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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

D’accordo.

By 1 Settembre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

– scusa, non ho capito ‘ le dico, imbarazzato, e non so nemmeno se sorridere o restare serio.
– te l’ho detto ‘ ripete lei, occhi bassi sul bicchiere di vino bianco che tiene in mano ‘ te l’ho appena spiegato’ – sospira
– no, davvero ‘ insisto io ‘ dimmi se stai scherzando ‘
– lascia stare ‘ dice subito lei, agitando la mano ‘ sì, scherzavo, certo ‘ e ride, nervosa, e si alza in piedi ‘ anzi, guarda, devo proprio andare’ scappare… grazie per’ il vino e’ e tutto, ciao, adesso scappo ‘

io mi alzo in piedi, le prendo il bicchiere e lo appoggio su una mensola, sorrido anche io, rigido e imbarazzato.

Lentamente, ci avviamo verso la porta.

– certo che per un attimo’ – dico, fermandomi ‘ per un attimo ho pensato che dicessi sul serio –
– davvero? No, dai, si vedeva che scherzavo’ –
– sì, certo’ –

facciamo ancora due passi

– peccato, però ‘ butto lì
– in che senso? ‘

‘fanculo, penso.
Ha cominciato lei.
&egrave stata lei a cominciare e a fare allusioni e a scherzare e a ammiccare e tutto il resto delle mossettine del cazzo.
Quindi non ha diritto di offendersi.
Quindi glielo dico.

Mi faccio forza, e la guardo negli occhi, mentre mi avvicino appena appena.

– nel senso che’ se non fosse stato uno scherzo’ – mi fermo, e la guardo

non dice nulla, ma annuisce impercettibilmente.

– se non fosse stato uno scherzo ‘ ripeto ‘ avrebbe potuto diventare qualcosa di davvero speciale –

e la fisso, negli occhi.
Lei abbassa lo sguardo, poi mormora, piano ‘ non’ non’ – e si ferma
– non era uno scherzo? ‘ le chiedo
lei scuote la testa, in silenzio
– no, non era uno scherzo, allora ‘ rispondo io per lei
e lei annuisce.

Mi sembra quasi che abbia gli occhi lucidi, come se stesse per piangere.

– hai voglia di parlarne un minuto, seriamente? ‘ le chiedo, appoggiandole la mano sulla spalla, in una piccola carezza.

Lei di nuovo non risponde, ma annuisce di nuovo.
– vieni –

E siamo di nuovo seduti, sul divano.
E lei ha di nuovo in mano un bicchiere di vino bianco, appena riempito.

Ma questa volta non dice niente, e non mi guarda.
Tiene gli occhi, come se stesse cercando qualcosa sulle proprie ginocchia.

Anche io sono seduto, di fronte a lei, anche io con un bicchiere in mano.

– parlo io? ‘ le chiedo, e lei annuisce
– e tu rispondi sì o no, anche solo con la testa, va bene? –

annuisce.

– davvero non ti sei stupita, quando quella sera, ubriachi e un po’ fumati, ti ho confessato che con uno pseudonimo ho scritto e pubblicato online alcuni racconti erotici? –

No, fa segno con la testa.

– ah, però! …e io che pensavo di avere l’immagine di un professionista integerrimo, serio, attento alla forma fisica, borghese e un po’ troppo rigido’ –

No, risponde di nuovo scuotendo la testa, e un piccolo sorriso le increspa le labbra.

– e per questo il giorno dopo mi hai chiesto il link ai racconti? –

Sì.

– e davvero, quando hai visto che erano tutti racconti che trattavano di sadomaso, dominazione e sottomissione, in alcuni casi anche violenti’ non hai pensato che fossi un pazzo pericoloso? –

Sì, no. Sorride ‘ un po” all’inizio ‘ sussurra

– e poi, poi sei diventata curiosa? ‘ sì ‘ e da allora ogni volta che ci siamo incontrati, con amici, a cena, agli aperitivi, nei fine settimana’ ogni volta non riuscivi più a guardarmi allo stesso modo? –

Sì.

– pensavi se, mentre eravamo lì, a cena, o seduti a un tavolino, stessi guardando te o le altre immaginando di farti, di farti, quelle cose di cui avevo scritto’ vero? –

Sì.

– bhe, lo facevo. Lo faccio, ancora. Con te, con le altre –

Non dice nulla, resta ferma.

– e poi… vediamo se indovino… hai provato con S., il tuo fidanzato, a fargli capire che avresti voluto provare qualcosa’ di diverso? –

Sì.

– ma lui non ha capito. Cio&egrave, magari avete fatto del sesso un po’ più forte, con un po’ più di violenza, ma non &egrave quello che volevi. Ma non hai avuto il coraggio di spiegargli, vero? –

No.

Mi alzo.
Mi metto in piedi davanti a lei.
Poi mi abbasso, mi siedo a terra, davanti a lei, incrociando le gambe.
Sono più basso di lei, la mia faccia all’altezza delle sue ginocchia.

– guardami ‘ le dico piano
Lei mi guarda.

– vuoi ‘ scandisco ‘ vuoi, davvero, provare, a, essere, una, schiava? Sei davvero, davvero curiosa di questa cosa? –

Lei annuisce, prima una volta, poi due, poi tre, sempre più convinta.

Io la fisso.
Annuisco.

– sarà un segreto. Nessuno lo saprà, nessuno lo deve sapere, o immaginare. Finirà subito, quando uno dei due lo deciderà. Nessuno lo saprà, mai. Vuoi provare davvero? –

Lei annuisce, decisa.

– dillo. Voglio sentirtelo dire –
– sì ‘ dice, finalmente. E mi guarda.

Felice.
– la prima lezione ‘ le dico mentre siamo seduti sul divano ‘ &egrave l’obbedienza –

Sono passati alcuni giorni, una settimana più o meno, da quel giorno, quando abbiamo deciso di provare a seguire i nostri desideri, ciascuno nel proprio ruolo, ciascuno mettendo a disposizione la propria esperienza (nel mio caso) e la propria fiducia (nel suo).

In questi giorni ci siamo anche visti, in un contesto normale, con altra gente; lei era col suo fidanzato.

&egrave stato’ emozionante, almeno per me.

Poi le ho mandato una mail.
In un sito inglese, dedicato al commercio internazionale, ho reato due account nel forum, uno per me e uno per lei, e ho aperto un topic con accesso riservato a noi due.
Questo sarà il modo in cui comunicheremo.

Le ho chiesto in quali giorni avrebbe potuto prendersi mezza giornata.
Le ho detto di venire da me.
&egrave arrivata, e siamo qui, seduti, in cucina, a tavola.

– ti aspettavi che ti dicessi come vestirti, magari in maniera sexy, o volgare? Come truccarti, e cose così? –
– un po’ sì’ – risponde, sorridendo ‘ ma poi ho pesato che sei tu, quello che comanda, e devo solo fidarmi di te –

– brava ‘ le dico ‘ la prima lezione &egrave l’obbedienza. Oggi lavoreremo su questo –

– pensi di sapere obbedire? – chiedo
– sì’ credo di sì ‘ mi risponde, perplessa

– però non pensare all’obbedienza come alla semplice esecuzione di un singolo comando ‘ spiego ‘ cio&egrave, quello che intendo non &egrave il semplice ‘alza la mano destra’ e tu la alzi –

La osservo, e proseguo ‘ l’obbedienza di una schiava &egrave assoluta. La schiava non ha altro da fare, da pensare, se non obbedire agli ordini del padrone. Eseguire gli ordini, meglio che può, &egrave la sua unica ragione, il suo unico scopo –

– e se il padrone non le da un ordine’? – chiedo
– la schiava’ – comincia lei, poi si ferma, dubbiosa
– la schiava non fa niente. Aspetta. Attende il prossimo ordine ‘

Lei annuisce.

– pensi di poterlo fare? –
– cosa? ‘
– obbedire, in maniera totale, totalizzante anzi, come ti ho detto ‘
– posso provarci ‘ risponde lei
– allora avanti. Proviamoci ‘ dico ‘ alzati ‘

Lei si alza.

Io la guardo.

Tra i trenta e i trentacinque anni.
Né alta né bassa.
Capelli castani, lunghi alle spalle.
Occhi marroni, viso carino, interessante.
Bel fisico, forse due o tre chili di troppo, che si vedono appena sui fianchi.
Forse una terza di seno.
Oggi indossa ballerine scure, pantaloni neri, aderenti ma non troppo, una camicia beige.

– resta lì ‘ le dico
e vado in soggiorno, mi tolgo le scarpe e mi metto sul divano.
Accendo lo stereo, e David S. Ware rende il mondo un luogo surreale, trafitto dalle dissonanze di Precessional I, registrato live a Saalfeden.
Alzo il volume.
Prendo un libro, e inizio a leggere.
Guardo l’orologio.
Lei &egrave in piedi, in cucina, ferma.
Resta lì.
Il pezzo dura 33 minuti, durante i quali si sente solo il sax che sfugge a ogni prevedibile melodia, e il fruscio delle pagine.

Alla fine del pezzo, chiudo il libro.
La guardo.
&egrave ancora là, ferma.
In piedi.

– ho sete ‘ dico ‘ portami da bere. Acqua naturale, dal frigo ‘ e riprendo a leggere

sento i rumori, sento che apre il frigo, poi cerca un bicchiere, versa l’acqua, viene in soggiorno, me lo porge.
Alzo gli occhi.
– no- dico, scuotendo la testa ‘ nel vassoio –

Lei torna in cucina, cerca e poco dopo torna con il bicchiere poggiato su un vassoio.
Io prendo il bicchiere, bevo, rimetto il bicchiere sul vassoio, senza dire nulla.
Lei resta ferma qualche secondo, poi torna in cucina.
Sento che sciacqua il bicchiere.

Quando ha finito, la chiamo.
In piedi, davanti a me, la guardo.

– ora puoi andare a casa –

Mi guarda, un attimo perplessa.
Annuisce.
Prende le sue cose e se ne va, chiudendo la porta.

Alla sera, quando so che il suo compagno non &egrave vicino a lei, la chiamo.
– hai capito cosa &egrave successo oggi? –
– sì… credo. Credo di sì ‘
– e cio&egrave, cosa &egrave successo? ‘
– mi hai fatto capire’ mi hai fatto capire che devo obbedire… a qualsiasi cosa voglia tu, senza pensare o immaginare’ –
– o aspettarti, pretendere qualcosa’ –
– sì’ ho capito, credo, quello che intendevi’ ubbidire’ non &egrave facile’ –
– l’obbedienza, quella di cui parliamo, &egrave un corollario dell’appartenenza: tu, quando siamo insieme, hai scelto di appartenermi, e io sono libero di fare, o non fare, come oggi pomeriggio, quello che voglio, con te, a te, o senza di te. Questa &egrave l’obbedienza, questo &egrave appartenere a un padrone. Sei d’accordo? ‘
– sì ‘
– vuoi che proseguiamo? O vuoi smettere? ‘
– no. Andiamo avanti ‘
– sei curiosa? ‘
– molto’ – mi risponde, e sento malizia nella sua voce
– e di cosa saresti curiosa’? ‘ chiedo, sorridendo
– di quanto mi farai aspettare, e di quanto resisterai, prima di cominciare a fare qualcosa di serio’ – ride

Rido anch’io, ci salutiamo come due vecchi amici, come due complici.

Poi mi rilasso, e mi masturbo, tranquillo, pensando a quando, come ha detto lei, ‘faremo sul serio’.
Sono passati altri giorni.

&egrave di nuovo da me.

Di nuovo, non le ho dato nessuna istruzione su come vestirsi.

Probabilmente questo le &egrave sembrato una provocazione, infatti si &egrave presentata vestita più sexy dell’altra volta, come in una sorta di sfida a resisterle.
Indossa un gonna scura, aderente, sopra al ginocchio.
Niente calze, scarpe col tacco, nere, aperte, con le unghie dipinte di rosso accesso.
Una camicetta scura, trasparente sulla schiena, che mostra le spalline di reggiseno di pizzo nero.
&egrave truccata, e porta orecchini d’oro.

&egrave molto bella, e ha un ottimo profumo, leggero, con un fondo di amaro.

Appena entrata, l’ho salutata con un casto bacio sulla guancia, e abbiamo scambiato due parole di circostanza, come stai, bene e tu.
Per ora va bene così, ma presto cambierà anche questo.

Ma non precipitiamo le cose.
Ogni singolo passo deve essere un piacere, grande o piccolo che sia, da gustare e assaporare a fondo.

E’ un viaggio.

Per ciascuno dei due.

Di nuovo in soggiorno, lei in piedi, io seduto.

