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Racconti Erotici Etero

Alta marea

By 18 Luglio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

LUI:
Da due ore guardo il corpo nudo di Josefina, per me Jo.
Dorme a pancia in giù, i piccoli seni schiacciati sulle lenzuola, li ho messi nella mia bocca solo qualche ora prima, succhiandone i capezzoli spessi e duri, la schiena delicata ma robusta scende armoniosamente verso i fianchi per poi risalire e formare quel profilo posteriore che ho schiaffeggiato con disinvolta naturalezza mentre le scopavo il culo, i gemiti riempiono ancora le mie orecchie, come echi di montagna.
Scendo con lo sguardo sulle gambe tornite dalla corsa, le ho afferrate e spalancate mentre la mia lingua leccava la carne tenera e rosea della sua fica.
Un refolo di vento entra dalla finestra aperta, Jo si muove, sistemandosi sul fianco sinistro, liberando alla mia vista il suo tatuaggio: una fenice in bianco e nero che attraversa con le ali il costato diafano, mentre la coda, incoronata da piccoli nei, termina sul ventre, dove la cicatrice dei cesarei la taglia senza rovinarla.

VOCE:
Il mare luccicava di riflessi azzurro-verde, mentre il sole sorgeva alle spalle della villa.
Sulla sinistra, il promontorio del Circeo ombreggiava imponente, sopra le rovine di Torre Paola.
L’estate era arrivata.
Uscì sulla terrazza lasciando che il suo sguardo si dilatasse intorno; suo nonno aveva comprato la casa quando le dune di Sabaudia venivano frequentate solo da Moravia ed i suoi accoliti.
Presto sarebbero arrivati i turisti per i primi bagni di stagione, si godeva la tranquillità della sua casa, le abitudini lontano dal caos cittadino; nel mercato del giovedì trovava la sua epifania settimanale, nelle passeggiate all’alba sulla battigia l’equilibrio, nelle letture la pace.
La sera al buio accendeva il sigaro e anche se quel puntino di brace attirava frotte di zanzare, che pasteggiavano con lui, osservava il profilo aranciato spegnersi nelle acque, in un silenzioso fluttuare di onde, anticipo dell’alta marea che durante la notte avrebbe portato l’acqua a lambire la sua proprietà.

LEI:
La prima immagine che mi torna in mente è la fotografia del mio quarto compleanno, sono là tutta sorridente, sto guardando verso destra, non ricordo se qualcuno cercava di attirare la mia attenzione, la frangetta mi orla la fronte.
Indosso un maglioncino rosso, allacciato con un bottone sul collo ed una gonna con pattina di velluto e bretelle di un rosso più chiaro, dietro quell’apparente felicità si celava un dolore ed una sofferenza che negli anni a venire sarebbe divenuta consapevolezza.
L’assenza di mio padre, le nevrosi di mia madre, giunte fino a tentare di togliersi la vita.
Sono cresciuta senza affetto ed in solitudine, questo è stato qualcosa che per anni ho chiuso in una stanza, fino a quando qualcuno l’ha tirato fuori e poi il mostro o semplicemente l’altra parte di me, non è più voluta rientrare in quella stanza, non ha più voluto essere chiusa a chiave e io sto cercando di conviverci, accettando la sua presenza, che si palesa in maniera esplosiva.
E certo che è proprio strana la vita / ci somiglia / è una sala d’aspetto affollata e di provincia / c’è un bambino di fianco all’entrata che mi guarda e mi chiede perché / perché passiamo le notti aspettando una sveglia / ci prendiamo una cotta per la prima disonesta / complichiamo i rapporti come grandi cruciverba / e tu mi chiedi “perché?”

VOCE:
Dopo gli ultimi due anni trascorsi a rimbalzare da un uomo all’altro, sperimentando le profondità di un abisso del quale non aveva ancora trovato il fondo, si era resa conto che il suo matrimonio era al capolinea.
Voleva vedere il suo amico, il suo complice, col quale aveva condiviso molte delle confidenze più perverse, perché da lui non si sentiva mai giudicata, perché Tito era un po’ come lei, un oscuro intrigo di sozzura, che lui stesso andava indagando da anni ma che ancora non era giunto a capire.

