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A GOOD JOB (un buon lavoro)

By 30 Settembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Inizia un’altra giornata del cazzo, una di quelle giornate che avresti voglia di sparire, di essere altrove, di essere qualcun’altra. Dalla stanza del capo arriva, affilata come una katana giapponese, la busta, la fatidica busta, contente la lista delle vittime.

‘Dottoressa Marelli, il Direttore le manda l’elenco degli esuberi. Buon Lavoro’.
Buon Lavoro un cazzo. Avrei voluto rispondere a quella arpia della segretaria di direzione. Vogliamo fare a cambio? No, in questo caso nel cambio ci avrei perso, non ho le ginocchia adatte a stare sotto la scrivania del capo e poi i pompini, a detta di mio marito: ‘non sono arte tua, ci vuole tanta pratica per fare un buon lavoro di bocca’ ed io per sua fortuna di pratica ne avevo avuta ben poca. Oltre al suo membro la mia bocca aveva accolto il cazzetto di tale Nicola P., compagno della seconda f. Durante un compleanno era partito il solito patetico gioco della bottiglia e a fine serata il pegno più assurdo, che decretava la fine del gioco, consisteva nel andare in bagno con lo sfigato di turno e tirargli una sega. Nicola P. abbassando giù gli slip mi aveva messo in mano il suo cazzetto moscio, 8 centimetri circa.

Prima di lui la mia mano aveva soppesato il pene di Michele F., il mio primo fidanzatino, lungo circa 15 centimetri ma doppio come la bomboletta della Lacca Loreal da 150 ml. Dopo sette mesi di insistenti richieste avevo ceduto alla mia prima sega, terminata con una camicetta da buttare e un ritorno allo stato sociale di single. La faccia rossa, dalla vergogna per le esigue misure, del povero Nicola P., mi aveva fatto compassione e per cercare di rimediare alla sua défaillance senza pensarci troppo, complice anche i tre mojito bevuti, glielo presi in bocca e mi cimentai in una sorta di sali e scendi che durò per 10 secondi netti terminati dall’improvvisa eruzione di sperma che mi inondò la trachea procurandomi 2 minuti di conati di vomito e una notte insonne.

Scorgo la lista dei cinque ‘condannati a morte’ e per fortuna nessuno di quei nomi mi &egrave familiare. Nelle tre ore successive comunico con il fare diplomatico, degno del miglior Renzi che tranquillizza il povero Enrico Letta, agli operai specializzati del settore G, che non rientrano più nei piani dell’azienda e gli faccio firmare la loro ‘resa dei conti’ alla modica cifra di 20.000 euro di indennizzo, l’azienda mi aveva dato un range da 20 a 40 mila euro per chiudere la pratica .

Ora tocca al caporeparto e finalmente potrò concludere questa giornata di merda e ritirarmi nelle mura domestiche a stirare le camice di Giorgio e a godermi il finale di stagione di Desperate Housewives.

La faccia di Ciro F., caporeparto del settore G e presente in azienda dal 1983, era pietrificata alla notizia del suo licenziamento. Dopo aver dato il sangue per oltre trent’anni in quella triste fabbrica, che infondo era diventata la sua casa, veniva cacciato a calci nel sedere con una pacca sulla spalla e un assegno, postdatato a sei mesi, di soli 25.000 euro concesso dalla qui presente Stefania Marelli dopo aver sentito dei tre figli e della moglie casalinga in aggiunta al solito mutuo ventennale da pagare. L’unico modo per non farmi influenzare dalle negatività di questa giornata &egrave evitare lo sguardo di rabbia misto a disperazione del signor F., penso a chi sta peggio di me e mi passano davanti le scene di Ida R., la segretaria di direzione, che sta pulendo, con acqua minerale, la gonna, da quegli schizzi sfuggiti al suo controllo e che dovrà poi giustificarsi con il gelosissimo fidanzato culturista per quelle strane macchie bianche sulla stoffa nera. Penso a Karen, durante la puntata precedente, nel momento della confessione del delitto del patrigno.

