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Racconti Erotici Etero

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By 11 Aprile 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Aveva negli occhi un qualcosa di particolare, la sua figura era avvolta in un velo di mistero che lo rendeva ai miei occhi la creatura più bella che avessi mai visto sulla faccia della terra. Camminava con passo lento e rilassato, la testa alta e le mani in tasca. Dio quanto era bello. Sembrava avesse tempo da perdere. I suoi capelli castano scuro, lunghi fino alle spalle, erano mossi da quel vento tiepido primaverile che spandeva tuttintorno il suo profumo, mentre i suoi grandi occhi scuri fissavano un punto non ben definito in lontananza. Pareva completamente assorto nei suoi pensieri’

Gli camminavo appresso, non per inseguirlo certo, chi ne avrebbe mai avuto il coraggio, ma credo che stessimo percorrendo la stessa strada, diretti nello stesso luogo. Ai prati del Talvera’

Ero nervosa quel giorno. Sentivo dentro al mio cranio una raffica di esplosioni nervose, qualsiasi cosa mi infastidiva. Avevo mille pensieri che frullavano nella testa. Mille domande e nemmeno una risposta. Perché Cristo Santo stavo così? Mi faceva male la fronte da quanto era corrucciata nonostante cercassi di rilassarmi. Camminavo come se qualcuno mi stesse inseguendo. Penso che se qualcuno m’avesse vista in quello stato, con quella fitta rete di rughe sulla fronte, avrebbe creduto che fossi una pazza squilibrata fuggita da chissà quale centro di riformazione psichiatrica. Nel camminare mi accorsi che tre dei miei passi equivalevano ad uno dei suoi. Ad occhio e croce sarà stato all’incirca un metro e ottanta perché io ero sicuramente trenta centimetri più bassa di lui. Vestiva sportivo mentre io stranamente quel giorno vestì da vera e propria signorina, con un paio di Blue Jeans, un sobrio maglioncino bianco con collo a “V” e un paio di ballerine rosse in tinta con la mia borsa.

Cominciò a frugarsi nelle tasche e ne estrasse un pacchetto di Lucky’s. In tutta calma ne prese una e la infilò tra le labbra. Rimise il pacchetto in tasca e riprese a frugarvi dentro. Evidentemente cercava un accendino. Non lo aveva, perciò cominciò a guardasi attorno. La strada era deserta cosa che lo costrinse a girarsi nella mia direzione. Si fermò, e disse “Ciao’scusa. Avresti da accendere?” A quelle parole mi pietrificai. Cominciai a balbettare qualcosa mentre cercavo ciò che mi chiese nella borsetta. Immagino di essere diventata rossa perché il viso cominciava a bollire ed il mio cuore batteva in maniera spropositata. La mia fronte improvvisamente si rilassò ed i miei occhi si sbarrarono di fronte a tanta bellezza. La mia espressione non deve essere stata delle migliore difatti lui mi fissava divertito. Credo capì che ero agitata e sono convinta che la cosa lo interessasse. Rise. Poi, tagliente, tornò a ridomandarmi, con tono ironico, l’accendino scandendo le parole una ad una “Scusa hai da accendere?”. Presi in mano le redini della ragione, mi schiarì la voce e dissi con tono disinteressato “Ma certo, aspetta un secondo!”. Feci un po’ la prima donna in quel momento, dopo una figura del genere &egrave il minimo che potessi fare. Finalmente lo trovai. Quei dieci, al massimo quindici secondi, mi sembrarono un eternità. Fremevo all’idea di averlo di fronte a me, qualsiasi ragazza che fosse passata di la, credo mi avrebbe invidiata a morte, quindi cercai di assumere un atteggiamento più rilassato possibile. Nel estrarre l’accendino dalla borsetta mi cadde a terra e fulminea mi abbassai per raccattarlo. Peccato che fece così anche lui finendo così la scenata in una bella testata che ci costò entrambi un bel bernoccolo. Mi presi la testa tra le mani e cominciai a saltellare come una stupida. Mamma che botta, normalmente avrei reagito con un ceffone o con un bel insulto articolato, generato dalla mie radici tosco-umbre, ma in cuor mio ero emozionata, capì immediatamente che tutto ciò avrebbe portato ad un discorso. Rise nuovamente. La scena lo divertiva alquanto ma anche lui, pur sempre controllando il suo atteggiamento, si mise la mano sulla fronte strizzando un po’ gli occhi. “Tutto ok?” chiese. Io serrando i denti dissi “Si, si, non ti preoccupare. Tra un minuto passa.” Raccolsi dolorante l’accendino e glielo porsi. Un sussulto mi prese nel momento in cui lui sfiorò la mia mano per prenderlo “E’ costato un bel po accendersi questa sigaretta” disse sorridente mentre l’accendeva. Venne da ridere a tutti e due. “Piacere, Alessandro”. Ora sapevo il suo nome! Come suonava bene, come rimbombò dolcemente nelle mie orecchie, nella mia testa e nel mio cuore. Dopo un attimo di totale silenzio dissi: “Piacere Isabella”. Il suo volto cambiò espressione. Per un istante ci fissammo intensamente. Scosse la testa e la sua espressione tornò nuovamente quella di prima. Perché mi aveva fissata così? Speravo in quel momento di apparire carina ai suoi occhi. Quanto l’avrei desiderato’

