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Racconti Erotici Etero

Compagnia Militare Privata

By 1 Luglio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

 

«Buona come sempre»

«Mi pare ovvio. Perché non sarebbe dovuta essere buona?»

 

Spense il motore, prese la borsa in cuoio sul sedile e scese. Il lungomare di Torvaianica non lo si poteva certo definire bello. Mai valorizzato, con decine di attività e case abusive che impedivano la vista del mare, non rappresentava di certo un vanto della città. I polmoni si riempirono di aria fresca, ma decisamente non pura. Ah, la sua costa azzurra. Stava seriamente pensando di risalire in macchina e tornarsene a crogiolarsi al sole come una lucertola.

 

«Perché la carne è sempre uguale? Questa poteva essere cattiva, no?»

«Per rovinarsi la piazza? Mica sono scemi»

«Un imprenditore è disposto a tutto pur di guadagnare di più»

«Un imprenditore avido, non un imprenditore qualsiasi» e ingoiò l’ennesimo enorme boccone di carne. Lei lo guardava ammirata e disgustata al tempo stesso. Certo, avrebbe voluto avere lei quell’apertura di bocca, sai che pompini che le sarebbero usciti. D’altro canto quel vedere i bocconi sparire in sol morso la disturbava un pochino, avrebbe preferito evitare certe visioni della sua gola.

 

I tacchi 15 ticchettavano sull’asfalto mentre lei attraversava la strada di corsa. Mamma mia quanto sono maleducati qui, pensò mettendosi in salvo sul marciapiede prima che una smart la investisse. Si rendeva conto di non passare inosservata vestita così, ma addirittura essere uccisa era eccessivo pure per lei, neanche fosse una ragazza gelosa quella al volante.

 

«Senti, ma dopo che vogliamo fare?»

«In che senso»

«Beh, i miei amici vanno a Fellinimania o a Il Folklore. Vogliamo raggiungerli, andare dove non vanno loro o tornarcene a casa?»

«Con i tuoi amici no. Non se ne parla nemmeno»

«Quindi?»

«Che ne dici di un gelato?»

«Che è un’ottima idea» e riprese a mangiare la sua bistecca mentre lei l’osservava.

 

C’era una dea che stava camminando sul marciapiede e lui non poteva distogliere lo sguardo. Lei lo fissava con i suoi occhi simili a fari e quei capelli ondeggianti ad ogni passo. Si stava dirigendo verso di lui e più si avvicinava più dettagli riusciva a vedere. La vedeva mordersi delicatamente le sue rosse e piene labbra, la vedeva ammiccare con quegli occhi luminosi. Se non ci fosse stata sua moglie e i bambini. Proprio oggi che era serata di cena familiare doveva apparire quella figa stratosferica. Non era più un ragazzo, aveva un po’ di pancetta, ma dopottutto si poteva ritenere ancora un uomo apprezzabile, quasi quasi… Slap!

«Porco! Vergognati!»

 

«Certo che i tuoi amici sono stronzi»

«Che c’entra questo ora?»

«Nulla, ma ci stavo ripensando»

«Dobbiamo proprio rovinarci la serata parlando di queste cazzate?»

«Non è mica colpa mia se ti circondi di persone simili.»

«E mica sono io che le tiro in ballo. Basta non pensarci.»

«Si, certo come no. Non è così che mi dimentico di Antonella.»

 

Mamma mia che puzza, pensò appena ebbe messo piede in quel buco. Non c’era un cameriere, non c’era servizio. La carne così in bella vista, senza alcuna protezione dagli insetti. Non riusciva a capire come si potesse mangiare in un simil tugurio, non rispettava minimamente i suoi requisiti minimi. Certo, i suoi requisiti erano belli alti, ma non c’era motivo per non mangiare in posti di classe quando se lo si può permettere. Si rassettò la cintura ed iniziò la sua ricerca.

 

«Ancora con questa storia? Ma non ti stufi mai a parlarne?»

«Te lo rinfaccerò a vita, non hai capito?»

«Stai con me per rinfacciarmelo o perché mi ami?»

«Ma per rinfacciartelo, no?» disse sorridente. Alzò gli occhi al cielo, certe volte gli veniva l’impulso di strozzarla, ma in fondo l’amava. Scosse la testa e si rimise a mangiare.

 

Continuava a massaggiarsi la guancia dolente mentre sua moglie strepitava come una pazza invasata. Si ok, aveva guardato un’altra. Si ok, questa le aveva dato uno schiaffo in pubblico perché era stato insistente. Ma lei lo aveva provocato! E lui c’era cascato in pieno. La moglie continuava a strepitare cose senza senso, lo spettacolo si stava protaendo troppo per i suoi gusti. Roberto era una persona calma, raramente incline alla rabbia. Poche cose facevano scattare in lui una reazione incontrollata, ma quel fiume di parole, offese e minacce senza senso gli stava martellando il cervello. Senza preavviso scatto come una molla.

 

Dentro di lei non riusciva a capire come fosse possibile. Aveva chiesto del vino e le avevano dato una brocca di plastica con quello che lei considerava un liquido rosso di scarso interesse. Poteva giurare di sentire l’odore dei solfiti presenti nel vino tanto era alta la loro concentrazione. Vagava tra le persone sedute ai tavoli a mangiare in cerca del suo obiettivo. Benedisse la sua curiosità, lei non passava inosservata fortunatamente, pensò tra se. Lui, al contrario, era un ragazzo anonimo, sembrava anche poco abbiente a giudicare dai vestiti, se solo si curasse di più pensò lei sempre speranzosa.

 

«Vai con calma.Il cibo va gustato»

«Io vado con calma, solo che ho una velocità di masticazione di molto superiore alla tua»

«Ovviamente. Tu sei più veloce di me in tutto»

«Modestamente c’è solo una cosa che faccio che dura tanto» disse mentre una splendida ragazza si sedette al fianco di Azzurra. Lei era un po’ interdetta, c’erano altri tavoli liberi, i posti non mancavano, si era seduta senza dire una parola come fosse di casa e ora stava anche riempiendo il bicchiere del suo ragazzo di vino.

«Farà schifo, ma qui non hanno di meglio a quanto pare»

«Mi scusi…» prima che potesse continuare però intervenne il suo ragazzo

«Amore lascia che ti presenti Jasmine. Jasmine lei è Azzurra»

«Così tu saresti la famosa Jasmine?»

«Me medesima»

«Ti facevo meno troia»

«Sono in vacanza, ho voglia di divertirmi e non c’è divertimento migliore che del sano sesso»

«Beh, questo lo condivido anch’io» disse il ragazzo prima di essere incenerito dallo sguardo di lei.

«Purtroppo le mie vacanze sono finite quando sono entrata qui. Mi spiace dirlo, ma non sono qui in vacanza ma in vesti ufficiali.»

«Che vorresti dire?» Jasmine si chinò a cercare nella sua borsa e ne estrasse una cartellina.

«Ecco leggi. Ti faccio un’offerta di lavoro»

«Amore, cosa succede?»

«Ancora non lo so.» disse lui spostando il piatto e iniziando a sfogliare il dossier. Improvvisamente il cibo aveva perso importanza.

