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Colazione Da Alessia

By 6 Settembre 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

Non vi è mai capitato di svegliarvi e credere che tutto quello che avete vissuto sia stato solo un sogno?
Un brutto incubo dal quale basta aprire gli occhi per sfuggire al crudele destino?
Ecco esattamente come mi sento nel giorno del mio processo; il capo d’imputazione recita:
“Concorso aggravato ti colpa per frode informatica fiscale a scopo di estorsione”.
Sono sempre stato un problema: per la mamma, per la maestra, la professoressa ed i docenti universitari ma la furbizia, e diciamolo tante volte botte di culo, mi hanno sempre tenuto fuori dai guai più seri.
Glielo dicevano sempre ai miei genitori:
-Figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi- e come una premunizione Maya mi trovai invischiato in un grosso guaio.
Aggirare un firewall o criptare una password di accesso non sono certo delle grosse violazioni per la polizia, ma quando fornisci queste informazioni a due ragazzi romeni che usano i dati trovati per scucire soldi ad un alto funzionario della sanità, allora i guai vengono a bussarti alla porta.
Il mio avvocato mi assicurò che al massimo avrei rischiato solo uno sberletto sulle mani invece il verdetto fu agghiacciante: un anno di detenzione che grazie alla mia fedina penale candida si tramutò in dodici mesi di arresti domiciliari.
Mio padre però era stato categorico quando sbraitando mi aveva avvisato:
-Se salta fuori che sei colpevole ti sbatto fuori di casa- detto fatto, perciò sgranando il rosario di conoscenti con un domicilio adeguato mi restarono solo due opzioni da comunicare alla magistratura.
La prima consisteva in mia zia Antonietta e la sua religiosissima famiglia; ricordo anni fa, quando vide per la prima volta il mio tatuaggio maori sulla gamba, urlò a mia madre che il diavolo in persona abitava nel mio cuore. La scartai a priori.
La seconda ed ultima opzione, su consiglio spassionato di mia mamma, era la casa di mia sorella Alessia.
Il primo giorno di detenzione domiciliare forzata, fui portato da una volante della polizia penitenziaria da Firenze a Pontassieve, dove risiedeva il quarto membro della mia famiglia. Dopo cinque minuti di tentativi al citofono e al cellulare Alessia si degnò di aprire il portone ai poliziotti; le fecero firmare i documenti per la custodia e le regole di reperibilità. Assonnata, sfatta e svogliata liquidò velocemente i militari e facendomi entrare in casa, senza nemmeno degnarmi di un saluto, tornò a letto; mi trovai così intrappolato in questo paese di 20000 anime, a solo mezz’ora da Firenze ma distante ancora 365 giorni dalla libertà.
Non avevo mai fatto visita a mia sorella da quando si era trasferita e nemmeno ci eravamo più sentiti; le uniche volte che la vedevo erano solo per le feste comandate, in mezzo a tutti gli altri parenti dove ci scambiavamo al massimo cinque parole e tre insulti.
I dispetti da bambini, le azzuffate da adolescenti, le liti urlate e silenziose da adulti: la rivalità tra fratelli non si esaurisce con la maturità, al contrario cresce con l’età e ce la si porta appresso spesso per tutta la vita. Non so spiegare esattamente il perché della nostra guerra senza battaglie, ricordo che è sempre stato così e allora orgoglioso e mai domo ho continuato a combattere le ingiustizie dalla sorella maggiore.
Viveva in un grazioso appartamento al secondo piano di un vecchio stabile da poco ristrutturato; un bagno, la cucina comunicante con il soggiorno, una stanza da letto chiusa ed infine la scala a chiocciola che portava forse ad una piccola mansarda.
Attesi sul divano, intrattenuto solo dalla televisione, il risveglio della bella addormentata; dopo due ore finalmente si alzò ed in vista della convivenza forzata feci sfoggio di tutto il mio savoir-faire:
-Ciao Alex!- fu il massimo che riuscii ad elaborare
-Sei un coglione!- mi apostrofò e andò in cucina per far colazione.
La raggiunsi con la voglia di mandarla subito a quel paese ma mi morsi la lingua e le dissi:
-Grazie per avere accettato di ospitarmi-
-Sei un coglione!- rincarò -Lo sapevo che ti saresti messo nella merda! Ringrazia la mamma che mi ha obbligato a tenerti qui; fosse stato per me ti avrei fatto marcire in prigione- e si diresse in bagno.
Inghiottii il boccone amaro, l’attesi fuori dalla stanza e chiesi:
-Come posso rendermi utile?- uscì
-Sul frigo c’è una lista di faccende da svolgere quotidianamente, visto che non paghi l’affitto e le bollette pretendo che tu mi ripaghi con questi lavori. Se non ti sta bene qualche punto della lista allora ti cercherai un altro domicilio- e mettendosi il soprabito andò al lavoro.
Se mi era sfuggito di mente il perché odiavo mia sorella, questi pochi scambi di battute mi riportarono alla luce tutto.
Odiavo quella stronza, odiavo ogni cosa di lei; da ragazzini la prendevo in giro per il suo peso eccessivo e perché non aveva mai fatto sesso, ora dovevo dipendere da lei.
Presi la piccola lista dall’anta del frigorifero e lessi:
-Fare il bucato e stirare
-Pulire bagno e pavimenti
-Preparare la cena per le 20.00
-Colazione a letto entro le ore 9.00 con cappuccino, spremuta, fette biscottate e marmellata.
Mi ricordai solo che urlai un “manco morto, stronza” prima di mettermi sul divano e addormentarmi profondamente; stranamente sognai e non furono sogni d’oro, bensì la mia mente proiettò la mia vita in carcere. Poco sole, poca aria, brutta gente che ti gira attorno e soprattutto essere privato totalmente della libertà.
Accantonai l’orgoglio e dopo aver preso un bel respiro iniziai la mia giornata di lavoro; vidi subito l ‘aspirapolvere e lo spazzettone è come un provetto casalingo pulii tutti i pavimenti della casa. Finito con quella mansione, vidi sul piccolo terrazzo interno delle lenzuola stese ad asciugare e le presi per stirarle; quando mi affacciai vidi nel palazzo di fronte una donna forse quarantenne di chiare origini sudamericane. Appoggiata alla ringhiera fumava la sua sigaretta scrutando incuriosita tutti i miei movimenti:
-Salve!- urlai pensando di non essere udito
-Ciao, guarda che no sono sorda- ribatté. Effettivamente non consideravo il fatto di essere all’interno di un cortile con il conseguente rimbombo che rendeva la voce amplificata:
-Scusa, non pensavo si sentisse così bene!- ammisi -piacere Luca, sono il fratello di Alessia-
-Io sono Angelica, piacere mio! Mi sembrava strano infatti, dopo suo marito Edoardo non ho più visto uno straccio d’uomo in quella casa-.
Effettivamente non avevo pensato che mia sorella era stata sposata fino a cinque anni fa, infatti in casa non c’era più traccia di qualsiasi prova del matrimonio. Spesso dicono che è meglio una coppia che due singoli, ma credo che meglio soli che mal accompagnati sia il detto più adatto per raccontare questa storia.
Quando una ragazza trentenne, senza nessuna storia seria alle spalle, non dà almeno segnali di volersi accasare, ecco che spuntano “Dottor Stranamore” da tutte le parti. È così in men che non si dica amiche, cugine e colleghe si impegnarono alla ricerca di un maschio per mia sorella; trovarono il buon Edo, tranquillo quarantenne della provincia, appassionato di videogiochi e forse ancora troppo attaccato alla sottana di mamma. Oggi lo chiamerebbero bamboccione, per Alessia fu un’occasione per far svoltare una vita piatta e senza emozioni.
Si sposarono ed andarono ad abitare a Pontassieve appunto, a cinquecento metri dalla casa di mamma Ivana; ma le persone non cambiano così facilmente.
Lui restò il solito mammone troppo appassionato di videogiochi e lei eccessivamente musona per svegliarsi ogni mattina con un uomo a fianco senza essere acida; si separarono senza soffrire e lei riscattò la casa sobbarcandosi tutto il mutuo. Non rinunciò al posto fisso e sicuro come commessa in uno dei tanti “Compro Oro” della zona e ricominciò, chiudendo la parentesi matrimoniale, a vivere la sua vita monotona.
-Resterò qui per qualche mese, forse un anno- provai a bleffare
-Ho visto la polizia che ti ha accompagnato, sei ai domiciliari?- disse col suo marcato accento sudamericano
-Si, truffa informatica- ammisi -non sono un assassino-.
Ci salutammo e ripensai a quando dissi:”non sono un assassino”; ecco probabilmente un vero assassino direbbe la stessa cosa. Mi dava fastidio l’essere un delinquente, essere considerato come la feccia della società era un macigno al quale mi sarei dovuto abituare; mi credevo troppo furbo per essere beccato e soprattutto ritenevo poco furbi quelli che condussero le indagini.
La sera arrivò veloce grazie ai lavori domestici e quando arrivò Alessia riprovai ad instaurare una chiacchierata ma zittendomi maleducatamente mangiò la pasta al pesto e se ne andò sotto la doccia.
Imprecai sommessamente, sistemai la cucina e mi diressi su per la scala a chiocciola in mansarda; probabilmente era la “tana” dell’ex marito di mia sorella, infatti era predisposta con un divano che sembrava comodo che guardava un mobile ideato per ospitare tv e consolle ora vacanti.
Mi sistemai con una coperta ed il cuscino per la notte e dopo aver spento la luce provai a dormire nella mia prima notte da “carcerato”.
La mattina dopo mi svegliai di buon ora, mi lavai e verso le nove portai la colazione ad Alessia:
-Lasciala fuori dalla porta- disse la stronza e la potei solo vedere che sgattaiolava fuori dalla stanza per recarsi in bagno.
Verso pranzo arrivarono i carabinieri per la prima di 365 firme che avrei dovuto porre prima di sancire la mia libertà; il pomeriggio feci ancora qualche chiacchiera con Angelica e dopo la solita cena silenziosa andai a dormire.
I primi mesi passarono così, senza novità, senza nessuna visita e senza la minima interazione con mia sorella; dalla firma con i carabinieri all’arrivo di Alessia avevo cinque ore libere e visto che con i mestieri di casa mi ero organizzato potevo stare tranquillo e beato a guardare la televisione. Durante una delle tante chiacchierate con Angelica, mi invitò a passare da lei per un caffè.
La paura di non essere reperibile o di essere scoperto mentre infrango le regole aveva creato in me una seconda gabbia mentale e perciò fu difficile accettare l’invito, ma la vicina di casa mi incoraggiò:
-Stai tranquillo che se non ti trovano in casa, prima di denunciare ti chiamano al telefono- spiegò -forza, vieni che il caffè è pronto- mi obbligai a vincere le mie ultime preoccupazioni e raggiunsi dal ballatoio comunicante l’appartamento di Angelica.