– oggi ci occuperemo di alcuni aspetti formali del nostro rapporto ‘ spiego, didascalico

– prima di tutto ‘ proseguo ‘ &egrave necessario che quando siamo insieme, sia chiaro che sei mia. Ci vuole in segno, inequivocabile, che in quel momento mi appartieni, totalmente, come abbiamo detto ieri. Sei d’accordo? –
– sì ‘
– apri quella nera’ dico, indicando una scatola di legno scuro poggiata sul tavolino da caff&egrave.

Lei la apre, ed estrae un collare.
Nero, alto quasi tre centimetri.
Si chiude con tre piccole fibbie, e da un lato ha un anello di acciaio lucido.
Sotto l’anello, in lettere maiuscole argentate, c’&egrave scritto ‘SCHIAVA’.

– ti piace? –
lei lo osserva, rigirandolo tra le mani.
– bello… – sussurra
– da ora in poi, la scatola nera sarà appoggiata all’ingresso, sulla mensola. Non appena entrerai, la prima cosa che dovrai fare, prima di prima di salutare, o togliere il cappotto, o qualsiasi altra cosa, sarà aprire la scatola, e indossare il collare. Quello sarà il segno della tua appartenenza. Va bene? ‘
– sì ‘ mi risponde, sempre tenendo il collare tra le mani titubante

– bene. Allora, adesso vediamo come ti sta –

Mi appoggio allo schienale della poltrona, per assaporare l’intera scena.

Per la prima volta, lei prende il collare, lo studia, poi lentamente se lo accosta al collo, e senza fatica fissa le tre fibbie.
Controlla che l’anello d’acciaio sia sul davanti, e che la scritta ‘SCHIAVA’ sia centrata.

Poi abbassa le mani.

– vuoi vedere come ti sta? –
lei annuisce
– vai di là, c’&egrave uno specchio.
La sento andare, e poi restare ferma.

Resta là a lungo.

Io non mi muovo, aspetto, finch&egrave alla fine torna e si rimette ferma, davanti a me.

– allora? ‘ chiedo ‘ ti piace –

lei fa un lungo respiro ‘ &egrave la cosa più bella che abbia mai indossato ‘

– lo so ‘ rispondo, e mi alzo.

Vado al tavolino, e dalla scatola nera prendo un lucchetto, anche questo d’acciaio, lucido.
Glielo mostro, poi lentamente lo fisso alle fibbie, tolgo la chiave e me la metto in tasca.

– ecco, adesso sei davvero mia ‘ spiego ‘ ogni volta, dopo esserti messa il collare, prenderai il lucchetto, chiuderai il collare e mi porterai la chiave. Solo io potrò togliertelo. Hai capito? –
– sì ‘
– sei d’accordo? ‘
– sì ‘

– apri l’altra scatola ‘ e lei apre un’altra scatola.
Dentro, ci sono due polsiere, dello stesso genere del collare.
Le indossa, e blocca anche quelle con due lucchetti che si chiudono con la stessa chiave del collare, che riprendo e metto in tasca.

– l’ultima scatola –

Lei apre, ed estrae un guinzaglio, nero, di pelle.

Mi alzo, allungo una mano, senza parlare.

Lei mi porge il guinzaglio, guardandomi fisso.

Io mi avvicino, e lo fisso al collare.

Mi allontano di un passo, tenendo in guinzaglio in mano, che si tende leggermente.

– come ti senti? –
– strana… bene’ –
– vieni ‘ le dico, e mi incammino vero il corridoio, dove c’&egrave uno specchio a parete, quello dove era andata a guardarsi prima.

Lei mi segue da vicino, attaccata al guinzaglio.
Mi fermo davanti allo specchio.

Io sono in piedi, indosso jeans, una vecchia cintura di cuoio scuro, una camicia azzurra, botton down.
Tengo il guinzaglio nella mano destra, appoggiata al fianco.
Lei &egrave accanto a me, in piedi, e si guarda nello specchio.

– ti piace quello che vedi? –
– sì ‘
– comincia ad assomigliare a qualcuno dei tuoi desideri? ‘
– sì ‘ risponde
– sì ‘ ripete ‘ e dei tuoi? ‘ mi chiede dopo una piccola pausa, sorridendo

Io non rispondo.

– andiamo, torniamo di là –

Di nuovo seduto, con lei di fronte a me, in piedi.

– vuoi che prosegua? Con le istruzioni… –
– sì –
– bene. Allora, adesso farò un breve elenco di come vorrei che ti comportassi con me, di come vorrei che funzionasse il tempo che passeremo insieme. Se c’&egrave qualcosa che non ti convince, dimmelo subito: &egrave più facile decidere insieme, all’inizio, quali sono i limiti, e le regole, che modificarle dopo, magari dicendo ‘avrei voluto dirlo ma non me la sono sentita” ok? –
– sì ‘
– bene, prima regola: io sono il ‘padrone’, e mi dai solo del ‘lei”. Va bene? ‘
– sì ‘
– quando ti faccio una domanda, o ti do un ordine, la risposta &egrave ‘sì, padrone’ o ‘no, padrone’. Va bene? ‘
– sì. Sì padrone ‘

Mi fermo.
Le sorrido.
Lei mi sorride, un po’ imbarazzata.

– che effetto fa? –
– &egrave’ strano. Padrone ‘
– solo strano? ‘
– no’ &egrave forte’ una sensazione forte’ non trovo un’altra parola che lo descriva… &egrave forte –
– ti spaventa? ‘
– un poco. Un poco, sì. E… mi spaventa che mi piaccia chiamarti così…padrone ‘

Annuisco.

– seconda regola. Durante questo… questo nostro tempo, tu non puoi scegliere. Io do gli ordini, e tu li esegui. Non puoi rifiutare, discutere, chiedere. Io ordino, tu ubbidisci. Ti va bene? –

Lei mi guarda ‘ e se’ se quello che mi ordini ‘
– che ‘lei mi ordina’ ‘ la correggo
– sì, scusa’ scusi’ quello che lei mi ordina’non mi piace? Cio&egrave, se davvero’ non lo voglio fare? ‘
– allora potrai usare le parole, quelle che avevamo già detto, un po’ per scherzo, nelle mail… che sono? ‘
– ‘giallo’ e ‘rosso’ ‘
– esatto. Se dici ‘giallo’, io capisco che quello che sta succedendo non va bene, e devo rallentare, insomma, fare attenzione. Se invece dici ‘rosso’, mi fermerò. Però deve essere chiara una cosa ‘

mi fermo

– cosa? ‘ mi chiede lei
– che se dici la parola ‘rosso’, si interromperà il tutto: cio&egrave, come se in un cinema si accendessero le luci, o quando ti svegli da un sogno, o durante un gioco qualcuno dice basta. Va bene? ‘
-va bene ‘

Sorrido.
– terza regola –
lei annuisce
– terza regola ‘ ripeto ‘ ti serve un nome –

lei mi fissa, senza capire

– fin dall’antichità, quando qualcuno acquista uno schiavo o una schiava, gli da un nuovo nome, un nome che caratterizza il suo ruolo di schiavo –

Lei mi ascolta, attenta

– avrai un nome nuovo, il tuo nome da schiava, il tuo nome come mia schiava. Sarà una cosa nostra, segreta. Quando metterai il collare, non sarai più chi sei nella tua vita quotidiana, ma sarai una persona diversa. Mia –

Lei tace

– ti va bene? –
– sì. Padrone ‘ risponde, guardandomi interrogativa
– ti serve un nome’ – ripeto, pensoso

mi alzo, e comincio a camminare per il soggiorno, mentre lei &egrave ferma, rivolta verso la poltrona, vuota.

– allora’ la prima possibilità &egrave un nome ‘normale’, solo diverso dal tuo’ tipo, chessò, Alessandra, o Elena, o Arianna’ –

lei non risponde

– ma non mi convince’ banale, non credi? –
– sì, padrone ‘ risponde lei, con tono neutro

– la seconda possibilità &egrave invece un nome’ come dire’ insultante’ capisci? –
– ‘n ‘no ‘
– tipo ‘troia’, ‘puttana’, ‘maiala” una cosa del genere’ ti piacerebbe? –
– non’ non so’ io non… no… ‘
– a me non dispiacerebbe, devo dirtelo ‘ la interrompo ‘ l’idea di rivolgermi a te chiamandoti ‘troia’ non nego che un po’ mi eccita’ – sorrido, mentre lei resta ferma

– oppure, infine ‘ aggiungo ‘ ecco, ho un’idea’ che ne dici di’ ‘cosa’? –
– in’ in che senso? ‘
– cosa. Il tuo nome. ‘Cosa’. Come un oggetto, che non ha nemmeno un nome. La mia ‘cosa’ ‘

lei resta ferma, non risponde

– decidi tu ‘ insisto ‘ quale sarà il tuo nome da schiava? Ti vedi più come ‘Troia’, o come ‘Cosa’? –
– non’ io non so’ per me’ ‘
– scegli ‘ ripeto, fermo ‘ questo &egrave un ordine, e tu devi ubbidire. Non hai ubbidito, hai parlato a sproposito, e questo ti costerà una punizione’ ma adesso scegli ‘
– tro’ troia ‘ dice alla fine lei, dopo qualche secondo di silenzio
– padrone ‘ sottolineo
– sì, scusi. Troia, padrone ‘
– bene, allora &egrave deciso: il tuo nome da schiava sarà ‘Cosa’ ‘
– ma io’ –

le vado di fronte, mi metto davanti alla sua faccia, malgrado i tacchi son più alto di almeno dieci centimetri, la guardo fissa negli occhi ‘ ma cosa? Decido io. Se non ti va bene, quella &egrave la porta. Io sono il padrone, tu la schiava. E da oggi sei la mia cosa. Va bene? ‘
– sì, padrone –
– sei contenta? ‘
– sì, padrone ‘
– come ti chiami? ‘

silenzio

– come ti chiami? ‘ ripeto, dolcemente
– cosa, padrone. Mi chiamo cosa ‘
– e lo sai perch&egrave ti chiami cosa? ‘ le chiedo, guardandola fissa negli occhi
– sì, padrone. Mi chiamo cosa perché sono una cosa tua’ sua. Sua, padrone ‘
– non ti muovere ‘ le sussurro, e mi avvicino sempre di più.
Appoggio le labbra sulle sue, la bacio appena
– ferma’ –

&egrave il primo contatto fisico tra di noi.
&egrave stato bellissimo.
Sono passati alcuni giorni.

Dopo averle dato il suo nome da schiava, e averla baciata, le avevo detto di togliere il collare, il guinzaglio e le polsiere e di andarsene.

Lei aveva ubbidito senza dire nulla.
Se era delusa, non lo aveva fatto capire.
Stava iniziando a imparare.

Oggi le ho detto di venire qui.

Le ho fatto portare le chiavi di casa.
Le ho detto di vestirsi in maniera provocante, e ho aggiunto ‘sii eccessiva: non devi essere elegante, o chic: devi essere provocante in maniera volgare’.
Sono davvero curioso di vedere come ha interpretato le mie istruzioni.

In casa, le ho detto, dovrai come sai mettere collare, guinzaglio e polsiere, infilando le chiavi nella fessura della cassettina di cui solo io ho le chiavi.

Sul tavolino del soggiorno, troverai alcuni oggetti.

Quelli a destra, sono per le punizioni per non aver ubbidito come si deve l’altra volta.

Scegline due.
Mettili sulla poltrona.

Quelli a sinistra, sono per l’addestramento di oggi.
Anche di questi, scegline due. E mettili sulla poltrona

Appoggia sulla poltrona quello che hai scelto.
Poi mettiti in piedi, al centro della stanza.
Aspetta.
Io arriverò.

Quello che lei non sa, &egrave che c’&egrave una minuscola webcam nella libreria, accanto alla tv.
L’ho acquistata pochi giorni fa, costa pochissimo, si collega al wifi, e dall’iPhone o dall’iPad posso vedere quello che succede nel soggiorno.

La vedo entrare.
Mi sembra vestita con una gonna, corta, scura, aderente, scarpe scure col tacco, qualcosa di aderente sopra.

Si infila il collare, attacca il guinzaglio, poi le polsiere.
Fissa tutto coi lucchetti, li chiuse e mette le chiavi nella fessura della cassetta.

Poi si avvicina al tavolino.

Osserva quello che &egrave appoggiato sulla destra.
Gli strumenti per le punizioni.
Li prende in mano, li osserva.
Li agita nell’aria.
Uno dopo l’altro.
Ne appoggia uno sulla poltrona.
Poi un altro.

E fa lo stesso con gli oggetti sulla sinistra.

Poi si mette in piedi, al centro della stanza.
Le mani lungo i fianchi.
Sta ferma.

