Skip to main content
Racconti EroticiRacconti Erotici Etero

Beyond the White: godimento finale

By 28 Aprile 2020Giugno 16th, 2020No Comments

Si abbracciano e baciano già prima di arrivare alla baita. Già in macchina le mani cercano zone sensibili, sollecitano, solleticano, evidenziano, esplorano e cercano.
Schivano vesti e pudori in favore di antipasti, preludio al banchetto di godimento che imploderà di lì a poco.
L’uomo sorride. La limousine è sicuramente papabile come location per un copione erotico di tutto rispetto ma né lui né lei vogliono che l’autista, buon diavolo, si debba masturbare nel sentirli attraverso l’interfono lasciato proditoriamente staccato da lei.
Lei geme appena quando una mano le sfiora l’intimità da sopra le mutande, esposte dall’eccessiva apertura delle gambe e dal tubino di Versace decisamente impudico in una simile situazione. Lui sorride. Lei lo bacia. Lingua contro lingua. Fiati in mescolanza, assoluta e totale brama di sesso. 
È una fortuna che l’autista non possa vedere. Com’è una fortuna che la baita dove abita quella donna sia vicina. L’attesa del piacere è già piacere, no?
No. Non per loro, non per lei. Bionda, viso cesellato, bocca semi-aperta nel baciarlo con assoluta voluttà, con animale desiderio.
Non per lui, viso decisamente bizzarro, occhi nocciola, capelli neri, muscoli definiti ma non eccessivi. C’è desiderio anche nel suo respiro.
Ma c’è anche altro, una consapevolezza totale, assoluta.
Forse è stato quello ad attirarla da lui. O forse no.
Ma questo lei non lo sa. In questo momento, lei non sa nulla. Niente di niente.

 

Un altro tempo, prima. Un altro luogo.
L’uomo li fissò uno a uno. Uomini e donne, gente come lui. Compagni e amici, compagne e amanti. Ma non solo. Volti nuovi e non. Erano poco più di una decina. 
Tredici, per la precisione. Tredici figure, ammantate dalle ombre di quella stanza fiocamente rischiarata dalla luce color urina dell’alogena piazzata sul soffitto.
-Penso che lo sappiamo tutti perché siamo qui.-, esordì l’uomo. Nessuna risposta.
-Ci abbiamo provato. Abbiamo tentato di ripulire questa città. E ora… è tutto come prima.-, disse. Tra le ombre assensi muti.
-È addirittura peggio. Alcuni di voi erano con me quando abbiamo abbattuto il Consiglio dei Sedici. E ora, i demoni sono tornati. Sotto altre forme. In altri luoghi.-, le sue parole vennero recepite, ascoltate, assorbite. 
-Credo che, per quanto il mondo odi quelli come noi, sia ora di ammettere che siamo un male necessario. Che per noi la normalità non esiste. Che non la vogliamo.-, fissò ogni singolo membro del gruppuscolo con occhi fiammeggianti. Nessuno abbassò lo sguardo.
-Non siamo più uomini e donne. Siamo Giustizieri.-, dichiarò.
-E quindi, dopo questo necessario esordio…-, pausa. L’uomo sollevò una borsa. Altre due vennero posate sul tavolo a centro dell’adunanza di ombre e carne.
-Possiamo parlare di affari.-, proseguì. Fece appena un cenno.
Fu una donna ad aprire uno dei borsoni. Pelle chiara, diafana. Viso orientale. Giapponese.
Nô Mitsutune, la donna a capo di uno dei più temuti clan della Yakuza. Alleata dell’uomo già durante il confronto finale con il Consiglio dei Sedici. Compì il gesto con rituale solennità.
All’interno c’erano soldi. Mazzette di decine di migliaia di euro e dollari.
-Fondi neri. Fondi del mio clan.-, si sentì in dove di chiarire.
-Risorse occulte. Per finanziare la nostra nuova… causa.-, proferì un altro uomo.
Viso asiatico, rughe espressive, un tatuaggio decisamente inquietante di un Oni sul palmo della mano destra. Neroko Tsubikome. Uomo di fiducia di Nô. Killer fedelissimo.
-Esatto. E con il denaro, vengono gli strumenti.-, fece eco una donna. Pelle nera, viso sensuale ma con una traccia di ferocia quasi preoccupante. L’uomo la conosceva bene e anche gli altri.

