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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

Compliant – 1) Il Professor Farini.

By 30 Novembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Al liceo avevo poche amiche. Ero la più grande, l’unica maggiorenne, ripetente per ben due volte. Ci si riuniva in tre, al massimo in quattro, durante l’intervallo. Eravamo di età e sezioni diverse ed io ero la più timida. Ci si nascondeva nel cortile, dietro ad un folto cespuglio nell’angolo più in ombra e si accendeva uno spinello. Si parlava perlopiù di ragazzi, scherzando e qualche volta raccontandoci le prime (scarse) esperienze erotiche, molte delle quali immaginarie. D’inverno avevamo escogitato di chiuderci in due a turno in uno dei bagni femminili, l’unico con la finestra e dotato anche di aeratore. Dopo pochi tiri lasciavamo lo spinello sulla cassetta esterna dello sciacquone, che recava già diverse macchie di bruciatura, dovute appunto a questa procedura, e poi ci davamo il cambio con le compagne rimaste fuori di guardia.
Un giorno portai io il fumo. Ero emozionata, non era stato facile. La mia famiglia era molto cattolica e severa e non mi lasciava uscire facilmente, ma un ragazzo che frequentavo all’oratorio la domenica mi aveva regalato un paio di spinelli già “rollati”, dopo le mie incessanti richieste.
Durante l’intervallo però il Professor Farini mi trattenne per terminare un’interrogazione di algebra e mi concesse di uscire per “recuperare” l’intervallo solo venti minuti dopo che era finito, quando le mie amiche erano ormai rientrate in classe. Uscii dall’aula e andai a chiudermi nel solito bagno, aprii la finestra e accesi comunque lo spinello.
Avevo un po’ paura, era la prima volta che fumavo da sola, ma non valutai bene i rischi.
Dopo i primi tiri, però, mi tranquillizzai e alzai la gonna per aggiustare le mie prime calze autoreggenti che erano scivolate spesso in basso durante la mattinata. Mentre mi trovavo in quella posizione, con lo spinello appoggiato sulla cassetta alle mie spalle, il Professor Farini spalancò la porta del bagno. Non avevo chiuso a chiave.
Ero annichilita, non ebbi nessuna reazione. Rimasi immobile, incapace anche solo di abbassarmi la gonna, stordita dal troppo fumo (di solito condividevamo gli spinelli) e dalla vista dell’uomo che mi stava fissando le mutandine strabuzzando gli occhi. Poi alzò lo sguardo verso di me e fece un cenno al fumo che saliva dallo sciacquone verso la finestra. Presi la canna tra le dita e feci per alzare l’asse per buttarla, ma ci misi troppo e lui mi fermò afferrandomi il braccio e sfilandomela di mano.
Richiuse la porta del bagno dietro di sé, bloccando il pulsante sulla maniglia.”Lattanzi, devo avvertire la sua famiglia”. Aveva la faccia paonazza e lo sguardo si fece minaccioso, ma parlava a bassa voce e fui rassicurata perché temevo che mi facesse una scenata pubblica.
“La prego, no, Professore, no…” implorai mentre sentivo salire le lacrime: i miei genitori mi avrebbero chiusa in casa per sempre. Mentre parlai abbassai lo sguardo e mi accorsi che ero ancora seminuda, quindi cercai di abbassarmi a gonna con l’altra mano, ma Farini mi bloccò. Tenne premuta la mano sulla mia e per un attimo mi guardò dritta negli occhi mentre lo fissavo incredula. Poi sentii che stava passando due dita sulle mutandine, per poi tentare di abbassarle.
“No”, riuscii solo a bisbigliare, ma intanto le mutandine mi stavano scivolando giù per le cosce ed essere nuda con le sue dita che mi frugavano, mi fece eccitare, complice probabilmente lo spinello.
“Sali” disse indicando l’asse del water. Obbedii. Mi sentivo sporca ed eccitata allo stesso tempo, speravo che avrebbe fatto in fretta e senza pretendere troppo da un’allieva, seppur maggiorenne.
Fece anche lui un tiro e lo spense in terra. Immediatamente mi appoggiò la bocca sul pube e iniziò a cercarmi il clitoride con la lingua, mentre con i pollici divaricava le grandi labbra.
Il Professor Farini era un uomo calvo e grassoccio, sulla cinquantina. Guardando la sua testa unticcia e lucida dall’alto mi sentivo disgustata, ma non sapevo come interrompere quella scena penosa senza pagare delle conseguenze gravi in famiglia: uno spinello non era nemmeno vagamente tollerabile, nemmeno nominabile in casa nostra.
Leccò per meno di un minuto e quindi sempre sottovoce comandò laconico: “girati”.