Il resto del ristorante stava ancora fissando quella splendida nuova arrivata che volente o nolente attirava tutti gli sguardi su di se, dopotuttto non si vestiva in quel modo per passare inosservata. La sua presenza destava molta inquietudine negli sguardi maschili e non solo del locale, varie ragazze si erano rigirate a guardarla e non tutte erano mosse da gelosia.

La minigonna di pelle nera fasciava alla perfezione il suo culo e lasciava poco delle sue gambe all’immaginazione colelttiva. Quei lacci in pelle dei sandali alla schiava poi calamitavano l’attenzione. A onor del vero si deve dire che la sua camicetta con cravattino non era più casta dato che Jasmine odiava i reggiseni e quindi le sue tette erano libere di ballare ad ogni movimento che compiva. La parte più casta del suo abbigliamento era senza dubbio quella cintura da danzatrice del ventre che portava a uso di cinta sulla gonna.

Quella bellezza ostentata aveva sempre riscosso molto successo, ma non con tutte le persone. Francesco, ad esempio, rappresentava il suo più grande insuccensso. Non era mai riuscita a portarlo dove lui non volesse, anzi tra loro il gioco lo aveva sempre guidato lui, ora sparendo misteriosamente, ora ritornando per sconvolgerle la vita. Stavolta però toccava a lei quella parte e non aveva nessuna intenzione di andarsene di lì senza di lui.

La ragazza al suo fianco si poteva definire il suo opposto, riusciva con un abbigliamento molto semplice a mostrare tutta la sua femminilità e a catalizzare tutti gli sguardi della spiaggia di turno su di sé. Sapeva di essere molto bella e non nascondeva la sua bellezza, ma la esaltava. Il corto vestitino blu aveva a malapena la lunghezza di una minigonna e mostrava le toniche e abbronzate gambe. D’altro canto anche l’indossarlo non garantiva tutta questa copertura data la leggerezza del tessuto che era su un sottile filtro per gli occhi scrutatori. I bordi e del costume erano ben visibili ed erano unico schermo tra gli occhi e le belle forme della ragazza.

La vera nota stonata era rappresentata dal ragazzo vestito con un dozzinale costume a pantaloncino lungo fino al ginocchio variopinto con annessa canotta semiaderente dal dubbio abbinamento. La maggior parte dei ragazzi si chiedevano cosa avesse il ragazzo di speciale per riuscire a calamitare due belle ragazze come quelle, mentre le ragazze puntavano la loro attenzione sul discutibile gusto estetico di una canotta giallo accesso e un costume rosso e nero.

«Ebbene qualcuno si degna di rispondermi?»

«Dagli tempo. Prima deve capire cosa voglio e poi deve valutare quanto sia seria la mia offerta prima di poter soppesare le conseguenze di ogni decisione.»

«Amore, ma che sta dicendo?»

«L’idea sembra interessante. Chi darebbe le patenti?»

«Usa, Francia, Arabia Saudita e Italia»

«Israele?»

 

«No, territorio ostile»

«Quante case sicure?»

«5. Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Beer Sheva ed Eliat. »

«In Inghilterra?»

«5. Manchester, Edinburgo, Londra, Dublino, Oxford»

«In Russia?»

«Ma mi spiegate che diamine state dicendo? Non ci sto capendo nulla.»

«Questo è ovvio. Non è necessario che tu capisca. Sempre 5. Mosca, San Pietroburgo, Volgograd, Irkutsk, Jakutsk.»

«Ma come ti permetti di trattarmi così?»

«Amore! Stai zitta! Lasciami leggere che qui la cosa si fa difficile»

«Ma che stai dicendo?»

«Sta cercando di capire quali sarebbero le condizioni di operatività e regole d’ingaggio»

«Continuo a non capirci niente.» intanto Francesco non aveva staccato un attimo gli occhi dal dossier

«Beretta ARX-160 con lanciagranate GLX-160, FN Five-SeveN tactical,- si fermò come a raccogliere le idee per un attimo e poi riprese la lista-Remington 870,  M40, ACP9, due fumoggeni, una stordente e una accecante. Squadre da 4 più analista interno. 2 assalto, cecchino e ghost.»

«Ok.»

«Ma che state dicendo?»

«Mi sta mettendo alla prova. Vuole sapere dove dirò di no.»

«Specialità shooter, geniere, informatico.»

«No. Devono essere azioni rapide e non vistose»

«Non parlo di far saltare un grattacielo a New York, per quello c’è la CIA. Io parlo di far zompare un muro in modo controllato, creare percorsi sicuri, parlo di disinnescare trappole esplosive e analizzare le zone di rischio. Non vado in mezzo ad un oleodotto senza chi mi dice dove e quando mettere in piedi per stare in sicurezza»

«Hai vinto. Richiesta accolta.»

«Una sola macchina. Sai quale»

«No. Qui sono categorica.»

«Le altre le mette il soldato, questa la mette l’amico. A te la decisione.»

«Amore, ma che stai dicendo? Stai parlando di armi, Russia, città. Non ci sto capendo nulla.»

«La cosa non mi sorprende. In ogni caso stiamo parlando di CMP per tua informazione.- fece Jasmine con aria di sufficienza- anche se non credo che questo ti spieghi qualcosa.»

«Amore! Cazzo! Stai zitta una buona volta!» l’urlo questa volta fu tanto forte da richiamare l’attenzione delle persone vicine che si voltarono a guardare. Azzurra, incapace di rispondere ancora, senza dire una parola si alzò e se ne andò.

«Volevi liberartene, eh?»

«Ora siamo più liberi» Jasmine si alzò, fece il giro del tavolo e si sedette a cavalcioni su di lui, tutti i maschi della sala sarebbero voluti essere al suo posto in quel momento. Francesco sapeva che stava cercando di sedurlo, ma non aveva nessuna intenzione di cedere alle lusinghe di quel corpo, almeno non lì e non in quel momento. Non si sarebbe trattato di un’impresa semplice. Sentiva distintamente la fica di Jasmine strusciare sul suo cazzo, ne riusciva a percepire ogni singola piega. Il tessuto delle mutandine era così sottile da permettergli di sentire il liquido colare sul costume e indebolire la sua resistenza.

«Ora che non c’è più lei possiamo dedicarci a noi come più ci piace tanto. Sai, il tuo cazzo mi è mancato così tanto.»

«Anche il tuo corpo mi è mancato molto» fece lui afferrandola per il culo e stringendola a se. Quello strusciamento improvviso lasciò trasparire tutta l’eccitazione di Jasmine che non poté trattenere un gemito. La camicetta era rimasta l’unica barriera tra le mani di Francesco e le tette di Jasmine, ma anche quel lembo sottile di stoffa stava per abbandonare la sua funzione. Con movimenti lenti e studiati la ragazza slacciò i due bottoni superiori lasciando solo il cravattino a impedire la vista del suo seno, il ragazzo l’attirò ancor di più a se facendo aderire la sua fica con la forma del suo cazzo. Jasmine si stava abbandonando a quello strofinio che somigliava sempre di più ad una masturbazione, ma Francesco era rimasto lucido e improvvisamente chiese

«Quanto?»

«Cosa?»