Lei non lo sa, ma io sono in macchina.
Aspetto venti minuti, durante i quali leggo un po’, ascolto Let it bleed degli Stones, la osservo sul tablet.
Lei sta ferma.

Dopo venti minuti, esco dalla macchina e vado in casa.

Entro.

Lei &egrave ferma, nel mezzo del soggiorno.
La stanza ha il profumo e l’odore di lei.
Non la saluto.
Mi tolgo la giacca e la cravatta.
Li lascio cadere a terra.

– metti a posto, cosa ‘ dico, senza guardarla

Lei si muove ‘ ferma! ‘ dico
Lei si blocca.
– ti ho dato un ordine’ come si risponde? –
– ah’ sì. Sì, padrone ‘
– oggi inizieremo con una parte importante del tuo addestramento. Imparerai che ogni errore ha una conseguenza. Oggi riceverai le tue prime punizioni. E una in più, per non aver risposto come si deve. Va bene? ‘
– sì. Sì padrone ‘
– adesso metti a posto ‘ dico, indicando i vestiti a terra.

Mentre li raccoglie, la osservo.
La gonna &egrave stretta, aderente, e molto corta.
La maglietta molto aderente, bianca, e scollata.
Il trucco eccessivo.
&egrave effettivamente volgare.

– mi piace come ti sei vestita ‘ le dico
– grazie padrone ‘ risponde lei, con un piccolo sorriso
– sei mai andata in giro, così? ‘
– no’ mai ‘ risponde lei, alzandosi e portando i miei vestiti in camera, dove la sento aprire e chiudere gli armadi, alla ricerca del posto giusto.

– una birra –
– sì padrone ‘
e arriva con un vassoio, un bicchiere e una birra gelata, stappata.

– brava, Cosa –
– grazie padrone ‘sussurra di nuovo

– ti piace? –
– cosa? ‘
– questo ‘ rispondo, allargando le braccia ‘ questo’ &egrave come immaginavi? Speravi? Temevi? Insomma’ come va? ‘
– &egrave’ &egrave una cosa’ non so ‘ mi risponde, guardandomi fissa ‘ &egrave una cosa che mi travolge’ passo il tempo ad aspettare di sapere quando ci vedremo’ a immaginare cosa succederà’ –
– e quello che &egrave successo finora’? ‘
– &egrave’ bello, strano, unico. Ed &egrave sempre, ogni volta diverso da quello che mi aspetto… Temevo che alla fine saremmo finiti a scopare, subito, e basta’ e invece’ –
– ma io ti scoperò, lo sai? ‘

non risponde, annuisce

– ma non adesso’ ‘ aggiungo, avvicinandomi alla poltrona ‘ adesso, invece, voglio vedere cosa hai scelto –

– vediamo’ per la punizione’ hai scelto’ la cintura di cuoio’ ottima scelta, e’ il frustino da cavallo’ sei sicura? –
– ssss’ no’ sì padrone’ non so’ –
– va bene va bene, sei stata brava’ – sorrido ‘ e per l’addestramento’ vediamo’ questo? ‘ le chiedo, mostrandole una ball gag rossa ‘

lei annuisce
io scuoto la testa, dubbioso ‘ mha’ facciamo che invece usiamo questo? ‘ chiedo, mostrandole una specie di morso da cavallo, un piccolo cilindro nero, con una fascia di cuoio da fissare dietro la nuca e sue specie di redini collegate

– sì, padrone.. &egrave che non’ non capivo’ –
– non hai capito a cosa serva, vero? ‘
– nnnno’ –
– bhe, lo scoprirai ‘

– e poi’ hai scelto questo ‘ le dico, dubbioso, mostrandole un’asse da wc, bianca ‘ sei sicura? –

Lei non mi risponde, abbassa gli occhi, imbarazzata.

– Cosa’ – le dico, con voce più ferma ‘ hai scelto questo? Lo sai, lo immagini cosa intendevo, mettendo questo tra gli oggetti per il tuo addestramento? –

lei non mi risponde

– Cosa! Rispondimi! Subito!! –
– sì’ io’ ho letto’ nei racconti.. i tuoi’ suoi’ e’ –
– va bene. Ne parliamo dopo ‘ chiudo il discorso.
q95;
Mi alzo, le vado davanti.

Le prendo con gentilezza le braccia, le accarezzo le spalle.

La guardo.

– sei pronta? Sei sicura? –
– sì, padrone’ –
– guarda che se non vuoi, possiamo lasciare perdere –

lei scuote la testa.
Io sorrido, la accarezzo ancora sulle spalle e poi lungo le braccia.

– ricordati, puoi fermare tutto in qualsiasi momento –

Lei annuisce di nuovo.

– cominciamo’ cominciamo l’addestramento di oggi –
– la prima lezione di oggi riguarda le punizioni. Sai cosa &egrave importante, per una schiava, nelle punizioni? ‘
– no, padrone ‘
– &egrave importante tanto che la schiava le riceva, quanto il modo con il quale le riceve’ –

la guardo, e proseguo ‘ per esempio, se io adesso ti colpissi con questo, o questo ‘ dico, prendendo in mano la cintura di cuoio e il frustino ‘ la punizione non avrebbe il valore che mi aspetto, se tu non la ricevessi come si deve ‘

lei rimane ferma, e io proseguo ‘ perciò, adesso ti insegnerò come si ricevono le punizioni. Facciamo finta ‘ aggiungo, mettendomi dietro di lei ‘ che adesso io debba punirti, con il frustino ‘

lei si irrigidisce appena ‘ stai tranquilla, per ora faremo solo finta ‘
– ecco, io dirò qualcosa come ‘preparati per la punizione’. Cosa devi rispondere? –
– sì, padrone ‘
– brava. E poi dovrai assumere la posizione. Imparerai che ogni punizione ha una, o due, posizioni: per il frustino, la posizione sarà in ginocchio sul divano ‘ le dico, indicando il divano ‘ le ginocchia appoggiate sul bordo, le mani giù, sul divano, come se stessi a quattro zampe, la testa alta, lo sguardo in avanti. Il culo, infine, spinto in fuori e la schiena ben inarcata ‘

– proviamo ‘ le dico

mi guarda un attimo ‘ si padrone ‘ risponde subito, e si muove
– quando la punizione sarà vera, naturalmente, il culo dovrà essere nudo –
lei si ferma, mi guarda.

Ho la sensazione che si aspetti, che speri, che le ordini di spogliarsi.

E invece no.

– ma per ora va bene così’ prendi la posizione –

lei va al divano, si inginocchia, abbassa le mani, alza la testa, mi guarda dietro la spalla.

– inarca la schiena. Sì, così. E spingi bene in fuori il culo –

lei esegue.

Io mi metto dietro di lei, osservo la gonna che si tende e si alza, su quel culo ampio ma non grande. E lo spacco che si apre sull’interno delle cosce.

– come ti senti? Che sensazione provi? ‘ le chiedo
– di’ di’ non so spiegare’ –
– di libertà? Di totale, assoluta, libertà? ‘
– sì’ mi sento’ –
– mia ‘

un sospiro, poi si gira ancora di più, per guardarmi

‘ sì. Sono libera. E sono tua. Sua… volevo dire.
Completamente sua. Padrone ‘

– lo so ‘ sorrido ‘ lo so’ adesso proseguiamo. A questo punto, dopo che avrai preso la posizione, io mi tetterò di qua, nel punto migliore per colpirti ‘ le spiego, mettendomi al suo fianco, all’altezza della vita, mimando un colpo con il braccio

– tu mi dovrai guardare, a meno che non ti dica il contrario, per tutto il tempo. Vietato chiudere gli occhi, vietato distogliere lo sguardo, vietato abbassare la testa – spiego

– e a ogni colpo, dovrai dire il numero, contare ‘uno’, ‘due’, ‘tre” poi ringraziare: ‘grazie padrone’ e infine chiederne ancora: ‘posso averne un altro?’. Hai capito? –

– sì, padrone –
– bene, proviamo – dico muovendo la mano, come se la colpissi ‘ ecco, adesso ti ho colpita: cosa dici? ‘

lei mi guarda fisso, sorride, poi torna seria ‘ uno, grazie padrone. Posso avene un altro? ‘

– sei mai stata colpita con uno di questi? ‘ le chiedo, prendendo in mano il frustino e facendolo sibilare
– no ‘
– lo immaginavo’ e con questa? ‘ chiedo, mostrando la cintura
– nemmeno ‘

– alzati ‘ le ordino ‘ torna dov’eri prima.
Lei &egrave raggomitolata, nuda, coperta solo dal lenzuolo.
Mi gira la schiena.

Vedo le sue spalle muoversi, adesso più lentamente, e immagino abbia smesso di piangere.

Anch’io sono nudo, sdraiato sul letto, la schiena appoggiata al cuscino.

– vestiti ‘ le dico

Lei non si muove.

– vestiti!! ‘ ripeto, alzando la voce.

Lentamente, coprendosi con il lenzuolo, si alza, e comincia a raccogliere da terra, da sotto il letto, i suoi vestiti, che infila uno a uno.

Non mi guarda, tiene la testa bassa.
Io la osservo.

Gli occhi gonfi di pianto, il trucco sbavato e colato, i capelli sfatti.

La osservo, e ripenso a come siamo arrivati a questo.

***

Era stata un giornata pessima.

Già io odio i lunedì, perché con il lavoro che faccio nel fine settimana si accumulano un mucchio di rogne, e lunedì mattina la mia scrivania e il mio computer sembrano un campo di battaglia.

Ma quel lunedì ne erano successe di tutti i colori, e poi c’era un traffico pazzesco, e poi aveva piovuto e mi ero inzuppato andando a una riunione, e poi e poi e poi’

Insomma, all’ora di pranzo ero davvero infuriato con il mondo.

Un rabbia sorda, che mi prendeva alla base dello stomaco.

Una mail, veloce: ‘riesci a essere da me nel pomeriggio?’.

Dopo pochi minuti ‘sì, padrone. Va bene alle quattro? Come devo vestirmi?’
‘da troia. Alle quattro’.

In ufficio rifilo le rogne a qualche collaboratore, e visto il mio sguardo nessuno obbietta mentre esco dicendo ‘vado, ci vediamo domani’.

A casa, lei arriva pochi minuti prima delle quattro.

Indossa scarpe nere, tacco dodici, o poco meno, calze nere, gonna corta, nera, una camicetta bianca, stretta. &egrave truccata pesantemente.

Entra, e senza che io dica nulla si infila collare, guinzaglio, polsiere e cavigliere.

– buongiorno, padrone ‘ mi saluta sorridente

– e questo sarebbe vestirsi da troia? ‘ le dico, con tono aggressivo
Lei non mi risponde, interdetta, colpita dal tono e dal mio sguardo rabbioso.

– togliti questa merda ‘ le dico, indicando la camicetta, mentre afferro il frustino che era appoggiato sul tavolo

lei si affretta ad afferrare i bottoni, slacciandoli

– più in fretta! –

&egrave talmente colpita dalla mia rabbia che le tremano le mani, e non riesce a slacciarli

– lascia stare! ‘ ringhio, poi afferro con le mani i due lembi della camicetta e con un colpo secco li separo, facendo saltare tutti i bottoni .

Lei mi guarda esterrefatta.

– visto? Non ci voleva mica tanto’ la gonna ‘ aggiungo, indicando la gonna con il frustino.

Questa volta &egrave veloce, efficiente, in un attimo la gonna &egrave a terra e lei fa per chinarsi a raccoglierla.

– lasciala. Vieni ‘ dico, e muovendomi verso il soggiorno do uno strattone deciso al guinzaglio, che ho appena preso in mano.

Lei non se lo aspetta, quasi cade, grida ‘ah!’, poi riprende l’equilibrio e mi segue, portando le mani al collare.

– non toccarlo!! ‘ dico, duro ‘ non toccare mai il guinzaglio! –

lei abbassa le mani lungo i fianchi, non sa dove guardare o cosa fare.

– gira ‘ le dico

lentamente, comincia a girare su se stessa.
Io la guardo.

I seni, dentro al reggiseno nero, di pizzo, sembrano più piccoli di come li immaginavo, ma pieni.
Il culo, invece, &egrave un po’ più grosso di quanto pensassi, e con qualche traccia di cellulite.
Il perizoma, nero, si infila tra le sue chiappe.
Lei compie un giro intero, poi si ferma.

– chi ti ha detto di fermarti??? Continua a girare ‘ lei riprende subito

la lascio fare tre o quattro giri, guardandola.

– spogliati –

lei si ferma, e si slaccia il reggiseno.
Lo toglie.
Ha delle belle tette, i capezzoli piccoli, chiari.
Il seno non &egrave troppo grande, ma nemmeno cadente, per l’età che ha.

