Skip to main content
Racconti Erotici Etero

domanda n°25

By 17 Gennaio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Il finestrino del pullman 137/A durante la tratta corbeta-drove castello è grigio. Sarà il sudicio, il tempo che fa schifo, il mio umore, i gas di scarico che si accoppiano furiosamente con l’umidità di questa nebbia che non vuole evaporare. Almeno la foschia ha pietà, si mangia gli oggetti di questa città, piccola ma non piccola quanto insulsa, impregnata di un medievale splendore e da cinquecento anni lasciata ad invecchiare in attesa che qualcuno la stappi per sentire l’odore di aceto. Riversato in stato comatoso sulla moquette dei sedili osservo il mondo fermo al semaforo, annoiato ma incapace di reagire: manca lo spirito di rivalsa sul destino che ci mette tutti quanti in riga davanti ad una luce rossa.

L’erezione che mi porto dietro da stamani non accenna mutazioni. Nascosta alla meno peggio nei jeans preme sulla fibbia della cintura; non fa tanto male, ma il fastidio che crea si sta riversando lungo i centri nervosi di tutto il corpo. Perché sono in queste condizioni? Non sono diverso dagli automobilisti che contemplano il semaforo, anche se a me non interessa il verde: sono in attesa. No, non sono incinto, la questione non si pone nemmeno, e non perché i miei genitori hanno avuto un maschietto senza utero. Sono in attesa che il principio primo per cui esiste la vita sull’universo si metta in moto per farmi scopare. Adeguatamente protetto, s’intende. Non intendo aggiungere un’altra creatura in pena a questo pianeta sovraffollato, vorrei solo poter vivere pienamente la condizione di post_adolescenziale necessità che mi attanaglia il basso ventre. I testicoli in piena produzione rilasciano ormoni che mi annebbiano il cervello, spingendomi a ripensare ai pochi ricordi piacevoli che ho dei momenti appena trascorsi. E mi sovviene pure il pensiero di quando, tre mesi fa, cercavo di mettere in piedi una storia che potesse funzionare. Da allora non è cambiato nulla; anzi sì, adesso siamo a un anno e mezzo senza sesso. Quella che diciotto mesi fa sembrava una scelta obbligata, che si è poi tramutata in arcana maledizione, ora non è altro che fastidiosa consapevolezza. E a quanto pare non serve trovarsi la ragazza. Il primo indizio che qualcosa non andava avrebbe dovuto darmelo la prima notte che abbiamo dormito insieme: una fermezza da suora infibulata. Poi i baci a stampo stile gioco della bottiglia a undici anni, il respingermi, simulare le mestruazioni, cadere dalle nuvole con domande del tipo ‘ma che vuoi?’ pronunciate con totale candore, e infine i no. Pura negazione. Mai sentito qualcuno essere più deciso pronunciando questa parola. A nulla è servita l’insistenza, diversificare gli approcci, diluire con la vodka, i tentativi nel sonno, e neanche la pazienza. Alla richiesta, lecita, ‘perché no?’ si è sempre limitata a ripetere la domanda segando via il punto interrogativo in fondo. Perché NO. Poi ogni volta si addolcisce e inizia a dirmi che non si sente pronta, la devo capire, esce da una storia così lunga e un po’ traumatica, devo darle tempo e poi sarà bellissimo. E intanto sono gonfio.

Il semaforo si è fatto verde e il traffico torna a scorrere mentre riesco a percepire il principio di autodistruzione che si sta compiendo in me. Non ce la faccio più, sono scappato da casa sua in preda al delirio ormonale, avevo ancora il cazzo fuori dai pantaloni quando ho sbattuto la porta, penosa compensazione per non essere riuscito a sbattermi lei. Nella nostra relazione il tempo che ho passato con un’erezione inutile sarebbe sufficiente per fare il cammino di Santiago sui ginocchi; altro che purificazione spirituale, sto raggiungendo il nirvana degli sfigati. Sono seduto negli ultimi sedili, il pullman è mezzo vuoto e a giudicare dai capelli che spuntano qua e là direi che i miei compagni di viaggio sono tutti oversessanta in equilibrio tra il sonno, la morte e i cazzi loro. Il mio di cazzo invece preme per uscire, vuole essere liberato dall’infame morsa del cotone lavorato. Slaccio la cintura, sgancio il bottone e come un apprendista di nuoto in apnea il mio sesso esce fuori di colpo, sembra che cercasse solo uno spiraglio attraverso il quale respirare. Ci guardiamo, e lo compatisco, così come compatisco me stesso per la situazione in cui mi trovo da troppo tempo. Cercherò ancora una volta di dargli una mano, che appoggio sopra con indifferenza, guardandomi attorno. Le teste non si sono mosse, per quello che vedo potrebbero essere venti parrucche appiccicate ai sedili. La punta rossa, congestionata, fa capolino dalla pelle tirata in basso, e sento che se non voglio esplodere devo darmi da fare adesso che il pullman viaggia a velocità moderata, ignorando ignorato le macchine e i motorini che lo sorpassano. Mi sfrego il cazzo tranquillo, pensando.