«Quanto Jasmine?» chiese lui all’orecchio con voce tagliente

«Un dossier su Medici Senza Frontiere. Basta parlare ora» con molta calma lui prese la borsa di lei dal tavolo e l’aprì cercando la Glock-17 che lei si portava sempre dietro. Jasmine si rese conto che qualcosa non andava, ma non capiva.

«Non si fruga nella borsa di una ragazza»

«Lui era qui, vero?

«Si. È venuto con moglie e figli per avere una copertura. L’ho riconosciuto subito, però. Gli ho tirato un bello scherzo» Francesco cambiò immediatamente espressione.

«Prendi il dossier e la borsa. Vai dove cuociono la carne e esci nella sala esterna. Percorri la stradina che porta fuori, una volta lì avviati verso la macchina senza mai voltarti.

«E tu?»

«Mi occupo della spazzatura» disse lui scostandola. Jasmine si risistemò e si avviò dove le aveva detto lui. Francesco con calma la seguì, ma uscì dalla porta principale. Appena fuori sceso il primo gradino la vide. Da sola con due bambini, il vestito rosso senza una piega, estrasse la pistola e le sparò due colpi in pieno petto. Subito si scatenò il panico, tutti si buttarono a terra, nessuno osò avvicinarglisi e lui continuando a puntare in giro la pistola andò verso la strada con Jasmine subito avanti a lui. La camminata era spavalda, senza timori, sapeva bene cosa doveva fare. Appena messo piede in strada si voltò verso sinistra ed esplose quattro colpi verso la macchina che arrivava, poi si girò a destra e fece uguale. Il panico dilagava ovunque senza controllo, le persone scappavano senza pensare un tutte le direzioni. Jasmine stava salendo in macchina e lui fece i pochi passi che lo separavano, ma prima di entrare esplose altri colpi verso una piccola macchina parcheggiata, poi entrò

«Adoro le Aston Martin» disse con voce felice.

La macchina parcheggiata esplose fragorosamente.

 

 

«Quindi mi può confermare che è già rientrata?»

«Si certamente. Ma perché lo vuole sapere?»

«Questa è un’informazione riservata. Sa se è salito anche questo ragazzo?» disse mostrando una foto

«No, questo non l’ho visto» fece il vecchio con sguardo duro, poco gli piaceva quel tipo. Si era presentato come un poliziotto, ma non lo convinceva.

«Ne è sicuro? Stanno sempre insieme»

«Non credo sia qui che lo deve cercare» fece il vecchio indicando la televisione. L’uomo si voltò a guardare le immagini. Le scrutò con attenzione, ma non c’era dubbio, quella era Francesco e la ragazza con lui doveva essere Jasmine. Fu allora che vide l’agente che aveva lasciato di guardia, quele scarpe erano inconfondibili, era coperta da un telo bianco con due buchi in petto. Il ragazzo non aveva perso il tocco, sapeva ancora cosa fare e come farlo.

 

«Sai dove stai andando?»

«A casa mia. Mi servono dei vestiti se mi devo trasferire»

«Accetti la mia proposta, allora. Molto bene» fece festante

«Non ho molta scelta ormai, mi pare»

«Beh certo, con il casino che hai fatto»

«Lui non è sposato. Era una trappola. Poi il prezzo era basso»

«Basso? Quanto pensi di valere? Non sarai un po’ presuntuoso.»

«Affatto. E ora aggiungo anche un’altra condizione. Oltre alla Jaguar voglio anche una finestra nella sua vita.»

«Pure?»

«Si, ma so che mi darai quello che ho chiesto.»

«Per la macchina dovrai aspettare qualche settimana, per la finestra solo qualche giorno. Ma dove siamo?»

«A casa mia.»

“Che topaia” pensò lei dentro di se

 

«Roberto, dove sei? Sarà più di un’ora che ti chiamo!»

«Ero impegnato.»

«Ma rispondi, cazzo!»

«Senti, non mi rompere. Non sei nessuno. Mettitelo in testa»

«Senti bello, io ti ho coperto fino ad adesso con il commissario, ma non ho intenzione di rischiare altro per te. Chiaro?» Roberto scoppiò a ridere

«Tu rischierai sempre e tutto per me, se vuoi che non racconti di quell’amica di tua figlia che ti sei fatto. Se non sbaglio era minorenne, no?»

«Sei un pezzo di merda!»

«Senti bene a me porco. Io ti tengo per le palle e tu mi coprirai ogni volta che voglio, ci siamo capiti?»

«Muoviti a venire.» rispose la voce rassegnata, Roberto chiuse la conversazione con un ghigno sulla faccia pensando tra sé

“Povero sciocco”

 

«Gira qui.»

«Questa sarà casa mia?» disse Francesco scrutando la villetta mentre percorreva il vialetto

«Si, l’ho fatta costruire secondo quel tuo vecchio progetto. Ricordi? Quello che facesti con Simona»

«Si. Ma era senza la minima logica, un’accozzaglia d’idee senza senso» fece lui parcheggiando

«Beh, ho trovato chi è riuscito a dargli un senso a tutte quelle idee.»

«Poverino»

«Mamma quanto pesa»

«Lascia a me. Tu prendi questa, ci sono solo vestiti.-disse scambiando le borse-E ora entriamo in questo casino»

«Hai una cattiva opinione dei tuoi progetti»

«Non di tutti, ma di questo si»

 

“Era un emerito stronzo. Mi aveva cacciato, mi aveva mandato via. Come diamine si permetteva di dire zitta a me?”. Azzura stava ripensando a quanto accaduto al ristorante incapace di prendere sonno nonostante la notte inoltrata. Si girava e rigirava nel letto, come in cerca del suo corpo. Avrebbero dovuto dormire insieme quella sera, glielo aveva promesso. Avevano passato una bella giornata al mare, si ricordava quando lui l’aveva lanciata in acqua per vendicarsi del gavettone, di come l’aveva presa con dolcezza mentre si allontanavano dalla riva abbracciati e di come quell’abbraccio era diventanto prima un dolce bacio e poi del delicato sesso. Al solo pensiero sentiva il suo corpo fremere e scaldarsi. “Tutto per colpa di una troia e di uno stronzo” si diceva tra sé.

 

«Cosa abbiamo qui?»

«Donna bianca, bionda, 35/40 anni, ben vestita. Due fori di proiettile nel petto, precisi al cuore. Chi ha sparato lo ha fatto per uccidere, ed è bravo. Laggiù ci sono due bambini, erano con la donna, ma non sono i suoi figli.»

«Testimoni?»

«Ancora non ne abbiamo trovati. Dopo la sparatoria c’è stata molta confusione, stiamo cercando chi mangiava qui fuori. Senza nomi sarà difficile»

«Ci servirebbe una lista dei pagamenti con bancomat e carta di credito»

«Non ce l’hanno qui» fece aggiungendosi alla conversazione

«Ben arrivato, Roberto»

«Come fai a dirlo?»

«Ci vengo a mangiare spesso qui. Fanno un’ottima carne. Prendono solo cash, niente carte.»

«Allora la vedo molto difficile»

«Beh, non è il vostro lavoro risolvere questi problemi?» disse l’agente della scientifica alzandosi

«E il tuo non sarebbe farci avere le analisi in tempi decenti?»