“Stavi andando ai prati?” domandò. “Si, anche tu?”chiesi immediatamente. “Si, ci vado spesso’Poi ne approfitto.In questi giorni il tempo &egrave bellissimo”. Effettivamente il sole scaldava molto ed il vento era altrettanto caldo. Era marzo ma c’erano buoni 25 ‘C. “Si, hai ragione’Avevo voglia di farmi una passeggiata. Strano ci sia così poca gente in giro con questo tempo” gli feci notare.
“Senti’ per riparare al mio danno ti offro qualcosa da bere al baracchino all’inizio delle passeggiate.Sempre se ti va!!!” questo &egrave ciò che mi chiese. A queste parole riuscì a trattenere a stento un grido di gioia. Ora i miei battiti cardiaci si erano triplicati e il mio respiro aumentò la sua frequenza. Non avevo né appuntamenti né nient’altro da fare. Quindi accettai l’invito. Sembrò contento della cosa e quindi ci avviammo. Subito dopo mi sentii leggermente a disagio perché non parlammo molto , solo le tipiche domande formali ‘Sei di qui?- -Quanti anni hai?-. Lui aveva un anno in meno di me ma ne dimostrava un paio di più. Arrivammo a destinazione. Ci accomodammo ad un tavolino all’esterno mentre lentamente i prati si riempivano di coloro che cercavo un po di relax, fuori dalla monotonia della periferia. In certe giornate era meraviglioso fermarsi sotto al sole in questo piccolo “Central Park” bolzanino, in effetti una così estesa area verde nel cuore di una città &egrave piuttosto curiosa. L’estate era quasi impraticabile la passeggiata tante erano le persone che cercavano refrigerio! Ordinammo e lui pagò come promesso due succhi di frutta alla pesca. La mia tensione si sciolse come ghiaccio al sole appena iniziammo a parlare. Sembrava che lo conoscessi da una vita. Il disagio era scomparso come un’ ombra alla luce diurna, mi sentì veramente serena.

La sua voce era profonda e leggermente roca, penso a causa del fumo. Il suo accento di tipico bolzanino era buffo con tutti quelli sbalzi di tono’

Scoprimmo di avere molto in comune. La musica, la letteratura, il cinema e la scuola!!!