Una tremenda botta sopra il tavolo e la successiva frase ‘Latrina, taggià scassà ‘o mazz’ , una espressione dialettale di cui non ho capito il significato, mi riportano alla realtà giusto in tempo per vedere Ciro F. dirigersi nel corridoio e distruggere una stampante multifunzione Epson e successivamente raggiungere l’uscita imprecando tutti i santi del calendario romano. Tiro un sospiro di sollievo e preparo la relazione della giornata che invio via mail al capo, chiudo il pc e mi dirigo alla toilette per rinfrescarmi prima di beggiare il cartellino.

Seduta sul water penso alle famiglie degli operai e mi intristisco mentre una cascata di piscio giallo scuro si infrange sull’acqua stagna del water e mi attiva un senso di svuotamento e liberazione, come se avessi liquidato i miei pensieri. Prendo uno strappo di carta igienica e mentre sto per pulirmi sento una forzatura della porta e la successiva brusca rottura della stessa. Ciro F. con prepotenza mi spinge contro la parete dello scarico, tramortita dalla sua irruenza e dalla situazione inaspettata, con le gambe bloccate dalle mutandine, non ho la forza di urlare ne di respingere l’attacco. Il cinquantatreenne di Nola mi apostrofa ‘Puttana, facimme’ i cunti’ e con un gesto da attore navigato di film porno si abbassa il jeans e tira fuori un uccello dalle dimensioni stratosferiche, penso superiore ai 25 cm di lunghezza culminante in un glande lucido e paonazzo. ‘Piglià o Pesce ‘Mocca’ non ho il tempo di chiedere spiegazioni ne di urlare che mi prende per i capelli e mi scaraventa a due centimetri dal suo cazzo. Sento un odore forte di sudore e di piscio, per una interminabile frazione di secondo annuso quel palo di carne che sta per forzare le mie labbra. Apro la bocca, in segno di resa, e inizio un pompino in stile Milly D’Abbraccio, con gusto succhio quel cazzo e mi soffermo per tre minuti a leccare la capocchia, &egrave buona, non ho mai provato niente di simile.

Improvvisamente quell’uomo di mezza età con la tipica pancia esposta, da bevitore di birra in lattina da quattro soldi che solo per le grandi occasioni si concede del Tavernello cartonato, il volto solcato da rughe scavate nella pelle e quella barba ispida che gronda di gocce di sudore che calano lungo il collo da agricoltore mancato, mi sta facendo provare un piacere e una sensazione che non avrei mai immaginato di provare. Mi sento al tempo stesso vittima del mio carnefice e sadicamente lo sto venerando, lo voglio. Percorro l’asta fino alle palle, sono grosse, gonfie e pelose, le stringo con la mano e seguo con la lingua la vena testicolare. La mano destra tiene dritto l’uccello, poggiandolo dolcemente sulla pancia, mentre il mio naso &egrave spiaccicato in mezzo ai testicoli, alzo gli occhi e vedo, in secondo piano, oltre la lunga mazza, la faccia compiaciuta del caporeparto e intuisco che sto facendo un buon lavoro.

Divento pian piano intraprendente, come non lo sono mai stata nella vita. Senza lasciare la presa di quel favoloso uccello, con la mano sinistra sbottono la camicetta e con un gesto, degno di Silvan nei tempi migliori, mi sfilo il reggiseno. Le mie tette svettano a punta urtando le cosce pelose di Ciro F. , non sono grandissime ma in compenso hanno una attaccatura alta e terminano con due capezzoli da ciliegina sulla torta. Il caporeparto si gode il panorama offerto dal mio decollet&egrave, un rivolo di bava gli esce dal labbro destro e cola lungo la barba mischiandosi alle già attive gocce di sudore.

Quel box di due metri per due stava diventando una sauna finlandese. Il mio corpo era caldo e dal basso ventre gocce di umori colavano lungo le pareti del water. Stavo godendo. Stringo quel cazzo in mezzo alle tette a mo di spagnola. La punta della lingua tintilla, per pochi secondi, la capocchia che spunta rapidamente dalle mie tette. Ricomincio il gioco di bocca e simulando un mangiatore di coltelli cerco di inghiottire tutti i centimetri che ho a disposizione. Soffoco e Mugolo. ‘Mhhh Mhhh’ le uniche parole che echeggiano nell’aria oltre al forte odore di sesso e di cesso.