Christine Buenariva. Ex nemica del Giustiziere e successivamente alleata e amante. Era ora capo di un suo gruppo operante nella zona di Haiti e Repubblica Dominicana.
Una guerriera spietata, forgiata da una vita che avrebbe distrutto gente più debole.
Tuffò la mano nel borsone, estraendo da esso una forma. Metallo e plastica.
MP5K. Pistola mitragliatrice tedesca, vecchia ma ancora più che affidabile.
-Ci sono armi più utili di altre.-, commentò una voce con pesante accento russo.
Oleg Kazamov, ex Spetsnaz, ex mercenario, ex alcolizzato cronico e ora alleato dell’uomo.
Posò sul tavolo una pistola. Un’arma capace di sparare aghi. Roba da servizi segreti.
Molto segreti e molto bagnati.

-E dopo questo lieto sfoggio di discutibile potenza…-, proseguì un quinto uomo, -Possiamo andare avanti.-. Marco Poretti, informatico di notevole livello, insolitamente giovane in quel gruppo di ombre e reclutato tramite vie traverse. Vent’anni, prodigioso genio del cyberspazio, eminenza della codifica, maestro dei terabyte, pioniere dell’infinito digitale. Accese uno schermo tramite un dispositivo remoto. 
Alle spalle del cerchio di ombre, una nuova luce animò la sala.
Mappa del mondo chiazzata di rosso. Zone. Africa, Asia, Medio Oriente, Est Europa, e altro.
-Questi sono i problemi noti.-, esordì Poretti, -Questi.-, la mappa si colorò di chiazze vedi in località diverse. Nord e Ovest Europa, Nordamerica, altre chiazze su chiazze rosse, -sono quelli ignoti. E sono quelli che potrebbero annientarci tutti.-.
-Quelli che noi dobbiamo abbattere.-, commentò una donna. Accento israeliano. Capelli neri, lineamenti ebraici, apparentemente fragile. Miryam Glodmann. Ex ISDF, ex Mossad.
L’uomo l’aveva reclutata dopo una breve parentesi di violenza avvenuta durante un suo breve viaggio in Israele. Anche lei sapeva il fatto suo.
-Esattamente. Peccato che questi bersagli non siano come il Consiglio dei Sedici. Non sbandierano i loro affari. Li compiono nell’ombra.-, riprese l’uomo.
-E dalle ombre noi li trafiggeremo.-, sussurrò un altro uomo. Inglese con accento marcatamente tedesco. Barbetta grigiastra, viso sfregiato da una cicatrice che gli attraversava il volto dall’occhio sinistro allo zigomo destro.
Helmut Khöl. Mercenario. Almeno finché il Consiglio dei Sedici non gli aveva ucciso la sorella.
L’uomo l’aveva reclutato ma sarebbe più corretto dire che si era offerto volontario.
-Quanta melodrammaticità.-, sbadigliò un altro uomo. Occhi furenti si volsero verso di lui.
James Crowain. Ex SBS, due volte candidato allo S.A.S, due volte scartato.
Un commando puro. E un alleato dell’uomo già in un’occasione. Ex avvocato di grido.