«Non siete gli unici che lavorate» Roberto, spense la sigaretta e si avvicinò all’agente

«Neanche gli unici che si fregano le prove.- fece piano all’orecchio del poveretto mentre raccoglieva un orecchino. Si voltò verso il collega e glielo tirò- Troppo costosi per una così. Vediamo se riusciamo a capire dove lavorava» disse alzandosi

«Ma che diamine stai dicendo?»

«Ancora non l’hai capito? Era una puttana» e sparì tra la folla di curiosi che si era radunata vicino il nastro.

 

«Ma non disfi i bagagli?» disse guardandolo mentre era chino sul computer

«No, ripartirò a breve»

«Perché? Dove vai?»

«Questa ragazza all’ambasciata italiana a Buenos Aires, questa ad Hong Kong  e quest’ultima all’ONU come traduttrice per l’Arabia Saudita. Mi servono due biglietti aerei, il primo per Buenos Aires e l’altro due giorni dopo per Hong Kong. Vado a farmi una doccia» disse buttando delle fotografie sulla scrivania

«Non ti pare di correre un po’ troppo?» mentre si avvicinava al tavolo

«Voglio due basi operative al di fuori di qui in posti sicuri» disse mentre apriva l’acqua

«Hong Kong sarebbe un posto sicuro per te?»

«Si. Troppo vasta e troppo protetta perché possano trovare una base poco usata»

«Il discorso regge. Chi sono queste tre ragazze?» disse prendendo le foto in mano

«Persone che conosco. Affidabili e soprattutto esterne.»

«Questa non mi pare molto esterna»

«Lo so. Per questo va all’ONU. Si tratta dell’unica che deve lavorare attivamente. Le altre sono agganci in caso di necessità.- affanciandosi tutto gocciolante nella sala- Mi prepareresti qualcosa da mangiare? Ho una fame»

«La cosa non mi sorprende.-mentre si avviava all’angolo cottura- Mi serviranno i dossier su chi vuoi ai laboratori e chi nella squadra.»

«Il problema non saranno quelli, ma l’analista» disse rimettendosi al computer.

Sembrava un quadretto così familiare con la moglie impegnata ai fornelli e il marito che lavorava al computer seduto sul divano con la televisione accessa sull’ultimo notiziario, in quel momento sembravano mancare solo le urla dei bambini che arrivavano, di corsa, dalle camere.

 

Era giorno. La luce filtrava impertinente tra le tende e lui non era ancora rientrato. Si era illusa che sarebbe tornato da lei, ma ora si rendeva conto della realtà. Bastava una figa ed ecco che sbavava, altro che noia. Questa volta non lo avrebbe perdonato, non avrebbe accettato un’altra Antonella, era finita.

 

La testa gli ronzava e quel suono terribile era ancora lì, non cessava né cambiava intensità, si limitava a stare lì, poi improvvisamente tacque e la quiete e il silenzio toranorono a fargli compagnia.

Era esausto, il giorno prima aveva lavorato fino a tarda notte per spedire tutte le richieste di personale a Jasmine e ora sentiva solo il bisogno di dormire profondamente.

Il rumore tornò forte come prima esattamente come se n’era andato. La testa sembrava sul punto di esplodergli. Si sentiva incapace di ragionare, a fatica posò i piedi giù dal letto, non sentiva il bisogno di vomitare, non era qualcosa che aveva mangiato o qualcosa che aveva bevuto, forse le quantità, ma non sentiva lo stomaco bruciare o dolergli. Qualunque cosa fosse doveva trovare un modo per mandare via quel dolore, cercò con calma di raccogliere le idee e razionalizzare quel suono così fastidioso, la risposta gli giunse come un fulmine a ciel sereno

“Jasmine! Il campanello!” e si precipitò verso la porta. Il mal di testa era molto forte e mal gli permetteva di coordinare i suoi movimenti, era goffo e impacciato, non ci fu mobile, muro, spigolo o oggetto contro il quale non inciampò o cadde, quando giunse alla porta si sentiva di essere passato sotto il fuoco dell’artigliera pesante e certo tra come aveva ridotto il corridoio e una zona di guerra non c’era poi molta differenza.

 

Era lì, seduta a fare colazione, con la mente che vagava tra mille ipotesi. Incapace di decidere stava seduta al tavolo, mangiando lentamente, quando il campanello suonò. Non aspettava visite, nella sua mente nacquero subito mille ipotesi. Si chiedeva se fosse lui, se la sua mente lo avesse immaginato, titubante si avvicinò piano alla porta e il campanello suonò ancora, questa volta con insistenza.Si fece coraggiò e timida si affacciò dallo spioncino per vedere un uomo di cinquant’anni che ondeggiava ritmicamente davanti alla sua porta

«Allora, mi fa entrare?- disse avendo notato la luce che filtrava dallo spioncino- ho portato anche i cornetti» e sollevò la bustina di carta come a mostrare un simbolo di pace, d’altronde se uno ti porta la colazione a casa non può avere cattive intenzioni, no?

 

«Per me sei pazzo!»

«Che novità» disse con noncuranza continuando ad ingozzarsi

«Soggetti simili non andrebbero bene neanche per l’esercito della salvezza»

«Ti ho detto perché voglio loro già tre volte. Devo ripetermi ancora?» la voce era annoiata, stanca

«No, non ce n’è bisogno. Ho capito. Per stasera provvederò a contattarli. Hai fissato le direttive?»

«Lo farò oggi pomeriggio. Senti stasera credo che uscirò con i miei soliti amici, se non hai niente da fare che ne dici di venire?»

«Potrebbe essere un’idea- fece mentre si arrotolava con l’indice una ciocca di capelli- Ma se oggi pomeriggio lavori, stasera esci, stamattina che fai?» avvicinandosi con fare da gatta ed iniziando a baciargli il collo

«Vediamo…potrei giocare un po’ alla play- e lei gli morse l’orecchio-No, direi di no. Potrei occuparmi della casa- e lei lo morse di nuovo- No. Penso che mi occuperò di te»tirandosela sulle gambe. Uno strano silenzio li colse, loro che non riuscivano mai a tenere a freno la lingua. Bastò quel piccolo lembo di spazio dove non c’era tessuto perché avvenisse quella strana ed irreale magia, molti sarebbero voluti essere lì per assistervi, un evento più unico che raro. La loro temperatura lievitava ed ormai i vestiti erano di troppo, i loro corpi bramavano il contatto e il calore umano ed essi si sentivano incapaci di resistere a quelle sensazioni. Anelavano ancora quei leggeri brividi che si erano diffusi in ogni singola piega dei loro corpi, ormai tesi allo spasmo, poteva distintamente sentire la sua erezione premere contro la schiena, lì dove la gonna e la camica la lasciavano nuda. Ella dolcemente si spostava a cavalcioni su di lui, muovendosi il più lentamente possibile per prolungare anche di un solo secondo quel contatto così bello.