La donna mi attendeva seduta in un piccolo cucinino molto vecchio, quando potei vederla da vicino notai sulla pelle mulatta del viso che facevano capolino centinaia di piccole lentiggini; il naso un po’ largo e schiacciato con due belle labbra sinuose e colorate da un rossetto scuro erano sovrastati dagli occhi dal taglio quasi asiatico e leggermente truccati. I folti capelli corvini e ricci senza il minimo controllo denotavano in lei sicurezza e libertà; vedendola da vicino dimostrava qualche anno in più è appena mi fu chiara la sua situazione confermai la mia tesi:
-No Luca, la casa no es mia, io sono la badante della signora Gropponi. Vivo qui finché resta tra noi, poi chissà! Sta mui malata, ora dormirà tre ore con antidolorifici- ed alzandosi per prendere dei biscotti mi mostrò il suo fondoschiena chiaramente latino.
Non era un culetto da modella, ma neppure un sederone indecente; guardandolo, come prima cosa che ti salta alla mente è che quei jeans attillatissimi non sono l’ideale per il suo fisico ma comunque uno sguardo interessato glielo buttai lo stesso.
Forse non ero più abituato a relazionarmi con gli altri o forse i miei ormoni stavano impazzendo, ma Angelica notò quel mio sguardo interessato e prolungato al suo didietro e mi canzonò allegramente:
-Hey curioso, i miei occhi sono qui!-
-No scusa, no stavo guardando quello, poi mi son girato e..- provai a scamparla
-Ma si, io son felice se piaccio agli uomini giovani- sorrise allegra mostrando una dentatura bianca e con un piccolo spazio tra i due incisivi superiori.
Quella pausa caffè diventò una piacevole abitudine; ogni giorno mi raccontava qualche particolare in più: aveva una figlia che studia a Milano o del suo ex compagno che è tornato in Perù, e ogni giorno apprezzava sempre più i miei sguardi, spesso casuali, verso le sue forme. Un pomeriggio particolarmente caldo di inizio settembre vidi Angelica appoggiata allo stipite della finestra, con indosso un vestitino prendisole e i capelli tenuti da una pinza di plastica; con la sigaretta tra le labbra si asciugò sensualmente il sudore dal collo e proseguendo il movimento con la mano fini nella scollatura del vestito.
Udii solo un suono acuto e prolungato prima di accorgermi che stavo procedendo quasi involontariamente nella sua direzione è appena la raggiunsi feci a tempo per scansare la sigaretta e la baciai appassionatamente spingendola dentro la cucina. Non provò nemmeno a rifiutarsi e come una tarantola si avvinghiò al mio corpo giovane; con le mani toccavo quella pelle ambrata e morbida finché, risalendo per la coscia e sollevando la gonnella non trovai l’ostacolo delle mutandine. Mi sfilai i pantaloncini ed i boxer e con il membro già gonfio provai a penetrarla; l’addome morbido ma senza adipe mi introduceva alla sua vagina contornata da una peluria nera e probabilmente ricrescente, le labbra scure ed umide accolsero il mio cazzo senza difficoltà. Attaccati alla parete in un vortice interminabile di lingue, le tenevo una gamba sollevata mentre la penetravo quasi completamente; si mise a pecorina e con impeto ricominciai a scoparla facendola gemere forse più del dovuto:
-A.. Ange… Angelica dove sei?- urlò lamentandosi dalla stanza da letto la povera donna assistita -Angelica?-
e la mia partner scivolò via velocemente ricomponendosi alla bene meglio.
In quel cucinino, nudo e con il pene turgido aspettai diversi minuti prima di veder ricomparire la donna peruviana. Quando tornò mi disse di aver somministrato una valeriana alla vecchia padrona di casa e con un movimento sinuoso di fianchi e braccia si sfilò il vestitino, facendomi ammirare anche il seno, piccolo ma sostenuto, con due capezzoli larghi e scurissimi. Si legò ancora meglio i folti ricci, mi fece un esperto massaggio ai testicoli per riaccendere l’erezione e ricominciammo da dove avevamo interrotto. Mentre la scopavo, Angelica continuava a ripetere:
-No sborarme dentro, no sborarme dentro Luca- ed ancora -non prendo pillola, no sborarme dentro- e quando percepii l’incombere dell’orgasmo la feci girare e posizionando il pene vicino alla bocca le schizzai su viso e capelli lunghe gettate di sperma.
Restò qualche secondo con gli occhi chiusi mentre dava piccoli bacetti al mio glande che orgoglioso colava ancora qualche goccia; con la carta casa mi pulì e cercò di togliersi lo sperma dal viso e dai ricci, poi ci vestimmo e soddisfatto tornai a casa.

L’indomani mattina dopo aver svolto il solito rituale della colazione per mia sorella e dopo aver fatto i mestieri, suonò il citofono; pensando che fossero i carabinieri aprii senza chiedere ma quando mi si presentò davanti l’ospite inatteso, mi si ghiacciò il sangue. Quel pulcioso del mio avvocato si palesò in casa con la solita faccia da sberle, una giacca in gessato blu e grigio con cravatta azzurra:
-Caro Luca, come andiamo?- chiese retoricamente -immagino sia difficile questo momento per te, ma forse ho la scappatoia! Potremmo denunciare i tuoi ex soci per averti obbligato con la forza a far la frode informatica e così il giudice dovrebbe re-impugnare il tuo caso con un po’ di fortuna..-
-Non se ne parla nemmeno- lo interruppi -innanzitutto quella è gente che non scherza, poi io ho sbagliato ed è giusto che paghi ed espropri le mie colpe-
-Ma tu ti devi fidare di me, anzi ho portato le carte di un precedente simile; il caso Finezza contro Dumitri-
-L’ultima volta che mi sono fidato ho preso 12 mesi, avvocato!- e sbattendo il pugno sul tavolo capì che non era il benvenuto.
Raccolse tutte le carte e le rimise nella valigetta di pelle, tralasciò solo una busta sul tavolo e si avviò verso la porta:
-Quella è la mia parcella, 15 giorni per il saldo o come da accordi stipulati scatteranno delle penali; conosco la strada, non c’è bisogno che mi accompagni- e sbattendo la porta se ne andò.
Nervoso, osservavo quella lettera in busta bianca col grosso marchio rosso dello studio di avvocati impresso nel centro; presi il coraggio per aprirla e lessi il totale del l’ammontare: settemilaquattrocentocinquanta euro.
Corsi in bagno a vomitare per lo shock e solo dopo una sorsata di acqua fredda iniziai a far due conti:
-In banca ho 5000€, sulla prepagata 900€ e su Bancoposta altri 600€- corsi in mansarda e aprii la busta di plastica dove tenevo i soldi e contai:
-Uno, due, tre, quattrocento cinquanta, totale? 6950€, cazzo!- esclamai e mi allungai sul divano.
Dopo diverse ore di ragionamento capii che non potevo contare ne sui miei genitori, né su mia sorella; i miei amici erano tutti perennemente in bolletta perciò non avevo idee.
Fu dopo pranzo che, fuori dalla finestra, vidi la soluzione al mio problema; Angelica rappresentava in questo momento l’unica persona che mi dava sostegno e forse anche felicità, perciò col cuore in mano andai da lei per parlare del mio debito.
Sorridente ed accaldata nel suo vestitino a fiorellini bianchi e viola, mal sopportava l’anomala ondata di caldo settembrino; le sue origini erano un vero collage di culture, il padre metà brasiliano e metà coreano e la madre del Perù dove aveva vissuto fino ai trent’anni.
Appena mi vide capì subito che c’era qualcosa che non andava, ma sensibilmente mi fece sedere e servendomi un caffè iniziò a massaggiarmi collo e spalle:
-Coraggio, racconta alla tua Angy cosa non va- disse con il dolce accento sudamericano; le raccontai tutta la verità, compresa la mancanza di conoscenti per un prestito e senza girarci intorno le parlai dei soldi che mi mancavano per pagare l’avvocato.
Senza smettere di massaggiare mi chiese:
-Mi vuoi dire che tua sorella non ti potrebbe prestare 500€?- domandò allibita -come riuscite a vivere sotto lo stesso tetto?-
-Lei mi ospita, anzi mi tiene in casa, pulisco cucino e lavo. Non parliamo e non stiamo nella stessa stanza per più di 10 minuti- ammisi
-Che brutta stronza! Non mi ha mai suscitato simpatia, ma non pensavo fosse così!- e infilando le mani sotto la mia maglietta aggiunse -non può trattare così il mio chico- e sedendosi in braccio mi baciò sulla bocca.
Le feci scivolare le spalline del vestito che facilmente cadde lungo il ventre e denudai il seno che magnetico attirò la mia bocca; leccai i capezzoli scuri che diventarono presto turgidi mentre Angelica mi teneva spinta la testa contro il suo petto, poi la feci salire sul tavolo e aprendole le gambe ebbi accesso alla sua profumata ed accaldata vulva. Con ampie leccate assaporai per la prima volta il gusto del continente a sud degli States; con le gambe e con la mano mi spingeva sempre più in profondità, quasi volesse esser penetrata dalla mia testa finché attesi l’arrivo di un’abbondante spruzzata di seme femminile.
Mi alzai di scatto e denudatomi, finalmente la possedei frontalmente facendola sussultare per l’energia che ci misi, ma non potendo urlare per paura di svegliare l’anziana donna, soffocò la voce contro il mio petto. Il sedere reso umido dal caldo torrido di quei giorni scivolava sul tavolo in radica della cucina, dando ancora più foga alla scopata; mi ripetevo mentalmente che non dovevo venire perché non eravamo protetti, ma rimandavo di colpo in colpo la mia ritirata. Fortunatamente Angelica era più decisa di me e con un abile movimento di mano mi prese il pene che dopo pochissimi secondi sborrò copiosamente sul ventre della donna semi coperto dal vestitino:
-Porcellino, ieri mi hai sporcato i capelli, ora il vestito- sorrise maliziosa -devo farmi prescrivere la pillola perché tu sei pericoloso- e si inginocchiò, non prima di aver raccolto lo sperma con l’abito ormai inutilizzabile, per farmi il suo primo pompino.
Dapprima leccò via il seme rimasto, ma la bravura e la dedizione con la quale svolgeva il suo lavoro, non solo ravvivò l’erezione, ma velocemente mi fece venire dritto in gola; non né volle però sapere di fermarsi e continuando a pompare con la bocca raggiunse anche lei l’orgasmo.
L’aiutai a rialzarsi e allungando la mano verso la cucina prese la borsetta, il libretto degli assegni e me ne intestò uno della cifra esatta:
-Sei un bravo ragazzo, ti meriti un aiuto; ricorda solo che mi devi tanto, tanto, tanto sesso- e dopo avermi dato i soldi andò a ricomporsi.
Impiegai due giorni per trasferire tutti i soldi verso lo studio Battistoni&Forti e alla notizia della chiusura del contratto potei tirare un sospiro di sollievo; mi resi conto però che non possedevo più nemmeno un centesimo e che se Alessia mi avesse sbattuto fuori, sarei finito in mezzo ad una strada.
Da qualche giorno mia sorella era leggermente di buon umore e visto che perennemente era inasprita col mondo, la situazione era quasi agghiacciante ed imbarazzante. A cominciare dalla mattina, quando bussai come al solito per avvisarla di prendere la colazione fuori dalla porta, lei prontamente urlò:
-Entra pure Luca, mi porteresti la colazione a letto?- e riuscendo a lasciarmi basito, col vassoio colmo entrai in camera.