-Altri bastardi da far fuori. Altri macelli da ripulire… Cosa c’è di nuovo?-, chiese.
-Il livello.-, sibilò l’uomo. E quelle due parole magicamente riportarono il silenzio.
L’uomo raggiunse la borsa, estraendo armi. Da taglio. Karambit e coltelli in fogge varie e disparate. Survival, a lama fissa e non, in carbonio e acciaio al molibdeno. Moderni e non.
-Il livello è cambiato, signori e signore. Completamente e assolutamente. E ci renderà tutto molto più complicato.-, disse.
-Più complicato…-, sibila una voce. La voce. Quella di un alleato che l’uomo non credeva di avere. L’unico tra tutti loro che probabilmente non avrebbe mai creduto di riuscire a convincere a unirsi a quella loro crociata. La sagoma esce dalle ombre. Capelli biondi, viso serio, anche troppo. Occhi verdi, assurdamente perfetti.
Jhon Kingsword. Figlio di Adele Kingsword, figlio di uno dei nemici del Giustiziere. Figlio redento, figlio destinato a essere migliore della madre.
Ex trafficante di droga, ex pappone, ex contractor. Ex molto altro. Ora, solo il più recente tra gli apostoli oscuri del Giustiziere. Sorrise appena, mettendo sul tavolo un’ennesima borsa.
La aprì. Inneschi e detonatori. Semtex e C4. Materiale da demolizione definitiva.
-Tutto brucia, prima o dopo.-, disse Jhon con un ghigno.
-E tutti.-, rispose una voce dalle ombre. Il cerchio ora si disgrega, lentamente.
Antonia DuLac. Baronessa in picchiata. Baronessa francese. Era una misconosciuta discendente di una delle case nobiliari francesi più in voga, almeno fino alla seconda Rivoluzione Francese. Poi, colpi di mano, sferzate dal fato ingrato, ingiustizie subite. Crollo economico prima ancora che sociale. Collaborazionismo con l’occupazione nazista. Pessima scelta davvero. Dopo la seconda guerra, la famiglia DuLac è svanita nell’ombra, divorata dalla crisi, la villa di famiglia affittata per turismo. E lei, Antonia DuLac, figlia di Jacques DuLac e di un’attrice italiana, era rimasta la sola depositaria di una fortuna inesistente, di un nome infamato. Quando gli affari di suo padre con Tikal Withefang (una trafficante d’armi alleata al Consiglio dei Sedici) erano venuti alla luce, Antonia aveva scelto di smettere di subire.
Addestramento duro. Ex fidanzata con connessioni con il GIGN, sei mesi di forgiatura di corpo e mente in una miriade di ambiti per diventare qualcosa che forse il suo nome neppure meritava. Per una sola parola e una sola meta. Redenzione.
Non era stato l’uomo a reclutarla. Era stata lei a cercare lui. A ringraziarlo.
Sebbene non se la fosse mai fatta, l’uomo avrebbe potuto comodamente scommettere sulla sua lealtà. E anche sull’interesse che Antonia sicuramente nutriva per qualche altro membro femminile del gruppo. Ma quello era secondario.
-Tutti bruciano, prima o dopo. La sola variabile…-, pausa studiata, aristocratica, -È come.-.