Mi voltai e subito le sue mani cercarono di farmi divaricare le gambe il più possibile mentre io cercavo di mantenere i piedi sui bordi dell’asse di plastica, per non cadere. Mi leccò il clitoride da quella posizione, per poi affondare del tutto la testa tra le mie cosce, succhiando e leccando e infilando anche la lingua dentro la figa, mentre con le mani mi allargava le natiche e il naso mi sfiorava continuamente il buco del culo. Io intanto mi bagnavo molto, ma lui succhiava tutti i miei umori, e rumorosamente. Mi appoggiavo alla cassetta dello sciacquone, all’inizio per non perdere l’equilibrio, ma poi anche un po’ per poter sporgere le natiche verso di lui, permettendogli di perlustrarmi meglio.
Dopo pochi minuti mi afferrò meglio le natiche con le mani, avvicinando i pollici a lato dell’ano e premendo verso l’esterno come per aprirlo. Poi cominciò a leccarlo e a spingere la lingua all’interno ripetutamente. Pochi concitati secondi e poi si fermò e sentii che si slacciava i pantaloni.
Mi afferrò per la gonna e mi fece scendere da sopra il water. Mi spinse la schiena per abbassarmi e costringermi ad appoggiare le mani e cercò di scoparmi. Avevo un po’ paura e un po’ ribrezzo, e chiesi a bassa voce: “Aspetti, la prego…”. “Non ho tempo.” disse ansimando e mi appoggiò la cappella sulla figa, tastandomi con le dita per trovare il punto esatto, poi spinse violentemente. Mentre io continuavo a ripetere “la prego…” con un fil di voce, lui mi sbatté per circa un minuto, con colpi forti e veloci ed infine tirò fuori il cazzo e me lo fece scivolare poco più in alto. Non avevo mai avuto rapporti anali ma a quel punto lo stordimento e l’eccitazione erano tali che gli avrei dato qualsiasi cosa. Cominciò a spingere la cappella contro il mio buchino strettissimo e, facendomi gemere sottovoce, riuscì ad infilarla. Pensavo che sarei svenuta dal dolore, ma poi capii che il peggio doveva ancora iniziare. Spinse la cappella avanti e indietro, dentro e fuori per un po’, facendomi male, mentre con una mano si reggeva l’uccello ormai gonfio e infilava l’altra nella scollatura del mio maglione, sformandola per cercare di tirarne fuori i seni, dopo averli fatti uscire dalle coppe strette del reggiseno, palpandoli e strizzandoli a volte con una forza insopportabile.
Io avevo ormai rinunciato a supplicarlo con i miei “La prego…” e riuscivo a mala pena ad emettere pochi gemiti in sordina e a riprendere fiato subito dopo che il dolore mi sopraffaceva.
Quando lui spinse il cazzo ancora più in profondità nel culo cacciai un piccolo urlo di dolore e di riflesso il Farini mi pizzicò con due dita la natica sinistra e con la mano destra nel maglione mi strizzò forte un capezzolo. Non riuscii a respirare e credo che mugolai con le labbra serrate per non urlare più forte.
Tirò fuori il cazzo di colpo. Mi afferrò una spalla e mi fece voltare, spingendomi a sedere sulla tazza. Mi infilò due dita in bocca per invitarmi ad aprirla e me lo spinse dentro.
Cercai di non pensare a nulla e di limitarmi a succhiare, non che sapessi esattamente come. Mentre glielo succhiavo piano, arrivando poco più avanti della cappella, sentivo l’odore nauseabondo del suo sudore. “Svelta, dài..” disse poi. Mi appoggiò una mano sulla testa, e cominciò a tirarla a sé, cacciandomi il cazzo fino alla gola, al limite della mia sopportazione, soffocandomi in gola dei colpi di tosse simili a conati. Intanto vedevo la sua pancia flaccida sbattermi in faccia, finché sentii che iniziava a sborrarmi in gola. Con la mano lo tirò leggermente fuori mentre veniva, tenendomi la bocca aperta come per vedere la sborra che mi entrava in bocca, sporcandomi la lingua e il labbro inferiore.
Lo rimise poi nei pantaloni e se li sistemò velocemente, infilandoci la camicia. Si girò e uscì dal bagno lasciandomi seduta sull’asse del water, con la gonna alzata, le mutandine a una caviglia e un seno ancora fuori dal maglione, mentre cercavo di ingoiare. Mi vergognavo ma ero ancora bagnata e mi sentivo frustrata dall’insoddisfazione. Tirai un sospirocome per liberarmi di quella valanga di sensazioni nuove e mi appoggiai le dita sul clitoride, per masturbarmi. Ero decisa, dopo quello strano calvario surreale e a tratti piacevole, a non fare mai più uso di spinelli data la pena che avevo scontato. Ma in qualche modo avevo pagato il mio errore: era finita.
Uscito, il professore stava per chiudere la porta, ma esitò e la riaprì un istante. Lo intravidi di spalle e senza voltarsi lo sentii dire: “domani non le metta, le mutandine”. In quel momento, con le dita ancora premute sul clitoride, ebbi un orgasmo.