Alessia era seduta nel letto, coperta dal lenzuolo bianco fino le gambe; indossava una maglietta forse dell’ex marito con scritto Ducati racing e con i capelli neri arruffati nel sonno mi sorrise leggermente. La situazione era troppo strana, talmente strana da rendermi imbarazzato e dopo poche battute sul caldo e sulle notizie di cronaca chiesi di poter andare. Ogni mattina si ripeteva la situazione e spesso ci rivolgevamo parola anche a cena o durante la visione di un film; un sabato pomeriggio ero solo in casa e visto che Angelica era andata per il weekend a trovare sua figlia a Milano, sentivo il bisogno di masturbarmi.
Approfittai della grande Smart TV del salone e dopo aver inserito una chiavetta usb ed indossato le cuffie guardai un film porno; le attrici venivano sbattute a ripetizione e io lentamente mi godevo la sega, pronto a raccogliere il seme con la carta.
Purtroppo per me non sentii rientrare Alessia che scioccata osservava la mia lenta masturbazione, fissava a bocca aperta il mio pene e le palle gonfie che venivano sollazzate; voleva urlare indignata, voleva prendermi a sberle ma alla fine restò in silenzio aspettando il mio orgasmo.
Effettivamente ero quasi al limite della resistenza e quando mi girai per cercare la carta, vidi la possente figura di Alessia che impietrita mi guardava:
-Oh cazzo, Alex non pensavo che saresti rientrata così presto- e togliendo video e cuffie cercai di nascondere il mio sesso più vivo che mai; dopo interminabili secondi di silenzio si mise finalmente ad urlarmi contro:
-Fai schifo cazzo! Cosa ti salta in testa? Vai in bagno coglione! E sparisci dalla mia vista!- disse lanciandomi le mie scarpe che avevo lasciato vicino al divano.
Mi chiusi in bagno con il cuore a mille e l’erezione che aveva abbandonato immediatamente il mio corpo; mi ricomposi e mi recai da lei per chiederle scusa:
-Volevo chiederti scusa Alex, non ne vado fiero di ciò che hai visto. Spero tu possa capire che sono mesi che non faccio sesso- mentii per impietosirla -e anch’io ho le mie esigenze-
-Non vuol dire un cazzo- esclamò stizzita -pure io sono in astinenza da tempo ma non per questo mi metto a sgrillettarmela in soggiorno! Hai la mansarda a disposizione, fai ciò che credi ma fallo la sopra. Chiaro?- annuii e mestamente salii le scale a chiocciola.
Qualche settimana dopo l’incidente, in una pigra mattina domenicale stavo leggendo uno dei libri che c’erano in casa e che forse più si adattava alla mia condizione di carcerato, Delitto e Castigo di Dostoevskij. Il romanzo ha il suo evento chiave in un duplice omicidio dettato dall’ostilità sociale: quello premeditato di un’avida vecchia usuraia e quello imprevisto della sua mite sorella più giovane, per sua sfortuna comparsa sulla scena del delitto appena compiuto. L’autore delle uccisioni è il protagonista del romanzo, un indigente studente pietroburghese chiamato Rodion Romanovic Raskol’nikov, e il romanzo narra la preparazione dell’omicidio, ma soprattutto gli effetti emotivi, mentali e fisici che ne seguono.
Durante una delle scene più concitate del racconto, sentii urlare e piangere in direzione della casa di Angelica; guardai subito Alessia che si stava facendo la manicure, anche lei terrorizzata dalle grida mi fissava in attesa di sapere cosa fare.
Corsi subito, seguito da mia sorella, sulla terrazza e poi via dentro l’appartamento dalla quale provenivano le urla; vi trovammo la donna peruviana accovacciata per terra in lacrime e nel letto la povera Signora Gropponi senza vita. Anche Alessia scoppiò a piangere ed io scortai le due donne in cucina prima di chiamare l’ambulanza. Arrivarono in poco tempo insieme ai figli della deceduta, e ad una volante dei carabinieri; dovetti assistere alla processione dal balcone di casa per evitare qualsiasi problema, finché Angelica si incamminò nella mia direzione:
-Luca, vado a stare qualche giorno da mia sorella Paula- disse con gli occhi gonfi e pieni di lacrime -non so quando ci rivedremo, non so nemmeno che fare ora-
-ma non puoi trovare un’altra anziana nei paraggi?- chiesi ingenuamente -non puoi andartene così- supplicai mentre tra le lacrime Angelica si stava già allontanando.
Alessia partecipò al funerale mentre io dentro la mia cella dorata osservavo il mondo senza la possibilità di connettermi ed interagire con la vita vera.
Verso la fine di novembre, col freddo che sembrava prendere fiducia di giorno in giorno, tutto sembrava sempre uguale; Angelica era ormai un ricordo, la casa della morta vuota e sbarrata, i libri di casa letti e riletti e con Alessia la solita storia. Se non fosse per quelle strane uscite serali che proprio non appartenevano al suo modo di essere; sentivo la scia di profumo che dal bagno saliva in mansarda, vedevo che si truccava con più cura rispetto alla sciattaggine con la quale si recava a lavoro: aveva forse trovato un uomo?
Dopo due settimane di appuntamenti, dove potevo costatare anche un leggero miglioramento dell’umore di mia sorella, attendevo di vedere questo spasimante raggiungere finalmente casa base ma a distanza di un’ora e mezza sentii rientrare in casa Alessia.
Sbattendo la porta e buttando le scarpe nell’angolo andò spedita verso il frigorifero:
-Bastardo, puttaniere, figlio di troia- furono le parole che intervallavano il furioso masticar di lasagne fredde.
Scesi le scale e lentamente mi avvicinai a lei, porgendole un bicchiere d’acqua ed il rotolo di carta casa, e mi sedetti sullo sgabello della cucina:
-Tutto ok Alex?- ma gelida non rispose.
Presi due birre, le stappai e dopo avergliela offerta provai a dirle:
-Ti ricordi quando avevo bevuto tutte le bottiglie di birra di papà e le avevo riempite poi con il tè al limone? Mi ha preso a calci in culo per tutta casa, non mi sono seduto per una settimana!-.
Smise di mangiare e dopo pochi secondi scoppiò prima a ridere e poi quando incrociò il mio sguardo, si sciolse in lacrime; appoggiai la mano sulla sua spalla e la lasciai calmare senza dirle niente.
Lentamente si tranquillizzò e con il trucco completamente sciolto smise di piangere:
-Pensavo di aver trovato un uomo ed invece è come tutti gli altri, un puttaniere!- e riprese a singhiozzare -Dice che dovrei lavorare sul mio peso, che anche la mia autostima migliorerebbe! Ma vaffanculo! La realtà è che la sua ex è tornata a girargli attorno!- prese una pausa per sorseggiare la birra -Quello stronzo pelato e rachitico, non mi merita, no non mi merita- e finì la birra.
Ci spostammo sul divano e guardammo un film comico che l’aiutò a sciogliere i nervi e a non pensare all’accaduto; per la prima volta in tanti anni ci trovavamo in uno stato di calma e serenità fraterna. Sentii che per tutta notte pianse.
Le cose tra noi migliorarono sensibilmente portandola addirittura ad aiutarmi nei lavori di casa e creando una sorta di dialogo che, dovuto all’assenza prolungata di Angelica, necessitavo come l’aria.
Incominciammo a far colazione insieme seduti sul suo letto e qualche volta ordinavamo una pizza e con un film si passava una serata piacevole.
A distanza di qualche settimana, quando sembrava avere superato la crisi per essere stata lasciata dal presunto fidanzato, Alessia tornò dal lavoro prepotentemente intristita, adirata e scorbutica; come ormai era quasi abitudine mi permisi il lusso di chiederle esplicitamente cosa la turbasse, ma con un laconico
-Sono cazzi miei- si chiuse in bagno per un’ora.
Quando uscì, abbracciata dall’enorme accappatoio rosa e con in testa un asciugamano messo come un turbante, mi chiese subito scusa:
-Scusa se sono stata acida a risponderti. Ho avuto una brutta giornata!-.
Sapevo che il suo lavoro la deprimeva, stare a contatto con tanta gente disperata che vende il proprio oro per poter pagare i debiti la affliggeva; inoltre lei era stata una brillante laureata in Scienze dei Servizi Giuridici, perciò si sentiva pesantemente demansionata oltre che non realizzata.
-Immagino che avere a che fare con certa gente non sia idilliaco, ma purtroppo non puoi pagare le bollette con la sola appagazione personale- provai a ragionare.
Digrignò i denti, sbuffò come se dovesse ridurre la pressione proprio come una pentola ed in fine ammise:
-A dire il vero il mio lavoro non c’entra stavolta, settimana prossima c’è in programma una cena con tutti i colleghi di UniFi e ho detto alle ragazze che avrei presentato il mio nuovo compagno; visto che per due anni di fila ho inventato storie sul perché non potesse esserci, speravo quest’anno di metter a tacere quelle pettegole ma evidentemente dovrò inventarmi qualcosa- e con gli occhi lucidi e struccati entrò nella sua stanza.
Mi spiaceva per Alessia, forse per la prima volta nelle nostre vite provavo compassione per lei e il mio istinto diceva che dovevo aiutarla. L’unica cosa che riuscii a partorire fu quella di ingaggiare un accompagnatore ma appena vidi i costi eccessivi, anche solo per una cena, desistii.
Inoltre pensare un uomo che faceva dell’immagine e dell’apparenza il proprio mestiere, insieme a mia sorella che per contro non era né in forma ne bella e neppure curata nell’abbigliamento, era come ammettere a tutti che avevi ingaggiato un gigolo.
A due giorni dal ritrovo con i colleghi universitari, Alessia tornò a casa dal lavoro con una bella torta sacher; dopo cena la tagliammo e nel bel mezzo di quattro chiacchiere informali, mi disse:
-Forse ho trovato una soluzione Luca!-
-Soluzione a cosa?- chiesi con la bocca piena di torta al cioccolato
-Beh- prese tempo mentre sminuzzava nervosamente il tovagliolo di carta -Se riuscissi a convincere tutti a cenare qui a Pontassieve, con una mia collega che starebbe qui a casa a farci da “palo”, beh non vedo perché non potresti fingerti tu mio compagno per una sera. Inoltre in sette mesi, i carabinieri si sono sempre presentati tra le 18 e le 19-.
Sentendo quell’assurda richiesta mi ingozzai con la torta e dopo qualche secondo di apnea sputai nel piatto il boccone che mi stava soffocando:
-Che cazzo ti salta in testa Alex? Sono agli arresti domiciliari per la miseria! Vuoi farmi rinchiudere? E poi col cazzo che mi fingo tuo compagno! Ho anche 10 anni in meno! Come potrebbero crederci? Ma poi che schifo, sei malata-
-Sei un coglione, uno stronzo! Tu mi fai schifo- e come tutte le nostre litigate finimmo per non guardarci più in faccia ed ognuno si recò nella sua stanza.
In mansarda mi concentrai nella lettura di Hemingway e del suo capolavoro “Per chi suona la campana”; purtroppo però non riuscivo ad immedesimarmi come al solito nel buon Robert Jordan, corrispondente nella gherra civil spagnola.