Lui andava a scuola nel mio stesso edificio ma seguiva un corso differente. Rimanevo quasi ogni pomeriggio in città. Mi sembrò strano di non averlo mai visto prima. Difatti io, essendo pendolare, entravo ogni giorno con un leggerissimo ritardo e all’uscita c’erano oltre quattrocento persone, cosa che rendeva difficile il nostro incontro. Disse di avermi già vista alla ricreazione nei corridoi e di avermi notata per le mie solite scenate infantili con i miei compagni di classe. Arrossì per questo. Possibile che la gente mi noti solo per il mio carattere un pochino fuori dalle righe? Avevo 19 anni &egrave vero…Ripetente all’inverosimile. Ma non arrossii solo per questo… arrossii ancor di più quando notai che mi fissava attentamente negli occhi. Abbassai lo sguardo timidamente mentre giocherellavo con le dita. Ero nuovamente agitata. Sentivo che dentro di me stava accadendo qualcosa. Sentì una vampata di calore partirmi dalle punte dei piedi per arrivare fino alla fronte. Ci fu un attimo di silenzio. Cosa potevo dire maledizione? Non mi veniva in mente assolutamente nulla, ero totalmente rimbecillita. Come poteva un essere umano creare in me così tanta agitazione. Finalmente, accortosi dell’impiccio prese l’iniziativa e disse: “Ti crea problemi stare seduta qui con me?” Con un filo di voce farfugliai un “no”. Come potevo essere stata così stupida? In certe occasioni ecco che mi blocco totalmente, non l’avrei mai voluto accidenti, proprio in quel momento poi’

Un gruppo di ragazze si avvicinò e lo salutò. Rispose con il “ciao” di chi non ha veramente interesse nel dirlo che le portò a guardarmi di sbieco. Lui probabilmente capì che la situazione era imbarazzante per me. Quindi si alzò in piedi, mi prese per mano e mi portò via lungo le passeggiate congedandosi a loro con un “Ci vediamo un’altra volta, ora non ho proprio tempo”. Compiuti un centinaio di metri mi lasciò la mano e mi rivelò che non sopportava quelle ragazze perché lo assillavano notte e giorno. Mi emozionò il fatto che avesse preso la mia mano. Mi emozionò a tal punto da non poter togliergli gli occhi di dosso. Ero completamente fuori dalla concezione del possibile

Il viale alberato era pieno di persone in quel momento ma mi sembrava di essere da sola con lui. Una sensazione a dir poco meravigliosa. Parlammo del più e del meno mentre raggiungevamo una panchina sotto ad un imponente magnolia.

Guardava avanti a se e inspirava profondamente l’aria, tutto ciò con molta serenità. Con la coda dell’occhio si accorse che lo guardavo già da diversi minuti. Mi girai dall’altra parte di scatto, cercando disperatamente di trovare un punto da fissare. Cosa poteva pensare di questa perfetta sconosciuta che lo fissava sbigottita come un bambino per la prima volta davanti ad uno specchio. Cominciò a ridere a crepapelle. Gli chiesi cosa c’era di così divertente, così disse trattenendosi “Sei così buffa!”. Li per li pensai che si volesse beffare di me così con tono seccato riposi “Ah si? Ti fa ridere il mio faccione tondo come una palla o cos’altro? Ridi pure, tanto non mi importa” Si fece improvvisamente serio : “Perdonami, non volevo offenderti. Ma ridevo semplicemente perché ogni volta che mi giro tu mi fissi, ma se ti guardo io abbassi gli occhi e arrossisci.” Mi resi conto di aver fatto davvero la parte dell’idiota e mi scusai per la rispostaccia datagli. La situazione sembrò crollare, mi sentii sulle spalle un peso enorme ed una sensazione indescrivibile di soffocamento. Ero stata così scortese. Guardandolo mi resi conto che la mia condizione non era poi delle più pessime. Scoppiai a ridere e così si ruppe di nuovo il ghiaccio.

Guardai l’orologio. Erano gia passate 2 ore. Erano le sedici ma sembrava che fossero passati solo dieci minuti dal momento in cui lo vidi camminare avanti a me. La cosa mi spaventò e incominciarono a passarmi per la testa queste precise domande. Perché mi stavo divertendo? Perché mi trovavo bene? Perché il tempo passava così in fretta? Ma soprattutto perché arrossivo quando mi guardava? Davano tutte e quattro un’unica risposta : quel ragazzo mi piaceva da morire!
Mentre ero assorta in questi pensieri da adolescente in paranoia sentì la sua voce domandarmi “A cosa stai pensando?” Mi prese del tutto alla sprovvista e rimasi a bocca aperta prima di scattare in piedi pronunciando un “a niente”chiaramente fasullo. Mi sentì ridicola’

Mi fermai ad accarezzare un cagnolino accompagnato da un simpatico vecchietto e mi accorsi che lui, seduto su quella panchina, mi stava ancora fissando. Nei suoi occhi c’era qualcosa di tenero. Penso che la mia figura minuta lo intenerisse. In effetti non dimostravo affatto 19 anni compiuti, guarda caso, qualche giorno prima. Feci finta di niente e cominciai a canticchiare una canzone dei Sonic Youth. Mi sorprese il fatto che lui la conoscesse e che la cantasse assieme a me.