Poco più di un’ora fa, a casa sua, sul divano; in lei non c’è niente di diverso, forse solo un barlume di latente arrendevolezza nello sguardo, forse sono solo più determinato del solito. Sembra che i miei tentativi di renderla partecipe al mio perenne stato di eccitazione la stiano smuovendo dal solito stoicismo: ha i capezzoli turgidi, lo sento addirittura attraverso il reggiseno imbottito e il pesante golf di lana grezza che ha fregato ad un suo amico [un vecchio amante? Non è dato saperlo]. Le mani circuiscono i seni per poi passarci sopra distratte, come la tappa intermedia tra i fianchi e le spalle, e un bacio più lungo del solito sembra voglia invitarmi ad andare oltre. Mentre i queens of the stone age cantano I never came e la mia lingua le accarezza il collo entrambe le mani passano oltre il territorio di confine della maglietta, una sulla pancia, leggermente in fuori [fantastica secondo me, orrenda secondo lei], l’altra lungo la spina dorsale fino all’attaccatura del reggiseno, che cede senza troppe preghiere. Lei mugugna qualcosa, non capisco se per approvazione o lamentela, per sicurezza la ignoro e lascio parlare Josh Homme: Cause I don’t care / If you or me is wrong or right / Ain’t gonna spend another night. La mano che fino ad un attimo prima si trovava più vicina al mio reale obbiettivo si sposta decisa verso il reggiseno che si fa sollevare senza pretese; per certe cose occorre tempo, e un certo tatto. Le stringo i capezzoli, forse anche più forte del dovuto, un altro mugugno altrettanto ignorato mentre le azzanno con delicatezza una spalla scoperta. La mano che stava sulla schiena si sposta verso il fianco, passa sulla scanalatura delle costole e si ferma solo un attimo a tastare la maniglia dell’amore appena accennata. Non vorrei che questo contatto rimettesse in moto paranoie dimagranti non necessarie quanto onnipresenti. Mi sposto sui glutei, e anche se rimango sopra i pantaloni riesco a sentirne la piacevole rotondità che ha catturato il mio sguardo non appena ci siamo conosciuti: niente fianchi larghi, solo un bel culetto all’infuori, uno di quelli che andrebbe preso costantemente a schiaffi. Le affondo dieci dita nella carne e la mia lingua le torna in bocca, cercando di indirizzare i respiri nel mio fiato, iniziare a pensare all’unisono a dove sistemare la mia pulsante erezione che le spinge su una coscia.

Il pullaman sta rallentando, una fermata in vista. Nei miei ricordi invece le cose accelerano, la mano che tenevo sui seni la fa stendere con decisione sul divano, mentre l’altra inizia a giocherellare con la sottile cordicella che tiene unite le due parti di uno slip da pin-up, davvero carino, peccato vederlo per così poco tempo. Non concedo troppo spazio di movimento, lei non sembra accogliermi ma nemmeno scacciarmi, mi sta lasciando un bel po’ di iniziativa che non ho intenzione di sprecare. Smetto di giocare, mentre la mano sinistra le preme su un seno il pollice destro le si stampa sui pantaloni, in prossimità del clitoride. Mi affonda la mano nei capelli e la sua lingua sbatte sulla mia; non sembra farle troppo schifo. Muovo ritmicamente la mano a destra e sinistra, in alto e in basso, variando la pressione e la velocità, lei segue i movimenti, il bacino sembra voler incoraggiare ad andare oltre. Love so good, love so bad / It won’t die. Sono indeciso su quale mano usare per togliermi i pantaloni, non mi aspetto di ricevere un aiuto in questa necessaria operazione. Batto in ritirata dalle sue tette protese, ma senza fare la prima vittima: il golf ruvido vola via, la sua maglietta torna ad aderirle mollemente al petto mentre i miei boxer escono alla luce dell’unica, piccola lampadina che illumina l’ambiente; non la guardo mentre continuo a premere sul clitoride, il mio sguardo le dà fastidio, così mi concentro sui suoi movimenti del bacino, che adesso vanno e vengono in un’ondulata sincronia. Mi sto surriscaldando, devo togliermi la maglietta cercando di non interrompere il flusso di coscienza tra le sue cosce. Con la precisione di un sicario mi sfilo la t-shirt e le sono addosso, la destra afferra i suoi pantaloni, sono stanco di aspettare, tiro e come per magia lei inarca la schiena. I miei tenativi precedenti spesso si arginavano durante questa operazione, e invece no, stavolta mi offre addirittura la possibilità di vedere i fantastici slip, le cosce con un accenno di cellulite, i polpacci magri e leggermente ruvidi al tatto mentre le risalgo il corpo come uno squalo. La sua maglia può restare, la mia saliva e i denti riescono comunque a raggiungere i capezzoli mentre inizio ad accarezzarle tutta la vagina, protesa verso di me tra le gambe aperte. Guaisce, a questo punto non credo sia particolarmente contrariata e, senza staccarle la lingua di dosso scendo in basso, lento ma con decisione, e mentre con una mano le scosto le mutande la mia bocca le aderisce al sesso, e un ‘no’ appena accennato si perde nell’aria _ ci ha provato, che carina.

