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Caramelle da uno sconosciuto

By 16 Agosto 2014Dicembre 16th, 2019One Comment

Ricordo quel giorno come fosse ieri.
Quel giorno in cui tutto &egrave iniziato. Quel giorno in cui l’istinto ha preso il sopravvento sui valori, sui principi, sugli insegnamenti di tutta una vita.
A dire il vero, ricordo Lui come fosse ieri. Tutto il resto &egrave più sfumato, sfocato, un sottofondo appena accennato e di alcuna rilevanza.
E’ passato un anno da allora. Superai l’ultimo esame all’università, e mi presi qualche settimana di riposo prima di tuffarmi nella stesura della tesi. Riposo, per me, voleva dire solo una cosa: mare. Sole, spiaggia, tuffi, qualche capatina al bar. Il tutto con le mie amiche di sempre. Ma senza il mio ragazzo, impegnato per lavoro fuori dai confini da circa un mese. Non l’avrei rivisto prima di settembre. Ma il lavoro &egrave lavoro’ e visto che già progettavamo di sposarci e mettere su famiglia, non si poteva trascurare quell’aspetto.
Quel giorno tornavo da mare dopo una bella mattinata con le ragazze. Era l’ora di punta: l’una di pomeriggio! Questo significa un bus strapieno di gente di ogni età. Dalle massaie di ritorno dalla spesa ai ragazzini di rientro da mare. Faceva un caldo insopportabile, e la calca non faceva che peggiorare la situazione. Appena salita a bordo pensai che probabilmente avrei dovuto accettare l’invito a pranzo della mia amica invece di intestardirmi per tornare a casa. Ma ormai’
Naturalmente non trovai posti a sedere, quindi finii in piedi, pressata contro uno dei sostegni metallici del mezzo. Se l’afa era una pessima compagna di viaggio, l’odore a bordo non rappresentava certo un diversivo più piacevole. Almeno finché le mie narici non furono pervase da un leggero sentore di pino. Un aroma fresco, gradevole. Pensai appartenere all’uomo che, nel continuo via vai del corridoio centrale alle mie spalle, in quel momento si trovava dietro di me. Non potevo vederlo, ma quel profumo era certamente maschile. E il calore del suo corpo così vicino al mio mi faceva pensare a qualcuno ben più alto e massiccio di me.
All’inizio sentivo il suo torace dietro le mie spalle. Ogni tanto, qualche fortuito contatto delle gambe, quando le spostavamo per trovare una posizione che non ci facesse finire per terra a ogni frenata dell’autobus. Sembrava allenato Lui, tonico, non era male per niente quello sfioramento. Non facevo nulla per sottrarmici. Ma, in fondo, che c’era di male? Poi’ fu un attimo e la cosa iniziò a farsi più strana’
L’autobus fece una fermata in un punto molto frequentato in estate. Un sacco di gente scese e altrettanta ne salì, creando un flusso di gente che spintonava per farsi largo. Finii ancora più schiacciata contro i sostegni, col suo corpo ancora più premuto contro il mio. Sentii chiaramente il suo cazzo premere contro la parte bassa della mia schiena. Era grosso, lungo e anche parecchio in tiro. Non l’avevo ancora visto in faccia quell’uomo, eppure iniziavo a sentirmi rapita.
Nel giro di poche decine di secondi, il fiume di gente si sistemò più comodamente, in maniera da non pressarsi troppo a vicenda. Lui, però, inizialmente non si spostò di un passo. Restò qualche secondo a farmi sentire la sua eccitazione. Quando si mosse impercettibilmente all’indietro, non so perché, fui io a cercarlo di nuovo muovendo appena il bacino. Lo feci senza pensarci troppo, mi piaceva sentirlo. Non ragionai. E quello fu l’inizio della fine.
Qualche secondo più tardi, sentii una sua mano sfiorarmi la coscia, dapprima sopra il pareo che indossavo. Poi, scansandolo, iniziò ad accarezzarmi la pelle nuda. Ero paralizzata, bloccata. Mi irrigidii di colpo. Dovevo spostarmi, sapevo di doverlo fare, eppure il mio corpo non voleva proprio collaborare.
Rimasi immobile a sentire la sua mano risalire lungo la mia coscia, in maniera lenta e discreta ma decisa e inesorabile. Sentire quella mano così grande toccarmi’ una mano che avrebbe quasi potuto circondarmi la gamba tanto era grande e stringerla fino a farmi male tanto sembrava forte’ mi stava eccitando da morire. Mentre sentivo il mio respiro farsi pesante, avvertivo il suo regolare dietro di me, come se nulla stesse avvenendo.
Pochi secondi ancora e si insinuò tra le mie cosce. E io glielo permisi, senza minimamente tentare di oppormi. Mi avevano sempre insegnato a non accettare caramelle dagli sconosciuti. E ora, invece, stavo permettendo a non so neanche chi, di massaggiarmi la figa da sopra il costume. E mi stavo bagnando per questo. Mi stava piacendo da matti.
Scostò le mutandine, e le sue dita presero possesso della mia pelle nuda. Insinuò la punta del suo dito medio tra le mie labbra ormai grondanti. Andò a cercarmi il clitoride, lo premette, poi lo pizzicò, tirandolo. Di tanto in tanto tornava a far scorrere le dita lungo l’apertura e, dopo un po’, iniziò anche a penetrarmi lentamente e completamente. Quella masturbazione così lenta mi stava facendo impazzire. Non pensavo neanche più di sottrarmi, avevo solo voglia che liberasse quel grosso cazzo che sentivo spingere dietro di me e che mi scopasse fino a far esplodere tutto il desiderio che stavo accumulando.
Un attimo più tardi, invece, allontanò le mani da me lasciandomi interdetta. Non rimise neanche a posto le mutandine, le lasciò scostate, con le mie labbra gonfie e fradice coperte solo dalla stoffa del pareo. Lo avvertii muoversi. Si chinò appena, sussurrandomi con una voce profonda che mi diede un brivido lungo la schiena: ‘Io abito qui vicino, alla prossima dobbiamo scendere’.
Non avrei dovuto lasciarlo fare. O almeno non avrei dovuto seguirlo. O, come minimo, avrei dovuto girarmi e guardarlo negli occhi invece di farmi largo tra le gente come un automa e precederlo nel breve tragitto fino alle porte dell’autobus, mentre i miei umori quasi mi colavano lungo le cosce e già pregustavo quello che sarebbe successo una volta varcata la porta di casa sua.

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