Il sole non picchiava più così forte sulle nostre teste così da portarci a sedere sull’erba in mezzo al prato. Pose la sua leggera giacca a vento per terra così da non sporcarci se ci fossimo sdraiati. E così fu.

Era di un rilassante pazzesco. Sdraiati l’uno accanto all’altra osservando le poche nuvole che mutavano continuamente la loro forma. Vorrei che quel momento non fosse mai finito e sono convinta che anche lui lo volesse. La sua espressione era rilassata, la mia lo era altrettanto. Una sensazione di pace e tranquillità mi avvolse mentre il suo profumo dolce e intenso riempiva i miei polmoni. Finalmente, dopo parecchio tempo passato stipata in casa mi accorsi che la solita satirica nuvoletta nera e piovosa non stava sopra la mia testa, forse era andata in viaggio di affari all’estero o forse si era semplicemente spostata sul capo di qualche altro poveraccio.

Mi sedetti ad osservare i bambini che giocavano davanti a noi, quando sentii la sua mano sulla mia spalla. Non riuscì nemmeno a battere ciglio da tanta agitazione che avevo in corpo. Il suo palmo mi sfiorava come il tocco di un spirito celeste, leggero e avvolgente nel medesimo istante. “Grazie per questo bellissimo pomeriggio”. Lo guardai e piena di interesse chiesi se doveva andare a casa e mi rispose “Solo se tu lo vuoi”. Scossi la testa in segno di negazione come fanno i lattanti. Mi fissava dannazione. Non volevo fare di nuovo la scena di prima, quindi lo fissai a mia volta consapevole del cambiamento di colore sul mio volto. Realmente mi sentii avvampare. “Perché arrossisci?'” chiese sorridendo’Cercava di ottenere una risposta diretta ma aveva capito che non sarebbe arrivata ma si divertitva così.