Il pensiero che Alessia si era arrovellata la mente per una soluzione disperata, mi faceva sentire uno schifo per come avevo smontato il suo piano e per come l’avevo insultata.
Scesi le scale e la trovai con già indossato il pesante pigiama in pile, mentre sparecchiava la tavola abbandonata dopo il litigio.
Con gli occhi di chi aveva appena smesso di piangere, mi guardava con odio e disperazione:
-Alex ho paura di essere beccato, e se mi allungano la pena? E se mi denunciano per tentata evasione? E se mi sbattono in galera?-.
Le tornarono a sorridere gli occhi e contemporaneamente il peso sul mio stomaco per averla fatta soffrire si sciolse:
-Luca ho pensato a tutto: la mia collega Maria starà qui a casa con il telefono pronto; noi saremo a cena all’ Artemide che dista 300 metri da qui. Tu correndo ci impieghi 2 minuti a tornare e se entro dal garage diremo che sei andato a buttare la spazzatura. Non succederà nulla, fidati di me!- non risposi subito.
Pensai prima ai rischi elevati di esser visto, poi però pensai a quello che mia sorella aveva fatto e stava tuttora facendo per me, in un momento in cui tutti mi avevano voltato le spalle:
-Se dovesse succedere l’irreparabile, mi porterai le arance in prigione?- e indirettamente capì che avevo accettato.
La giornata successiva passo come al solito tra qualche lettura e i soliti mestieri; Alessia stranamente era uscita presto e lasciandomi un biglietto sul tavolo annunciò che sarebbe tornata in serata.
Come promesso, verso le 20 rientrò con dei sacchetti di carta griffati:
-Luca? Scendi, ho una sorpresa!- e aprendo le buste estrasse un maglioncino blu e una camicia bianca Ralph Laurent e dei jeans Levis; mi prese anche le scarpe, le mutande ed i calzini.
-Dai provali!- disse entusiasta
-Sei stata a fare compere? Ma come sapevi le mie taglie?- domandai
-Non ha importanza, vedi se ti stanno!- e mentre lei mi osservava incuriosita mi spogliai con naturalezza e mi rivestii.
-Sembri un assicuratore- disse divertita -ma ti sta tutto a pennello- e sorridendo mi aiutò a riporre i vestiti.
Dopo cena, dopo aver sparecchiato e messo tutto in lavastoviglie, ci sedemmo sul divano per i dettagli e le eventuali cose da non sbagliare alla cena:
-Ci siamo conosciuti?-
-Due anni fa a Pisa, vicino alla torre-
-Il mio titolo di studi è?-
-Dottoressa in Scienze Giuridiche-
-E che lavoro faccio?-
-Segretaria del notaio De Ascentis a Firenze- e via via con tutte queste minuzie che avrebbero potuto far saltare la mia copertura.
Quando fu finalmente soddisfatta dell’interrogatorio, mi porse un ultima richiesta:
-Ci sarebbe un ultimo favore che mi dovresti fare- chiese mentre stava diventando paonazza in volto -visto che domani sera saremo agli occhi dei miei colleghi una coppia, ti chiedo se te la senti di scambiarci qualche innocua ed innocente effusione- e con lo sguardo basso aspettò la risposta.

-No no no, cosa?- esclamai -Qualche bacio sulle guance posso anche dartelo, ma altro non credo sia possibile!-
-Ma Luca si tratta solo di poche ore, cosa vuoi che sia un bacetto sulla bocca?-
-Alex ma sei mia sorella per Giove!-
-Lo so, ma te ne sarei riconoscente per sempre-.
Con la testa tra le mani cercavo di allontanare l’idea di dover baciare mia sorella, ma consapevole di averle già dato la parola per aiutarla a far credere ai colleghi che fosse fidanzata realizzata e felice, dissi:
-Non so se domani riuscirò a baciarti e far finta che sia una cosa normale, sarà la prima volta ed è scioccante, almeno per me-
-Pure per me scemo! Cosa credi che mi diverta la cosa?- e mentre torturava l’etichetta di carta della bottiglietta d’acqua proseguì -Potremmo far pratica adesso, per metabolizzare la stupidaggine che stiamo facendo e per evitare l’imbarazzo domani- e chiudendo gli occhi protese la testa e arricciò le labbra aspettando una mia reazione.
La osservavo da vicino e sentivo quanto fosse disperata nell’aspettare quel bacio; il suo viso rotondo e reso dolce dai chili di troppo che si distribuivano su guance e collo, era forse l’ultima cosa al mondo che avrei voluto baciare ma chiudendo anch’io gli occhi assecondai l’assurda richiesta e la baciai.
Un bacio morbido, casto e rapido seguito subito dal movimento della testa che ci portò a guardare subito in direzioni opposte.
-Il primo è andato- dissi per stemperare la situazione
-Ora proviamo ad essere meno adolescenti e a baciarci come due finti fidanzati?- chiese mia sorella.
Dopo esserci rimessi l’una di fronte all’altro ripetemmo il movimento, ma stavolta tenendo gli occhi aperti:
-Dio mio che imbarazzo!- sbottò Alessia appena staccata.
Ripetemmo il bacio altre due volte ma con risultati tragicomici, tant’è che al terzo tentativo le scoppiai a ridere in faccia:
-Cazzo c’hai da ridere lo sai solo tu!-
-Scusa Alex ma proprio non ci riesco- tornai ad essere serio e collaborativo -senti, non prendiamoci in giro, con questi baci non ci crederebbe nemmeno un cieco che siamo fidanzati. Ormai siamo in ballo? Forza, balliamo e diamoci un vero bacio, senza aspettare altro tempo-.
Fu sorpresa dalla mia decisione ed annuendo si avvicinò a me appoggiando le mani sulle mie spalle; le afferrai i fianchi larghi e voluttuosi e la guardai serio in volto.
Volevo scappare da quella situazione, ogni mia cellula in corpo mi urlava che era sbagliato ed immorale ma non mi stetti a sentire; deglutendo avvicinai la testa ed il busto verso lei fino all’impatto con le labbra che stavo pian piano conoscendo. Sentii che la sua bocca lentamente si stava aprendo e chiudendo gli occhi infilai con dolcezza ma senza esitazioni la lingua che, dopo un istante di solitario vagare, incrociò la sua. Riaprii gli occhi e la vidi con lo sguardo sbarrato ed incredulo che cercava di reagire all’assurdo evolversi delle cose; durò forse dieci secondi ma bastò ad entrambi per capire che quello era l’unico modo per forviare chiunque avesse dubbi.
Ci allontanammo da quel morbido abbraccio e con un piccolo bacio sulla guancia tornò in camera sua; dovetti leggere il libro per due ore prima di prendere finalmente sonno e non pensare definitivamente all’accaduto.
La sera della cena finalmente arrivò. Da mezz’ora aspettavo impaziente l’arrivo dei Carabinieri che tardavano più del solito, ma quando il mio disfattismo stava prendendo la meglio, citofonarono per svolgere il loro controllo.
Appena la volante svoltò l’angolo mi fiondai per cambiarmi e prepararmi per la prima serata fuori casa da ormai 8 mesi; certo che non me lo sarei mai immaginato che dopo così tanto tempo recluso, sarei potuto uscire a costo di dover limonare con mia sorella.
Percorso da un brivido lungo la schiena, scacciai il pensiero e terminai la vestizione poi scesi le scale ed aspettai Alessia; dopo pochi minuti uscì dal bagno.
Fasciata in un vestito verde smeraldo e nero, stretto sui fianchi e largo e bombato sulla pancia e sul seno; come una moderna modella boteriana aveva fatto del suo meglio per nascondere il suo fisico pesante e rendersi più interessante possibile. Con la mano sinistra impreziosita da un solitario, si lisciava il capello nero corvino, aspettando insicura e impaziente un mio complimento:
-Alex sei bellissima, davvero- dissi, o meglio mi imposi di dire
-Grazie Luca, anche tu stai molto bene- sussurrò mentre gli occhi truccati forse eccessivamente, ripresero a brillare. Dopo aver salutato la collega che ci avrebbe dovuto avvisare in caso estremo di una visita a sorpresa delle forze dell’ordine, ci incamminammo verso il locale; non essendo più abituato all’esterno e soprattutto non essendo autorizzato da nessun tribunale ad uscire di casa, impiegai diversi minuti per sentirmi a mio agio. A pochi metri dal ristorante Alessia mi prese per mano e mi baciò sulla bocca, forse per stemperare la tensione o per ricordarmi il mio compito, e finalmente salutammo i colleghi con i relativi compagni assiepati ed infreddoliti.
Dopo i soliti convenevoli entrammo accomodandoci nella saletta riservata alla nostra compagnia.
Mia sorella non si staccava di mezzo centimetro da me e con la mano stretta nella mia, chiacchierava del più e del meno con le amiche.
Dopo gli antipasti ed i primi, il clima era più conviviale e pure io riuscii a scambiare qualche parola con dei ragazzi:
-Luca, e tu di che ti occupi?-
-Sono nel campo dell’informatica- restai vago per evitare di dire che ero un carcerato in evasione
-Allora potresti suggerirmi qualche buon provider che non sia visibile da altri?- e con molta superficialità consigliai metodi e trucchi per non farsi beccare dalle fidanzate o dalle mogli mentre si chattava con qualche zoccola, o si navigava in siti pornografici.
Una collega particolarmente ficcanaso testò la mia preparazione sulla copertura che avevamo concordato con mia sorella; proprio lei però sembrava in difficoltà e con una risata nervosa pareva stesse per mandare all’aria la mia recita. Quando si placarono le domande le sussurrai nell’orecchio:
-Calmati Alex- e quando mi guardò per ricevere ancora più incoraggiamento, la baciai con tutta la naturalezza con cui potei recitare.
Fu lei però a non volerne sapere di staccarsi e dopo venti secondi di vorticare di lingue, seppur non in modo volgare e palese, smise e ricominciò con sicurezza ritrovata a chiacchierare con le amiche. La serata effettivamente passò piacevole e dopo aver convinto tutti della nostra relazione, salutammo e ci incamminammo verso casa; quando non fummo più a portata di sguardi indiscreti, Alessia poté abbracciarmi e scaricare la tensione per la serata:
-Grazie grazie grazie Luca, mi hai salvata da quelle stronze- e sempre stringendomi, mi guardava con un affetto mai dimostrato in tanti anni.
Non so cosa mi prese, ma istintivamente la baciai ancora aprendole le labbra e trovando per pochi secondi la punta della sua calda lingua:
-E questo a che serviva?- chiese sorpresa e divertita
-Sono anch’io felice per te Alex, davvero- spiegai -ora rientriamo che mi stanno gelando le chiappe-.
Tornati a casa, dopo un breve riassunto congedammo l’amica e mi tolsi le scarpe:
-Maledetto divano- esclamai quando per abbassarmi a slacciare i comodi polacchini mi venne una fitta alla schiena -Mi sta uccidendo dormire lì-
-Dormi nella mia stanza stanotte? Il letto è grande e staremo comunque comodi-
-Ma Alex tu sei abituata a star larga, non vorrei che magari dormi male-
-Insisto Luca, vado in mansarda a prenderti i pantaloni e la maglietta, aspettami qui-
Tornò dopo poco e mi cambiai mentre lei in bagno smontava a suon di struccanti e acetone, l’impalcatura di donna realizzata felice e sicura di se.