Il leggero tessuto dei pantaloncini era teso all’inverosimile e lei poteva sentire distintamente il cazzo premere mentre la sua schiena era preda delle mani voraci di lu che aveva il corpo ormai segnato dai solchi delle unghie di Jasmine. La sua schiena, le sue braccia, il suo petto, le sue gambe, non c’era zona dove lei non fosse arrivata e avesse lasciato il suo marchio. Le loro bocche fameliche erano l’una alla ricerca dell’altro in una battaglia tra lingue mai dome, dove nessuna riusciva veramente a prevalere, quando lui si alzò e dolcemente la depose a terra. Tra di loro c’erano solo 10 cm, ma era la stazza a fare la differenza e infatti, Francesco, ormai schiavo della passione che gli ribolliva nel sangue, senza alcuna apparente difficoltà la rigirò schiacciandole il viso sul tavolo. Jasmine era così intrappolata tra il tavolo e il corpo di lui, impossibilitata a muoversi, in grado di sentire ogni suo movimento. Sta lì, con la faccia schiacciata sul marmo con la bocca semiaperta e gli occhi chiusi, coinvolta con ogni minimo neurone nelle forti sensazioni del suo corpo. Jasmine era ormai incapace di comprendere cosa le acadesse intorno, il suo corpo rispondeva ormai da solo e la sua mente vagava in una nuova e sconosciuta dimensione. Se lei era in una nuova dimensione non si può dire che Francesco fosse diversamente totalmente lucido, lo stretto contatto con la figa bagnata attraverso i leggeri strati di tessuto, il profumo inebriante della sua pelle e quella posizione non lo avevano lasciato indifferente. Le lunghe e toniche gambe di Jasmine, serrate in quella maniera donavano al suo culo una posizione ancora più prominente e Francesco ammaliato da quelle curve, si trovava inginocchiato ad abbassarle gli stretti pantaloncini con la stessa espressione di un bambino che scarta il regalo di Natale. Il culo nudo di Jasmine esplose in tutta la sua bellezza davanti ai suoi occhi, che ormai ipnotizzato e rapito dallo spirito del sesso, lo colpì con forza facendolo ballare.

Un magico momento li attendeva, sembrava che più nulla potesse interrompere quell’attrazione chimica che si era generata quando Francesco pronunciò quelle fatidiche parole

«Azzura, sei fantastica!»

 

 

 

 

«Mi dispiace! Come va?»

«Come vuoi che vada? Fa male!» rispose premendosi la borsa del ghiaccio

«Io non volevo»

«Si che volevi, Jasmine. Non essere ipocrita. Me lo sono meritato»

«Questo è vero»

 

«Lei può dirmi qualcosa di utile per le indagini?» disse addentando un cornetto

«No, niente. Quando sono andata via non era ancora successo niente.» mentre strappava un altro morso alla bomba con la nutella

«Era sola, signorina?»

«No, ero con il mio ragazzo. Abbiamo discusso e io me ne sono andata.»

«Quindi lui è rimasto lì. Può dirmi per caso dove vive o dove posso rintracciarlo? Potrebbe aver visto qualcosa e per noi è molto importante»

«Si certo. Vive proprio in questa piazza. Il secondo palazzo dalla rotatoria verso i campetti, il cognome è Tolosi.»

«Grazie mille! Ora vado così la lascio alla sua colazione. Buona giornata!»

«Arrivederci» disse chiudendo la porta. Quel poliziotto era stato così dolce con lei, se fossero tutti così si starebbe molto meglio, era anche carino.

 

«Hai l’indirizzo?»

«Si, ce l’ho!»

«Perfetto.» disse e chiuse il telefono senza aggiungere altro

 

«Vedo che va meglio» disse ancora gocciolante

«Mi distrae»

«Per me è tutta una scusa per giocarci» fece mentre lui si chinava come se potesse servire a far girare meglio la macchina nel videogame

«Vuoi vedere in che condizioni è il mio uccello?» sbottò

«Ci farei altro con il tuo uccello»

«Ma vaffanculo!» disse mentre lei gli si metteva davanti e lasciava cadere l’accappatoio. Il suo corpo tonico e snello gli apparve davanti agli occhi all’improvviso. La pelle di quel fantastico color bronzo e quelle tette, quelle splendide tette, una quarta che stava su da sola in modo perfetto. I fianchi stretti guidavano gli occhi verso le gambe perfette, forti e delicate al tempo stesso. Jasmine aveva sempre trattato il suo corpo come un tempio e non lesinava di usarlo per ottenere quel che voleva, in questo caso quel cazzo che bramava da tanto.

 

«La casa è vuota. Non risponde nessuno.»

«Rintraccia la macchina, i genitori, i parenti e chiunque lo conosca. Ti devo insegnare io come si fa? Voglio sapere dov’è! Hai 48 ore» senza attendere risposta riagganciò

“Brutto stronzo” pensò tra sé il ragazzo.

 

«Allora? Non ti piaccio proprio?» gli disse languida piegandosi per afferrare la crema. Stava lì, chinata a 90° gradi davanti a lui e Francesco non accennava a muoversi. Quello che non sapeva era lo sforzo che il ragazzo stava facendo per resistere alle sue avances.

Il colpo al cazzo e il dolore non riuscivano a impedirgli di eccitarsi in modo spropositato ed averlo duro, nonostante il contatto con il ghiaccio. Quel sodo e tonico culo sporgente era una calamita per i suoi occhi che solo grazie ad un immenso sforzo di volontà restavano puntati sullo schermo. Nonostante fosse molto bravo nei giochi automobilistici la sua concentrazione risentiva in modo molto forte della presenza provocante di Jasmine che si spalmava la crema sulle gambe in modo molto lento e sexy. La ragazza lo osservava di sottecchi, attenta a non farsi scoprire, e il suo sguardo era calamitato dalla busta del ghiaccio che faticava a nascondere l’immensa erezione di Francesco. La punta faceva capolino oltre le mutande, lì dove la busta non arrivava a coprire e dove gli occhi di Jasmine indugiavano spesso. Sapere di farlo eccitare così la riempiva di orgoglio, ma quella piccola parte del cazzo aveva un grande potere anche su di lei, più lo fissava più sentiva le labbra della sua fica bagnate e gonfie, erano entrambi al limite della loro pazienza.

Jasmine non riusciva più a trattenersi e si trovava con una tale voglia che si sarebbe lanciata a terra a quattro zampe ed imboccare quel cazzo per fargli un sontuoso pompino, mentre Francesco stava compiendo un grandissimo sforzo di volontà per non alzarsi dal divano, schiacciarla contro il muro prendendola lì, sfogando l’eccitazione repressa e dando sfogo alla sua rabbia per quel sadico gioco di seduzione che lei portava avanti da quando si erano rivisti.  Francesco sapeva bene che Jasmine bramava nel modo più assoluto del sesso con lui, ma si sentiva legato ad Azzurra in modo nuovo per lui, così stretto e profondo, ma allo stesso tempo dolce e sensibile. Un modo nuovo di amare che sapeva poter esistere solo con lei.

«Devo lavorare.»