LUI:
Mi sono trasferito da circa un anno in questa casa, da quando la separazione è diventata effettiva, mia moglie Sonia è rimasta a Roma, nell’ appartamento del quartiere Trieste, mentre io ho scelto di ritirarmi qui, il lavoro di architetto mi permette di muovermi con più facilità, senza sottostare a orari precisi, da qui posso comunque lavorare e se occorre, partire per la città molto presto, la Pontina è una strada avvelenata ma in attesa che un governo si decida a trovare soluzioni alternative, cerco di percorrerla in orari dimessi.
In questo contesto di tranquillità emotiva, Josefina è come un caffè a metà mattinata, un piacevole diversivo piovuto da un recente passato.

VOCE:
Era la disegnatrice d’interni con cui aveva bisogno di confrontarsi per un lavoro che stava portando avanti con fatica.
Dopo alcune settimane di contatti telefonici e di chat, aveva deciso di raggiungerla a Firenze, per conoscersi di persona.
Presero un caffè in stazione e dopo una lunga passeggiata in centro, salirono su un taxi in direzione delle colline, dove in un bel ristorante, appartato e discreto, avevano consumato dell’ottima carne alla brace e bevuto due bottiglie di Barbera, parlando di lavoro e non solo.
La notte sembrava segnata dal loro incontro carnale, un desiderio nato spontaneamente e accresciutosi durante la giornata, così quando alla fine della cena, gli fece scivolare le sue brasiliane di pizzo nero direttamente nella mano, non potè fare a meno di godersi il suo odore e tornare in città.

LEI:
In una stanza d’albergo, illuminata solo da due abat-jour mi spogliai per lui.
Nonostante avessimo bevuto parecchio, mantenevo un barlume di lucidità, era tutto il giorno che sentivo il suo desiderio esplorarmi, conoscevo le conseguenze del mio sguardo.
Lui si sedette sul bordo del letto, lanciai via le scarpe e poi in maniera sinuosa cominciai a danzare per lui, slacciandomi la cinta a catena che indossavo sopra il vestito nero a tubino, feci scivolare tutto a terra, mi misi a quattro zampe e guardandolo negli occhi leccai il pavimento come se fosse la superficie più lercia del mondo.
É così che mi sentivo: lercia e puttana, avvertivo il calore tra le cosce, conoscevo quella sensazione, l’avevo ascoltata spesso negli ultimi due anni, da quando il mostro dentro di me si era liberato andandosene a spasso libero.
Avevo intrapreso un viaggio senza conoscere la meta, io così riservata, a tratti timida, col mio bel visino pulito, vedevo cosa suscitavo negli sguardi che gli uomini mi riservavano e allora che si fottessero loro e fottessero me, come più gli piaceva, anche più di uno, l’importante è che io godessi.
Il mio corpo emanava un bisogno primitivo che dovevo soddisfare, mi allungai verso la sua patta e dopo aver tirato giù la lampo, feci uscire il suo cazzo, aveva già una consistenza ragguardevole, il mio spettacolo gli era piaciuto, prima leccai la cappella gonfia e rossa, poi lo ingoiai fino alla base, senza aiutarmi con le mani, fino a sentire la punta toccarmi le tonsille, fino a strozzarmici.
Rivoli di saliva cominciarono a rigarmi il mento, il mascara colò sul viso, gli occhi lacrimarono, eppure provavo un dolce piacere nel dominarlo, quando ne ebbi abbastanza lo feci uscire e insalivato com’era lo afferrai con la mano mancina e ricominciai a succhiarlo con foga, alzai gli occhi e lo vidi, quello sguardo che avevo visto in tutti gli uomini, sorpresa e ammirazione di trovarsi al cospetto di una troia come me, perché nessuno l’avrebbe mai pensato guardandomi che io fossi capace di questo, era la mia rivincita per tutte le volte che nella vita mi avevano fatto sentire inadeguata, in questo campo io ero consapevole e adeguata e mi prendevo la mia parte.
– Scopami come una cagna – gli dissi mettendomi a quattro zampe, mentre con la mano mi allargavo la fica gonfia.
Lo vidi calarsi i pantaloni e ancora con le scarpe indosso, piantarmi il suo palo di carne dritto in fondo al canale, più lo incitavo più lui mi montava come fossi una vacca ed io mi sentivo proprio così, una lurida vacca e mi piaceva, godevo.
– Sei una troia – mi diceva mentre mi fotteva schiaffeggiandomi le chiappe ormai arrossate.
– La tua fregna sembra una pianta carnivora. Insaziabile –
– Scopami stronzo – incitavo mentre annodava i miei capelli intorno alle sue nocche.
– Si somarella, ti riempio di cazzo la fica ed il culo di sborra – mi gridò sfilando il pezzo di carne rovente per incularmi senza sforzo, fino a farcirmi le viscere regalandomi un orgasmo.
Si accasciò su di me, facendomi crollare sotto il suo peso, raggiunse la mia bocca con la sua e ci sputò dentro per poi mescolarsi alle mie labbra con la sua lingua.
Dopo ricominciammo.
It’s dangerous / the things we do / under the influence / i got no defense / it might be criminal / but still / i just can’t quit / under the influence / i’ll take the consequence / well if it’s poisonous / let it take my last breath / under the influence / temptation, creeping up on me / gets under my skin / won’t let me be

