchiusa. Mi ero avvicinata ed avevo nuovamente bussato. Una voce tonante dall’altra parte mi aveva invitata ad entrare. Con l’insicurezza di sempre mi ero accostata alla scrivania, dietro la quale era seduto un elegante ed affascinante avvocato sulla trentina.
‘ Mi chiamo Liv Holloway. Sono qui, per il lavoro di segretaria”
‘ Bene. Sa dattilografare?’
‘ Ho frequentato un corso e questi sono i miei voti”
Gli avevo detto con un filo di voce, porgendogli con mano tremante una sorta di diploma stropicciato.
Lui lo aveva letto ed un leggero sorriso gli aveva increspato le labbra. Lo avevo guardato con aria interrogativa, ma lui mi aveva incalzato con le sue domande piuttosto particolari.
‘ E’ incinta?’
‘ No!’
‘ Ha in programma di rimanere incinta?’
‘ No!’
‘ Dove vive?’
‘ In una villa con i miei genitori.’
‘ Ha sorelle, fratelli?’
‘ Una sorella, che vive vicino a noi col marito.’
‘ E’ sposata’
‘ No.’
‘ E’ fidanzata?’
‘No.’
Non riuscivo a comprendere il senso di quella raffica di domande. Il suo atteggiamento era quello di un uomo sicuro di sé e distaccato.
‘ Mi porti una tazza di caffè zuccherato!’
La sua richiesta mi aveva colta di sorpresa, ricordo che mi ero aggirata titubante nell’appartamento per cercare la macchina del caffè.
‘ Ecco a lei, signore, spero sia di suo gradimento. ‘
‘Bene, signorina Holloway, il lavoro è suo, ci vediamo domani mattina alle sette e trenta. Ah, d’ora in avanti gradirei meno zucchero nel caffè!’
‘ Certo.’ Avevo mormorato io, visibilmente a disagio.

Quella notte avevo avuto un sonno piuttosto agitato e la mattina seguente il mio stomaco era talmente chiuso, da non permettermi neppure di bere una tazza di caffè.
‘ Sono qui, signor Grey!’
‘ In perfetto orario! Bene! Questa è la sua scrivania. Mi batta queste tre lettere per le dieci e mi sistemi l’archivio!’
Il tono era quello freddo e distaccato del giorno precedente; non un sorriso, non un’occhiata gentile e comprensiva.
‘ Ah, mi porti una tazza di caffè!’
Quella giornata in ufficio era trascorsa velocemente, tra scartoffie e la macchina per scrivere, e non mi era affatto parso un lavoro noioso come mi era stato prognosticato dal signor Grey.

Lavoravo da poche settimane presso lo studio dell’avvocato ed un giorno lui mi aveva chiamata nel suo ufficio.
‘ Signorina Holloway, Liv, da quanto tempo lavora per me?’
‘ Da circa un mese, signor Grey”
‘ Voglio essere quanto più chiaro possibile. Finora ho lasciato correre, perché ho ritenuto che si trattasse di semplice inesperienza; ma ora non posso più tacere. Le lettere, Liv, le lettere sono piene di errori di battitura! Non posso tollerarlo, non posso permettermi di fare simili figure nei confronti dei miei clienti!’
Il suo tono era stato molto duro. Mi ero sentita piccola piccola, sotto il suo sguardo accusatore.
‘ Mi perdoni, signore, non accadrà più”
‘ E non è finita! Ci sono altre cose che non vanno, ad esempio il suo modo di rispondere al telefono. Lei sussurra, non ha un tono convincente. Inoltre gioca sempre con i capelli e tira su col naso in maniera davvero poco elegante e professionale. Per non parlare del suo abbigliamento, scialbo e per nulla consono all’immagine dello studio. ‘
Ero rimasta a bocca aperta. Mi aspettavo un rimprovero, non certo un elenco così dettagliato delle mie mancanze. Non mi era restato che scusarmi umilmente per ogni cosa.
‘ Le do un’altra possibilità, Liv. Scriva nuovamente questa lettera e me la riporti tra venti minuti!’
Ero uscita dal suo ufficio con le lacrime agli occhi, stringendo il foglio nella morsa del mio pugno. Avevo bisogno di ferirmi e di punirmi, per superare quel senso di impotenza e di frustrazione.