Toglie le mutandine, la figa &egrave depilata, il solco appena visibile tra le cosce, che tiene strette.

– ferma ‘ le dico

poi mi metto dietro di lei, e senza preavviso, alzo la mano con il frustino e la colpisco, forte, cattivo, di traverso, sulla natica destra.

&egrave come se avesse ricevuto una scarica elettrica.
Grida, forte.
Inarca la schiena.
Salta, in alto e in avanti.
Si porta le mani sul punto dove l’ho colpita.
Fa per girarsi verso di me.

Io, però, ho in mano il guinzaglio.

E mentre sta ancora gridando e saltando, immediatamente tiro, forte, con rabbia, verso di me.

Il suo salto si blocca, il grido si strozza nella gola, le mani lasciano il sedere per andare al collo.

Cade a terra, su un fianco.

– alzati!!! ‘ le grido, abbassandomi per guardarla in faccia, mentre tiro verso l’alto il guinzaglio.

Lei non si muove, mi guarda con gli occhi spalancati, terrorizzata.

Fa per dire qualcosa, ma la anticipo.

– ALZATI!! ‘ urlo di nuovo, e la colpisco di nuovo con il frustino.

Forte, anche questa volta.
Con rabbia, violenza.
Sul fianco, e lei subito si gira per ripararsi.

E io la colpisco un’altra volta, dietro, sulle cosce, e lei si gira dall’altra parte e io di nuovo, dall’alto verso il basso, sulle spalle, e poi su un braccio, che ha alzato per ripararsi.

– alzati! Alzati! Alzati! ‘ scandisco, un colpo dopo l’altro.

Tiro ancora il guinzaglio, e lei finalmente si alza.

Trema.

Non sa dove mettere le mani, il suo corpo ha tre, quattro, cinque segni rossi sul culo, dietro le cosce, sulla schiena, le spalle’

Con la sinistra le afferro il collare da dietro, sulla nuca, le vado davanti e la bacio, con rabbia, violenza.
Le infilo la lingua in bocca, la succhio, la lecco.
Lei reagisce, forse spaventata dalla mia forza, muove meccanicamente le labbra e la lingua.

Con la mano destra le prendo la figa, sentendola stretta, chiusa, contro le mie dita.

Lei istintivamente stringe le gambe.

Faccio forza con la sinistra, le inclino la testa all’indietro ‘ apri ‘ le dico, poi riprendo a baciarla.

Lei rilassa appena le gambe, io ho l’intera mano sulla sua figa, spingo verso l’alto il medio, che entra appena dentro di lei, e poi l’indice, e lei &egrave asciutta, stretta, e si irrigidisce e mugula qualcosa sulla mia bocca.

Io spingo ancora più sotto la mano, e sento il suo buco del culo, stretto e contratto, e anche lì forzo l’indice, appena la punta, ma ancora la sento lamentarsi e irrigidirsi.

Mi allontano.

– in camera – ordino

lei non si muove.
Io alzo la mano con il frustino, minaccioso.
Lei si gira, e con gli occhi spaventati va verso la camera.
La seguo.

Non posso resistere.

Mentre cammina, le do due colpi, uno da destra a sinistra e l’altro subito dopo da sinistra a destra, in pieno, sul culo, col frustino.

Di nuovo salta, urla.
Di nuovo la strattono col guinzaglio.

Appena entra in camera, le afferro il collo e le faccio appoggiare le mani al letto.

Mi spoglio, mentre guardo quel culo, i segni rossi, le sue gambe che tremano, le spalle che sussultano.

Forse piange.

Le vado vicino, e comincio a sculacciarla, con forza, una, due, dieci volte.
Lei si lamenta, si agita, ma io la trattengo in posizione tenendole una mano tra i capelli, stringendo forte.

Mi chino dietro di lei.
Le allargo con le chiappe, con violenza.

Sputo una, due volte sul suo buco del culo.

Poi, con la destra mi afferro il cazzo, mentre con la sinistra prendo di nuovo il guinzaglio e lo tendo, facendole alzare la testa e inarcare la schiena.

Appoggio il cazzo al suo culo, e inizio a spingere.

Lei non oppone resistenza.

Immagino, con quel poco di razionalità che mi resta tra la rabbia e la voglia, che non sia la prima volta che lo prende nel culo e sappia che a fare resistenza si farebbe solo male.

Non appena sento che il muscolo dello sfintere si allarga appena, mi fermo, strattono ancora più forte il guinzaglio, e mentre la sento gemere do un colpo forte, deciso, e tutta la cappella entra dentro di lei.

Poi, sono solo minuti in cui entro sempre più in fondo a lei, in cui le scopo il culo con forza, con rabbia, mentre le tiro i capelli, la sculaccio, le afferro di seni da dietro e le stringo forte, tra le dita, i capezzoli finch&egrave non grida.

E poi vengo.

Senza chiedere, senza avvisare.
Vengo a lungo, grugnendo, dentro il suo culo.

Dal quale esco, e vado in bagno a lavarmi.

Quando torno, mi sdraio a letto, accanto a lei.
Raggomitolata, sotto le lenzuola.

***

Finisce di vestirsi.

– vattene ‘ le dico

si avvia verso la porta della camera, esita, si ferma, si gira, alza gli occhi e per la prima volta mi guarda.

– posso chiederti una cosa? ‘ mi sussurra
– dimmi –
– posso’ posso’ – si ferma, sospira, soffoca un sunghiozzo

io non dico nulla.

Prende fiato, prosegue
– posso.. quando son a casa’ posso’ –
– cosa? ‘
– posso’ toccarmi? Posso’ masturbarmi ‘ sussurra, abbassando la testa

– ti prego ‘ dice adesso, alzando la testa e guardandomi decisa negli occhi ‘ voglio rivivere tutto quello che &egrave successo oggi, e venire, venire e venire ancora pensandoci ‘

io resto fermo, zitto, stupito.

– sì ‘ dico alla fine ‘ ma voglio che grido il mio nome, mentre vieni –

– sarà fatto, padrone ‘ sorride lei.
Non la cerco per una settimana, forse di più.

Faccio fatica ad ammetterlo, ma sono un po’ in imbarazzo, e anche intimorito, all’idea di riprendere i contatti.

Mi domando come reagirà, dopo quello che le ho fatto.

Mi chiedo anche come potrei continuare, proseguire il nostro cammino insieme, dopo quello che &egrave successo.

Questi dubbi, oltretutto, mal si addicono all’immagine, o meglio all’idea, che uno o una si fa del tipico master, padrone sicuro, inflessibile, distaccato e freddo.

Vorrei tanto essere fedele a questa immagine, ma la verità &egrave che sono preoccupato, temo di averle fatto male, e non nel senso solo fisico, intendo; temo di aver rotto, rovinato una piccola magia che stava iniziando a nascere tra noi, e che lei, alla fine, possa avere la sensazione che io abbia abusato di lei, del suo ruolo e del mio, approfittandone per avere una scopata, del sesso, insomma.

Non che abbia nulla contro il sesso, anzi: ma quello che stiamo (stavamo?) facendo noi era ben altro che il semplice sesso, dolce o violento che sia.

Insomma, la mia incertezza mi impedisce di contattarla; e il fatto che lei non dia alcun segno, non fa che aumentare i miei dubbi.

Poi, alla fine, decido di decidere, insomma &egrave inutile stare qui a pensare e pensare e farsi venire i dubbi: agire, &egrave l’unica soluzione, in questa situazione, come nella maggior parte dei casi della vita.

Le mando un messaggio sulla nostra bacheca segreta, con il tono tranquillo e forse un po’ freddo che ho usato sempre nella nostra corrispondenza: ‘vorrei vederti, io potrei’.’ E le indico tre giorni, nel pomeriggio dei quali posso assentarmi dal lavoro senza problemi.

Invio il messaggio.

Mi impongo, non senza sforzo, di non controllare se abbia risposto fino a sera.
A casa, controllo.

Una risposta laconica: ‘potrei dopodomani, dalle 14,30: va bene?’.
Rispondo ‘va bene’.

E mi impongo di non pensarci fino a dopodomani.

***

Arriva puntuale, anzi con qualche minuto di anticipo.

Entra in casa, indossa un tailleur scuro, blu o nero, una camicetta senza bottoni, accollata, color crema, niente calze, scarpe chiuse, scure, con un tacco medio.
Una perfetta business woman.

Appena entra c’&egrave un po’ di imbarazzo.

Lei non mi guarda, non dice nulla e si gira verso la mensola dove le altre volte stavano appoggiati collare, polsiere e cavigliere.

Quando vede che non c’&egrave niente, mi guarda.

– aspetta ‘ le dico ‘ vai in soggiorno, mettiti comoda. Io arrivo subito. Un bicchiere di vino? O preferisci una birra? –
– vino, grazie ‘ risponde dopo un attimo, e poi si incammina verso il soggiorno.

Mentre cammina, la osservo e non posso fare a meno di guardarle il culo, e all’improvviso lo rivedo striato di rosso per i colpi di frustino, mentre l’ano si contrare, involontariamente, appena prima che ci appoggi il mio cazzo’

scuoto la testa, per scacciare i ricordi e i pensieri.

Prendo una bottiglia di vino bianco, friulano, profumato ma sapido, e lo verso in due bicchieri.

Vado da lei, che &egrave in piedi, le porgo il suo bicchiere ‘ accomodati ‘ le dico, accennando alla poltrona.
Io mi siedo di fronte a lei, tra noi il tavolino basso.

– a cosa brindiamo? ‘ mi chiede, alzando il bicchiere
ci penso un momento, poi rispondo ‘ alle nostre paure, che sembrano invincibili solo finch&egrave non le affrontiamo –
– alle nostre paure, allora ‘ risponde lei, seria, portando il bicchiere alle labbra.

– come stai? ‘ le chiedo
– bene ‘ risponde, seria

Io annuisco, poi chiedo
– e il culo? ‘

lei non risponde, mi guarda.
Io aspetto.

Sospira.
Abbassa gli occhi, poi mi guarda fisso.

– mi ha fatto male per almeno tre giorni’ per tre giorni non sono riuscita a restare seduta nella stessa posizione per più di un minuto’ sembrava che avessi le pulci’ – aggiunge.

E la vedo accennare un sorriso.

Io non dico nulla.

Lei prosegue – ‘mi ha fatto davvero male, un male che sembrava non passasse mai’ e guarda ‘ mi dice, con sguardo severo e agitando l’indice come una maestrina ‘ guarda che parlo solo delle frustate’ perché se parliamo del culo culo’ – si interrompe, piegando la testa da una parte e facendo una smorfia

– il ‘culoculo’? ‘ chiedo io
– non fare finta di non capire’ –
io alzo le mani in segno di resa

– ‘il culo culo, per capirci, il mio ‘culo culo’ ‘ continua, sottolineando la parola ‘mio’ – quello che hai scopato senza avvisare, senza chiedere il permesso, senza nemmeno un po’ di lubrificante’ –
– ah, quel ‘culoculo” – interrompo io
– esatto, quel ‘culoculo’, bhe sappi che quel culo ha sanguinato fino a l’altro ieri ogni volta che ho provato ad andare in bagno’ e dico provato perché ogni volta &egrave stato un dramma’ se in questi giorni ti sono fischiate le orecchie, sappi che ero io, che ti mandavo tutti gli accidenti del mondo ogni volta che provavo a’ evacuare’ –

Non posso trattenermi dal sorridere

– non &egrave per niente divertente, sai ‘ mi rimprovera, facendo una specie di broncio, e a quell’atteggiamento quasi giocoso io trattengo a stento un sospiro di sollievo.
– ah no, no’ – dico, e alzo le mani in segno di scusa

beviamo un altro sorso di vino, guardandoci in silenzio

– e lui? ‘ chiedo poi
– lui? ‘
– il tuo compagno’ – spiego
– puoi solamente immaginare ‘ mi dice, appoggiando sul tavolino il bicchiere e mettendo le mani sui fianchi, in una posa di rimprovero ‘ puoi solamente immaginare come sia stato difficile nascondergli i segni che mi hai lasciato??? ‘
– bhe, sì, cio&egrave, no, non posso immagi’ –
– per non parlare della difficoltà di non gemere di dolore ogni volta che ho provato ad andare in bagno con lui in giro per casa’ –
– sarebbe stato imbarazzante’ –
– molto. E non &egrave divertente, quindi sei pregato di toglierti quel sorrisetto dalla faccia ‘
– ops’ fatto ‘
– e avete’ avete fatto l’amore? In questi giorni, intendo ‘
– certo che no’ ma come avrei potuto? Anche con la luce spenta, se appena mi avesse toccato sul culo, o anche sulla schiena, avrebbe sentito i segni in rilievo’ ho praticamente finto di aver mal di testa da allora fino a ieri sera, per poterlo tenere a bada’ –
– nemmeno un pompino’? ‘
– premesso che non sono fatti tuoi, no, nemmeno un pompino: sei contento? ‘

La guardo, le sorrido ‘ sì –

Mi guarda anche lei, scuote la testa, posa il bicchiere.