La baronessa DuLac sorrise, i capelli ramati che incorniciavano un viso carino ma indurito dalla durezza dovuta alla trasformazione subita. Da Baronessa a guerriera.
Da Maria Antonietta a Boadicea. Dalla luce alle ombre.
Posò sul tavolo una borsa. Aprì la cerniera con un gesto. Estrasse una sorta di lattina.
No, non una lattina. Una granata al fosforo bianco. WP, hardware letale.
-Fuoco purificatore.-, fu il commento da una delle ombre ancora ignote, -Molto poetico.-.
Denigratorio ma non per offendere. Avanzò dall’ombra con un ghigno.
-E quale… superba poesia, mia cara!-, esclamò con piglio teatrale.
-Risparmiati le prese in giro.-, replicò Antonia, parlando in italiano, il tono duro.
-Je m’excuse, cherié.-, disse lui con un sorriso da dietro la maschera da arlecchino.
Era proprio solo questo. Arlecchino. Nessun nome, nessuna storia. Parlava diverse lingue, tutte con un’inquietante mancanza di accento. Avvolto nella giacca variopinta era sicuramente incongruo e incoerente in quella riunione di ombre.
Eppure l’uomo lo sapeva bene, come tutti quanti, che quell’uomo alquanto bizzarro era un assassino. Cinquanta uccisioni confermate. Banchieri corrotti, pedofili, papponi, mafiosi. Area operativa Europa centro-meridionale. Modus Operandi mutevole. Mai ricercato, mai indagato, mai neppure schedato. Ai sensi del moderno sistema legale, Arlecchino era un nulla, un’incognita. Non esisteva. Come tutti loro. E come la Baronessa, era stato lui a trovare l’uomo e a proporre la propria collaborazione. Posò sul tavolo delle fiale.
Veleno. Veleni. Di quelli letali. Medicine per il tumore che divorava il mondo.
Fiale di colture batteriche veramente letali, con diversi tempi e sintomi. Non erano segnate.
Dove se le fosse procurate, l’uomo non lo voleva sapere.
-Facciamo sì che l’ultima risata sia la nostra, c’est juste, non?-, chiese Arlecchino.
-Assolutamente.-, rispose un’altra voce. L’ultima. Timbro flautato, viso angelico. Thai, sicuramente una donna diversa da tutte loro. Non perfetta ma neppure pregna di difetti.
Essere atrocemente fluido anche nelle ombre, il viso che celava chissà quali segreti.
-Benvenuta, Shaibat.-, disse Nô, -Temevamo che non saresti venuta.-.
-Ci ho pensato. Sarebbe potuta essere una trappola. E si da il caso che io intenda sopravvivere. Almeno per un po’.-, disse la nuova venuta con un sorriso che non arrivava agli occhi.
-Proposito universale, suppongo.-, disse Poretti, -Anche per le leggende.-.
Shaibat sorrise, lusingata. Sebbene quello non fosse il suo vero nome, era quello con cui era nota alla comunità internazionale. Membro di Anonymous e trafficante d’informazioni con abilità pari a quelle che Poretti mostrava nell’informatica, Shaibat era ricercata da tre diverse mafie dell’Estremo Oriente. Le Triadi, la mafia birmana e alcune frange della mala giapponese.