Mi chiamo Filippo Farini. Dal 1987 insegno matematica in un liceo femminile privato. Vi finiscono molte ragazze pigre e viziate della parte più benestante della città. Alcune provengono da licei pubblici, dove non sono state ammesse alla classe successiva per motivi di rendimento o di condotta.

L’anno scorso ho cominciato a frequentare Alberti, il bidello della scuola, l’unico altro uomo nell’Istituto, ad eccezione di qualche supplente occasionale. Io vivo con mia moglie, cassiere di banca, donna piuttosto indipendente e autonoma. Non abbiamo mai amato le effusioni inutili e non abbiamo rapporti da un paio d’anni. Quando esco non mi chiede più spiegazioni, ne’ io a lei, anche se è quasi sempre a casa.

Le prime sere con Alberti ci siamo uniti ad alcuni suoi conoscenti che frequentavano il “Bowling”, la squallida novità della città, dopo alcune birre, di solito proponevano di spostarci in un Night in periferia. Sempre più spesso la serata terminava presso uno dei marciapiedi più frequentati a quell’ora di notte. Le prime volte solo per fare due chiacchiere con le prostitute, poi siamo stati io ed Alberti a cominciare ad allontanarci con una di loro, di solito una biondina dell’ex Unione Sovietica. Accostavamo in prossimità del Parco e scendevamo dall’auto a turni. Di solito il primo a scendere era Alberti. Mi concedeva il privilegio di farmi fare un pompino per primo, visto che ero il  “professore”, come ormai mi chiamavano anche alcune ragazze del night e altre “fuori”.

Le donne di strada mi eccitavano quasi sempre. Ma mi dispiaceva un po’ per loro. Per il lavoro che facevano, certo di rado con persone al mio stesso livello di cultura e soprattutto di garbo ed educazione. Certamente avevano a che fare più facilmente con gente simile ad Alberti, che non aveva scrupoli a chieder loro ad alta voce quanto volessero per “prenderlo in bocca”. Io cercavo di trattarle con un po’ di rispetto, tutto qui, anche se a volte erano loro stesse ad usare nomi volgari ed espressioni rozze, per abitudine immagino, o credendo di farmi piacere.

Le ragazzine a scuola invece sono insopportabili e quasi sempre inguardabili. Le divise imposte dalla scuola tolgono loro qualsiasi ombra di femminilità. Per la maggior parte sono grassocce e formose, ma le facce unte e piene di brufoli ti fanno passare l’idea che possano essere femmine anche loro. Sono di un’ignoranza spaventosa sulle materie scolastiche, ma sanno tutto sulle star di Hollywood e sui film di Celentano. La Preside, per le continue pressioni dei genitori, ci esorta spesso ad alzare i loro voti, per tenere le loro medie al di sopra del minimo della decenza e della gratitudine, visto il costo esorbitante della retta. I discorsi tra di loro sono di una stupidità inverosimile. A volte stento a trattenermi dal ridere. Parlano di se stesse come fossero principessine, come se avessero costantemente in testa un ideale di uomo che non esiste e che comunque non vorrebbe certamente loro. Preferirebbe una puttana dell’ex Unione Sovietica. 