– e adesso? ‘ mi chiede, all’improvviso seria
– adesso? Adesso sta a te’ decidere se proseguire o lasciar perdere. Però, prima, dev chiederti una cosa ‘
– dimmi ‘
– perché non hai usato le parole? Perché non hai detto né ‘giallo’, né ‘rosso’? ‘

lei fa una pausa, poi mi chiede ‘ ti saresti fermato, se le avessi usate? Sinceramente? ‘
– sinceramente? Non lo so. Credo, credo proprio di sì ma’ ma non posso giurartelo ‘
– ecco. Questa &egrave la risposta alla tua domanda. Anche io ho avuto la sensazione che forse, forse, anche se avessi usato le parole, non ti saresti fermato, e’ –
– e? ‘
– e se non ti fossi fermato, allora tutto avrebbe cessato di essere un gioco, per quanto estremo, e sarebbe diventato qualcosa d’altro’ –
– capisco ‘
– e io’ – sospira, e poi mi sorride ‘ io non volevo che il gioco finisse, finisse… così ‘

Io poso il bicchiere, mi alzo, le prendo il bicchiere dalle mani, appoggio anche il suo.

Le prendo i polsi tra le mani, con dolcezza, e la faccio alzare, davanti a me.

La guardo.

– sei bellissima –
– non &egrave vero ‘ sorride lei
– oh, sì che &egrave vero ‘
– no – scuote la testa lei ‘ però sono tua. Sono tua come non sono mai stata di nessuno. Tua ‘

Io annuisco ‘ allora, andiamo avanti? ‘
– sì ‘ risponde lei, guardandomi negli occhi ‘ non potrei tornare indietro nemmeno se volessi –

– va bene. Ma promettimi, giurami una cosa ‘
– giuro ‘
– giurami che userai le parole. Hai visto, non puoi pensare che io sia sempre in grado di pensare a te, per te, e di fermarmi. Giura ‘
– giuro ‘
– grazie. Adesso, proseguiamo –

***

Cosa &egrave in ginocchio, in mezzo al soggiorno, illuminata dalla luce cruda delle alogene che si riflettono sulle pareti bianche.

&egrave nuda.

Indossa le scarpe, il collare, le polsiere e le cavigliere.

Il guinzaglio pende dal suo collo.

Le gambe sono leggermente divaricate, tanto da lasciare il sesso in vista, i seni pieni, più grandi di come li ricordassi.

Le braccia sono incrociate dietro la schiena.

Io sono seduto, davanti a lei, sulla poltrona.

– quello che &egrave successo l’altra volta’ – le chiedo ‘ come &egrave stato? Usa tre aggettivi per spiegarmelo –
– &egrave stato’ doloroso. La prima parola &egrave doloroso, non c’&egrave dubbio. E poi’ poi’ violento. Forse &egrave la cosa più violenta che mi sia capitata’ sì, la coa più dolorosa e violenta insieme che mi sia mai successa. E il terzo aggettivo’ –

Io taccio, e aspetto.

– ‘ intensa. &egrave stata una cosa intensa, come pochissime altre cose che mi siano successe. Ci ho ripensato, poi. E ogni volta, dopo la paura, il dolore, la rabbia, non riuscivo a togliermi dalla testa la forza, l’intensità di quello che mi hai fatto –

Annuisco.

– il dolore ‘ dico, infine, alzandomi

– il dolore ‘ ripeto, camminando per la stanza, girando intorno a lei, che resta ferma, nuda, in ginocchio ‘ &egrave una parte fondamentale dell’addestramento e della vita di una schiava. La schiava sa, deve sapere, che in ogni momento della sua vita il padrone può farle male, per punirla, o anche solo perché ne ha voglia ‘
mi fermo dietro di lei.

La osservo.
Un piccolo brivido le scuote la schiena, dove guardando con attenzione si intravedono ancora i segni lasciati dal frustino.

– oggi introdurrò il dolore in una parte sostanziale della tua vita ‘ riprendo ‘ sei pronta? –

dopo un attimo, risponde ‘ sì, padrone ‘

– bene ‘ dico, prendendo una sedia e mettendola proprio davanti a lei, e mi ci siedo aprendo le gambe, così da averla praticamente tra le mie gambe

– datti un pizzicotto ‘ le dico
lei mi guarda
– un pizzicotto ‘ ripeto ‘ qui, tra il braccio e l’ascella ‘ spiego, sfiorandola ‘ oppure lì, nell’interno coscia –

Lei, senza capire, posa l’indice e il pollice della mano destra sulla pelle all’interno del suo braccio, poco sotto l’ascella ‘ qui? ‘

– sì. Datti un pizzicotto, forte –

Lei esegue.

– non smettere –

Continua.

– più forte –
stringe
– più forte –
stringe ancora di più
– più forte –
stringe ancora di più
– ahhh – geme
– ancora più forte –
– ahhhh ‘ geme di nuovo, mentre stringe i denti e strizza gli occhi
– adesso ‘ dico, mentre metto le mie dita sulle sue due ‘ stringi ancora ‘ e stringo forte
– ahhhhhh ‘ si lamenta, mentre cerca di spostarsi
– ferma’ e adesso facciamo mezzo giro ‘ aggiungo, torcendo di 180 gradi le sue dita, che stringo ancora più forte tra le mie
– ahhhhhhhhh! ‘ urla adesso, e io la lascio

– sssssshh’ zitta ‘ le dico, mentre si massaggia il braccio, con le lacrime agli occhi, quando vedo che sta per dirmi qualcosa

– sei stata brava ‘ aggiungo

– adesso ‘ riprendo, quando vedo che si &egrave calmata e ha rimesso la mano dietro la schiena ‘ voglio che tu faccia la stessa cosa’ con la stessa forza’ ma su un capezzolo –

lei mi guarda, senza capire

– voglio vedere che ti fai male al capezzolo esattamente come hai fatto sotto il braccio’ prendilo tra due dita –

lei mi guarda, piega la testa da un lato

– obbedienza ‘ le dico io, con tono calmo, guardandola fissa negli occhi

– sì, padrone ‘ risponde poi, e porta la mano destra al seno sinistro

– afferra il capezzolo con due dita –

lei esegue

– adesso stringilo’ forte. Più forte’ più forte’ più forte’ –

Ad ogni ordine, stringe di più gli occhi, contrae la bocca, emette dei versi strozzati dalla bocca, sempre più forti.

– adesso’ adesso ti aiuto io ‘ dico, e come prima metto le mie dita sulle sue ‘ più forte ‘ ripeto, e stringo.

Man mano che stringo, o meglio stringiamo, muove le spalle, piega la schiena, cerca di sottrarsi, ma io tengo la presa sulle sue dita che stringono il capezzolo.

– e adesso’ mezzo giro ‘ dico, ma non faccio nulla
– avanti ‘ dico ‘ fallo tu’ io sono qui solo per aiutarti. E guardami negli occhi mentre lo fai –

e allora lei alza il viso, mi fissa con uno sguardo tra il rabbioso e il rassegnato, e sento che la sua mano comincia a girare, e solo allora la aiuto, spingendo anche io il suo capezzolo in un mezzo giro in senso orario.

– ahhhhhhh ‘ grida, forte

appena completato il mezzo giro, lascio la presa e subito lei si piega su se stessa, respirando forte e massaggiandosi il seno.

Aspetto un minuto, finch&egrave non si riprende.

– adesso ti sarò un ordine speciale – spiego

– da oggi in poi, ogni volta che starai per venire ‘ mi fermo, la guardo, riprendo ‘ ogni volta che starai per avere un orgasmo –

mi fermo, lei mi osserva.

– ogni volta che starai per avere un orgasmo, voglio che tu senta dolore. Come quello che hai appena fatto, o anche più intenso –

– ma come’ –

– non interrompere. Da oggi, nella tua vita il piacere sessuale dovrà diventare indissolubilmente legato, dovrà identificarsi con il dolore. Voglio che tu non riesca nemmeno più a immaginare di poter provare un orgasmo senza sentire anche del dolore, della sofferenza, del male in qualche parte del corpo’ –

– ma io’ –

– comincerai stasera ‘ proseguo ‘ fallo da sola, mentre ti masturbi: quando senti che stai avvicinandoti all’orgasmo, voglio che incominci a torturarti’ un capezzolo, un pizzicotto, le unghie nella carne, una forchetta spinta in un fianco’ quello che vuoi. Ma al momento di venire, voglio che il tuo piacere debba lottare con il dolore: e qualsiasi cosa tu stia facendo causarti dolore, nel momento dell’orgasmo voglio che tu insista, come se proprio da quello dipendesse l’orgasmo –

– non so se ci riesco’ –

– …e anche quando scoperai con il tuo ragazzo – continuo, senza lasciarla parlare – voglio che tu faccia lo stesso –

– ma come posso…? –

– quando senti di stare per venire, datti un pizzicotto, stringi un capezzolo, morsicati una mano, qualsiasi cosa. Ma, primo, devi provare dolore e, secondo, lui non si deve accorgere di nulla –

– non so se sono capace… –

– e così, tutti i tuoi orgasmi saranno nostri, miei. Chiunque sia a darti piacere, il tuo ragazzo, tu da sola, un amante, un’altra donna –

– io non ho… –

– chiunque sia, lui, lei o tu stessa, a darti piacere, il dolore, quello sarà solo mio –

– non so se riesco a… –

– certo che ci riesci, e io non te lo sto chiedendo. Te lo ordino. E non andremo avanti nel nostro cammino, fino a che non avrai imparato ‘

– ci proverò, prometto. Ma’ come fai a sapere che non ti dirò di averlo fatto, senza che invece l’abbia fatto davvero? ‘

– perché sei ubbidente. Perché sei mia. Perché sei un po’ puttana ‘ le dico, e lei mi sorride, nuda e in ginocchio com’&egrave ‘ e soprattutto perché sei curiosa, così curiosa che proveresti subito, adesso, di là, sul letto, se appena te lo permettessi –

sorride, abbassa lo sguardo ‘ me lo permetti, padrone? ‘

anche io sorrido, ma scuoto la testa.

– no. Adesso vai a casa, esercitati, e la prossima volta mi farai vedere quanto sei diventata brava’ –
– allora a presto, padrone. Prometto di fare tutti i compiti a casa –

– dolore. Reale, non per finta. –

– il mio dolore sarà reale, e tutto per te, padrone. Insieme alla mia paura –

e senza che dica nulla si alza, mette il suo volto davanti al mio, chiude gli occhi, mi bacia leggera sulle labbra, e poi si allontana, agitando sensuale il culo nudo.

Si piega, per raccogliere i vestiti che aveva tolto lasciandoli a terra, e così facendo mi sorride, mentre vede me, che non riesco a staccare gli occhi dal suo culo e dalla sua figa.

– a presto, padrone ‘ ripete.

Si veste, e se ne va. Il lavoro, le seccature, insomma la vita quotidiana irrompono sempre nei momenti meno indicati.

E infatti, dopo il nostro ultimo incontro, sono passate quasi due settimane prima che avessi tempo e modo di contattarla.

‘ero preoccupata’, mi scrive quando, finalmente, riesco a mandarle un messaggio sulla nostra bacheca.
‘sono stato preso, ho girato l’Italia e non solo, ho dormito poco e male in posti noiosi” spiego ‘e non vedo l’ora di dedicarmi a me stesso’
‘e io?
‘tu sei il modo migliore che conosca di dedicarmi a me stesso’, le scrivo. E lo penso davvero.

E’ sera; non siamo riusciti a organizzare un pomeriggio.
Il problema con la sera &egrave che lei deve rientrare, il suo fidanzato &egrave a casa, per uscire stasera ha inventato un impegno di lavoro, ma dobbiamo fare attenzione a non perdere di vista gli orologi.

La cosa un po’ mi infastidisce, lo ammetto, ma ho voglia di averla, qui, e tutto il resto passa in secondo piano.

– eccoti qua ‘ le dico finalmente
– bentornato padrone ‘ mi dice, seria, nuda, con solo le polsiere e le cavigliere, le scarpe blu scuro, e il collare

– come sei bella ‘ le dico, mentre con l’estremità del guinzaglio la sfioro sul collo, sulle scapole, finch&egrave un piccolo brivido non le tende la pelle sulle sue spalle.
– grazie padrone ‘

– sei stata brava? –
– in che senso? ‘
– hai fatto quello che ti avevo ordinato? ‘
– sì, padrone ‘
– raccontami ‘

lei esita, imbarazzata, apre la bocca, poi la richiude.