Eppure il suo lavoro non era neppure lontanamente a rischio. La giovane manovrava informazioni come respirava, confondendo avversari e alleati mentre continuava a colpire per poi svanire. Il suo aiuto costava parecchio all’uomo e ai suoi soci e solo un rapido colpo di Marco Poretti ai danni di un ricchissimo e corrotto generale pakistano aveva permesso di riuscire a reclutarla. Di Shaibat si sapeva poco e niente se non che non aveva un domicilio fisso, bensì una serie di possibili recapiti continuamente mutevoli. La fiducia nel suo vocabolario non esisteva e neppure l’amicizia. Ma esisteva il rispetto per una causa.
E quella propostale da Nô Mitsutune era una causa di tutto rispetto, oltre a darle l’occasione per divenire molto più ricca di quanto già non fosse.
-Le leggende hanno tutte un fondo di verità.-, disse la thailandese appoggiando un fascicolo consistente sui borsoni, -E la verità è potere.-.
-Allora direi che possiamo iniziare con la nostra società di mezzanotte.-, disse l’uomo.
 Cenni di assenso in risposta. Cominciava il lavoro vero.

 

Baci. Baci rapiti. La donna emette rumori umidi, geme, gode proprio.
Sul sedile della limo ora luccicano umori. L’uomo le sta accarezzando il clito con abilità diabolica. Con bravura eccelsa.
-Così…-, sussurra lei, -Fammi godere, stronzo.-. È una frase detta troppo dolcemente per risultare offensiva. Lui sorride.
-Sicura di voler godere qui? Il tuo autista potrebbe avere qualcosa in contrario.-, le risponde.
Ma non smette. Ora le dita scansano le barriere in tessuto, penetrano, affondano, sondano.
Sono accolte dall’umidore e dal colore di una femmina che vuole godere.
La bionda sta godendo. Un primo orgasmo di totale, assoluta soddisfazione. Geme, il bacino scosso da tremiti inconcepibili, le labbra serrate che emettono versi inumani, gli occhi rovesciati. L’uomo continua, estraendo le dita piano, lordando i sedili e la tappezzeria.
-Non è mica giusto che godi solo tu.-, dice.
-Già… sono proprio stronza, eh?-, chiede lei mentre riprende fiato. La baita è in vista.
L’autista ligio al dovere, parcheggia con disinvoltura e apre la porta. La bionda, all’anagrafe Karen Bowman, quarant’anni in un corpo che ne dimostra trenta, sorride.
-Grazie, Carlos.-, il messicano rimane impassibile nonostante abbia sentito tutto e la donna che gli sta davanti ora come ora ha il vestito sollevato ben oltre la decenza.
-Un piacere, signora.-, dice lui. Ritorna nella Limo mentre loro riprendono a baciarsi e varcano la soglia della baita, avvinghiati come piovre..

-Karen Bowman. Operatrice sanitaria, impegnata nella lotta al femminicidio e allo sfruttamento in Messico. E trafficante di coca. La neve messicana sembra andarle molto a genio. Sicuramente più di quanto non dovrebbe. Si stima che un buon trenta percento dei drogati negli States vengano indirettamente riforniti da lei. Connessioni in tutta l’America Latina e nelle più fetide cloache del narcotraffico sudamericano.-, la voce di Shaibat era calma e pacata mentre illustra.
-Possibilità di eliminazione?-, chiese Christine Buenariva.
-Altissime, nell’immediato, ma rischieremmo di attirare l’attenzione. Troppa attenzione.-, fu la risposta di Marco Poretti, -Karen è protetta dalla C.I.A. Puttane per tutti i clienti, parrebbe.  Fornisce info su diversi cartelli emergenti.-.
-Capito. Uccidiamo lei e avremo addosso la più potente agenzia di spionaggio del mondo.-, disse Jhon Kingsword a braccia incrociate.
-Non necessariamente.-, replicò Christine, -Esistono molti modi per uccidere.-.
-Esatto.-, concordò Arlecchino con un tono divertito, -Ed esistono milioni di alibi…-.
-Ma una sola finestra temporale per il colpo perfetto.-, disse l’uomo.
-Già. Il Galà di beneficienza di Città del Messico. Patetico e lurido, ma il posto che tutti si aspettano che lei frequenti.-, disse Shaibat, -E il posto che dovrà frequentare.-.

Il tono della regina del mercato nero delle informazioni calò appena.
-Il posto dove incontrerà qualcuno di affascinante.-, disse con calma squadrando tutti loro.
-Qualcuno a cui non potrà resistere.-, continuò l’uomo.
-E che saprà regalarle un esperienza… estatica.-, disse Jhon Kingsword. Vari occhi andarono a convergere su di lui.
-Non dovrebbe volerci poi molto, eh?-, chiese questi. Marco Poretti annuì iniziando a digitare freneticamente sulle tastiere dei tre PC che aveva acceso davanti a sé. Lavorava su più fronti.

-Assolutamente. Anzi…-, premette gli ultimi tasti, -Date il benvenuto a Pablo Maltero.-.