VOCE:
Come è stato il viaggio. Le chiese quando salirono in auto.
– Un carro bestiame è decisamente più comodo – disse sorridendo. – E poi il caldo…ho bisogno di una doccia –
– Ma certo, tra mezz’ora saremo a casa e potrai lavarti e cambiarti. Sono felice tu sia qui –
– Anche io Tito. Sono in difficoltà –
– Cosa succede? Ti ascolto –
– Penserai che sono venuta per farti carico dei miei problemi –
– No, penserò che sei venuta perché volevi un orecchio attento che ascoltasse ed un amico sincero che ti suggerisse –
– Sei sempre stato così caro e sincero con me. Grazie –
– È solo un modo per portarti a letto – disse sorridendo.
Si tolse gli occhiali alla Audrey Hepburn che nascondevano il taglio esotico dei suoi occhi e lo guardò, a quel punto lui sentì qualcosa indurirsi all’altezza del cavallo dei pantaloni.
Risero entrambi, gli piaceva la sua risata, autentica e genuina e gli piaceva il suo sguardo: malizioso, primitivo, laido ma puro.
– Ho chiesto la separazione –
– Decisione definitiva? –
– Si, l’ho maturata dopo l’ultima storia, è stata qualcosa di più di un semplice diversivo ma lui l’ha scoperto o forse ho fatto in modo che lo facesse, perché non sopportavo più i sotterfugi, le bugie, i ritardi –
– Ci scopi ancora? –
– È accaduto un paio di volte, lui continuava a cercarmi ed ho ceduto…lo so, ho fatto una cazzata, non aiuta nessuno dei due. L’ultima volta qualche sera fa, mi ha fottuta come fossi una puttana, me l’ha gridato nelle orecchie, non è la sua natura ma ho sentito tanta rabbia – disse carezzandogli la gamba fino alla patta, dove l’uccello aveva preso a muoversi ascoltando le sue parole.
Quella donna aveva due volti: uno delicato, sensibile, dolce e fragile, ispiratore di attenzioni, l’altro, osceno, senza regole né limiti, capace di scendere negli oscuri pozzi della perdizione.
A Tito piacevano entrambi.
Jo gli aveva confidato come avesse dovuto lottare con se stessa per cercare di armonizzare questi due aspetti, emersi dalla propria personalità solo da qualche anno, gestiti attraverso la consapevolezza della propria femminilità.
Giunti alla villa, lo trascinò in camera da letto, in pochi attimi era già nuda, il suo viso delicato grugniva mordendosi il labbro inferiore, mentre una vena si gonfiava al centro della fronte. Lui sapeva cosa significava.