Passò un altro quarto d’ora e qualche nuvoletta di passaggio schizzava gocce pesanti di fresca ombra primaverile qua e la. “Vivo solo con mia madre. Ha un piccolo bar in periferia…Lo gestisce lei assieme a mia Zia. Se non hai altri impegni, ti va di venire a fare un salto da me? Così tanto per…Se non vuoi ti capisco benissimo!” Di colpo. Così, dopo quindici minuti di silenzio. Avrei voluto dirgli “Sei completamente matto o cosa?Non si invita qualcuno così…” Ma mi ritrovai semplicemente a dire di “si”. Volevo vedere la sua stanza. Volevo catturare di lui quante più cose possibili. Uscimo dalle passeggiate e arrivati in Piazza della Vittoria prendemmo il 5 che ci porto fino sotto casa sua. Un condominio n&egrave troppo grande n&egrave troppo piccolo. Stava al quarto ed ultimo piano al quale arrivammo in ascensore. Quando sentii il click-clack metallico della serratura blindata qualcosa mi paralizzo. Caddi dalle nuvole e pensai “Perch&egrave sono qui? Ommioddio…Ora mi giro e corro giù per le scale…” Ma nell’istante medesimo in cui lo pensai lui era già dentro, rivolto nella mia direzione e mi tendeva una mano sorridente. Entrai, e lui mi girò attorno, senza staccare i suoi occhi dai miei, e si mise di spalle verso l’uscio che chiuse dietro di se. Sentivo il cuore in gola, nella testa, nelle orecchie, nelle dita dei piedi. Ora fissavo i suoi occhi, ora la sua bocca carnosa e rosea semidischiusa. Ora di nuovo i suoi occhi ora il suo ampio petto che si dilatava sempre più velocemente ed ampiamente, ad ogni suo respiro. Mi prese una mano in modo deciso e se la mise all’altezza del cuore. “Lo senti che effetto mi fai?” Il mio cuore si era fermato invece o giu di lì. Tenendomi per il polso mi tirò a s&egrave con forza, ma senza farmi male e io me ne stavo la come un impacciatissima bruta copia di Daphne nella metamorfosi tra una ragazzina titubante ad una donna formato mignon desiderosa di attenzioni. Sentii la sua mano sinistra salire lungo la mia schiena, sotto il maglioncino bianco che portavo. La sua mano destra continuava a tenermi la mano saldamente poi iniziò a baciarne il palmo risalendo piano sull’avambraccio scoperto. Era chino sul mio braccio e non resistetti alla tentazione. Così mi avventai letteralmente sul suo collo. I lunghi capelli, tenuti dietro l’orecchio, scivolarono sul mio viso facendomi il solletico. Nello scostarmi incontrari il suo respiro caldo. Sapeva di menta e lucky strike ma non era affatto sgradevole…Ci fissammo così per poco più di una frazione di secondo mentre l’attimo dopo sentivo gia le sue labbra mordere affamate le mie. Prima con delicatezza, a piccoli morsi. Poi sempre più violentemente. Bruciavano e sentivo il profumo di un dopobarba da ragazzo entrare nelle mie narici. Ubriaca di lui e dei suoi baci. Ma ero arrivata al punto di non ritorno. Non potevo più scappare ora. Lasciò il mio polso e mi prese in braccio con la rapidità e la facilità di chi riesce a trangugiare un bicchiere di acqua gelata il 17 di luglio dopo 3 ore di coda sulla A22. Lo guardavo, questo cavaliere in Jeans e Converse e mi sembrava il più bello, aitante ed eccitante tra i Lancillotti ed io mi sentivo la più fortunata tra le Ginevre. Nella sua stanza entravano di sbieco, ultimi e polverosi raggi di sole filatrati da una tapparella abbassata per tre quarti. Per terra una moquette che sembrava panno verde da biliardo, e sulle pareti perline di legno scuro. Un letto alla francese proprio sotto la finestra quadrata che dava sulla trafficata via sottostante e alle pareti poster di gruppi grunge, prog, metal e cestisti dell’NBA. Un comodino in tinta con le perline con qualche stanca lattina vuota di Budweiser stava accanto al letto. Mi lasciò quasi cadere sul materasso e si avvicinò a me mentre piano si sfilava la giacca di pelle. Ci baciammo ancora e in quel frangente gli levai lentamente ma al contempo impaziente, la felpa verde oliva che portava. Di fronte ai miei occhi la creatura più bella del mondo. Sembrava nato per stare nudo. I vestiti non rendevano giustizia a quel corpo così ben proporzionato e rimasi a lungo estasiatia nel fissare i suoi pettorali poco più che accennati. Lo baciai sul petto, sullo sterno e sentivo sotto le mie labbra i tonfi pesanti e frequenti del suo cuore. Con uno sforzo disumano riuscii a salire sopra di lui. Lo guardavo e con le mie mani piccine disegnavo sul suo petto i rilievi della sua muscolatura. Mi sentivo imprigionata nei miei abiti e mi sfilai il maglioncino mettendo in evidenza un reggiseno bianco candido con i profili rosa. Sono sempre stata molto abbondante e ora quel reggiseno tratteneva a stento quello per cui era progettato. Me lo slacciò con la difficoltà di un diciottenne. C’era il fuoco nei miei polmoni e tra le mie gambe sentivo il suo sesso premere contro il mio, rovente come l’aria che respiravo. Baciai e leccai con cura quel petto e quel ventre quasi glabro finch&egrave non incontrai l’orlo dei suoi boxer. Slacciai avida e fermente i suoi pantaloni e con uno strattone deciso li sfilai. Gli misi due cuscini sotto la testa, e respirava a fatica con la bocca spalancata ad O…Cominciai a baciargli le cosce toniche, risalendo lentamente il loro interno. Man mano che salivo sentivo il suo odore carico di testosterone sempre più forte, sempre più penetrante. Le sue mani sui miei capelli leggere, quasi ad indugiare. Baciai il suo inguine che sapeva di spezie e lentamente cominciai a baciargli l’asta. Senza fretta, anche se non vedevo l’ora di sentirlo vibrare sotto di me. Mi guardava col capo sollevato. Iniziai a baciarlo e ad accarezzarlo. Inspirò forte a bocca aperta e buttò la testa all’indietro. Ora potevo