Una in particolare mi infastidisce più di tutte, secondo me la più furba e la più ipocrita del branco: la Federica Lattanzi.

La famiglia di imprenditori impegnatissimi e molto assenti, l’ha iscritta da noi al limite della vergogna e della disperazione: la ragazza è stata bocciata per ben due volte, per il semplice fatto che nelle interrogazioni non rispondeva a nulla, e nessuno a casa sua aveva tempo per darle qualche lezione in proposito, immagino. Da quando è da noi ha voti più alti, sì, ma non certo grazie a lei.
Da alcuni mesi la Lattanzi si isola con un gruppetto di colleghe. Fino a fine ottobre durante l’intervallo si nascondevano in giardino. Fumavano e sono sicuro che non fossero sigarette.

Da quando fa freddo, invece, si nascondono certamente in bagno. Nei bagni delle alunne uno degli spazi è un po’ più ampio degli altri ed è l’ultimo, con una finestra che si apre difficilmente a circa tre metri di altezza.

Quando escono lasciano una scia di odore di Marijuana.
Ma oggi la frego.

E’ una stupida oca, come tutte le altre. Ma crede di essere molto furba, e se ne sta un po’ più zitta, per non darlo a vedere. Ha la faccia pulita, la pelle liscia ed il ventre piatto, a differenza delle compagne. Ma quando passo per i corridoi mi guarda con sguardo di sfida, con fare altezzoso e di solito ridacchia con le compagne.
Oggi la sto trattenendo durante l’intervallo. Le compagne sono uscite da cinque minuti. In totale hanno un quarto d’ora di pausa. Eccola qui, la più pretenziosa delle principessine, davanti alla lavagna a tentare di spiegarmi un’equazione che tanto non sa risolvere. In altra occasione la manderei via con un due. Ma questa soddisfazione me la voglio togliere. E’ nervosissima. La tengo fino alla fine, così salta lo spinello, questa stronza. Le do cinque meno e la voglio risentire domani, le dico.

Ha risuonato la campanella. Le compagne rientrano e la Lattanzi chiede di farla uscire per qualche minuto. La faccio anch’io la pausa, tanto. Esco dalla classe e lei mi precede nel corridoio verso i bagni, con passo veloce, si gira un po’ e con la coda dell’occhio si guarda indietro. Ci sono solo io. Passo davanti alla porta della stanzino di Alberti, attrezzato a ripostiglio ed infermeria. Alberti mi saluta, ma ho fretta. Mi vede entrare nei bagni delle ragazze e mi chiama a voce bassa: mi giro e gli dico di fare attenzione che non entri nessuno. <>, ma che ha capito. Pensa che voglia andare a scopare nei bagni con la stronzetta. Entro nei bagni e mi avvicino alla porta dell’ultimo. La Lattanzi è lì per forza: si vede il fumo salire verso la finestra. Gli altri sono vuoti, hanno le porte appena accostate. Quello è l’unico chiuso e – non posso crederci –  il segnalino colorato sotto la maniglia è verde. L’oca è così stupida che non ha chiuso a chiave la porta. O forse lo sa che sono lì, mi sta aspettando. Spalanco la porta con un gesto secco, veloce.

 

La Lattanzi è in piedi con la gonna alzata e con le mani su una calza che se l’aggiusta. Ha le calze autoreggenti bianche. Questa stronzetta mi aspettava. Mi guarda con quel suo solito sguardo di sfida. Non ha capito chi ha davanti. Ha le mutandine nere, di pizzo. Mia moglie le porta bianche di cotone. Solo le ragazze del night hanno biancheria del genere. O quel negozio volgare in corso Buenos Aires. Ma la Lattanzi è volgare di per se. Mi sta provocando. In pochi attimi mi si è rizzato. La stronzetta non si abbassa nemmeno la gonna, ma cerca invece di gettare lo spinello nel wc. Le blocco il braccio e le prendo lo spinello. Chiudo la porta e la serratura dietro di me e le parlo di chiamare la famiglia, ma questa è solo la scusa, il pretesto per scoparla. E lo so, lo sento che questa porca l’ha fatto apposta. E ora si fa scopare.