Dal cassetto avevo preso il temperino, mi ero sollevata la gonna oltre il ginocchio e mi ero affondata la lama nella carne. Una leggera smorfia di dolore ed era tutto finito.
Non mi ero però accorta che Edward mi aveva spiata ed aveva assistito a quel gesto inconsulto.

Avevo cercato di battere la lettera richiesta nel minor tempo possibile, ma l’agitazione che mi smuoveva dentro rendeva piuttosto arduo il compito. Nonostante tutto, dopo venti minuti mi trovavo nel suo ufficio. Con aria severa, il signor Grey aveva analizzando lo scritto, mentre io mi ero sentita una timida studentessa sotto esame. Dal cassetto dello scrittoio, Edward aveva tirato fuori un pennarello rosso ed aveva cerchiato un evidente errore di battitura. Ero convinta che sarebbe finita lì, ero certa che lui mi avrebbe licenziata senza troppi preamboli. Il suo sguardo era torvo e severo.
‘ Liv, si avvicini, appoggi i gomiti sulla scrivania e si chini il più possibile per leggere la lettera!’
Il suo era stato un ordine perentorio, di cui io avevo stentato a trovare il senso.
‘ Come?’
‘ Si chini sulla scrivania e legga quella maledetta lettera!!!’
Non mi era rimasto che ubbidire. Come un automa, avevo appoggiato gli avambracci sul piano dello scrittorio ed avevo cominciato a legger la lettera sottovoce.
‘ A voce più alta, sia decisa!’
Aveva incalzato lui. Avevo aumentato il volume della mia voce, cercando di apparire il più convincente possibile. Poi, improvvisa come un fulmine a ciel sereno, avevo sentito la fitta lancinante di una sculacciata sul sedere. Lui aveva cominciato a riempirmi le natiche di violenti scappellotti.
‘ Non si fermi, legga!’
Aveva urlato lui, col tono alterato dall’eccitazione. Dal canto mio, avevo proseguito nella lettura, guaendo ed ansimando come una cagna sotto i suoi colpi. Non ero riuscita a distinguere il piacere dal dolore: erano tutt’uno, mentre la mia fica si era bagnata sempre di più ad ogni sculacciata, tanto da rendermi difficile il proseguo della lettura.
‘ Ancora, la legga ancora!’
E di nuovo le sue percosse, di nuovo quel misto di dolore e di eccitazione.
Poi, tutto d’un tratto, l’avvocato si era ricomposto e aveva smesso di prendermi a sculacciate.
‘ Può andare, spero che d’ora in poi vorrà limitare quanto più possibile gli errori di battitura!’
‘ C-certo, signore.’
Avevo risposto io, ancora scossa dall’accaduto.

Rapidamente ero uscita dal suo ufficio e mi ero chiusa nel bagno. Mi ero sollevata la gonna fino alla vita e mi ero abbassata il collant e gli slip. Avevo stentato a focalizzare il riflesso che lo specchio mi stava rimandando; il mio culo era bordeaux e ricoperto di ecchimosi. Ancor di più mi aveva sorpresa la mia reazione a quella violenza gratuita. Il fatto che lui mi avesse punita e si fosse esaltato mentre lo faceva, mi aveva eccitata e mi aveva dato una sferzata di adrenalina.

Gli episodi si erano sporadicamente ripetuti. Io sbagliavo, spesso di proposito, a battere le lettere, e lui mi faceva piegare sulla scrivania colpendomi ripetutamente il sedere con le sue mani forti. Io ero sempre più eccitata ed assecondavo i suoi colpi, inarcando la schiena il più possibile ed offrendogli compiaciuta il mio culo. Ad ogni sferzata sentivo una fitta di piacere che mi pervadeva il corpo, come una scossa elettrica. Mi stavo assuefacendo a quella pratica, stavo diventando dipendente dal suo modo di comandarmi e di imporsi. Oltretutto una mattina, mi aveva parlato come mai nessuno aveva fatto, dicendomi che mi aveva vista ferirmi quel giorno in ufficio; non mi aveva chiesto spiegazioni, non mi aveva giudicata, mi aveva solo fatto promettere che non lo avrei mai più fatto. Ormai nella mia mente esistevano solo lui ed il potere che lui esercitava su di me. Gli telefonavo persino la domenica per farmi dare un comando qualsiasi che io eseguivo alla perfezione, bagnandomi per l’eccitazione.

