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Racconti Erotici Etero

Angelo nudo

By 24 Settembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Senti, sarà pure vero che ciò che facciamo, è il lavoro più abietto alla faccia del mondo, sarà pure vero che siamo tombini, fogne a risucchio di quando piove d’inverno, e come uccelli notturni ci dà fastidio la luce, cadiamo in letargo e tappiamo finestre, perché al giorno non possiamo mentire e ci spoglia più a nudo di chi ora ci aspetta.

Senti sarà pure vero che il trucco che porto, è un’impronta indelebile sulla mia faccia, un marchio da troia su una scrofa adulta, ma che ci posso fare se in fondo mi piace, se il sesso che prendo è soltanto un dettaglio, di dieci minuti in ginocchio o distesa, mentre intorno m’avvolge una notte di stelle, d’aria fredda che sbatte sul mio profilo più bello. Perché non c’è paragone di quando allo specchio, mi trucco e mi vesto prima di uscire, e curiosa compongo una donna diversa: chi sarà questa sera che cammina sui viali? Un punto di rosso trasportato dal vento, come un cappello che vola raso sull’acqua.

Senti, sarà pure che gli altri mi credono pazza, che non c’è poesia quando si batte per strada, e tra le mie gambe c’è un buco e neppure a colori, che chiamano fica che chiamano culo tanto non conta per passarci la notte, quando dentro mi entra la feccia e la melma, di gente che paga per ricevere amore. Ma io davvero mi sento l’eletta, sposa del mondo per uomini soli, quando indosso le calze più chiare e più bianche, e raccolgo i capelli e mi baciano il collo. Che bello davvero sentirsi la brama, di fiati e saliva che sale e che cola, nel punto che gli altri ti chiedono femmina. E’ un attimo breve dove mi sento una dea, dove non c’è altro lavoro che appaga e che tenga, come se tutte le donne non avessero tette, o fossi l’unica al mondo ad averle più grandi.

Fanny mi guarda e ha già adocchiato una preda, quello che dico non la sfiora nemmeno, sono balle soltanto di una ragazzina borghese, che ha il padre avvocato e s’illude ogni volta, che l’amore che cerca è nella bellezza che prova, che trova ogni notte spalancando le gambe. Sono brividi forti sono colpi di maschio, che cerca all’estremo un piacere più alto, come se il mio sesso fosse solo l’entrata, un capriccio che passa non appena attraversa, per il desiderio più intenso vicino ai polmoni.

Senti sarà pure che il vento mi gela le mani, ed a volte faccio fatica ad essere brava, ad esser me stessa in un rapporto esclusivo, col sesso che ammollo prima di concedermi tutta. Non li guardo mai in viso, cosa servirebbe all’amore? Vederli negli occhi e scambiarci un sorriso, spettinargli i capelli e baciargli la bocca. Ma loro mi cercano perché faccio bene l’amore, e tra le mie gambe ci batte tenero un cuore, come se ogni volta fosse la prima, dentro una stanza d’albergo la prima notte di miele.

Senti sarà pure vero che il mondo fa schifo, e tutto intorno c’è guerra e macerie fumanti, io offro soltanto pelle rosa di fica, e qualche volta nemmeno perché basta la bocca, vapore di fiato che neanche li tocca, per vederli sgorgare di passione fumante, come acqua sulfurea che fa bene alla pelle. Perché allora dovrei sentirmi più sporca? Vergognarmi di questo seno che mostro, che a notte fonda lo scopro per aprire due occhi, che girano a vuoto ancora indecisi, se farsi una donna e farsela tutta, o finirsi da soli nei sogni dell’alba. Chiedono un prezzo e rispondo cinquanta, chiedono come e li lascio vagare, nella voglia d’avermi di fermare la danza, di mettere in gabbia le mie tette leziose, che ballano al vento mentre cammino, che fanno tre passi come in un valzer antico.

Sono tette di troia che vanno con tutti, obbedienti e infedeli che si danno per poco, ribelli e sfacciate che si danno per tanto. Sono campi di grani rigogliosi e fecondi, distese di mare che nutrono pesci, ma anche siepi d’alloro che sanno di piscio, lische marcite per i gatti di notte. Sono palle bagnate di saliva e di voglia, spugne imbevute di piacere che ciuccia, poi il vento l’asciuga e riprendono forma, pronte e gemelle per la prossima bocca.

Sono cagne in calore sotto i vetri la notte, che s’accoppiano al primo dopo ore di corte, ma poi ammiccano al branco che muto le aspetta, quando i colpi del primo si fanno più radi. Cammino le ostento e le gonfio ogni sera, perché siano chiocce per riparare se piove, per chiunque s’illuda d’averle già viste, attaccate alle madri che sgorgavano latte. Come vorrei che ne uscisse, ad ogni bocca che succhia, ad ogni lingua che lecca e si lascia sfamare, come nettare d’anima che nutre la mente, e farli ingozzare fino all’ultima goccia, quando la voglia poi scade e non rimane che niente.

Senti sarà pure vero che questo inno alla gioia è solo apparenza, che basterebbe un tuono per scappare al riparo, d’una chioma di pino d’un balcone spiovente, e guardare la pioggia che lava la strada, da cartacce e puttane che la corrente trascina. Ma io davvero mi sento un angelo nudo, che bionda nel cuore calmo gli ardori e li accompagno nel viaggio e consumo passioni, strappi di voglie violente e più dure, fino a sentirli rilassati e più onesti, mentre pagano il conto e la lampo si chiude.

Senti sarà pure vero che m’illudo soltanto, che tutto questo non ha mai fatto poesia, che le puttane ci sono da sempre, come i cani d’inverno con le bocche fumanti, ma se scavi nell’anima di ogni cosa che vedi, se giri di notte e non cerchi la fica, ci vedi una donna in cornice che aspetta, appoggiata sull’ombra della falce di luna, ed un pittore di fronte che intinge i colori, nell’umore che cola e la fanno più bella. E dipinge le labbra e scontorna le tette, ingrugnisce la faccia per ricomporla più tardi, fissando i colori al vento che tira, al sesso che grande la riempie e la sazia, e sfama il bisogno di essere bella, di essere regina di un mondo sommerso, che l’alba poi lava e sbiadisce i colori, e il camion d’immondizie l’avverte che è ora, di tornarsene a casa ed andare a dormire.

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