“La prego no, professore, no”. E certo. Come fai a spiegare alla tua famiglia di ricchi cattolici bigotti anche questa? Ma infatti non è un “no” deciso. Questo è un no che apre le contrattazioni.

Mi avvicino e le tocco le mutandine. Fa la stupita. Cerco di toglierle ma lei si ritrae e fa la timida, ma non è molto convincente. I suoi “no” bisbigliati sono come quelli dei film con Laura Antonelli. Questa vuole. Questa ha proprio voglia.

La faccio salire sul water e do un tiro allo spinello, fa schifo. Lo spengo a terra. Le tocco la figa ed ovviamente è già bagnata. La lecco un po’ e poi la giro verso il muro. Le infilo la lingua e le dita dentro e poi faccio lo stesso con il buco del culo. Non è vergine, ma dietro non l’ha mai preso. Adesso ci penso io. A lei piace, sembra. E sempre più bagnata, poi ansima, apre impercettibilmente le gambe e mi spinge le natiche aperte sempre più contro la faccia. Questa scolaretta piena di vizi. Scommetto che con le amichette si trova al cesso a farsi uno spinello durante l’intervallo, e intanto si masturbano a vicenda. Anzi no, forse si masturba lei sola e le altre la guardano.
Non ce la faccio più. La faccio scendere bruscamente dal water e adesso glielo sbatto dentro da dietro. “aspetti, la prego…” macché aspetto. Che ci scoprano, oca? Ancora una volta comunque non è convincente, dice “aspetti” con il tono di chi sta chiedendo di più e più in fretta. Lo stesso tono delle puttane di periferia, quando vogliono farmelo venire duro in poco tempo per finire alla svelta e passare al cliente successivo. Mentre penso a queste cose la sto già sbattendo. Per poco, però, perché ho poco tempo e voglio anche il culo.

Mi faccio strada col dito medio e poi senza tanti convenevoli e allargandolo il più possibile con le mani, le appoggio la cappella al buco strettissimo e comincio a spingere. Farei meglio a fare piano, visto che è chiaro che è la prima volta, ma invece ho voglia di fargliela pagare. E’ una piccola stronzetta presuntuosa, che si crede una principessa dell’alta società, invece è solo un’asina di prim’ordine, e adesso avrà quello che si merita. Eccola che geme, un po’ le fa male un po’ le piace, lo so… “ahi” strilla. Ma è pazza: ci sentono. Le stringo le natiche in un pizzico, con la mano che le palpava un seno, invece, le stringo un capezzolo, per punirla. Per oggi qui è abbastanza. La faccio girare e sedutala le faccio fare un pompino. Senti come succhia, mi compiaccio, questo da’ molta più soddisfazione di una che paghi e che non si fa fare mai proprio tutto quello che vorresti. Guarda come si impegna a non tossire mentre con una mano sulla sua testolina la spingo avanti e indietro. Senti come le arriva in gola. Finisco e la guardo ingoiare. Brava, vedi? Ma qui c’è del talento. Non come in matematica.

Mi sistemo gli abiti ed esco dal bagno. Mentre accosto la porta la immagino senza guardarla,  seduta lì mezza nuda, aprire le gambe e toccarsi per darsi il piacere che di certo non avevo alcuna intenzione di darle io. “Domani non le metta le mutandine” le mormoro prima di richiudere. Obbedirà, sono sicuro. Non perché gliene importi davvero del ricatto dello spinello, ma perché lo vuole, e ha la scusa morale che sa di meritarselo.

Nell’uscire dai bagni Alberti mi guarda, con aria di gran rispetto e un po’ di preoccupazione.

Ha piazzato un cartello “pavimento bagnato” davanti all’entrata dei bagni, ma non è passato nessuno, dice. Guardo l’ora, sono stati una decina di minuti.

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