Un giorno mia madre mi aveva convinta ad accettare l’invito a cena di un mio ex compagno del liceo. Malvolentieri mi ero preparata ed ero uscita con lui. La serata era stata tranquilla: niente colpo di fulmine, niente scintille, niente eccitazione. Lui mi aveva baciata castamente ed io avevo ricambiato in maniera incolore. Durante tutta la cena non avevo fatto altro che pensare a lui, al mio avvocato, alle sue mani che mi colpivano pesantemente il culo, alla sua forza ed ai nostri sospiri. Salita in camera mia, non avevo potuto fare a meno di masturbarmi, pensando a lui ed a tutte le sensazioni che mi stava regalando. Nella mia mente avevo rivissuto le mie sensazioni, la mia voglia di essere sbattuta e scopata da lui su quella scrivania.
‘ Sì, Edward, voglio essere la tua segretaria, voglio esserlo per sempre, sono tua, Edward”
Quella sera nel mio letto mi ero toccata con furore, mi ero toccata come mi sarebbe piaciuto che avesse già fatto lui. Ma lui non mi aveva mai scopata, non era mai andato oltre le sculacciate.

Erano passate un paio di settimane da quella serata ed il mio avvocato era cambiato. Non mi aveva più ripresa e rimproverata per gli errori di battitura che io ripetevo appositamente perché lui si accorgesse di me. Anche il mio abbigliamento ed il mio atteggiamento erano ammiccanti, ma lui pareva non vedermi nemmeno. Non sapevo più che cosa fare per attirare la sua attenzione. Mi mancava. Mi mancava pazzamente, ero in astinenza. Dal suo ufficio avevo spesso sentito provenire strani rumori e gemiti. Incuriosita, avevo socchiuso leggermente la porta e lo avevo visto mentre si dedicava a faticosi esercizi ginnici.

Un pomeriggio mi aveva chiamata con l’interfono, chiedendomi di andare da lui.
‘ Ecco, finalmente!’, mi ero detta io.
‘ Il signor Grey la prega di attendere qualche minuto, signor Mardok!’, avevo detto rivolgendomi al cliente che era appena entrato. Leggera come una farfalla mi ero fiondata trepidante nel suo ufficio.
‘ Chiuda la porta, Liv!’
‘ Qualcosa non va?’
‘ La sua lettera, Liv, è zeppa di errori. ‘
Un sorriso di soddisfazione mi era apparso sulle labbra, alla vista della mia lettera piena di segni rossi.
‘ Mi scusi, signor Grey”
‘ Non si scusi! Avanti, gomiti sulla scrivania!’
Avevo ubbidito all’istante.
‘ Ora si tiri su la gonna!’
Avevo eseguito, quel gioco mi era mancato.
‘ Si cali i collant e le mutandine, subito!’
Questo non me lo aveva mai domandato e per un attimo ero rimasta sorpresa.
‘ Su, avanti signorina Holloway! Non avrà paura che io voglia scoparla? Non si preoccupi, non ho alcuna intenzione di farlo. La cosa non è di mio interesse. Ora, obbedisca all’ordine, si cali collant e mutandine!’
‘ Va bene. ‘
Come ipnotizzata, avevo eseguito l’ordine e la mia nudità appariva indifesa sotto il suo sguardo e sotto le sue mani. Avrebbe potuto fare di me ciò che voleva, avrebbe potuto scoparmi e percuotermi a sangue. Ero eccitata e trepidante come una vergine all’altare. Le sue mani avevano cominciato a carezzarmi le natiche sempre più vigorosamente. Poi una sberla, un’altra ed un’altra ancora. Io ansimavo, ferma, immobile, il mio corpo alla sua mercé, mentre il cuore mi batteva a mille nel petto.
‘ Sì, signor Grey, sì!’
‘ Vuole essere ancora la mia segretaria, signorina Holloway?’
‘ Sì, la sua segretaria, per sempre, sì sì!’
Non mi stava facendo nulla, non fisicamente almeno, non mi stava nemmeno toccando, eppure la mia eccitazione era alle stelle. Ansimavo, come ad un passo dall’orgasmo. La sua voce era tonante, imperiosa, lo sentivo gemere, mentre mi parlava. Mi chiedevo che cosa stesse facendo, per essere così eccitato. Poi ho capito, quando ho sentito gli schizzi del suo sperma sul mio culo e sulla mia camicetta bianca. Si era masturbato su di me, era venuto sul mio corpo, ero stata lo strumento del suo piacere incontrollato.
‘ Ecco fatto! Si può rivestire, Liv!’
Avevo cercato di ricompormi come meglio avevo potuto. Lui mi era parso piuttosto scosso, era rosso in viso e aveva i capelli arruffati.
‘ Esca, avanti e faccia entrare il signor Mardock!’
‘ Subito,signore!”
Appena avevo potuto, mi ero infilata nel bagno e mi ero masturbata freneticamente, rivivendo quei brevi momenti.