– raccontami – ripeto
– e’ niente’ io ho’ – si ferma, di nuovo

decido di guidarla

– quando hai provato la prima volta? –
– la sera, la sera stessa, dopo che ci siamo visti’ –
– a che ora? ‘
– prima di cena ‘
– e lui dov’era? ‘
– in soggiorno, a guardare la televisione’ –
– e tu? Dove sei andata? ‘
– in’ in bagno ‘
– come ti sei messa? ‘

Mi guarda, e scopro che parlare di questi argomenti la imbarazza, arrossisce.

E’ nuda, ferma davanti a me, indossa un guinzaglio, mi chiama ‘padrone’, l’ho già scopata e frustata’ eppure arrossisce quando le chiedo di come si sia masturbata.
Questo mi piace.

La mia attrazione per lei cresce ancora, se possibile.

Il suo imbarazzo, il modo teso con cui deglutisce e si sforza di non abbassare lo sguardo mi eccitano, quasi più della sua nudità.

– mi’. seduta’ sul’ –
– seduta sul water? ‘
– sì’ –
– nuda? ‘
– no’ all’inizio no’ ho abbassato i pantaloni e ho tenuto la maglietta’ –
– poi? ‘
– poi’ –

di nuovo lo sguardo che sfugge, l’imbarazzo.

– poi? – insisto
– poi’ non riuscivo’ non’ –
– eri troppo scomoda? ‘
– sì’ –
– e quindi? ‘

– e’ allora mi sono sdraiata –
– sdraiata? ‘
– mmh ‘ annuisce
– a terra? ‘
– sul’ tappetino ‘

intuisco, non so come, che c’&egrave ancora qualcosa.
Sorrido.

– vestita? –
– n’ no’ nuda. Mi sono tolta tutto ‘

Ecco.

Io mi fermo un momento.

E mi immagino lei, che di sera, dopo una giornata di lavoro, torna a casa, si cambia, si mette qualcosa di comodo, poi arriva anche lui, e si baciano, si raccontano, magari preparano qualcosa da mangiare.
E mentre aspettano, lui si mette a guardare la televisione, e lei dice vado un ‘attimo in bagno’.
E in bagno lei si abbassa i pantaloni e le mutandine e si infila la mano tra le gambe’ ma non riesce a fare quello che vorrebbe, e allora si spoglia, controlla che la porta sia ben chiusa, e nuda si sdraia per terra, sul tappetino, socchiude gli occhi e comincia ad accarezzarsi.

Il contrasto di quest’immagine, tra la banale serata borghese che si sta lentamente dipanando oltre quella porta, e lei, nuda e sdraiata sul pavimento del bagno, che si masturba per me, facendo entrare il suo ruolo di schiava nella vita quotidiana, mi fa quasi perdere il controllo.

A fatica non lascio perdere tutto per prenderla, subito, qui.
Ma riesco a trattenermi.

– e così ci sei riuscita? –
– sì’ –
– con la luce accesa? ‘
– no’ dentro, nel bagno abbiamo’ ho la luce sullo specchio, avevo acceso quella e l’ho spenta’ –
– al buio, quindi ‘
– sì ‘
– e? ‘
– e ho’ mi sono’ –

La osservo, e cerco di mantenere un’espressione neutra, come se le stessi chiedendo notizie su una relazione che ha presentato in ufficio.

– e a cosa pensavi? –

lei non risponde.
– a cosa pensavi? ‘ ripeto, con tono più fermo
– a’ te. Noi. Lei, padrone’ –
– e cosa facevo? ‘
– mi’ mi scopava. Forte. E’ sculacciava. E schiaffeggiava. E poi’ –
– poi? ‘
– e poi’ ancora ‘

– e cos’altro hai fatto? –
– mi sono fatta male ‘
– quando? ‘
– prima di’ prima di venire. E poi mentre venivo ‘
– come hai fatto? –
– come avevamo fatto insieme’ sul seno ‘

– e ci sei riuscita? –

Mi sorride.
Il primo sorriso.

– sì –
– com’&egrave stato? ‘
– non &egrave stato difficile’ non come pensavo… &egrave bastato’ bastato pensare che fossi tu’ lei, cio&egrave, a farmi’ quello ‘
– e ti &egrave piaciuto ‘
– sì ‘

– quindi hai fatto così ‘ le dico, e le prendo il capezzolo destro tra l’indice e il medio
– mmmhm ‘ annuisce, socchiudendo gli occhi
– e hai stretto’ così? ‘
– ahi’ sì’ –
– e poi più forte’ così? ‘

lei stringe gli occhi. Annuisce ‘ sì’ aha –

– e poi l’hai girato’ Così? –

lei si muove, incurva il corpo seguendo la rotazione he ho imposto al suo seno

– ahh’ sì’ – geme
– e poi sei venuta ‘ dico, fermandomi
– sì’ –
– e ti &egrave piaciuto? ‘
– no’ cio&egrave’ sì’ un po” &egrave stato’ diverso ‘

– e nei giorni successivi? ‘ le chiedo lasciando il capezzolo
– l’ho rifatto’ –
– sempre in bagno? ‘
– sì ‘
– e invece con lui? ‘

Non risponde.
Mi guarda, preoccupata.

– allora? – insisto

– non’ – scuote la testa ‘ non ci sono riuscita –
– perché? ‘
– non sapevo come fare’ avevo paura che mi scoprisse ‘

non dico nulla, la guardo.

– mi scusi’ –

– andiamo di là ‘ dico, indicando la camera.

Mi avvio, e lei mi segue, mentre tengo in mano il guinzaglio.

Siamo in camera, in piedi, davanti al grande letto matrimoniale.

– fammi vedere ‘ le dico

Lei mi guarda, non capendo.

– fammi vedere ‘ ripeto ‘ voglio vedere come fai –
– adesso? ‘
– adesso ‘

sembra dire qualcosa, ma si blocca. Mi guarda, apre di nuovo la bocca per parlare, ma di nuovo si ferma.
Lentamente sale sul letto.
Con movimenti imbarazzati si sdraia, appoggiando la testa ai cuscini.
Tiene le gambe chiuse, le ginocchia strette.

– avanti ‘ ripeto ‘ fammi vedere come fai –

lei deglutisce, poi annuisce.
– c’&egrave troppa luce’ non potremmo’ –
– no ‘ rispondo subito io ‘ però puoi usare questa ‘
e da un cassetto prendo una larga fascia di tessuto nero, spesso.
Alzandole dolcemente la testa gliela fisso dietro la nuca, poi la allargo sulla fronte, sugli occhi e fino alla punta del naso.

– adesso pensa solo che &egrave buio. Concentrati, cerca di sentire il buio sulla pelle. E comincia –
lei sospira, ma non si muove.

– obbedisci –

dopo un attimo, annuisce ‘ sì padrone –

Io resto fermo, in piedi.
Non faccio rumore, respiro lentamente.

Lei si calma, rilassa le spalle, si sfiora la pancia con le dita della mano destra, stringe a pugno la mano sinistra.
Apre appena un po’ le gambe.

La mano destra si appoggia lenta sul monte di venere, con un piccolo movimento, come una carezza.
Sospira.
Si abbassa sul letto, scostando i cuscini da dietro la testa.
Socchiude le gambe.

Lentamente, senza far rumore, mi sposto ai piedi del letto.

Le sue dita separano leggermente le labbra e inizia ad accarezzarsi ,prima in su e in giù, poi con movimenti circolari, spingendo ogni tanto la mano più in basso e infilando appena dentro due dita, per ritirarle fuori subito e riprendere il movimento.

Sospira, e geme sottovoce.

Nuda, con addosso solo le scarpe, bendata, mentre si tocca sul mio letto.

La guardo, e mentre lei non mi vede mi infilo una mano nei pantaloni e mi afferro il cazzo, duro.
Stringo, e trattengo un sospiro.
A malincuore ritiro la mano.

Adesso il suo ritmo &egrave più veloce, i sospiri e gemiti più forti, e i movimenti meno dolci, c’&egrave quasi una rabbia, una violenza nel modo in cui il medio e l’anulare si alternano nel passare sopra, attorno e di fianco a quel piccolo punto che da qui non riesco a vedere.

Geme, di gola, un suono tutto di vocali.

E finalmente la mano sinistra, lentamente, si appoggia sul capezzolo destro e lo afferra con due dita.

Comincia a stringerlo.

Questo quasi rompe l’incantesimo, la mano destra si ferma e i sospiri sono meno intensi.
Ma poi si concentra, quasi si sforza, e di nuovo, con rabbia e dolcezza insieme, riprende ad accarezzarsi.

Vedo che stringe sempre più forte il capezzolo.

Più forte stringe, più rabbia mette nell’accarezzarsi, quasi che stia lottando contro se stessa, e forse &egrave proprio così.

Torno accanto a lei.

Quando sento che di uovo geme, forte, di piacere, lentamente appoggio una mano sul suo seno destro.

Si blocca per un momento, come se si fosse dimenticata dov’&egrave e chi &egrave con lei.

Poi riprende.

Io le accarezzo il seno, dolcemente, perché si abitui a questa mia presenza, alla mia intrusione.

Poi, quando percepisco che, di nuovo, &egrave tranquilla e si sta concentrando sul piacere e sul dolore che si sta dando, prendo con dolcezza il suo capezzolo tra l’indice e il pollice.

Non faccio nulla.

Lei rallenta i suoi movimenti, come aspettasse qualcosa.
Io tengo ferma la mano.

Finch&egrave lei non capisce, e sposta la mano dal suo seno alla mia mano, e me la stringe, dandomi un segnale, autorizzandomi a ‘farlo’.

E io lo faccio.

Le stringo sempre più il capezzolo tra le dita, sempre più forte, e lo tiro, verso di me, e lei quasi grida di spavento e dolore, ma non smette di accarezzarsi, sempre più forte.

Continuiamo così per un minuto, finch&egrave lei non mormora ‘adesso’ adesso’.

E in quel momento io stringo ancora più forte, e tiro, e torco il capezzolo.

E lei grida, e alza la schiena dal letto, e urla, e la sua mano destra quasi si aggrappa alla figa e trema, e urla di nuovo, e mentre si abbatte sul letto continua ad accarezzarsi e a gemere.

Io le lascio il seno, con forza la prendo e la giro, mettendola a pancia in giù.

E mentre lei &egrave ancora scossa dagli ultimi spasmi dell’orgasmo comincio a sculacciarla, forte, una, due, tre, cinque volte, mentre lei grida dal dolore e dalla sorpresa.

Poi mi allontano.

Resta ferma, a pancia in giù.
La mano passa un’ultima volta per una carezza veloce sulla figa, da sotto.
Piega le gambe sotto di se’.
Si rigira, toglie la benda, mi guarda.

Si massaggia il seno.

– ti fa male? –
– un po” –
– ti &egrave piaciuto? Come a casa? ‘

lei sorride ‘ sapere che mi guardavi, e poi quando mi hai messo la mano, e le dita’ &egrave stato mille volte meglio che a casa’ almeno fino alle sculacciate’ –

– perché sei mia. Non era il tuo orgasmo, non ti stavi masturbando per te, non stavi facendo nulla per te. Era tutto, solo, mio, per me. Ti ho sculacciata per farti ricordare questo –

Lei annuisce.

– e non abbiamo ancora finito’ – aggiungo

apro un cassetto, e prendo il frustino, quello che ho usato l’altra volta.

Lei spalanca gli occhi, impaurita.

– la punizione ‘ spiego ‘ per non aver obbedito ai miei ordini –
– ma quali’ io ho’ –
– a casa. Hai scopato con il tuo fidanzato, e non hai fatto quello che ti avevo detto ‘
– sì ma’ –
– niente ma. Hai disobbedito, e meriti di essere punita ‘
– ma quello’ – dice lei, guardando il frustino

– aspetta ‘ le spiego ‘ sarà diverso –
la guardo, e proseguo
– un solo colpo. Forte. Ma solo uno. Puoi farcela? –

Lei osserva il frustino, poi me.
Sospira, annuisce.

– bene. Prima di tutto, dovrai chiedere di essere punita, dicendo ‘padrone, questa schiava ha disobbedito e deve essere punita’. Poi prenderai la posizione e mi chiederai di punirti. Puoi anche scegliere dove lo vuoi. Sul culo? Sulla schiena? O sulle cosce? Sulla pancia? Sui seni? Sulla figa? –

lei non risponde.