 

-Oh, sì! Pablo! Asì!!!-, mischiando spagnolo e inglese, Karen accoglieva le spinte dell’uomo. Il letto della baita di villeggiatura di Karen Bowman era divenuto teatro di una battaglia erotica. Una lotta sessuale e ferocissima. Baci, morsi, graffi, spinte, sudore.
Piacere e dolore mescolati, mixati, sublimati fino a perdere di significato nell’estasi.
Pablo ci va giù duro, penetrandola senza la delicatezza che ha già ampiamente dimostrato in macchina. Karen, distesa sul letto ridotto a campo di battaglia, geme, riceve, gode.
L’uomo continua. Pompa, ghigna, ansima, le stringe i seni, martirizzandole i capezzoli grossi.
Hanno attraversato la baita in preda alla frenesia erotica, sparpagliando vestiti lungo tutto il corridoio, arrivando in camera già nudi. Solo la prudenza dell’uomo l’ha convinto a infilarsi un condom prima di penetrarla. Karen ringraziava che fosse stato così lucido. Aveva già abortito due volte. Non intende farlo di nuovo. E non intende avere un figlio da quell’uomo che era riuscito a brillare come una stella solitaria nell’universo morente dello squallido Galà.
Incredibile come uno così di classe nasconda un animo tanto passionale: al primo bicchiere di gin millesimato offerto da lui, l’uomo aveva preso a presentarsi, calmo, posato.
Al secondo bicchiere la conversazione si era lentamente fatta più personale.
Al terzo bicchiere consumato insieme le aveva raccontato di qualche episodio del suo passato in qualche esercito poco importante. E non c’era stato un quarto bicchiere, solo la certezza, assoluta e totale certezza da parte di Karen Bowman che quell’uomo dovesse scoparla.
Certezza rivelatasi esattissima in quel momento. Con un grugnito lui esce da dentro di lei.
-Cosa fai?-, chiede la bionda con tono lamentoso. Lui non risponde. Sfila il condom gettandolo sul pavimento e si allunga verso i calzoni a terra prendendone un altro.
-Penso che si sia bucato.-, dice, con un ombra di costernazione.
-Cazzo…-, impreca Karen. È svaccata a letto e si sfiora tra le gambe. È mezz’ora che sta godendo e non vuole fermarsi. Evidentemente neanche lui vuole.
-Mettiti a pecorina.-, dice l’uomo. È un ordine. Un comando. Lei obbedisce.
Sente le dita di lui frugarle la vulva, raggiungere lo sfintere.
-Ti spacco il culo.-, sussurra Pablo. Karen sorride. Non che la cosa la spaventi. La sodomia è un trattamento per pochi e l’usufrutto del suo sfintere non è propriamente appannaggio di tutti.
Ma quell’uomo può sicuramente regalarle un piacere assoluto. Si sfiora, affondando con le dita nella vagina bollente e sgocciolante smegma sul copriletto.
Sente il membro premere, le mani stringere. Con un solo affondo l’uomo le entra nel culo.
Il suo gemito è dolente tanto quanto compiacente, il retto forzato s’adatta lentamente all’ospite decisamente ingombrante.
-Fino in fondo…-, sussurra l’uomo. Le affonda dentro del tutto. Karen si accorge che il condom è lubrificato. Molto lubrificato. Un bel pensiero… Ma totalmente inutile.
E davvero bizzarro che lui c’abbia pensato ora…

 

-Quindi come la elimino?-, la domanda di Jhon Kingsword era semplice. Elementare.
-In modo… discreto.-, rispose Arlecchino. Gli gettò uno strano dischetto nero.
-Questo è un condom…-, notò lui. Arlecchino annuì, serissimo a dispetto della maschera.