sentirlo pulsare duro e liscio sul mio palato. Iniziai a giocarci con la lingua, guizzando dalla base alla punta per poi farla scomparire quasi per intero nella mia piccola bocca. Le sue mani tra i miei capelli ora non indugiavano più, anzi. Stringevano e tiravamo in modo fermo e mi eccitava sentirmi scopata così in bocca da Lui. Quasi violento, ma senza l’intenzione di farmi del male. “Aspetta disse…” Sentivo che sarebbe venuto di lì a poco. Mi afferrò e sdraiò con una mano sola. Giocò col bottone dei miei blue jeans che poco a poco fece scivolare fino alle caviglie. Si avventò su di lei come un rapace e prese a morderla sopra gli slip. Mi sentivo in mezzo ad un uragano di proporzioni mastodontiche al quale mi abbandonavo come una piccola Dorothy con tanto di scarpette rosse. Mi stava guidando ad Oz ed io non potei che seguirlo. Mi sfilò d’improvviso, con uno strattone, gli slip e senza preamboli si insinuò tra le mie grandi labbra appena coperte da una rada peluria bondiccia. Leccava avido attorno al mio clitoride, ed io vedevo le stelle. Prese a stuzzicarlo coi denti e a succhiarlo come un frutto succoso ed io mi sentivo una stella. Mi sentivo bruciare dal di dentro così intensamente che fu un lungo interminabile orgasmo. Mi sedetti quasi subito ansimando ma non avevo avuto abbastanza. Volevo altro ancora, volevo scoparlo ed essere scopata. Lo tirai a me e iniziai a baciarlo ancora. Mi restituì il sapore della mia vellutata pesca e mentre accarezzavo in una danza frenetica la sua lingua con la mia, mi sdraiai sotto di lui a gambe larghe. Non stette molto a pensare e si prese l’uccello con una mano. Lo strofinava sul mio frutto acerbo e mi guardava aspettando una reazione…”Mettilo dentro…” sussurai sofferente. “No…non ora” Stava letteralmente torturandomi nonostante stesse a sua volta morendo dalla voglia di tuffarsi a capofitto nei miei sensi, nei nostri sensi. Ogni volta che si avvicinava al mio buchetto tornava con la cappella, di corsa su, facendomi dare nervosi colpi di rene. Non desideravo altro che Lui al mondo! Quando non ce la fece più, mi infilzò di colpo e rimase immobile qualche secondo a bocca aperta come me. Ruppi quell’incanto avvinghiandomi ai suoi fianchi sottili con le mie gambe e mi appesi al suo collo come un piccolo Koala lussurioso. Iniziò a scoparmi con sempre più vigore. Mi ritrovai a gridare, a sentire la mia voce dire cose mai dette prima. Si sollevò dal letto tenendomi tra le sue braccia, ancora infilzata da quel fantastico uccello. E mi sbatt&egrave al muro. Forte. Sentivo le perline ghiacciarmi la schiena. Non resistette a lungo così e ci accasciammo per terra sulla moquette verde panno. Fu il mio turno. Mi sedetti a cavalcioni e mi trafissi da sola con una mano ed iniziai a cavalcarlo come la più abile tra i fantini dell’ippodromo di Merano. Con una mano gli portavo le sue grandi mani sui miei seni morbidi e sodi mentre con l’altra accarezzavo i suoi testicoli. La sua espressione &egrave una cosa che non si poteva descrivere a parole. Non sarebbero bastati tutti i volumi della biblioteca di Alessandria per descrivere il suo viso quell’attimo prima che arrivò al suo acme, copioso, dentro di me. “Isabella-…”
Non mi interessavano le conseguenze ora. Quel viso aveva cancellato dalla mia testa ogni pensiero, mi presi tutto quel che c’era da prendere. Mi sentii pervasa da un caldo che avvolse tutto il mio bacino e che piano piano sentii salire su su e ancora più su. Mi sembrava di essere stata scavata fino infondo all’anima da quel ragazzo conosciuto solo poche ore prima. Erano quasi le sette ormai ed era già buio da un pò fuori. Sdraiata sul suo braccio che teneva dietro la testa, giocavo coi suoi capelli d’ebano e di tanto in tanto gli accarezzavo quel petto sul quale avrei potuto anche morirci. Lui fumava una sigaretta e giocava con il fumo da lei originato “Tra tutti i colori che mi piacciono, indubbiamente il mio preferito &egrave sempre stato l’azzurro metallico del fumo di sigaretta…” disse “…ma oggi ho scoperto che ci sono dei colori che non si possono vedere, almeno non con gli occhi…&egrave stato bellissimo con Te, oggi…” Avevo avuto qualche ragazzo prima di Alessandro, con i quali ho avuto veri e propri rapporti sessuali. Freddi e distaccati come il loro “termine tecnico”. Non avevo onestamente mai nemmeno avuto l’esigenza di stare la, quel tanto che basta da desiderare di poter stare così per sempre. Semplicemente era una cosa meccanica. Stop. “Mia madre questa notte credo dormirà dal suo compagno…Ti piacerebbe stare qui questa notte? Con me? Mi piacerebbe guardarti dormire…” Avrei raccontato a mamma e papà una di quelle piccole bugie…Avevo 19 anni &egrave vero, ma avevo ancora certi doveri vivendo sotto quel tetto. Il danno comunque era stato fatto perciò la mia piccola bugia avrebbe assunto spigoli meno acuminati. Illusioni della coscienza. Chiamò sua madre che gli confermò quanto dettomi prima mentre io avvisai i miei che mi sarei fermata da una compagna e che sarei rimasta la. Il giorno dopo a scuola ci sarei andata…Almeno, così gli dissi. Mi prestò una sua magliettona che mi arrivava alle ginocchia, ci facemmo la doccia e sotto quella sottile pioggia ci amammo ancora. Poi prima di andare a letto mangiammo ancora qualcosa e parlammo ore, di Noi, delle Nostre vite, di cose anche sciocche. Ero stanca e felice e lui mi guardava. Mi accarezzò il viso. Mi sorrise, dolce…Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quel vento frizzante di marzo, tra le calde coperte della notte. Mi svegliai di soprassalto poco dopo…Un rumore intermittente e stridulo martellava nelle mie orecchie…
-“Ma che cos’&egrave Aless…”