– allora? –
– dove’ dove vuoi’ vuole lei’ –
– dove voglio io &egrave dove fa più male’ ti conviene essere tu a scegliere ‘

lei mi guarda, di nuovo, e sussurra ‘ e dov’&egrave che fa più male, padrone? ‘

adesso sono io a guardarla, non capendo dove voglia arrivare ‘ sulla figa’ -rispondo, piano

Lei si sdraia di nuovo, sul letto, senza parlare.
Porta il bacino vicino al limite del materasso.
Mette le mani all’interno delle ginocchia, e lentamente allarga le cosce.
Piega leggermente la schiena, e la sua figa si sposta verso l’alto.

Poi appoggia la testa al letto, fissa un punto sul soffitto e dice ‘ padrone, la sua schiava ha disobbedito e merita di essere punita’ padrone, vuoi punire questa schiava? –

Io mi avvicino, mi metto tra le sue gambe.
Il frustino in mano.

– urlerai ‘ le dico, calmo

Lei alza appena la testa, mi guarda, sorride ‘ no che non urlerò ‘
– non sfidarmi’ –
– non urlerò ‘ ripete, e appoggia di nuovo la testa sul letto
– urlerai ‘
– non lo farò –

Ha urlato.
Forte.
Poi ci siamo abbracciati.
Ha pianto.
Ci siamo baciati.
Mi ha chiesto quando la scoperò.
Mi ha detto che mi desidera, in qualunque modo io voglia.
Le ho risposto ‘presto.’
‘Lui parte a mezzogiorno. Torna domani notte’.

Il suo messaggio mi arriva a metà mattina.

Non rispondo subito; controllo l’agenda, faccio spostare due appuntamenti e una riunione, chiedo a un collaboratore se può occuparsi di un paio di questioni e infine inserisco nel sistema la mia partecipazione ad un seminario di aggiornamento, oggi pomeriggio e tutto domani.

Poi le rispondo.

‘Mi sono liberato fino a domani sera. Dormi da me’.

Quando arriva ed entra in casa, io sono in soggiorno.

Sento la porta aprirsi e poi chiudersi, la serratura girare. Nessuno potrà entrare a disturbarci.

Resto seduto, l’Acustic Trio di Richard Galliano riempie la sala con le vibrazioni della fisarmonica del maestro francese.

Intuisco, più che vedere o sentire, dei movimenti nell’altra stanza, finch&egrave lei attraversa l’ingresso e arriva in soggiorno.

– lo so ‘ sorride ‘ &egrave un po’ banale e scontato, ma non mi avevi dato nessuna istruzione’ – e piega la testa verso destra, con quel piccolo gesto civettuolo che ho ormai imparato a conoscere.

La guardo.
Effettivamente &egrave un po’ banale e scontato, ma mi trattengo a stento dal rimanere a bocca aperta, o dal saltarle direttamente addosso.

Indossa delle scarpe rosso fuoco, lucide, con un tacco sottile, che sembra infinto, e nero.

Delle calze nere, sottilissime, quasi un’ombra sulle gambe, bloccate da una guepierre nera, semplice e sottile, in vita.

Le mutandine, trasparenti, semplici, senza pizzi, sono rosse, dello stessa tonalità delle scarpe, e lasciano intravvedere l’ombra scura dei pochi peli sul monte di Venere.

Il reggiseno &egrave ugualmente rosso e trasparente, e il rosso del tessuto rende quasi marroni i capezzoli.

&egrave truccata, in modo probabilmente volutamente eccessivo, il mascara abbondante, il tono pallido delle guance contrastano con il rosso scuro, lucido, del rossetto.

Il nero e l’acciaio lucido del collare, del guinzaglio, delle polsiere e cavigliere risaltano ancora di più.

Dopo avermi dato tempo di guardarla, cambia espressione: dal suo sguardo scompare ogni malizia, alza il mento, ferma gli occhi verso un punto lontano, e cammina fino a mettersi davanti a me, che resto fermo, seduto e (spero) impassibile.

Sempre senza guardarmi, lentamente si inginocchia davanti a me.

Con le due mani prende il guinzaglio e lentamente, con un gesto quasi religioso, me ne porge l’estremità.

Io resto fermo.

– padrone ‘ dice allora, con tono distaccato ‘ la sua schiava &egrave qui –

Annuisco, e solo adesso prendo il guinzaglio.
Me lo avvolgo attorno alla mano una due tre volte, fino a che tra la mia mano e il collare restano all’incirca trenta centimetri, poi lentamente ma con forza tiro verso il basso.

– giù’ giù’ – sussurro ‘ a cuccia –
e lei si mette a quattro zampe

– qui’ – dico, tirando il guinzaglio verso il divano, e avvolgo un altro giro attorno alla mia mano, arrivando quasi a tenerla per il collare ‘ qui’ –

e le faccio appoggiare la testa e il collo sul divano, tra le mie gambe appena allargate, con il duro del mio cazzo che si appoggia, attraverso i pantaloni, alla sua testa.
Desidero che sappia quanto mi piace, e l’effetto che ha su di me.

Desidero che sappia che qualsiasi cosa farò, faremo, mi piace da impazzire, e la voglio.

– brava’ sei brava’ – le dico, accarezzandole la testa ‘ sei una brava bestiolina’ sei il mio animaletto da compagnia’ –

man mano che le accarezzo la testa, sento che spinge leggermente ma costantemente contro il mio inguine, contro il mio cazzo

– vuoi che ti scopi? –
– sì, padrone –

Annuisco.

Mi alzo, senza dire nulla, e allungo di nuovo il guinzaglio, liberando la mano.
– vieni ‘ dico, e mi incammino, senza girarmi, senza guardarla.

Lei mi segue, sempre a quattro zampe.

Quando invece che andare verso la camera da letto mi dirigo in cucina, sento che rallenta un attimo, perplessa; tiro leggermente il guinzaglio, senza girarmi, e lei riprende a seguirmi, docile.

In cucina giro il guinzaglio attorno a una gamba del tavolo, come farebbe il padrone di un cane, poi indico il pavimento e le dico ‘ a cuccia, fai la brava –

Lei mi guarda un secondo, poi lentamente appoggia il sedere sui talloni tenendo le mani a terra, come un cane ubbidiente.

Io la ignoro, sposto le sedie dal tavolo della cucina, poi esco, vado in camera, torno.

Libero il guinzaglio

– su – dico
e lei si alza in piedi
– qui –
e lei si accosta al tavolo
– piegati ‘
e lei si piega, poggiando prima le mani, poi le spalle, i seni e la pancia sul tavolo.

– allunga le braccia davanti a te ‘
e lei le allunga, sul tavolo
‘ afferra il bordo ‘
e lei allunga le mani ancora di più e afferra con le dita l’estremità opposta del tavolo.

Il tavolo &egrave largo, e in questa posizione &egrave obbligata e tenere le spalle e la testa poggiate sul piano di legno, e il bacino premuto contro il bordo.

A questo punto, mi metto dietro di lei.
Dalla mia posizione vedo la sua nuca, il collo con i piccoli muscoli, tesi, che arrivano alle spalle.
La schiena, leggermente arcuata.
Noto le piccole ossa che sporgono appena, i fianchi stretti, i nei, una piccola cicatrice chiara su un fianco.

Il culo tondo, morbido, incorniciato dai ganci della guepierre, e il minuscolo triangolo rosso scuro del perizoma che scompare tra le natiche, quasi una riproduzione in carne e ossa di un quadro di Malevic.

Le calze appena velate proseguono scure nel tacco nero opaco delle scarpe, che evidenzia ancor di più il loro rosso lucido.

Lei muove appena la testa
– non guardarmi –
lei rimette la testa poggiata sul tavolo, verso sinistra
– chiudi gli occhi –
obbedisce.

Alzo silenzioso la mano destra, nella quale tengo la vecchia cintura di cuoio, marrone scuro, morbida e spessa.

Senza avvisare calo la mano, colpendola sul culo, sulla natica destra, con la cintura.
Non troppo forte, ma nemmeno troppo piano.

Grida.
Stupita, dal dolore inatteso più che dal dolore in se stesso.
Si porta per un attimo la mano sul culo, ma subito la ritrae, e riprende la posizione di prima.

– vuoi scopare? –
– sì padrone ‘ risponde piano, senza alzare la testa, senza aprire gli occhi
– ma tu lo sai, come scopa una schiava con il suo padrone? ‘
– sì’ cio&egrave’ no’ padrone ‘

– vedi ‘ comincio a dire, e mentre parlo comincio a camminare lento per la stanza ‘ una schiava non scopa con il suo padrone come scopa, o scoperebbe, con chiunque altro’ –

e mentre cammino e parlo, senza fermarmi o interrompermi, la colpisco nuovamente con la cintura.

Più piano di prima, perché non voglio farle troppo male e voglio che questa cosa possa durare, ma lo stesso la cintura fa un bello schiocco secco quando colpisce, questa volta l’esterno della sua coscia destra.

– ‘ringrazia’ – dico
– grazie padrone –

– dicevo, una schiava non scopa con il padrone come scopa con gli altri, o le altre. Una donna, infatti, quando scopa con qualcuno, un marito, un fidanzato o anche –

stlack! Un colpo sulla schiena ‘ ah’ grazie padrone –

– …o anche un amante occasionale, pensa a due cose, sostanzialmente –

stlack! Di nuovo sul culo ‘ ah!! Graziepadrone! ‘ tutto d’un fiato, con gli occhi chiusi, stretti

– …pensa a star bene, a divertirsi, a godere, a godersi il sesso –

stlack! Sulle cosce, appena sotto l’inguine ‘ ah!! Grazie’ padrone’ ‘

– …e a far star bene, a far godere il suo compagno –

stlack! Sulla schiena, in alto, appena sotto le scapole ‘ ah!! Grazie’ padrone’ ‘

– sei d’accordo? ‘ stlack! Sul culo, più forte questa volta
– ah! Grazie’ sì’ sono d’accordo padrone’ –

Mi fermo, esattamente dietro di lei.
Lei, appena sente che smetto di camminare, si irrigidisce, probabilmente aspettandosi altri colpi.
Lentamente mi accosto al suo culo, prima sfiorandolo e poi appoggiandomici.
Le faccio sentire che ho il cazzo duro, nei pantaloni.

Lei dapprima resta immobile poi, lentamente, spinge piano il culo in fuori, aumentando la pressione sul mio cazzo.

Io mi stacco, lei quasi si spaventa, e si ritrae.
Mi metto accanto a lei.

– ma una schiava, quando scopa con il suo padrone ‘ riprendo, mentre con la mano destra le accarezzo leggero le natiche, dove si vedono, rossi, i segni dei colpi ‘ una schiava deve fare, e pensare, solo a una cosa –

smetto di parlare, e infilo l’indice sotto l’elastico del perizoma, e scendo seguendo il piccolo filo rosso, alzandolo dal solco tra le natiche, andando sempre più giù.
Lei contrae i muscoli della schiena.
Mi fermo e torno su, e poi giù, seguendo con l’indice il minuscolo filo rosso.

– cosa deve pensare? ‘ le chiedo

Lei riflette un momento, poi risponde ‘ non’ non lo so –

Io tiro più forte il filo del perizoma, e lo sposto verso sinistra, verso il fianco, liberando l’accesso al culo e alla figa.

– deve pensare’ – riprendo, mentre infilo la mano tra le sue natiche, e accarezzo con il medio il suo buco del culo, rigido e contratto ‘ deve pensare solo ad ubbidire –

– non deve pensare a godere, o a far godere il padrone ‘ spiego, mentre con le dita arrivo alla figa ‘ non &egrave compito suo, prendere nessuna iniziativa, né fare, o pensare’ –

il medio scivola dentro quasi da solo, e lei inarca appena la schiena

– quando scopa con il padrone ‘ continuo, mentre la accarezzo piano, lungo tutta la figa, con tre dita ‘ una schiava &egrave un oggetto, uno strumento che il padrone usa per il proprio piacere –

lei adesso sospira

– e non importa se al padrone faccia piacere scoparla, farsi succhiare il cazzo o ‘ proseguo, allontanando improvvisamente la mano ‘ goda di più a sentirla gemere di dolore –

e in questo momento alzo di nuovo l’altra mano, quella con la cintura, e la colpisco, forte questa volta, una, due, tre volte.

Lei grida.
Trattiene un piccolo singhiozzo.
Poi sussurra ‘ grazie –

– adesso ti scoperò ‘ le dico ‘ e poi, quando avrò finito, ti piscerò in bocca. E non perché mi piaccia farlo, ma solo perché posso –

Attendo, in silenzio.

Senza muovere la testa, senza aprire gli occhi, quasi senza muovere le labbra, risponde ‘ come vuole lei, padrone -.
Proprio in quel momento suona il citofono.

‘&egrave in anticipo’, penso.

– in piedi – le dico.
Lei obbedisce, ma mi lancia uno sguardo strano.