Qualche giorno dopo, lui mi aveva richiamata nel suo ufficio.
‘ Liv, non può continuare così. So che lei ha un fidanzato.’
‘ Sì signore, ma non è una cosa importante”
‘ Non è questo il punto. Così non può funzionare. Io sono il datore di lavoro e lei è alle mie dipendenze, non può esserci altro, non deve esserci altro!’
‘ Che cosa intende dire, signor Grey?’
‘ E’ licenziata, signorina Holloway. Raduni le sue cose e se ne vada!’
‘ No!’
‘ Come?’
‘ No, non può trattarmi così, come se nulla fosse!’
‘ Che cosa sta dicendo, Liv?’
‘ Voglio fare l’amore con lei, Edward, ora!’
‘ Questo non è possibile, siamo andati oltre, se ne vada, sennò non riuscirò a fermarmi! Vada!’
‘ No, non mi cacci via, la prego”
‘ Non implori, Liv, non servirebbe a farmi cambiare idea. Ora, vada!’
Quanto gelo avevo avvertito nelle sue parole, non una nota di comprensione, non un accenno di ripensamento. Il suo sguardo era duro. Mio malgrado ero stata costretta a radunare le mie cose e a lasciare quell’ufficio e la speranza di riavere quello che mi era sfuggito.

Andandomene con le lacrime agli occhi, non avevo potuto fare a meno di notare che l’insegna in fondo al vialetto era tornata ad illuminarsi. Ero scappata a casa e mi ero rifugiata nella mia stanza. Come avrei fatto a liberarmi di quel senso di profonda frustrazione? Non avevo più lui a punirmi, a percuotermi, ad eccitarmi. Lui mi aveva esclusa in un attimo dalla sua vita. Avevo preso una spazzola con gli aghi rigidi ed avevo provato a colpirmi le natiche nude con quella, ma non era stata la stessa cosa, e dopo tre colpi, piena di rabbia, l’avevo scagliata contro la parete.

Per un mese ero andata tutti i giorni davanti al suo ufficio per provare ad incontrarlo, ma non ero mai riuscita a scorgerlo. Aveva assunto una nuova segretaria e con un senso di gelosia e di nausea mi ero chiesta se serbasse per lei lo stesso trattamento che aveva riservato a me.

Intanto avevo continuato ad uscire con William, il mio ex compagno di liceo, avevo continuato a fingere ed avevo conosciuto la sua famiglia. Ricordo la prima volta che ci ho fatto sesso, quella che era stata la mia prima volta. Ricordo la sua emozione e la sua cautela nel penetrarmi, ricordo la mia totale insensibilità e la mia assenza di desiderio, ricordo che avrei voluto forti sculacciate sul sedere per eccitarmi e ricordo che non ho fatto altro che pensare al mio avvocato.
‘ Ti ho fatto male, Liv?’
Mi aveva chiesto amorevolmente William, alla fine del rapporto.
‘ No, no, non preoccuparti”
Era venuto dopo poche spinte, rantolando, mentre mi penetrava sdraiato sopra di me; mi era venuto dentro ed io non avevo sentito nulla, né scosse, né scariche di adrenalina.