«Ma stai giocando»

«Ora mi metto a lavorare. Lasciami trovare un po’ di concentrazione» disse mentre con una mano s’impastava la faccia stanca. Jasmine protese in modo giocoso le labbra mentre ci tamburellava pensierosa l’indice

«Quindi, se non riesci a concentrarti non lavorerai?-chiese con voce ingenua- Interessante.-fece dandosi la risposta da sola mentre si avvicinava. Con movimenti sinuosi si sedette sul divano fissando il profilo del ragazzo che cercava in tutti i modi di non perdere la poca attenzione rimasta al gioco. Con molta naturalezza schiuse le gambe allargandole in modo quasi completo lasciando in bella vista le labbra gonfie e il luccichio dei primi umori. Completamente rasata, la sua figa era sempre stata uno dei suoi vanti migliori, l’ultima delle sue armi di seduzione. Di colore rosso accesso risaltava in maniera precisa sul corpo bronzeo, i lineamenti ben definiti e le labbra gonfie denunciavano la sua eccitazione crescente. Lo fissava intensamente e s’immaginava scene di sesso passionale senza freni con lui. Una mano le scese istintivamente verso il basso ad accarezzarsi

«È questo il computer che ti serve per lavorare?» disse con voce roca. Francesco si girò incapace di immaginare quello che avrebbe visto di lì a poco. Si voltò d’istinto senza pensare e la vide in quella posizione, con la mano bagnata che lasciava una scia di umori sul computer, poggiato distrattamente sul divano ore fa.  Lui fissava rapito quei sensuali movimenti della mano incapace di reagire e pensare, e lei era pronta ad affondare il colpo decisivo. I suoni del gioco si erano interrotti e sulla televisione lampeggiava la scritta Game Over, ma tutto questo era di scarso interesse, Jasmine era soggiogata dalla visione del pacco di Francesco crescere velocemente davanti a lei. D’altro canto Francesco era completamente soggiogato da quella mano che si muoveva libera tra il corpo di Jasmine e il suo computer.

Come un pugile alle corde che è salvato dal gong, Francesco fu graziato dal suono di un messaggio che distrasse Jasmine per un momento dal suo movimento ipnotico facendola sobbalzare. Quel lieve suono aveva avuto su di lei il potere di riscaldarla ancora di più scatenando le sue più grandi fantasie con lui, ma d’altro canto l’aveva, anche se solo per un momento, distratta e Francesco riuscì a riacquistare un briciolo seppur minimo di autocontrollo. Non aveva molta padronanza di sé e i suoi istinti più animaleschi stavano venendo fuori e di questo il ragazzo era ben conscio, perciò cercò rapidamente una scorciatoia per svicolare via dalle grinfie della sua carceriera. Molti ragazzi sarebbero stati ben felici di avere una ragazza come Jasmine pronta a tutto pur di sedurli, non avrebbero fatto tutte quelle resistenze, ma d’altra parte loro non avrebbero accesso la ragazza come riusciva a Francesco. Si, perché Jasmine era attratta soprattutto dal rifiuto che lui le prospettava, dal sapere che quel ragazzo non si era piegato al suo corpo, ma che l’aveva battuta ed era riuscito a fare di lei una melma vogliosa, lo stesso effetto che si divertiva a procurare lei alle sue conquiste. Francesco si dimostrava ogni volta una preda difficile, anzi spesso diventava cacciatore mettendola in trappola accendendola come un fuoco per poi lasciarla sbollire da sola negandole il piacere del suo cazzo.

 

Ding! Ding! Il drillo del fornò annunciò che la cena era pronta. Non aveva avuto voglia di cucinare, quella sera si sarebbe affidata a dei congelati mentre restava concentrata a lavorare sull’articolo, ma non era proprio giornata per concentrarsi. Quel poliziotto le aveva messo addosso dei dubbi tremendi, era quasi un’intera giornata che non lo sentiva, non era normale. Le aveva staccato le chiamate e i messaggi, il telefonino era inutile per cercarlo. Facebook neanche a parlarne, il suo rapporto con il social network si era notevolmente deteriorato ultimamente, prima di oggi era stata felice di questo, niente più Antonella, né Federica. Quei nomi appena pensati evocarono in lei dei ricordi che sperava di aver rimosso. Non riusciva a dimenticare quelle due ragazze, i loro nomi e le loro azioni erano rimasti troppo impressi per rimuoverli. Avevano osato provarci con Francesco, per lei non esisteva crimine più grande e non poteva essere concepita idea più orribile, fino a ieri aveva sempre temuto che qualcuna glielo avrebbe portato via e oggi cominciava a temere che quell’incubo si stesse realizzando.

 

«Ma ti piace così tanto quella specie di pasta?»

«Non è una pasta. Si chiama ‘Nduia! Ed è una specie di salame. Poi perché dici che mi piace tanto?»

«Ne stai mettendo tanto!»

«Ahahahahahah!!!- Francesco non riuscì a reprimere una risata- Questo non è molto per due persone. Poi dipende tutto da quanto olio metto!» la ragazza lo guardò con faccia stranita.

«Un giorno dovrò spiegarti la nobile arte del cucinare»

«Una battaglia persa in partenza, è più semplice mettere qualcosa nel forno a microonde. È buono, rapido e salutare»

«Rapido e salutare concordo, ma sul buono permettimi di dubitare. Tieni! Assaggia» disse porgendole una forchettata dell’impasto di carne. La ragazza schiuse le labbra richiudendola con fare sensuale.

«Buono!» esclamò con voce sexy. Francesco si girò in fretta e furia per controllare che nulla si bruciasse, ma Jasmine aveva avuto una chiara visione del suo cazzo. Era eccitato.

«Aspetta – fece lei prendendogli la mano destra- qui c’è ancora un po’» disse succhiandogli sensualmente un dito. Iniziò delicatamente, ma ben presto l’opera di pulizia si tramutò in una fellatio neanche tanto simulata. Francesco voleva resistere, ma non era di legno, non tutto almeno. Tra le gambe in quel momento sembrava avere un tronco

«Ce n’è un po’ anche qui» disse mentre raccoglieva un immaginario rimasuglio dall’incavo dei seni di Jasmine, lentamente portò il dito davanti alla bocca e lei senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi lo imboccò roteando la lingua intorno all’estremità. Con un profondo odio per se stesso il ragazzo riprese possesso del suo dito e si dedicò alla cucina.

 

«Pronto?….Si, va bene. Arrivo subito» chiuse la conversazione, prese la giacca poggiata alla sedia e fece per uscire

«Roberto, dove vai?» gli chiese il collega appena rientrato
«Da un informatore. Forse ho una pista per la puttana»

«Ho già tutto io! Ho trovato tutto su di lei, pure le preferenze sul cibo! Vieni che gli diamo un’occhiata» preso in contropiede il poliziotto non fu in grado di rispondere con prontezza.

«Allora non vieni?» rispose il collega dopo aver poggiato lo scatolone sulla scrivania. La sua scusa per la fuga era impossibile da usare e non poteva inventarsene un’altra.

«Avviso il mio informatore e sono da te. Gli mando un sms.» disse premendo nervosamente sullo schermo

«Non capirò mai come hai fatto a comprarti quell’affare con il nostro stipendio»

“Povero idiota” pensò Roberto mentre invece diceva

«La fortuna di essere single. Non si rischia nemmeno di scopare con delle amiche minorenni della propria figlia»

«Sei uno stronzo!- fece l’altro con un fascicolo in mano- Lavoriamo che è meglio!- andandosi a sedere- Figlio di puttana» bisbiglio poi sottovoce

Roberto si sedette più sereno, non aveva potuto ricevere novità, ma almeno si era vendicato. Quel patetico omuncolo con la pancia gli stava facendo perdere del tempo prezioso. 