LUI:
Presi delle corde di nylon arancione dall’armadio, la feci sdraiare sul letto e assicurai i polsi alla testiera del letto giapponese, spalancai le gambe fissandole ai piedi che sorreggevano la struttura.
Completamente nuda, la fica aperta che colava, le infilai tre dita dentro, mentre col pollice scappucciavo il clitoride, gemeva rumorosamente.
Da un cassetto della scrivania presi tre mollette da cartoleria, due le pinzai ai capezzoli già duri e l’altra proprio sul bottone ormai arrossato e gonfio, uno grido lacerò il languido silenzio del primo pomeriggio.
– Mi piace vedere come soffri nel non poterti toccare –
– Sei un maledetto stronzo, intellettuale del cazzo! – mi gridò rabbiosa ed eccitata.
– So che il fuoco che hai tra le gambe ti sta consumando, ma io voglio che ti bruci totalmente –
– Scopami pezzo di merda, fottimi forte, riempimi ma non lasciarmi così…bastardo! Mi fa male…cazzo eppure mi piace…non capisco più niente –
Ancora completamente vestito, la guardavo dal fondo del letto, così indifesa, vulnerabile, eppure così forte, del suo orgoglio, della sua femminilità, i capezzoli ormai viola e ipersensibili, il clitoride gonfio, dentro i pantaloni chino color Khaki troneggiava un’erezione potente.
Mi avvicinai al suo viso, era una delle cose che più mi piacevano di lei, quel sorriso a barchetta che illuminandola, creava una piccola rete di sottili rughe ai lati degli occhi, profondi e imperscrutabili, nei quali io avevo visto qualcosa.
Le sue narici sentirono il profumo pungente del mio dopobarba.
– Adoro questo odore, ti prego, scopami, ne ho voglia…ne ho bisogno – disse inclinando la testa verso di me, mostrandomi le labbra increspate.
– Non ancora Josefina, lo farò, stanne certa e mi sentirai, porta un po’ di pazienza – le bisbigliai nell’orecchio, quel messaggio sembrò calmarla, ma fu solo un momento, il dolore misto al piacere delle pinzature, la frustrazione delle corde, il calore che continuava ad incendiarle la fica, la fecero esplodere.
– Maledetto pezzo di merda, giuro che se non mi scopi, non mi vedrai mai più, cancellerò il tuo numero e tutto ciò che ti riguarda, scomparirò dalla tua vita, per sempre –
Presi il cellulare e accesi la fotocamera, mi inginocchiai sul letto e inchinandomi tra le sue cosce cominciai a riprendere il suo sesso aperto, potevo vedere con chiarezza le labbra lucide di umori, infilai tre dita dentro senza troppa dolcezza, affondarono in un liquido denso e appiccicoso, l’estrassi e me le leccai, poi le portai alla sua bocca e dopo averle succhiate, mi morse a sangue.
– Ti decisi a fottermi maledetto stronzo?! –
– Voglio guardarti, da quella sera a Firenze in quella camera d’albergo, quante volte ci siamo rivisti, per lavoro, per amicizia, per scopare? –
– Ma che cazzo c’entra adesso? Tante, ci siamo visti decine di volte, cosa vuoi dire con questo? –
– Che non ho mai avuto troppo tempo per guardarti Jo, lasciati guardare adesso che sei legata, vulnerabile, mi prenderò cura di te, per questi brevi momenti tu sarai qualcosa di prezioso da proteggere –
Non dimenticherò mai il suo sguardo, prima mi fissò, poi gli occhi le si fecero lucidi e cominciò a singhiozzare, la raggiunsi sul letto, le afferrai dolcemente la testa, le carezzai le guance e poi la baciai, a lungo, prima dolcemente poi con sempre più voracità, con la mia lingua esplorai la sua bocca, mordendole le labbra iniziai a spogliarmi con frenesia, strappai i bottoni della camicia di lino bianca, lanciai i mocassini, mi tolsi i pantaloni e finalmente…liberai il mio dardo di carne.
Jo lo accolse tra le sue labbra, mentre la tenevo per la nuca, gli dedicò diversi minuti di attenzione, poi fu il mio turno, dopo un’ora di quella tortura, meritava la mia assoluta attenzione.
Scivolai tra le sue gambe e iniziai a leccarle le labbra, tolsi la pinzetta dal clitoride, ormai ridotto ad un ammasso di carne pulsante di dolore, l’accolsi nella mia bocca succhiandolo così forte che quasi temetti d’inghiottirlo, Jo si lasciò andare a rantoli da cagna, sapevo che non sarebbe venuta così, che aveva bisogno d’altro, che era sull’orlo di un abisso e sarebbe bastato poco per farla precipitare.
Poggiai la punta dell’uccello proprio all’imbocco della sua fica gonfia e con tutto il peso mi lasciai cadere su di lei, strabuzzò gli occhi e gridò, forte e intensamente, quando arrivai in fondo dentro di lei, cominciai a pomparla come un ossesso, le sue caviglie si avvinghiarono ai miei fianchi.
– Siiiii, così, scopami forte Tito, fammi godere! –
Staccai le pinze dai capezzoli e li succhiai, la loro sensibilità le strappò un altro grido, erano pesti e duri.
Con un gesto allentai le corde in modo che si potesse liberare, la girai a quattro zampe sul letto e la inculai.
Le chiappe divennero rosse in breve tempo sotto i colpi delle mie mani, le fottevo il culo con forza, alternando movimenti lenti ad altri più veloci: – Ti piace farti fottere il culo, vero somarella? –
– Oh si, non ti fermare vienimi dentro…vienimi dentro… –
Esplosi in un ruggito belluino mentre stringevo i suoi fianchi con le unghie conficcate nella carne, le palle si strizzarono addosso alla sua fica, sentii scorrere dentro di lei un fiume di lava, poi mi accasciai sul letto.