-Certo. Un condom speciale. L’interno è come tutti. Lattice. L’esterno…-, la voce del killer cambiò, mutò, -È letale. Una coltura batterica molto semplice e molto rapida ad agire. Un cardio-costrittore. Non potrà attraversare le maglie del preservativo ma non avrà nessun problema a infettare la nostra… amica.-.
-Quindi io dovrei scoparmi la Bowman per…-, lo stupore impedì a Jhon di proseguire la domanda. Arlecchino annuì, ridendo, pregustando la burla.
-Immagina. Immagina che scherzo memorabile, fratello.-, disse.
Erano in una stanza di un infimo hotel messicano. Poche ore prima del Galà.
-Rimorchiarla non sarà facile.-, mormorò Jhon.
-Tutt’altro.-, rispose Shaibat, -La cara Karen è una vacca come poche altre.-.
-Esatto. Almeno due divorzi certi e un bel numero di amanti e storielle varie. È una ninfomane.-, confermò Marco Poretti dalla sua posizione informatica tramite videochiamata.
-Quindi… come la prendo all’amo?-, chiese Jhon Kingsword mentre controllava la tintura dei capelli e le lenti a contatto. Quelle, insieme ad alcune minuscole modifiche minori al fisico lo avrebbero reso irriconoscibile. L’ideale per assumere la sua nuova identità.
Rischio di identificazione pressoché nullo. Solo un’analisi estremamente accurata e un confronto a computer selettivo e mirato avrebbe potuto svelare la sua vera identità.
Ma, come sapevano tutti loro, nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. Nulla. Mai.
-Fisiologicamente parlando, l’ano è un ricettore notevole. Una qualsiasi sostanza immessa tramite l’ano entra in organismo molto prima e con maggiore efficacia.-, aggiunse Arlecchino.
Indossava un tweed bizzarro e la maschera da commedia.
-Mi stai dicendo che…-, Jhon non riuscì a continuare la frase.
-Già. Dovrai proprio metterglielo in culo.-, disse Shaibat con un sorriso insopprimibile.

 

-Non fermarti…-, sussurra Karen. L’uomo l’accontenta dandole altri due o tre colpi di reni.
È al limite. Sta per venire, lei lo sente. Sa che sta per accadere. E anche lei sta godendo. L’orgasmo é uno tsunami continuo, ciclonico.
“Questa è probabilmente la scopata più bella che io…”, il pensiero viene troncato da un dolore assoluto. Totale. Una fitta che la fa urlare. L’altro non sembra accorgersene: continua ad affondare in lei, avanti e indietro. Karen Bowman fa per urlare. Emette solo un gemito afono.
Sente il cuore battere debole, il cervello in debito d’ossigeno. La fitta è divenuta una ragnatela di dolore lungo l’addome. E poco dopo, lo sente sfilarsi, in modo rapido. Lo sente alzarsi dal letto. Non capisce.
Ma non riesce neppure a parlare. Non riesce a dire nulla. Riesce solo a supplicare un dio incurante della sua disperazione mentre la sua mente si spegne.

 

Jhon Kingsword, uomo di punta, si alza dal letto ripulendosi. Si sfila rapidamente il comdon buttandolo nel sacchetto del cestino. Raggiunge i suoi abiti rivestendosi.
-Fatto.-, comunica al telefono. Pochi istanti dopo sente la porta della baita aprirsi.
Nô e Neroko irrompono, armi pronte e sacchi in spalla.
-Dobbiamo far sparire il corpo, le lenzuola e tutto.-, dice la giovane giapponese.
-Abbiamo qualche ora, ma meglio sbrigarsi. L’autista?-, chiede Jhon.
-Se n’è occupata Christine.-, risponde Neroko mentre adagia il corpo di Karen Bowman nella body bag srotolata sul pavimento. Chiude rapidamente la cerniera. Nô estrae cose dalla sacca.
-Allora muoviamoci.-, risponde Jhon. Prende una delle cose. Un detergente antibatterico.

Dopo pochi minuti, dieci per l’esattezza, non c’è più nulla. Nessuno ha abitato la baita, nessuno ci ha scopato e nessuno ci è morto. La baita è disabitata, intonsa, linda.
Solo una cosa risulterà bizzarra: i quattro milioni di dollari presenti sul conto bancario di Karen Bowman, spariti dal suddetto, versati a un destinatario ignoto il giorno stesso.

Leave a Reply