Quando entrò nella sua stanza con il suo pigiamone rosa e grigio, ricominciò ad essere la solita Alessia, ma con un bel sorriso sulle labbra toglieva i tanti cuscini decorativi per permetterci di entrare nel lettone.
Ci infilammo sotto le coperte con le lenzuola gelate ed inevitabilmente ci avvicinammo:
-Fa proprio freddo stanotte- dissi
-Che ne dici di un abbraccio per scaldarci- e accettando mi spostai tra le sue braccia che quasi maternamente mi accolse, facendomi poggiare la testa sul suo petto e accarezzandomi i capelli mi fece addormentare.
Come mio solito mi svegliai, nella stessa posizione, dopo tre ore per andare a pisciare e quando tornai potei annusare il buon odore di quel letto e soprattutto il profumo dolce che emanava mia sorella.
Dormire con lei era come essere avvolti in un morbido abbraccio tra i cuscini, le calde coperte e la sua abbondante fisicità.
Per una settimana dormimmo abbracciati e comodi, finché la mattina di Natale ci dovemmo salutare perché avrebbe raggiunto i miei genitori per festeggiare, mentre io ero esiliato lontano da quel clima gioioso che sicuramente di sarebbe respirato a casa. Sperai che, parlando onestamente a mio padre, lui mi avrebbe in qualche modo perdonato e a fine condanna riaccettato in casa.
Prima di uscire Alessia si lavò e si cambiò totalmente mettendo tutto a lavare, così pensai di lavare tutto e farle trovare già stirato il suo pigiama preferito.
Solo in casa presi il cesto dei panni sporchi e uno a uno li caricai in lavatrice; quando presi il morbido pigiamone fui inebriato dal forte profumo di mia sorella ed irresistibile me lo portai al naso per sniffarlo ancora di più. Quando vidi che, in fondo alla cesta, c’era pure l’intimo di mia sorella ebbi un momento di confusione; presi il grande reggiseno nero e notai che era abbastanza largo come cinturini, ma le coppe non erano così enormi, forse era una 4^ taglia. Ma l’inconfondibile è delicato aroma che emanava mi obbligò a portarmelo nuovamente al naso; respiravo profondamente l’odore dei seni di mia sorella e più ne aspiravo più ne necessitavo. Non potei fare altrimenti nemmeno con le mutande nere e semplici, senza alcun ricamo; queste erano grandi ed elasticizzate, per contenere il pesante fondoschiena di mia sorella.
Quando le annusai, sicuro di avvertire ancora il profumo dei vestiti, sentii l’indiscutibile afrore di donna che come un’edera si arrampicò abbarbicandosi nelle mie narici.
Non riuscivo a smettere di inalare, nonostante sapessi che si trattava dell’intimo usato di mia sorella; un’imprevista erezione si stava sviluppando nel mio pube e d’istinto usai le mutande per masturbarmi e venire abbondante sull’indumento.
Incredulo dell’effetto che mi aveva fatto quel l’intimo da donna, restai intontito tutto il giorno e solo al rientro in tarda serata di Alessia, ripresi la mia solita lucidità.
Carica come un mulo, di regali ed avanzi di cibo, entrò a fatica in casa; l’aiutai ad appoggiare tutto e dopo essersi cambiata, venne a salutarmi:
-Buon Natale Luca- disse baciandomi la guancia -te li manda la mamma questi piatti- ed aprendo la borsa termica mi mostrò le vaschette di alluminio contenenti lasagne, ravioli, fette di tacchino ripieno e patate.
-Hai parlato con papà?- chiesi speranzoso
-Si Luca- ed abbassando lo sguardo continuò -dice che è troppo deluso per farti tornare, ogni volta che pensa a cosa hai fatto gli viene da piangere- e accarezzandomi la nuca sistemò in frigo gli alimenti.
Nonostante il letto meravigliosamente comodo, quella notte non dormii, col pensiero fisso di aver mortificato e deluso i miei e scandendo ogni minuto che passava aspettai la mattina.
Verso le sette, Alessia si alzò silenziosamente e pensando che stessi dormendo, mi preparò la colazione per portarmela a letto; come tutte le mattine però, la mia vescica piena mi causò il più tipico degli alzabandiera che rendeva i miei pantaloncini come una tenda canadese. Provai e riprovai a pensare ad altro o a sistemarmi in maniera di non essere visto, soprattutto memore della scenata che avevo subito quando mi aveva scoperto mentre mi masturbavo davanti ad un porno. L’unica soluzione fu mettermi supino e lo feci pochi istanti prima che arrivasse Alessia con il solito vassoio pieno di cibo:
-Luca? Luca sveglia! La tua sorella preferita ti ha preparato la colazione- sussurrò mentre si avvicinava; ma io non potevo girarmi per colpa dell’erezione ma quanto mi accarezzò il viso dovetti voltarmi e per forza di cose rivelare cosa mi stava succedendo nelle mutande.
Credendo di subire una reazione come la volta scorsa volta feci finta di essere ancora assonnato e con voce roca dissi:
-Che bella dormita Alex!-
-Mi sa che ti stai godendo anche il risveglio- sghignazzò mentre indicava il rigonfiamento
-Oh cazzo!- esclamai mentre con una mano provavo ad abbassare l’asta -scusa è imbarazzante-
-No no Luca, non ti preoccupare- disse sorprendentemente -è naturale, o almeno credo no? Che significa per voi uomini la prima erezione mattutina?-
-Ma non saprei Alex, probabilmente è dovuta soprattutto al bisogno di urinare, cazzo che disagio, vado in bagno-.
Tornai finalmente calmo e senza motivi di imbarazzo e potemmo far colazione comodamente a letto:
-Quanto ti manca fare sesso?- chiese improvvisamente Alessia mentre addentava il pane imburrato con la marmellata
-Tanto- ammisi senza confidarle che fino ad un mese fa me la spassavo con la vicina Angelica -e a te?-.
Non mi rispose subito; prima finì il pane, poi sorseggiò il the caldo ed in fine si sistemò il reggiseno da sopra il pigiama:
-Se ti dicessi che sono quattro anni che non faccio l’amore? Con Edoardo non dormivamo nemmeno più insieme e con Patrizio, non abbiamo nemmeno pomiciato. Ho persino perso il gusto di masturbarmi perché mi ricorda che sono dannatamente sola-
-Non sei sola Alex, oddio non posso sopperire alla mancanza ma ora sono qui con te. Però credimi, non rinunciare alla masturbazione così facilmente, è stato dimostrato che la masturbazione è un bisogno fisico, è rilassante e serve a scaricare le tensioni accumulate. Inoltre ti permettere di conoscere meglio il tuo corpo, la tua sessualità, il tuo modo di rispondere agli stimoli sessuali e infine, ma non per importanza, è un vero e proprio piacere- le dissi come portabandiera della categoria masturbatori
-Si ma io non riesco mentalmente a mettermi in bagno e farmi un ditalino, Luca, mi metterebbe tristezza e dopo poco smetterei!-
-E allora non farlo in bagno! Mettiti comoda sul letto, sul divano davanti alla TV con un bel porno che ti ispira-
-Come te l’altra volta? Maiale!-
-Esattamente Alex, io sentivo la necessità e mi sono attivato-
-Mmm.. Non saprei-
-Dai Alex, anzi organizzerò tutto io, ti preparo tutto e poi ti lascio sola a divertirti-
-Si sì, come no!- e ridendo si alzò per andare in cucina.
Nemmeno il 31 dicembre fu diverso per me e con le solite visite dei Carabinieri, con cui ormai avevo persino legato, arrivò sera:
-Alex ma a che ora vai a ballare?- chiesi sapendo che si era organizzata con la collega per festeggiare il capodanno
-No non ci andiamo, Maria è con le stampelle e dopo cena torno a casa-.
Il mio cenone prevedeva pizza birra e la saga de “Il Padrino”, ma quando Michele Corleone stava cercando di riorganizzare la società, mi ero già addormentato.
Quando, col rumore pesante dei passo con i tacchi delle scarpe di Alessia fecero ingresso in casa, mi svegliai di soprassalto, vedendo che il primo film era già ai titoli di coda:
-Alex, buon anno!- dissi convinto che fosse già il 2016
-Tranquillo Luca, siamo ancora nel vecchio, manca ancora un’oretta-
-E allora che ci fai già qui? Non eri al ristorante?-
-Si ma mi stavo annoiando e ho preferito tornare a casa, almeno non festeggi da solo!-
-Sei carina, ma non dovevi sentirti in obbligo-
-Smettila scemo, vado a mettermi comoda che queste scarpe mi stanno uccidendo!-.
Tornò dopo poco e si sedette sul divano:
-Cosa stavi guardando?- chiese finalmente a suo agio, vestita in una tuta di ciniglia viola
-Il Padrino parte prima, ora inizia il secondo!- annunciai mentre la famosa melodia di Ennio Morricone suonava dolce ma carica di pathos
-Non l’ho mai visto, ma di solito non amo questo genere- e lo dimostrò nella prima mezz’ora di film, criticando attori, battute e trama.
Arrivato al limite della pazienza spensi e guardai nel porta dvd cos’altro avevo da offrire; un cd bianco con scritto Onrop, ovvero il metodo per nascondere i porno, mi ricordai che avevo promesso ad Alessia la serata masturbazione e quando inserii il disco l’avvisai:
-Questo è un bel film erotico, se poi ti verrà voglia di toccarti io me ne salgo in mansarda e sarai in pace-
-Ma tu sei matto Luca- disse senza però staccare gli occhi dallo schermo.
Il film era impostato come tanti del genere: la bella domestica mezza nuda viene scopata dal padrone di casa, per poi essere scoperti dalla moglie che senza chiedere il divorzio, si unisce all’amplesso.
Alessia sgranava gli occhi ad ogni primo piano sul pene dell’attore e sussultava insieme alla domestica mentre veniva posseduta:
-Alex, se vuoi iniziare divertiti io salgo- chiesi vedendola accaldata
-Non c’è bisogno, riesco a farlo infilando la mano nella tuta. Non è un problema per te?-
-No no, fai pure- dissi fingendo disinvoltura
-E tu? Ti sei già rilassato prima?-
-No, effettivamente no- ammisi
-Se metti tra noi il cuscino, puoi fare tranquillamente- disse guardandomi supplicando compagnia anche in quel momento.
Seguii il suo desiderio e provai a concentrarmi sul film; con la coda dell’occhio però non riuscivo a non guardare mia sorella che, sotto la tuta si stava probabilmente massaggiando il clitoride. Arrivai per primo vicino al culmine e per non combinare disastri, dissi ad Alessia che finivo in bagno:
-Perché non qui?- chiese -vorrei.. Vorrei vedere come fai- e arrossata fino al massimo della pigmentazione continuava a toccarsi
-Se per te non è un problema, Sicura?-
-Si- sussurrò con un filo di voce.
Tolsi il cuscino che mi serviva da copertura e con il mio cazzo in bella mostra, ricominciai lento a masturbarmi; Alessia non guardava più la televisione, dove i tre protagonisti stavano sdraiati nudi e sudati sul tappeto, ma osservava me:
-Avvicinati Alex- e obbediente si mise al mio fianco incantata dal movimento che mi stava portando all’eiaculazione:
-Sto per venire!- e improvvisamente prese la mia mano e aiutandomi completò la sega ammirando il mio pene eruttare lentamente liquido bianco e denso.