VOCE:
Il rumore del mare arrivava nitido nella stanza da letto, illanguiditi dal piacere i due corpi si erano sopiti.
Il sesso come esplicitazione di un sentimento, una qualche forma d’amore, nessuno dei due sapeva veramente cosa ci fosse tra loro, riconoscevano solo una stima ed un affetto reciproco, nature così diverse eppure simili in alcuni sentire.
Avrebbero trascorso ancora un paio di giorni insieme, sarebbero andati in paese, mangiato un gelato, fatto due chiacchiere, passeggiato fino al Belvedere sul lago, corso sulla spiaggia fino al promontorio, riempiti i polmoni di salmastro, assaporando una quotidianità che a tratti sfuggiva dalle loro mani, per motivi diversi, sospesi come in un quadro di De Chirico.
La sera affacciati sulla terrazza guardando verso il mare, un cielo stellato li avrebbe avvolti come le pagine di un libro.
LEI:
Sento il suo sguardo su di me crede stia dormendo, sono diversi minuti che mi fissa, è stato bello quello che è accaduto, non succedeva da molto tempo.
Tito è importante per me, ho scoperto lentamente quanto lo fosse, è comparso per caso ma poi è entrato nella mia vita in maniera sempre più autorevole, ma con discrezione, invisibile ma presente, anche i miei figli lo rispettano, gli vogliono bene come ad uno zio che vive lontano, che si ricorda dei loro compleanni, lui mi ascolta, condivide le mie perversioni, credo si stia scoprendo a sua volta, insieme abbiamo pianto, riso, ci siamo confidati, ci siamo scopati, tutto rispettandoci, sempre.
Mi sta carezzando con un dito, proprio sopra la cicatrice dei miei cesarei, fica troppo stretta per farci passare un bambino, gli uomini che ho avuto hanno provato ad allargarla ma non ci sono riusciti, hanno solo allargato le mie esperienze, Tito invece non ha cercato di fare neppure quello, lui è arrivato per ultimo, ha raccolto i cocci del vaso che avevo appena rotto e mi ha aiutato a rimetterli insieme, mi ha tranquillizzata, mi ha fatto stare bene quando non ci riuscivo, non ha fatto nessun miracolo, non è un angelo caduto dal cielo, era già qua sulla terra, si è solo sporcato con me, del mio stesso fango, non è salito sul pulpito dispensando consigli, si è chinato con me, ha teso l’orecchio, ha allungato le mani per sostenermi e toccarmi, perché voleva toccarmi e io volevo mi toccasse.
Ha visto dentro di me, cose che neppure io vedevo, aiutandomi a trovarle, ne ha avuto cura, mi ha fatto capire che le capiva che non ne aveva paura e non dovevo averne neppure io.
Non so cosa accadrà quando farò finta di svegliarmi e lui si mostrerà sorpreso di quanto abbia dormito, voglio solo che mi stringa forte tra le sue braccia per poi tornare a scopare.
C’è un principio di allegria / fra gli ostacoli del cuore / che mi voglio meritare / anche mentre guardo il mare / mentre lascio naufragare / un ridicolo pensiero / c’è un principio di energia / che mi spinge a dondolare / fra il mio dire ed il mio fare / e sentire fa rumore / fa rumore camminare / fra gli ostacoli del cuore

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