Due sere dopo avevo l’anello al dito e dopo un mese avevo un appuntamento per andare a provare l’abito da sposa. Mi ero recata in sartoria un venerdì pomeriggio, scortata da mia madre, mia sorella e mio padre. Una volta lì, mentre mi stavo apaticamente guardando allo specchio con indosso l’abito da sposa, mi ero resa conto che quella non sarebbe potuta essere la mia vita. Per la prima volta ero consapevole di star facendo la cosa giusta, quando mi ero messa a correre a perdifiato senza guardare in faccia nessuno, per raggiungere il suo ufficio. Avevo spalancato la porta e mi ero precipitata ansimando e piangendo nel suo studio.
Lui era stato sorpreso di vedermi.
‘ Che cosa ti prende Liv? Hai bisogno di me?’
‘ Sì, Edward, ho bisogno di te, ti amo, ho bisogno di fare l’amore con te!’
Il mio tono era stato disperato e concitato. Lui mi aveva squadrata e dopo una manciata di secondi mi aveva detto:
‘ Va bene, siediti alla mia scrivania, appoggia le mani sul piano coi palmi in giù e non muoverti fino al mio ritorno!’
Avevo obbedito all’istante. L’unica cosa che in quel momento mi interessava era stare con lui ed essere scopata e posseduta come avevo sognato in tutti quei mesi. Le prime due ore erano passate abbastanza rapidamente, tanto era alto il mio desiderio. Non avevo avuto il minimo sospetto che lui mi stesse spiando per vedere come mi stavo comportando. Quello sarebbe stato il modo per dimostrargli il mio amore e la mia assoluta devozione. Niente mi avrebbe smossa da quella sedia, nemmeno il tumultuoso arrivo del mio fidanzato. Con freddezza e distacco avevo dichiarato a William di non averlo mai amato e gli avevo ordinato di andarsene e di lasciarmi stare.

Tre giorni avevo trascorso in quell’ufficio, tre giorni senza bere e senza mangiare. Ero sfinita, distrutta, puzzavo di sudore e di urina, ma avevo promesso ad Edward che mi avrebbe ritrovata lì al suo ritorno e sarei stata pronta a lasciarmi morire, pur di non spezzare quella promessa.

La sera del terzo giorno, eccolo, era apparso sulla soglia della porta, era lui, era lì per me, finalmente. Ero stordita, ma ricordo che Edward mi aveva presa in braccio e mi aveva portata a casa sua, per prendersi cura di me. Le ore seguenti lui era stato amorevole, mi aveva spogliata, mi aveva fatto il bagno, lavandomi e massaggiandomi la testa. Mi aveva asciugata e vestita. Mi aveva nutrita. Poi, come in un sogno, si era steso al mio fianco e mi aveva baciata con tutto l’amore e l’ardore che in quei mesi aveva cercato di nascondere.
Il mio Edward, il mio avvocato, l’unico uomo che avrei mai potuto desiderare, il primo uomo che mi aveva fatto scoprire il piacere. Ci eravamo amati quella notte, con l’ardore e la passione di due amanti ricongiuntisi dopo lunghe peripezie. Niente sberle, quella sera, niente violenza, non c’era motivo per cui io dovessi meritare una sua punizione. Mi aveva penetrata con estrema dolcezza, il suo uccello mi ondeggiava dentro, profondo. Ricordo di aver avuto un orgasmo esplosivo e liberatorio, migliore di quelli che avevo tante volte immaginato nelle mie fantasie su di lui. I mei seni erano stati solo suoi, il tocco delle sue mani era stato rassicurante, il passaggio della sua lingua eccitante. Ricordo il suo orgasmo, i fremiti, i sussurri d’amore al mio orecchio, il suo abbraccio avvolgente.

Ricordo ogni momento. Ricordo tutto anche ora che siamo sposati, e che viviamo sereni. Tutto è perfetto, nessun errore, nessuno sbaglio, nessuna esitazione e nessuna frustrazione. Eppure un angolino remoto della mia mente mi suggerisce che qualcosa mi manca, qualcosa che mi ha forgiata nel profondo. Un lampo, improvviso, un bisogno irrinunciabile.

Forse questa sera, quando Edward tornerà a casa da me, si accorgerà di una mia mancanza e deciderà di adottare un trattamento speciale nei miei confronti.

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