Le 5:45’La sveglia con il suo display rosso incandescente mi ricorda che un’altra giornata &egrave inziata’Come? Non &egrave possibile’era solo un sogno? Mi guardo attorno…Il mio cane dorme ai piedi del letto e sulle pareti niente perline ma frasi sconnesse scritte col pennarello…

Apro la tapparella, fuori &egrave grigio e uggioso, la giornata non promette affatto bene’Mi trascino in bagno per “rassettarmi” un pochino. Quello che ci vuole ora &egrave una bella tazza di caff&egrave’non posso certo presentarmi in questo stato a scuola’Già anche quella’Humpf..
Spalanco la finestra e inspiro fortemente. Un velo di malinconia mi circonda’Non &egrave giusto, non poteva essere solo un sogno.Ma’ laggiù in lontananza il cielo sopra la città si sta aprendo’e quello sembra un raggio di Sole.
Squilla il cellulare’&egrave la mia vicina che mi sta aspettando sotto casa per andare in stazione'”Arrivo, un secondo solo”‘Scendo le scale e come sempre lei &egrave li ad aspettarmi'”Avviamoci và’che &egrave lunga fino in stazione!” Mentre cammino, il vento sulla mia pelle ha come un altro effetto, tiepido e leggero’. mi ricorda una carezza’Non ho voglia di parlare, ora sto bene con me stessa’Non ho bisogno di nessuno in questo momento’Solo io ed i miei pensieri’

Cammino ancora, la stazione sembra non arrivare mai ‘Stamattina non ho proprio voglia di andare a scuola…Il tempo promette bene e non ho nemmeno studiato biologia. No decisamente non &egrave il caso di andare in classe. Mi sa tanto che oggi, faccio un giro sul Talvera…

FINE

Iza

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