 

 

«Allora, piaciuta la pasta?»

«Molto piccante devo dire, ma nonostante questo saporita. Si, direi niente male»

«Mi fa piacere che ti sia piaciuta» disse il ragazzo stendendosi verso di lei per darle un casto bacio sulla guancia. Era un segnale inequivocabile che non avrebbe avuto altro da lui quella sera, Jasmine chinò la testa delusa.

 

L’articolo era finito, le sembrava facesse schifo, ma d’altronde ultimamente era sempre così. Ormai erano mesi che non progrediva nei suoi romanzi e le scadenze si avvicinavano, presto ne avrebbe dovuto consegnare uno di cui non aveva più di cinquanta pagine. Era immersa nelle sue riflessioni quando sentì il suono del campanello. Troppe visite per i suoi gusti nella stessa giornata, sperava ardentemente fosse lui, stava già pensando a quelle punizione affibiargli. Avrebbe potuto lasciarlo fuori, o magari niente sesso per un mese, no, quello era scontato, ci voleva anche qualcos’altro. Calma, prima doveva rispondere

«Signorina, sono l’agente di stamattina. Ho un dolce con me, le interessa?»

«No, non sono dell’umore, grazie.» rispose lei delusa fino al midollo

«Devo insistere,  sono certo l’aiuterebbe a distrarsi» replicò con un sorriso a 32 denti lui

«Va bene, le apro» non era dell’umore, ma non poteva essere così scortese.

 

Stava tornando in albergo, delusa come ogni volta che incontrava Francesco. Aveva una voglia matta di scopare, un fuoco le ardeva dentro. Avrebbe rimorchiato qualcuno al bar dell’albergo. Abbasso il parasole e scoprì lo specchio, si fissò con cura mentre, ferma al semaforo, attendeva che il rosso diventasse verde. Le labbra carnose avevano giusto bisogno di un rossetto per essere perfette, i capelli avrebbero avuto bisogno di un po’ più di lavoro, ma niente che non si potesse nascondere con uno chignon. Il vero dramma era il suo vesito, per niente adatto alla situazione, ma per lei non sarebbe stato un problema rimorchiare, anche vestita in quel modo.

 

Era da solo in piazza, i suoi amici erano in ritardo come al solito, figurarsi. Ancora non capiva come aveva potuto pensare che quel giorno, per chissà quale assurdo motivo cosmico, sarebbero potuti arrivare puntuali, ma la vita è piena di decisioni assurde fatte solo sull’istinto.

 

«Allora, lo hai trovato?»

«No, sembra essersi volatilizzato nel nulla.  Nessuno sa dov’è, non usa cellulare, né internet in alcun modo. Carte di credito o biglietti nominativi ancora nulla,  così non possiamo trovarlo. Niente, non abbiamo nessuna traccia»

«Hai provato a lavorare fuori dall’era dei computer?» chiese esasperato

«Crede che non sappia fare il mio lavoro?»

«Se tu sapesi fare il tuo lavoro avresti una rete d’informatori tale per cui ora l’avresti trovato o avresti delle piste»

«Senta, se girasse per la città lo saprei, conosco ogni cosa che si muove, come so che lei ora è nella zona nord»

«Già, peccato che io sia dietro di te. Cambia giacca, è logora, il rosso è pure spento» e chiuse la conversazione. Non poteva fare affidamento sugli uomini ufficiali dato il livello. Ci sarebbero stati sempre altri uomini che avrebbero accettato il lavoro, doveva solo trovarli.

 

Sorrideva come un’idiota alla battuta di Simone, ma non aveva alcuna idea del perché. La battuta non era divertente, rappresentava tutto quello di uncorectly polity che c’era. Stereotipi e luoghi comuni la facevano da padrone in quella cerchia, erano più le volte che si mordeva la lingua che quelle in cui rispondeva. La serata era fresca, un po’ umida, ma non impossibile, l’ideale per una passegiata, pensò.

«Ragazzi, che facciamo stasera?» tutti si girarono a guardarlo perplessi. Ogni volta che qualcuno se ne usciva con quella domanda era una bomba che cadeva, erano rare le occasioni in cui uscivano già con un’idea o una decisione.

«Freek?» propose Davide incontrando un’insurrezione dalle ragazze non molto felici di trascorrere una serata tra bingo e slot machine.

«Trastevere?» propose Francesco

«Troppo tardi» gli fecero notare, effettivamente tra andare e parcheggiare si mangiavano più di un’ora e arrivare a Trastevere all’1 non era la soluzione migliore.

«Trinity College, allora?» riprovò speranzoso. Gli amici fidanzati lo fulminarono con lo sguardo, ma nonostante tutto, la proposta piacque un po’ a tutti. Decisa la meta iniziò la conta per decidere chi avrebbe preso la macchina.

 

Il bar non era molto affollato, ma non era la quantità che le interessava. Scrutava con attenzione alla ricerca della sua preda ed ecco che la vide. Completo nero con camicia bianca, un classico, ma l’aria da giocatore di biliardo la intrigava, in Europa e a quell’età non era così comune. Con passo deciso puntò verso il bar

«Martini secco, grazie» il cameriere rispose con un gesto di assenso e si adoperò subito per soddisfare la richiesta. Non si sedette neanche, prese il cocktail, lasciò il numero della stanza per l’accredito e andò incontro al suo bersaglio.

 

«What’s you name?» [Qual è il tuo nome] la ragazza sorrise divertita alla pronuncia di Francesco. Come al solito al Trinity College abbondavano le ragazze straniere, più che le italiane. C’erano principalmente ragazze inglesi ed americane, tutte in quel pub alla ricerca di divertimento. Francesco, che doveva sfogare due giorni di eccitazione perenne a causa di Jasmine, e l’assenza di Azzurra non l’aiutava, si sentiva in perfetta sintonia con il luogo. Aveva trovato il suo posto perfetto, da lì più che in un pub sembrava di essere ad una sfilata di culi, conditi ogni tanto da qualche paio di tette. La ragazza al suo fianco non era particolarmente inteligente, ma aveva un discreto senso dell’umorismo. Il suo corpo non era malvagio, rifletteva tra sé Francesco, le tette non grosse, ma sode, spiccavano sotto la maglietta aderente, più che aderente sembra di una taglia più piccola pensava il ragazzo. Le gambe snelle e il culetto piccolo, ma bello tosto, inguainato dalla mini la rendevano più che una semplice ragazza spiritosa. Non aveva il corpo di una modella, non aveva né lo sguardo, né gli atteggiamenti della ragazza troia o della femme fatale, era in tutto e per tutto una ragazza semplice che si era vestita in modo un po’ più provocante del solito. Quello che, però, lo attirava era la reazione della ragazza quando aveva notato che lui guardava anche altre, non si era arrabbiata, né si era stranita, anzi sembrava divertita dalla cosa, negli ultimi momenti lo aveva quasi invogliato a farlo e si erano messi insieme a dare voti ed esternare giudizi insieme, era il caso di approfondire la cosa.

«What do you think about her?» [Cosa ne pensi di lei?]