Si spostò leggermente una volta finito poi, notando che sulle dita della mano era finito uno schizzo di seme, non resistì a raccoglierlo con le labbra e gustandolo chiuse gli occhi:
-Non ricordavo più che gusto avesse Luca!- e avida ne raccolse un’altra goccia dalla punta e ripeté il gesto.
Quando mi resi conto dell’enorme stupidata che stavamo commettendo e mi affrettai a pulirmi e a coprire il pube:
-Alex stiamo esagerando, ora vado a letto e ti lascio fare tranquilla, ok?-
-No Luca, ti prego- disse impedendomi di rivestirmi -non riuscirei da sola, aiutami a godere- supplicò
-Alex stiamo davvero varcando un limite pericoloso- cercai di dissuaderla mentre con il pensiero navigavo verso il ricordo del profumo delle sue mutande
-Ti prego Luca, una notte e poi mai più- disse con le lacrime che strabordavano dagli occhi -domani sarà tutto cancellato e dimenticato-.
Non so perché ma riusciva sempre a convincermi; da ragazzi non ascoltavo nemmeno la sua voce, talmente eravamo cane e gatto, ed ora mi aveva convinto ad aiutarla a godere.
-Se è quello che vuoi veramente d’accordo, spero solo che domani non ce ne pentiremo- e appena sentì che accettavo si buttò tra le mie braccia baciandomi sulle labbra e bagnandomi con le lacrime le guance.
La presi per mano e la condussi in stanza, mentre ad ogni passo mi ripetevo: “non sta succedendo davvero, non sta succedendo davvero, che cazzo stai facendo Luca?”.
Giunti in camera la feci sedere sul bordo del letto e le sfilai i pantaloni di ciniglia; vidi per la prima volta le grosse ed importanti cosce che teneva sempre coperte per vergogna di mostrare la sua scarsissima forma fisica. Mi posizionai al suo fianco e le presi la mano portandola verso il monte di Venere che, ancora coperto da mutande rosso scaramantico, attendeva di essere toccato. Aprì le gambe permettendo alle nostre mani congiunte di accarezzare la parte più intima di Alessia e appena sentii l’inconfondibile piccola protuberanza del clitoride le sussurrai di stuzzicarlo in orizzontale.
Ne trasse subito giovamento, accertato dal respiro più ritmato, intanto io le accarezzavo le gambe liscissime ed abbondanti senza più aiutarla nella masturbazione; non volevo assolutamente compiere qualcosa di ancor più irreparabile visto che la situazione era già al limite di ogni logica familiare.
Dopo un paio di minuti mi chiese cosa fare per aumentare ancora di più il piacere:
-Adesso metti la mano dentro alle mutandine e cerca di aprire le grandi labbra, piano piano finché non potrai infilarci il dito
 medio- e ubbidiente agì come istruzioni.
Ma le sue mutande,che dovevano contenere anche il grande posteriore, non permettevano ulteriore elasticità; cosicché, guardandomi sicura che avrei accettato nuovamente di spostare il limite ancora più in là, mi chiese spudorata di sfilarle l’intimo.
Inarcò la schiena sollevando di sedere e con un rapido movimento scoprii le natiche molli; poco a poco abbassai quel tessuto setato e coprente andando a rivelare finalmente la passera di Alessia. Un odore inebriante e famigliare mi riempì gli organi recettori mandando quasi in tilt il mio raziocinio. Inginocchiato davanti a lei guardavo le sue grandi labbra che a fatica comparivano tra i cosciotti di mia sorella; si vedeva bene però il ciuffetto si peli che incoronavano il clitoride arrossato.
Mi riposizionai al suo fianco e le riportai la mano in posizione, ma con un gesto più rapido e deciso del mio, afferrò la mia mano e la indirizzò sulla sua vagina:
-No Alex, questo è troppo- dissi provando a toglierla
-No Luca no, ti scongiuro, nessuno mi aveva mai toccato-
-Che cazzo dici Alex? Sei stata sposata!-
-Luca te lo giuro che Edo non mi ha mai sfiorata. Qualche trombata veloce e senza passione e stop. Prima di lui ero vergine, ora ti prego, non farmi supplicare- ed ancora una volta cedetti alle sue condizioni.
Il contatto con le sue labbra vaginali, fu scioccante perché erano ancora asciuttissime, sintomo che ancora non si sentiva libera mentalmente di godere:
-Alex adesso rilassati e cerca di goderti il momento- e mentre lei si teneva sollevata appoggiando i gomiti sul materasso iniziai a sgrillettare piano il clitoride e con l’altra mano le labbra.
Il metodo che più volte avevo usato anche con Angelica, sembrava stesse dando il giusto risultato è appena aumentò l’umidità, inserii l’indice facendola sussultare:
-Ah Luca, come fai ad essere così esperto? Hai dieci anni meno di me ma sembro una ragazzina alle prime armi a confronto-
-Shhh, rilassati Alex!- e continuando inserii anche il dito medio.
Fuori dalla finestra vedevo i bagliori dei fuochi d’artificio che celebravano il nuovo anno e pensai che iniziare il 2016 con un ditalino a mia sorella non era in cima alla lista dei desideri.
La sua eccitazione aumentava proporzionalmente a quanto si stava bagnando, permettendomi di scoparla con le dita senza il minimo attrito:
-Si sì sì Luca- ansimava -Non ricordavo fosse così bello, si sì-.
L’interno coscia era ormai madido di umori ed Alessia, che ormai era distesa sulla schiena, era sull’orlo di orgasmare; aumentai lo sfregamento del clitoride e finalmente si lasciò andare in un urlo, soffocato dalle mani portate al viso, liberatorio oltre che alla contrazione addominale e vaginale.
Una volta rilassata, non disturbai il suo riposo e mi recai in bagno per lavarmi; il forte odore che emanavano le mie mani era eccitantissimo ma al tempo stesso spaventoso perché non potevo permettermi di andare oltre con Alessia, soprattutto visto la precarietà della mia situazione abitativa. Dovevo restare lucido e sperare di essere sempre nelle sue grazie, visto e considerato che conoscevo il carattere lunatico e quasi bipolare di mia sorella. Quando tornai a letto era già sotto le coperte con le braccia aperte ad accogliermi in quel confortevole nido di pace:
-Luca sei stato fantastico, non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che mi hai fatto vivere stasera, buon anno fratellino mio- e baciandomi con dolcezza spense le luci.

Il primo giorno dell’anno nuovo iniziò con una sorpresa.
Mia madre Giovanna, incurante del divieto posto da mio padre, venne a trovarmi dopo quasi 10 mesi di reclusione:
-Amore della mamma come sei sciupato- disse utilizzando la frase principe del manuale della madre apprensiva -come stai? Come ti tratta tua sorella? Avete trovato un compromesso?-
-Tranquilla mamma che va tutto bene, sto bene ed aspetto impaziente che finisca questo periodo-
-E con tua sorella? Luca dimmi la verità, è difficile?- chiese mentre Alessia era momentaneamente in bagno
-Va tutto bene, so che non potevamo stare nella stessa stanza fino a poco tempo fa, ma ora siamo maturati, credimi-
-Speriamo riesca a trovare uno straccio d’uomo, povera figlia mia- e pensierosa su incupì.
-Ah Luca, dimenticavo di dirti che è passato il tuo avvocato settimana scorsa presentando un piano legale per esser risarcito dai due romeni- ed estrasse dalla borsa il plico con il logo dello studio Battistoni&Forti e appoggiandolo sul tavolo aggiunse
-Magari potresti chiamarlo e fissare un appuntamento-
-No no mamma, no! Ho infranto la legge ed è giusto che paghi. Quei due tizi non mi hanno minacciato o puntato pistole alla testa per avere quei dati, hanno pagato e io gli ho fornito tutto. È giusto che sconti la mia pena- e spostando verso mia mamma il plico, chiusi il discorso.
Restò anche a pranzo, aggiornando Alessia su tutti i matrimoni, divorzi, battesimi e pettegolezzi di parenti e conoscenti; al momento dei saluti mi disse:
-Luca resisti ancora due mesi e sarà tutto un ricordo-
-Si mamma, stai serena! E salutami papà- dissi facendola emozionare
-Alessia, continua a portare pazienza con tuo fratello-
-Si mamma, fai buon viaggio- e prima di uscire dalla porta tolse dalla borsa due buste contenenti 1000€ che diede ad entrambi:
-Più di questo non posso darvi- ed uscì definitivamente lasciandoci di nuovo soli.
-E così devi portare pazienza con me?- chiesi mentre stavamo cenando
-Beh no in effetti non sei un peso, ma ho dovuto essere bugiarda, altrimenti non avrebbe creduto che andiamo d’amore e d’accordo- e accarezzandomi la mano mi tranquillizzò.
Dopo il film serale, Alessia andò a dormire mentre io restai ancora qualche minuto; sul punto di crollare cercai i pantaloncini e la maglia per dormire ma quando ricordai che erano in mansarda fui colto da pigrizia e decisi di dormire in boxer.
Appena entrato nel letto però, sentii troppo freddo e per scaldarmi mi avvicinai ad Alessia che calda e morbida rappresentava l’ideale compagnia in quella notte fredda di inizio gennaio. Piombato nel sonno, fui catturato da un sogno estremamente reale dove stavo amoreggiando con una donna ma non riuscivo a capire chi fosse, la toccavo e la baciavo ma lei non assecondava i miei movimenti e continuando a chiamarmi mi spinse fuori dal sogno:
-Lu..Lu.. Luca.. Luca fermo!- ed aprendo gli occhi vidi che stavo baciando Alessia, mentre le tastavo il seno
-Alex scusa, non volevo, stavo sognando, non mi era mai capitato-
-Da quando sei sonnambulo?- chiese divertita mentre si sistemava sotto le coperte
-Non lo so, ma è inquietante- e mi rimisi a dormire.
Questa volta però venni disturbato nel sonno da una mano che lenta e maliziosa accarezzava i miei addominali, si avvicinava al pube e poi tornava indietro, tornava spostando leggermente l’elastico delle mutande e tornava verso i pettorali.
La mano fu raggiunta anche da baci dolci che venivano scoccati sulla mia pelle andando inevitabilmente a rendere granitico il mio pene; Alessia se ne accorse e a piccoli gesti iniziò a liberarlo dalle mutande e a prenderlo per massaggiarmi lenta ma sicura:
-Alex cosa stai facendo?- dissi senza aprire gli occhi
-Non volevo svegliarti, ma avevo voglia di giocare come l’altra sera- sussurrò vicino al mio orecchio mentre ormai era in pieno possesso del mio membro
-Avevamo detto che ci saremmo fermati a l’altra sera-
-Lo so ma tu hai voglia ed io ho voglia, perché non aiutarci ancora?-
-Perché è sbagliato Alex!- ed accendendo la luce mi misi seduto
-Ma che palle con tutto sto pudore, non stiamo uccidendo nessuno, ci tocchiamo un po e basta-
-Alex sei mia sorella! Come puoi non capire che stiamo giocando col fuoco?- ed adirato provai ad alzarmi.