– resta lì, appoggiata al muro ‘ dico, e vado al citofono.
Guardo lo schermo e apro.

Lei mi guarda.
Silenziosa, ma con un’espressione preoccupata.

Faccio girare la serratura, e socchiudo la porta.
Lei spalanca gli occhi.

– cosa’? –
– zitta, e ferma ‘ rispondo
– ma cosa stai’? ‘
– ho detto zitta e ferma ‘ ripeto, con voce dura

lei fa per dire ancora qualcosa, poi stringe le labbra e tace.
Passano pochi secondi, nei quali stiamo fermi e in silenzio.
Io rivolto verso la porta, socchiusa, lei in piedi, appoggiata alla parete.

Sento i suoi occhi sulla schiena.

Il rumore delle porte dell’ascensore che si aprono e si chiudono.
Dei passi.

Apro e chiudo velocemente la porta.

– sei puntuale ‘ dico, sorridendo e sporgendomi in avanti per scambiare un veloce bacio di saluto
– come sempre ‘ risponde ‘ &egrave lei’? ‘ mi chiede, indicando la donna ferma, seminuda, appoggiata al muro.

– sì, lei ‘ rispondo ‘ anzi, lasciami fare la presentazioni’ –

c’&egrave un attimo di silenzio. Sento gli sguardi su di me.

– questa ‘ dico, indicando la persona appena entrata ‘ &egrave Con-Chi, ma si fa chiamare Sara –

le prendo la mano, la faccio avanzare nella cucina, la blocco.

– &egrave cinese’ di dove? –
– vicino Pechino ‘ risponde con appena un po’ di accento
– dice di avere venticinque anni’ ma io credo che ne abbia circa trenta ‘

Con-Chi sorride ‘ noooo’ venticinque! –
– ‘ed &egrave una puttana ‘ aggiungo ‘ vero, Con-Chi? Ci conosciamo da un po” –

questa volta lei non risponde, annuisce e basta.

– e invece, questa ‘ dico, rivolto a Con-Chi indicando lei ‘ &egrave’ Cosa. Non &egrave il suo vero nome naturalmente, ma ho deciso di chiamarla così –

Lei mi guarda.

Tace, avrebbe forse mille cose da dire, ma probabilmente non sa da dove cominciare, né che cosa abbia in mente io.

Allora mi avvicino, e la abbraccio, lentamente.
Le appoggio la mano destra sul collo, e le faccio appoggiare la testa sulla mia spalla.

Dopo un attimo, anche lei si muove e mi abbraccia, piano.
Sento il calore del suo corpo, nudo, i suoi seni sul mio petto.

– ti fidi di me? – le sussurro in un orecchio
Lei non risponde
– ti fidi di me? – ripeto
questa volta lei sussurra un ‘sì’ ma”
– vuoi scopare con me? ‘ la interrompo
Lei annuisce, piano
– lo vuoi davvero? –
di nuovo, non risponde, ma annuisce
– e io ti scoperò’ –
– ma non adesso – aggiungo

– se davvero vuoi scopare con me, adesso, la tua punizione, la tua tortura sarà vedere me che lo faccio con un’altra donna’ assistere, guardarci, immaginare di essere al suo posto’ ma non ti scoperò. Non adesso –

lei tace

– sei pronta? –
di nuovo silenzio, di nuovo un movimento della testa, un piccolo ‘sì’ sussurrato.
– allora andiamo –

prendo il guinzaglio, e lentamente mi avvio verso la camera.
– vieni, Sara ‘ dico, senza girarmi, alla ragazza orientale.

– togli mutande e reggiseno ‘ ordino ‘ e resta lì, in piedi ‘ aggiungo, indicando il posto accanto al letto.

– tu, invece’ vieni, vieni ‘ dico sorridendo, gentile, invitando Sara ‘ spogliati ‘ e lei inizia a spogliarsi

&egrave piccola, sarà un metro e cinquantacinque, ma indossa delle scarpe col tacco che le regalano qualche centimetro, capelli neri, tagliati a caschetto.

Non &egrave bellissima, ma ha quell’espressione di rassegnazione che spesso hanno le donne orientali, cinesi in particolare, che mi &egrave sempre piaciuta.

Si spoglia, completamente tranne le scarpe (sa che mi piace così), ha un corpo meno minuto di quanto ci si aspetti, due piccoli seni con capezzoli minuscoli e scuri, fianchi tondi, un culo pieno, &egrave del tutto rasata.

Sale sul letto, si mette a quattro zampe, rivolta verso di me, e sorride.

– spogliami ‘ ordino a Cosa
lei si muove, prima lenta, poi fa due passi, mi raggiunge.

Mi slaccia la camicia, che mi sfila, e fa per appoggiare sulla sedia nell’angolo.
– piegala – ordino
lei la piega con cura.
Poi torna da me, mi slaccia la cintura e la sfila, la arrotola e la poggia sulla sedia, poi si inginocchia e mi toglie le scarpe.
Mi slaccia i pantaloni, me li toglie.

Io intanto guardo Sara e le sorrido di nuovo – sei sempre splendida ‘ le dico.
– sono tutta per te ‘ mi risponde la piccola prostituta cinese, girandosi e mostrandomi il culo.

– fa’ in fretta ‘ ordino a Cosa che, in silenzio, piega i pantaloni e mi sfila le calze.

Poi mi toglie le mutande.
– spostati ‘ le dico, senza guardarla, spingendola da parte

Salgo sul letto, mi sdraio.
Sara &egrave accanto a me.

Le prendo la testa e la porto sul mio cazzo, che lei inizia subito a leccare, mettendoselo poi in bocca.

Io non riesco a trattenere un gemito.
Sara &egrave una puttana, e sa molto bene come fare un pompino.
Mi godo qualche secondo della bocca di Sara in silenzio, con gli occhi chiusi, poi alzo la testa sul cuscino.

– vieni qui – ordino
lei gira attorno al letto.
Ha un’espressione quasi imbarazzata, non sa dove guardare.

– qui – ripeto
quando &egrave accanto a noi, mentre Sara continua a succhiare il mio cazzo, ordino ‘ in ginocchio, qui ‘ indicando il punto accanto al mio inguine

lei si inginocchia

– avvicinati ‘ ordino, e con la mano destra le afferro il collare e lo tiro verso il letto.
Dopo un attimo di resistenza, asseconda il movimento.

Tiro il collare fino a che il suo mento non &egrave appoggiato al letto, proprio accanto al mio fianco, e i suoi occhi sono all’altezza del mio cazzo, che entra ed esce dalla bocca della puttana cinese.

– guarda ‘ le dico, e prendo i capelli di Sara, guidandola.

Le faccio alzare la testa fino a farle uscire del tutto il cazzo dalla bocca, mi sorride e con la punta della lingua mi solletica la cappella.

– guarda com’&egrave brava ‘ e dicendo così spingo di nuovo in basso la testa di Sara, che si infila buona parte del cazzo in bocca , fino all’ingresso della gola.

– guarda come mi fa godere’ – sussurro

La guardo.
Lei non mi guarda.
Osserva rapita, quasi incantata, la bocca della cinese che lavora sul mio cazzo, con i piccoli fili di bava che colano dalle labbra, la mano dalle unghie dipinte di nero che mi massaggia piano le palle, la lingua che accompagna il cazzo ogni volta che esce dalla bocca.

– sei invidiosa? ‘ le chiedo

lei non si gira, non mi guarda, attende ancora qualche secondo, nel silenzio riempito solo dal rumore liquido della puttana cinese che mi succhia il cazzo, poi risponde

‘ sì –

– apri il primo cassetto e prendi un preservativo ‘

lei si riscuote, si alza, apre il cassetto, rovista e prende un preservativo.

Con la mano sposto Sara dal mio cazzo.

– mettimelo –

Lei apre la busta, e mi sembra che le tremino appena le mani.
Io mi prendo il cazzo alla base, tenendolo fermo.
Lei si avvicina, mi appoggia il preservativo sul glande e poi lo srotola.

– di nuovo lì, in ginocchio ‘ le dico, e ‘ vieni qua, tu ‘ aggiungo, rivolto a Sara.

– sopra ‘ dico a Sara, che si mette sopra di me, si infila morbidamente il cazzo nella figa e comincia a muoversi, prima lentamente, con un movimento in avanti e indietro, e poi anche in su e in giù.

– cazzo, sei sempre speciale’ – le sussurro, sorridendo, mentre le accarezzo i seni

Andiamo avanti per un minuto o due, poi mi giro verso di lei, che &egrave sempre in ginocchio, con la faccia all’altezza dei fianchi miei e della puttana

– apri di nuovo il cassetto’ c’&egrave il lubrificante’ prendilo –

lei si alza, lenta, e prende il tubetto bianco.
Resta ferma, in piedi, accanto al letto.

Io fermo Sara, mettendole le mani sulle spalle.

Poi, lentamente, la tiro verso di me, finch&egrave non &egrave appoggiata al mio petto, il cazzo ancora dentro, la testa sulla mia spalla.

Io mi giro e le dico ‘ adesso voglio proprio inculare questa puttana cinese’ preparala –

Lei mi guarda, senza capire.

Io le sorrido.

– prendi un bel po’ di crema lubrificante, mettitela sulle dita, poi spalmala ben bene attorno all’ano’ massaggialo piano piano’ poi infilale dentro prima un dito, poi due’ spalma il lubrificante anche dentro’ –

Lei mi guarda, gli occhi spalancati, il tubetto in mano.

– muoviti’ – le dico ‘ ho voglia del suo culo –
e la osservo.

Esita, ancora un attimo.

Poi fa un passo.

Apre il tubetto, spinge fuori la crema incolore, se ne mette un po’ sulle dita, e abbassa la mano dietro il culo di Sara.

Io allora prendo il volto della cinese e lo metto davanti a me.

Da brava puttana, Sara capisce subito quello che voglio, e comincia a gemere, lenta.

– &egrave brava? ‘ le chiedo
– oh sì’ lei &egrave brava’ quasi come puttana’ – mi risponde

– adesso spingile le dita nel culo –

Sara si contrae, solo un attimo, poi si rilassa ‘ brava’ sì, lei brava’ –

– basta ‘ ordino, e subito si stacca e si allontana, pulendosi la mano sul fianco

– adesso tocca a te, puttanella mia – sussurro ‘ fammi godere –

e la cinese si rialza, allunga una mano sotto si se’ e sfila il cazzo dalla figa, si alza sulle ginocchia e se lo appoggia al culo.

Si muove appena, con un movimento circolare, e poi spinge il cazzo dentro al culo.

&egrave una professionista, e sa bene come rilassare i muscoli del culo, e in pochi secondi sono dentro di lei, fino in fondo.

– muoviti ‘dico, e Sara chiude gli occhi, come per concentrarsi, e comincia a muoversi sul mio cazzo.

– guarda ‘ ordino invece a lei, indicandole il culo di Sara.

Lei si sposta, mettendosi quasi ai piedi del letto, e la vedo che osserva, quasi stupita, il mio cazzo che entra ed esce dal culo della puttana.
Sono sicuro che &egrave la prima volta che vede qualcosa di simile dal vivo.

Sara &egrave brava, e ci si mette d’impegno.
Ci vuole poco perché io senta di stare per venire.
Quando sento che ormai manca poco, sposto Sara dal mio cazzo.
Mi sfilo il preservativo.

– vieni qui – ordino

Lei obbedisce.
Le afferro i capelli, le spingo la testa contro il mio cazzo, lei apre la bocca e appena sento le sue labbra sulla cappella, vengo.
Vengo e le spingo la testa e la bocca giù, giù, sul mio cazzo.

Tra uno spasmo e l’altro riesco a mormorare ‘ non ingoiare’ tieni tutto in bocca’ –

Appena ho finito, la sposto ‘ in ginocchio ‘ le dico, spingendola accanto al letto.

Resto qualche secondo così, a godermi le endorfine dell’orgasmo, e nel silenzio, a occhi chiusi, percepisco la presenza delle due donne in camera con me, il loro odore, le loro vibrazioni, così diverse, lontane, eppure così simili.

Poi apro gli occhi.

– grazie, sei sempre speciale ‘ dico a Sara, baciandola sulla guancia
– vieni a vestirti di là, ti accompagno –

e mi alzo, seguito dalla puttana cinese, che raccoglie le sue cose ed esce dalla stanza, senza nemmeno salutare lei, che resta accanto al letto, in ginocchio, con il mio sperma in bocca.

In soggiorno Sara si riveste velocemente (le puttane sono bravissime in questo), la pago, mi saluta e se ne va.

Torno in camera.
Vado accanto a lei.
– apri la bocca. Fammi vedere ‘ le dico.

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