«She’s cute, but…» [È carina, ma…] non sembrava del tutto convinta

«Listen, Eli. She si horny, very horny, look her lips! I like girl so horny» [Ascolta Eli. È arrapata, molto arrappata, guardale le labbra! Adoro le ragazze così arrapate]

«So do I» [Anche io] fu la frase pronunciata sottovoce che convinse Francesco della sua teoria. Bevve, ingurgitò più che altro, la sua birra tutta d’un fiato senza badare al sapore.

«Let’s go! Follow me!» [Andiamo! Seguimi!] disse avviandosi verso il tavolo degli amici

«Ragà, provo a tornare il più in fretta possibile»

«Cazzo dici?» risposero gli amici senza capire, ma Francesco si era già allontanato.  Le amiche, che avevano capito subito, lo guardavano male, invece. Non andavano d’accordo con Azzurra, ma quel comportamento imponeva loro la solidarietà femminile.

Si spinse con i vicoli con la ragazza al seguito, cercando ora con brevi scatti, ora con piccoli agguati di coinvolgrla in quel gioco infantile che era l’acchiapparello, lei stette al gioco fingendosi spaventata ora, ansiosa quando lo perdeva di vista fino a quando lui non la prese di peso sbattendola al muro. Lei lo guardò in attesa, il silenzio tra loro sembrava quasi irreale. Non si erano parlati da quando erano usciti dal pub e ancora adesso lui la guardava senza dire una parola. Lui avvicinò le sue labbra a quelle di lei che protese dolcemente il collo chiudendo gli occhi, sentì solo di essere tirata verso sinistra, un forte dolore ai capelli

«Io non bacio le schiave, meritano solo di essere trattate come tali.- lei lo guardava stranita- Credi che non abbia capito che parli l’italiano? Sono stufo di questa pantomima.» disse metendole la mano libera al collo

«Mi fai male, ti prego. Lasciami, ti spiegherò tutto» disse la ragazza in italiano per la prima volta

«Allora non hai capito. La cosa mi ha fatto arrabbiare quindi meriti una punizione. Ho deciso che sarai la mia schiava, così potrai scontare la tua pena. Non mi interessa la tua opinione, anche se so che sei d’accordo. Perché tu sei d’accordo, vero?» la guardò minaccioso

«N-no» rispose lei con un fil di voce

«Male, male. Pensi davvero di poterla passare liscia? -chiese stringendo la presa intorno al collo. Le lasciò i capelli e inizio ad accarezzarle dolcemente le guance.- Vedi, se stringessi ancora un po’ ti potrei strangolare.- e serrò la mano come una morsa d’acciaio. La ragazza cercava di urlare ma non aveva più la voce- fra un po’ l’ossigeno sarà troppo poco per bastare e farai un ultimo tentativo per farmi lasciare la presa» e dicendo queste parole la schiacciava inesorabilmente verso il muro, si avvicinò dolcemente e la diede un casto bacio sulla guancia sinistra.

«Si» cercò di dire lei con un filo di voce. Un ghigno soddisfatto si dipinse sul suo viso  immediatamente la lascio

«Non cercare di parlare ora, prima immetti aria nei tuoi polmoni, ne hai bisogno. Lascia che le corde vocali tornino tese o rischi di lesionarle e- alzandole il mento tra indice e medio- non vuoi perdere la tua bella voce, vero?» Lei lo guardava spaventata mentre profonde lacrime segnavano il suo viso. Lentamente il suo collo stava riacquistendo un colorito più normale e a fatica con un filo di voce chiese

«Cosa mi farai ora?»

«Ti insegnerò ad essere la schiava perfetta. Vedi, tu sarai un bellissimo regalo, nei prossimi giorni ti addestrerò fino a che non sarai esattamente come voglio io. – le lo fissava terrorizzata- Tranquilla, non è così male, sono certo che ti piacerà. Non ti farò del male, diciamo che ti educherò di nuovo, ma meglio stavolta. – detto questo si apri la lampo dei jeans e disse- Lezione numero uno: saper soddisfare ogni ordine del tuo Padrone. Fammi un pompino! Qui! Ora!» Lei lo fissò sgomenta, era passato dal volerla strangolare a chiederle un pompino in pochissimo tempo, ma qualcosa nel suo sguardo le fece capire che se non lo avesse fatto le conseguenze sarebbero potute essere molto peggiori del fatto in sé. Timidamente, tutta spaventata avvicinò la bocca a quel cazzo, ma dentro di sé era molto schifata, temeva di vomitare. Nonostante le paure e le preoccupazioni, la ragazza dimostrava un talento innato nella pratica e Francesco si stava godengo il momento rilassandosi completamente, dolcemente con la mano destra cominciò a darle un ritmo lento e dolce, voleva che lei potesse gustarsi il suo cazzo tanto quanto lui si stava gustando la sua boccuccia.  La ragazza, dal canto suo, sentiva il cazzo indurirsi sempre più nella sua bocca e quella mano darle tempo e velocità, il suo “stupratore” sapeva cosa voleva e cosa più tremenda sembrava sapere alla perfezione quello che voleva lei: si stava bagnando. Senza farle staccare la bocca Francesco la fece alzare in piedi perfettamente costringendola a chinarsi in modo da formare un perfetto angolo retto tra corpo e gambe, con le mani cominciò a stuzzicarle dolcemente i fianchi e le cosce, la ragazza si rendeva conto dentro di se che il ragazzo ci sapeva fare, la stava facendo eccitare da matti, sperava non continuasse così o presto lo avrebbe implorato di scoparla. In quella posizione la sua figa non era più coperta dalla mini e Francesco la spinse sempre più indietro fino a che un freddo palo la riportò alla realtà. Il leggero tessuto del perizoma non riusciva a proteggerla dal contatto con il palo e la differenza tra il calore del suo corpo e la temperatura del palo le causò un brivido, ma non di freddo, si rese conto con disprezzo per se stessa. Il ragazzo si sfilò dalla sua bocca con un movimento rapido che la lasciò interdetta, credeva di star facendo un buon lavoro, Francesco senza dire una parola la girò faccia al muro e si avvicinò al palo per controllare:

«Facevi la ritrosa, ma sei in calore, invece. Sei talmente fradicia che potrei quasi strizzare il palo da quanto è zuppo- fece una piccola pausa osservandola bene- o potrei fartelo pulire con la lingua mentre ti scopo per bene. Che ne dici?» chiese retoricamente Francesco

Lei lo fissava quasi terrorizzata da quello che aveva detto, quando lui la prese e le portò il viso a contatto con il palo, poi si mise dietro di lei, scostò il perizoma e le disse:

«Mi raccomando non urlare troppo» e la penetrò. La ragazza cacciò un urlo strozzato e cominciò a piangere sommessamente. Non piangeva per il dolore, piangeva perché si era resa conto che le piaceva, una cosa che mai avrebbe creduto possibile, un ordine di Francesco la risvegliò dal suo stato di torpore

 

«Lecca il palo! Non ti piace, forse?» Lei vinta ormai anche nello spirito oltre che nel corpo cominciò a leccare i propri succhi dal palo mentre il suo “stupratore” la faceva godere con un orgasmo, il migliore della sua giovane vita.

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