Con uno scatto però Alessia mi afferrò per l’elastico delle mutande che rovinosamente si ruppe restandole in mano:
-Che cazzo fai adesso? Ma sei scema? Non ti riconosco più Alex!-
-Vaffanculo allora- rispose sconvolta e delusa dal rifiuto -Vaffanculo, stronzo egoista! Quanto vorrei che finisse la tua condanna, così da poterti sbattere fuori da casa mia!- ringhiò mettendosi in piedi e a muso duro di fronte a me.
Quel che restava delle mie mutande stava inesorabilmente scivolando lungo le mie gambe per accasciarsi a terra, mentre mia sorella stava insultandomi con gli occhi che le si stavano riempiendo di lacrime:
-Stronzo egoista, è questo che sei!- e portandosi le mani al viso scoppiò a piangere.
Non potevo andarmene da quella stanza, così come non potevo essere sbattuto fuori casa; in pochi secondi misi sul piatto di un ipotetica bilancia, il rischio di star ancora in intimità con mia sorella e per contro il trovarmi per i due mesi mancanti senza una casa-galera.
Mi avvicinai ad Alessia e l’abbracciai avvolgendola tra le mie braccia e quando smise di piangere ricambiò gesto ed andando ad accarezzare la mia schiena; ci baciammo dolcemente e mentre cercava di ravvivarmi l’ erezione con il movimento della coscia, le dissi:
-Non posso permettermi di esser sbattuto fuori casa e non voglio fare qualcosa di cui un giorno potremmo pentirci. Sono nelle tue mani Alex, decidi tu cosa vuoi fare del nostro rapporto, spero solo che tu faccia la scelta giusta-.
Mi guardò intensamente cercando di leggere la risposta giusta all’interno dei miei occhi ma dopo qualche istante di silenzio si inginocchiò come in supplica e senza l’ausilio delle mani, ma solo con la lingua, prese in bocca la mia cappella che ancora non era del tutto turgida:
-Alex pensaci bene! È quello che vuoi veramente?- e come a darmi conferma, aumentò la porzione di cazzo dentro la sua bocca.
Non potei restare indifferente al piacere che, la sua bocca calda ed accogliente, mi stava dando; una volta completata l’erezione Alessia prese a succhiare con forza, ogni tanto mi stuzzicava con i denti o mi leccava lo scroto, ma nel complesso stava facendo un ottimo lavoro:
-Alex cazzo, sto venendo- dissi a bassa voce mentre mia sorella non accennava a rallentare e con forti pompate, fino ad arrivare alla base quasi ad appoggiare la fronte sulla mia pancia, mi fece sborrare in bocca. Ne ingoiò ogni singola goccia, pulendo minuziosamente la cappella che, violacea non dava più segni di eruzione:
-Il tuo sperma ha un gusto buonissimo Luca- disse mentre si rimetteva in piedi -ora tocca a te farmi un po’ divertire- e mettendosi sul letto a pecorina, calò i pantaloni del pigiama insieme alle mutande bianche, mostrandomi il grosso ed adiposo sedere.
Ero impietrito, non sapevo cosa volesse da me e soprattutto non sapevo se sarei riuscito a penetrarla:
-Alex, io.. Avrei bisogno di una pausa per farmelo tornare duro- dissi prendendo tempo
-Cosa? No ma sei matto? Non mi devi mica scopare! No Luca! Non sono così degenerata, fammi arrivare all’orgasmo come l’altra notte, niente più- e rigirandosi verso la testata del letto si appoggiò sui gomiti.
Rincuorato per aver scampato il pericolo più grande, le allargai le gambe andando finalmente a vedere la passera che calda e già umida attendeva di essere lavorata; vidi per la prima volta il piccolissimo ano, col bordo leggermente più scuro rispetto al corpo e sicuramente vergine ed inviolabile.
Ripensai a quando proposi ad Angelica dell’ottimo sesso anale, ma timorosa di soffrire rifiutò, facendomelo solo leccare.
Appena la toccai fu attraversata da una scossa che la fece tremare, poi mettendo la mano destra sulla natica, procedetti ad accarezzarle le grandi labbra con la mano sinistra provocandole subito dei gemiti:
-Si, finalmente si! Mi piace sentire le tue forti mani su di me Luca- diceva mentre io la masturbavo -dai sculacciami un po’, sono stata cattiva con te in questi mesi, non credi?-
-Nonostante tutto sei stata buona Alex!- dissi sperando di non aumentare la sua libido
-No Luca, sono stata una stronza, ti ho sfruttato e non ti ho aiutato ad affrontare la pena! Sculacciami dai, vendicati di tutto quello che hai passato!-
-Sei stata dura con me- e schioccai una sberla sul sederone bianco -troppo dura direi- e partirono altre due sberle che fecero arrossare la zona colpita -non meritavo questo trattamento, non dovevi essere così perfida- e mentre le colpivo la natica aumentavo la velocità e l’intensità della masturbazione.
Alessia era da un lato in preda al piacere del ditalino prolungato, dall’altra dolorante perché insistevo a colpire la stessa zona:
-Si Luca si sì, continua ma cambia lato, mi stai facendo male!-
-Anche tu mi hai fatto male Alex- dissi mentre cambiando mani e natica, la colpii forte -ed ora vuoi che metta tutto alle spalle?- ed in preda all’incitamento che mi stavo dando colpendo tutta quella carne, vidi che la vagina di Alessia iniziava a colare umori.
Diventò in quel momento tutto ciò che desideravo: leccare quel succo afrodisiaco.
Scollegai la ragione dal corpo e senza indugio mi fiondai tra le sue gambe semi coperte dai pantaloni e raccolsi la prima goccia con la lingua, per poi risalire lungo la coscia fino alla sorgente vibrante e ti bagnata:
-Ah Luca, cosa fai?- ansimò quando si accorse che le stavo leccando la vagina -sei pazzo!- disse mentre con le mani palpavo e mi spingevo verso la faccia le grosse natiche di mia sorella
-Si sono pazzo, sono pazzo di questo profumo e di questo sapore Alex- le sussurrai in un istante di pausa per poi ricominciare con ancora più foga a lappare tra le abbondanti cosce.
Alessia godeva del trattamento è ormai sorpassato i limiti imposti dal pudore e dalla decenza, ansimava:
-Si sì sì leccamela, leccamela! Ah bastardo si, leccamela!- mentre paonazza ed eccessivamente riscaldata dal pesante pigiama in pile, aveva la fronte imperlata di sudore.
Iniziarono a vacillarle le gambe, sintomo di un imminente orgasmo:
-Si sì sì si, vengo vengo!- e potente arrivò con una contrazione che la scosse fino alle viscere. Non fui premiato con altro buon liquido, ma solo dall’aumento esponenziale di odore di donna che inalai a pieni polmoni.
Sfatta e sfinita si sdraiò sul letto, restando con il sedere scoperto:
-Che cosa ti è saltato in mente Luca?- e voltandosi si sistemò i pantaloni, tornando al solito abbigliamento casto
-Non ti è piaciuto?-
-Certo che mi è piaciuto- ammise -solo che non me l’aspettavo-
-Io invece me l’aspettavo il servizietto? Alex siamo seri, abbiamo fatto un incesto bello e buono-
-Ma tu sei pazzo!- disse indignata -non è incesto, non abbiamo scopato!-
-Ma è una teoria assurda!-
-Tu sei assurdo- e andò in bagno per chiudere il discorso come tra due bambini.
Col viso odorante di vagina, raggiunsi mia sorella in bagno ma appena provai ad entrare fui ricacciato indietro:
-Luca, ma che cazzo ti dice il cervello? Lo sapevi che c’ero io no?-
-E che problema c’è?- dissi allibito
-Come che problema! Sono qui nuda e mi sto facendo il bidet. Secondo la tua cazzo di testolina io mi faccio vedere da te?- e urlandomi di andarmene mi accontentai di sciacquarmi nella lavanderia.
La normalità tornò, nel nostro complicato rapporto, quando Alessia ricominciò a lavorare; io facevo qualche mestiere e preparavo la cena. La notte dormivamo sempre insieme ma non ci fu più nessun approccio né da parte sua né da parte mia; quel corpo di boteriano aspetto però mi attirava, mi attirava a tal punto di volerlo incurantemente dal vincolo parentale.
Nelle lunghe giornate passate in solitudine pensavo e ripensavo al motivo della mia attrazione per Alessia; perché sono belle le donne grosse? Ognuno ha un suo perchè, è un perche che ogni uomo o ogni donna dà, a partire dalla sua soggettività probabilmente.
Probabilmente è soprattutto inconsciamente mi suggerisce sentimenti di generosità, di abbondanza, bellezza o grazia. Una donna dalle forme grosse e generose mi ispira un intelligenza che sa amare; non tutte le intelligenze sanno amare.
Una donna boteriana nel sua formosità, abbondanza, suggerisce una ricchezza interiore potente se, soprattutto, è in pace con se stessa e sta bene con se stessa.
Ma Alessia non stava bene con se stessa, non si sentiva a suo agio nel mostrarsi; non ricordo di averla nemmeno mai vista con le braccia scoperte in tutto l’anno passato insieme.
Fu il giorno del mio compleanno che qualcosa scosse il solito e monotono  andamento della vita:
-Luca cosa desideri come regalo di compleanno?- chiese mentre si stava preparando per il venerdì lavorativo
-Sai di cosa muoio dalla voglia? Una torta al cioccolato, una bella bottiglia di whisky e un bel libro- ammisi. Mi guardò curiosa, infilò il cappotto, il cappello di lana e sullo stipite della porta disse:
-Vedremo, dipende se te li sei meritati- e sorridente uscì.
Dopo una giornata passata a combattere con la noia ed intervallata solo da qualche sporadico messaggio di auguri, finalmente rientrò mia sorella.
Aspettandomi un caloroso saluto fui deluso dallo sbrigativo bacio sulla guancia e relativa fuga in bagno per una doccia:
-Alex, il risotto è quasi pronto- urlai dopo quasi 40 minuti di attesa
-Arrivo arrivo!- rispose scocciata.
Quando uscì dal bagno fui sorpreso nel vedere che si era truccata, lisciata i capelli e profumata; anche se indossava già la comoda tuta di ciniglia apprezzai comunque che faceva qualcosa per rendermi omaggio.
Apprezzò addirittura la cena e sorseggiando mezzo bicchiere di vino, passammo forse la miglior serata dopo tanto tempo. Aveva inoltre ascoltato le mie richieste e dopo avermi regalato il libro “Moby Dick” di Hermann Melville, portò la torta con una candelina accesa e una bottiglia di Jack Daniels:
-Esprimi un desiderio Luca!- incitò Alessia.
Pensai a cosa chiedere al potente Dio delle candeline dei compleanni: libertà, soldi, felicità? No, il mio chiodo fisso era di vedere mia sorella nuda e lo pensai talmente tanto che pure lei mi disse:
-Wow, la prendi sul serio la storia dei desideri-.
La torta era cremosa e buonissima, il whisky calava velocemente nella bottiglia e il clima tra noi si faceva sempre più goliardico:
-E chi lo dice che non riesco a toccarmi il naso con la lingua?- e provando a farlo capì di non riuscirci
-Vedi? Ora bevi per pagare la sconfitta- e riempiendo il bicchierino di alcool glielo porsi.