Due minuti di apnea e poi risalendo a prendere una boccata d’ossigeno esorto Ciro a sborrarmi in bocca. Le mie parole sembrano risvegliarlo dal coma in cui era immerso e con un gesto violento mi tira su per i capelli e mi gira a pecora tenendomi la faccia spiaccicata nelle piastrelle a due centimetri dal pulsante argentato dello scarico. Non voglio essere scopata, non in quel modo, non in quel posto, non da quel verme schifoso di Ciro F. Cerco di protestare ma la mia voce si infrange nelle piastrelle bianche e si trasforma in un gemito di incoraggiamento. Le mutandine sembrano giocare a favore del mio stupratore, continuano a bloccarmi le gambe. Sono tornata ad essere vittima e mentre spero che quest’incubo finisca presto sento cm di cazzo affondare, come la lama di un coltello nel burro appena scaldato, nella mia fica fradicia di umori. Mi sento riempita. Le pareti della mia vagina fanno da guanto al palo di carne. Riesco addirittura a sentire le vene ad ogni botta che mi infligge. Sto nuovamente godendo, voglio che questo momento duri all’infinito. Voglio fermare il tempo nell’attimo in cui sento sbattere le palle contro le labbra carnose della mi fica. Mi sta scopando brutalmente ed alla velocità di un trapano che buca una parete di cartongesso. La cosa più sconvolgente &egrave che mi piace e voglio condividere con lui questo mio stato d’animo ed al suo grugnire, che emette ad ogni colpo d’affondo, rispondo: ‘continua, non ti fermare’.mhhh, mhhh, che bell’uccellooooo’. ‘Siiii mi piace, mi piaceeee’Ahhhh’

Nella stanza si sente l’eco dei mie gemiti misto ad uno strano suono cupo che emette la mia fica che si dilata ad ogni pompata del cazzo di Ciro. Non mi importa di quel rumore fastidioso penso solo agli innumerevoli orgasmi che sto provando. Il ritmo aumenta e il suono ora sembra quello di cento militari che marciano lungo un sentiero pieno di pozzanghere. Ad un tratto, nel pieno godimento, succede l’irreparabile, Ciro estrae il suo scettro e mi sento svuotata. Percepisco le vibrazioni della mia fica che continua a colare umori e penso che sia la fine di questa avventura.

Le mie certezze vengono interrotte da uno sputo che si infrange sul glande rosso fuoco del mio mattatore che con un movimento da giocatore di basket, che agguanta la palla mentre volteggia in area, fa pressione sulla mia testa fino a farmi centrare il centro del water. Le mie mani si aggrappano alla tavolozza e cercano di respingere l’attacco imponendo una forza contraria per liberarmi da quella presa. Tentativo inutile, il caporeparto ha le braccia forgiate da anni di lavoro alla pressa meccanica. Penso che voglia affogarmi ed il mio istinto di sopravvivenza cerca di resistere fin quando il mio corpo va oltre la mia mente e riesce a scoprire i piani di Ciro.

Un colpo secco mi trafigge l’ano, sento lo sfintere che si allarga e urlo di dolore ‘Oddio che maleeee’mi spacchi’basta ti prego, ti supplico’.fermatiiiii’. Le mie frasi non fanno altro che eccitare il mio sodomizzatore che continua a trapanare il mio orifizio, fino a quel momento vergine, che inizia a colare sangue. Ho le lacrime agli occhi e come se non bastasse sento la puzza della mia urina venire dal fondo del water.

Voglio morire, uccidetemi. Pensieri negativi mi frullano in testa fin quando non sento un getto di liquido e la successivamente un fiume che mi inonda l’ano. Vedo la luce in fondo al tunnel quando sento le parole di Ciro F. ‘questa &egrave la mia liquidazione’Zoccola’. Tira su la zip e se ne va lasciandomi china sul water con la colata di sborra che dal culo cade a mo di fontana e si spiaccica confondendosi con il bianco del pavimento. Cinque minuti di silenzio e poi con le ultime forze fisiche, perché quelle mentali mi hanno abbandonato durante lo stupro anale, mi ricompongo ed esco da quella prigione come il condannato che si avvia all’ora d’aria.

Nel corridoio, mentre passo il badge sotto il lettore magnetico, sento in lontananza la voce del capo che agitando la mia relazione mi elogia con: ‘complimenti dottoressa Marelli, un buon lavoro’veramente un BUON LAVORO’.

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