-Waaaa, tutto d’un fiato!- disse dopo aver bevuto -comunque la mia lingua fa quello che vuole e quando vuole!-
-Allora pulisci alla perfezione questo- e prendendo la crema di cioccolato con l’indice lo avvicinai alle sue labbra.
Mi guardò per tre secondi interminabili prima di iniziare a leccare con maestria e completare la pulizia del mio dito:
-Vedi?- disse mordendo dolcemente -uso la lingua in modo eccellente- e tracannando un altro bicchiere di whisky, si alzò di scatto
-e sono ancora lucidissima- ma nel dirlo cadde rovinosamente inciampando nel tappeto a pelo lungo del salotto.
-Ti sei fatta male Alex?- chiesi divertito
-No, per fortuna ho un culone bello soffice- e continuando a ridere -aiutami ad alzarmi- disse allungando le mani.
Con ancor meno equilibrio provai a sollevarla, ma sottovalutando il suo peso importante, finii in terra insieme a lei; con la mano stavo involontariamente sopra il suo seno sinistro, mentre con la gamba a contatto con il suo basso ventre e la testa a pochi centimetri dalla sua, restai immobile aspettando di essere scansato.
-Buon compleanno fratellino mio- e baciandomi sulle labbra provò a spostarmi per alzarsi; strinsi la mano appoggiata al seno e ricominciai a baciarla spingendole la testa in giù:
-Luca fermo adesso, togli quella mano- disse a mezza bocca mentre la baciavo, ma noncurante proseguii ficcandole la lingua in bocca.
Dopo un primo momento di repulsione, non riuscì a fare a meno di contribuire alla rotazione delle lingue; toccavo quel morbido seno per il quale a lungo stavo bramando e con il ginocchio dolcemente le stuzzicavo l’interno coscia. Mi fermai per capire se Alessia si era convinta di partecipare all’amplesso e la guardai dritta nei bei occhi castani che risaltavano col trucco verde smeraldo:
-Se me lo dicevi che volevi un pompino come regalo, non avrei perso tempo a cercarti un libro!- disse maliziosa mentre le baciavo il collo e dietro l’orecchio
-Io infatti non voglio “solo” un pompino, voglio il tuo corpo stanotte- e mi spogliai la maglietta, mostrandole il mio petto nudo.
-Forse stiamo bevendo un po’ troppo Luca!- esclamò -Non esiste proprio che lo facciamo-
-E allora mostrami il tuo corpo nudo e meraviglioso!- chiesi con bramosia
-Non se ne parla proprio! Lo sai che mi vergogno a spogliarmi e sicuramente lo faresti solo per prendermi in giro- e dicendolo si coprì il seno già coperto con l’ausilio delle braccia
-Credimi che non lo farei mai, sto impazzendo all’idea di poterti vedere nuda e non chiedermi perché Alex- confessai -Ti voglio solo guardare per pochi minuti, poi non ti chiederò più nulla- attendendo il verdetto l’aiutai ad alzarsi e ci sedemmo sul divano.
Prese i bicchierini e li riempì nuovamente con il whisky, poi porgendomene uno disse:
-Non puoi immaginare quanto ho sofferto per il mio corpo, non mi piaccio e non piaccio agli uomini. Vengo sempre vista come la balenottera asessuata o la poverina che si sfoga col cibo; ora tu mi vieni a dire che vuoi vedermi nuda? Se è uno scherzo, è di pessimo gusto. Se invece è la verità, beh sarebbe una piccola rivincita personale- e spegnendo la luce centrale della stanza accese la piccola abat-jour vicino al sofà, creando un’atmosfera più intima.
Quando vidi che lentamente stava aprendo la lunga zip della felpa, con il cuore in gola iniziai ad eccitarmi. Una volta aperta se la sfilò mettendo in luce le braccia grassocce ed una canottiera bianca che conteneva il seno e l’importante ventre di Alessia; lenta ma costante si sfilò i pantaloni mostrando anche le gambe, grosse e per nulla atletiche, miracolosamente prive però di cellulite. Probabilmente indossava vestiti di due taglie più grandi della mia, ma in quel momento era irresistibilmente sexy.
Le mutande nere erano in parte coperte dalle cosce e dalla pancia; quando si sfilò la canottiera finalmente vidi il seno, generoso ma non abbondante, impreziosito dall’intimo in raso e pizzo in coordinato con le mutande e il ventre molle e diviso da due rotoloni di tenera ciccia. Restò qualche istante ferma e con lo sguardo basso ad aspettare un mio giudizio:
-Alex sei sexy da morire- dissi onestamente -sto combattendo con me stesso per non farmi una sega davanti a te-
-Smettila bugiardo che non sei altro- disse arrossendo
-Guarda che non scherzo, mi stanno esplodendo le mutande!-
-Posso fermarmi o proprio mi vuoi vedere nuda?-
-Nuda, ti prego- supplicai.
Senza molta sensualità si slacciò il reggiseno liberando i seni che pesanti e abbastanza cadenti tendevano verso il basso; i capezzoli rosei e grossi come un’albicocca erano già rigidi e appuntiti, sintomo del freddo e dell’agitazione che mia sorella provava. Nervosa e a disagio si accarezzava pancia e seno per cercare inutilmente di renderli meno morbidi e più tonici; si sfilò pure le mutande contenitive rendendola finalmente nuda dalla testa ai piedi.
Ero estasiato e terrorizzato al tempo stesso, sentivo il sangue defluire veloce dalla testa fino al pene, che impazzito pulsava e si dimenava per essere liberato dalla morsa dei vestiti. Alessia capì il mio disagio e comprensiva disse:
-A questo punto spogliati pure tu, almeno non abbiamo più niente da nascondere- e non facendomelo dire due volte, ci ritrovammo entrambi come nostra madre, la stessa madre, ci aveva messo al mondo. La situazione surreale che si era creata, ci stava mettendo tremendamente in imbarazzo; decisi di giocare la carta compleanno per uscire dall’empasse:
-È ancora valido il buono per un servizietto?- chiesi sfacciatamente
-Sei il solito approfittatore- e riuscendo nell’impresa di far distendere la situazione, vidi che Alessia sorrideva -ma accetto ad una condizione, fammi rivestire!-
-No dai resta così- implorai
-Luca dai, inizio pure ad aver freddo-
-Allora metti solo la canottiera, ok?- e dopo un attimo di tentennamenti accettò. Rincuorata dalla leggera maglietta, si inginocchiò davanti al mio corpo cavernoso che impaziente aspettava di esser trastullato:
-Wow- disse appena lo prese in pugno -sembra sul punto di esplodere- e volenterosa si mise a leccare la cappella e ad armeggiare con i miei testicoli. Ormai sicura di se mi condusse all’orgasmo in poco tempo e dopo avermi ripulito per bene si alzò sicura di aver esaudito ogni mio desiderio.
Ancora seminuda e con le ginocchia arrossate si spostò sul tavolo dove una buona porzione di torta al cioccolato stava aspettando di essere divorata:
-So che non potrei ma crepi l’avarizia, si vive una volta sola- e con un’abbondante forchettata sollevò cioccolato panna e pan di Spagna.
La grande bocca di Alessia però non riuscì a contenerla tutta e più della metà cadde sul mento e sulla canottiera:
-Sei sempre la solita imbranata- l’apostrofai
-Ma cazzo che maldestra- sorrise, mentre provando a pulirsi peggiorava solo la situazione -avevo proprio pensato di buttarla questa canottiera, non la lavo nemmeno-.
Mi alzai dal divano e una volta raggiunta raccolsi con il dito un pezzo di torta dalla maglia di mia sorella.
Lei prese la mia mano e con molta malizia mangiò il dolce facendomi sentire i denti che scorrevano il polpastrello. Con uno scatto d’impeto afferrai le spalline della canottiera e come Hulk Hogan strappai il tessuto rendendolo come un gilet e spogliandola nuovamente:
-Luca scemo fermati- ma con una mano presi nuovamente della torta e portandogliela alla bocca la zittii.
Mi fiondai col viso e con le mani su quel seno sporco e cadente; leccando i capezzoli sentii che le mani di Alessia stringevano sulla mia testa. I freni inibitori ormai avevano abbandonato quell’appartamento e con una rinnovata e prodigiosa energia spostai per terra il nostro rapporto. Paonazza, sporca di cioccolato ed eccitata allargò le gambe permettendomi di penetrarla; il mio pene già duro fece attrito inizialmente sulle grandi labbra e mi ci vollero diversi tentativi prima di affondare nelle sue viscere.
-Luca il preservativo- ripeteva ad ogni colpo Alessia senza però essere ascoltata -Luca metti il preservativo-.
Ma la voglia di scoparla che ci stavo mettendo mi rendeva sordo perciò, dopo averla girata a pecorina continuai a stantuffare con tutte le mie energie; ad ogni colpo arretravo anche col busto causandole involontari peti vaginali ed inevitabili frasi di imbarazzo:
-No fermati- provò a chiedere -Non mi era mai capitato-.
Quando realizzai che stavo per eiaculare provai invano a toglierlo ma il salto della quaglia riuscì a metà:
-Oh cazzo!- esclamai una volta realizzato il danno
-Sei un coglione- sussurrò stremata mia sorella
-Vai a lavartelo subito via, magari è solo in superficie- provai a risolvere vedendo abbondante sperma che fuoriusciva dalla sua vagina arrossata.
Segui il consiglio e goffa, nuda e con passi pesanti raggiunse il bagno mentre continuava a perdere umori misti dalla vagina.
Nelle due settimane successive non facemmo più l’amore ma attendemmo impauriti e speranzosi l’arrivo del ciclo mestruale; in un anomalo martedì pomeriggio, con un sole caldo e per niente invernale, finalmente i nostri timori furono scacciati:
-Pericolo scampato Luca!- recitava un messaggio sullo smartphone.
I giorni trascorsero pigri ma sereni e finalmente potei porre la trecentosessantacinquesima firma:
-Domani la portiamo in tribunale per la scarcerazione- esclamò il carabiniere.
Il viaggio in auto fu surreale, come un bambino guardavo le colline, i fiumi e i pascoli; tutto quello che davo per scontato e banale ora lo studiavo e ingordo ne godevo.
Il processo non durò più di 20 minuti e una volta concluso abbracciai mia madre, mia sorella e finalmente anche mio padre che impaziente di rivedermi libero infranse la promessa fatta.
La sera andammo tutti a mangiare al ristorante e festeggiammo fino a tardi; al momento dei saluti Alessia mi prese da parte:
-E ora che farai?- chiese con lo sguardo basso
-Ora devo rimboccarmi le maniche e rifarmi una vita, un nome ed una reputazione- dissi onestamente
-Puoi stare da me quanto vuoi, lo sai?-
-Alex, grazie ma a Pontassieve sarebbe ancora tutto più difficile. Non riuscirei a ricominciare- e vidi i suoi occhi imperlati di lacrime ma tu sei stata fantastica con me e questo non lo scorderò mai- e l’abbracciai in modo fraterno.
Salì in auto, accese il motore e poco prima di partire sussurrò:
-Tornerai da me?-.

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