La mia mano ha già iniziato a muoversi con più decisione lungo tutta la lunghezza del cazzo proiettato in fuori mentre il pullman si ferma per far entrare il prossimo passeggero. Distolto solo per un attimo dai pensieri mi rendo conto che a salire è una rossetta niente male, vent’anni con lentiggini, un bel sorriso con i denti leggermente storti, borsa militare a tracolla con toppa degli Slipknot, pantaloni strappati e anfibi Dr.Martens, una pseudoalternativa molto interessante, non abbastanza da distogliermi ulteriormente dalla mia attività psicofisica. Nella mia mente riprendo a muovere la lingua, deciso, mentre le mani risalgono verso le tette e le afferranno. Lei se ne sta distesa, la testa che guarda il soffitto penzolando oltre il bracciolo, le mani abbandonate una sul ventre e l’atra a terra, le cosce divaricate con la mia testa nel mezzo. Sembra che le stia piacendo, che non sia così concentrata sull’ambiente circostante ma per una volta sia il piacere a comandare. Potrei sbagliarmi, o la cosa potrebbe finire presto, bisogna agire. Mi sfilo il cazzo dalle mutande, abbassandole fino ai ginocchi. La possibilità di infilarsi un preservativo non è contemplata, troppo lontano, giocheremo al salto della quaglia, e che il Dio dell’infecondità ci protegga. Lei non sembra aver capito cosa succede, è concentrata sul piacere che le risale dalla vulva fino a esploderle nel cervello, bombardamento di sensazioni, che per una così sessualmente stitica dev’essere un vero sballo. Eccola la mia erezione nei suoi diciotto centimentri scarsi ma comunque rispettabili, nel pensiero e nella realtà lo tengo in mano e mi sento pronto per farmi spazio tra le labbra in profondità dento la vagina, quando l’espressione perplessa e sorridente della rossa mi crea un attimo di vuoto.

[Ma tra tutti i posti che ci sono doveva venire a mettersi proprio in fondo?]

Continuo a guardarla stupito, ma non sento il suo imbarazzo, solo una vaga curiosità. Lei non sta guardando me, sembra molto interessata a ciò che custodisco tra le mani, e il mio organo eretto le restituisce lo sguardo ammiccante. Nella mia fantasia riprendono a scorrere le immagini della memoria, io che salgo con la testa lungo tutto il corpo della mia ragazza distesa, sto per baciarla ed entrarle dentro, il cazzo che le sfiora l’entrata bagnata quando sento echeggiare deciso un ‘N’

– fammi posto

Come non acconsentire a una richiesta tanto carina quanto decisa. Mi sposto un po’ a destra e non faccio in tempo a dirle ‘prego’ che ho la sua bocca affondata lungo tutta la lunghezza del mio pene. Faccio fatica a mettere insieme realtà e fantasia, e mentre la sconosciuta mi succhia l’uccello mi lascio sfuggire un debole ‘perché no?’ La ragazza alza gli occhi dal mio pube:

– hai defto qualcofa?

Ma non aspetta la risposta, e torna a succhiare più vorace di prima, non ha intenzione di lasciar andare la nuova preda che stringe fermamente tra le labbra umide. Io intanto sto guardando la mia ragazza, che ha serrato le cosce e mi guada stranita. ‘Che volevi fare?’ Volevo scoparti sarebbe la risposta adeguata anche se oh mio dio ma questa ragazza ci sa fare mi limito a guardarla con aria supplichevole, da cane bastonato, e provo ad allargarle le gambe di nuovo cazzo che bello ci stava proprio un pompino ma lei scuote la testa riconfermando la sua negazione assoluta e allora mi alzo e provo a metterglielo se non rallenta io le vengo in bocca adesso in bocca ma ha le labbra serrate e mi guarda con un misto di rabbia e incredulità e allora afferro i capelli della sconosciuta e inizio a pomparle la testa sul mio cazzo eretto che le affonda in gola e sembra starci e mi chiedo chi me lo fa fare di stare con una che aspira alla santa reimenificazione [perché sì, la mia ragazza ha allegramente chiavato col suo ex per un sacco di tempo] io le voglio bene ma adesso devo venire ho davvero voglia di scoparla, non mi può tenere a secco così devo venire a lungo, le ho provate tutte adesso devo solo decidermi a VENIRE lasciarla per mettermi con stà zoccola non si stacca ragazza con meno paranoie ok adesso VENGO!

Un fiume di sborra che tenevo dentro da troppo tempo riempie la bocca della sconosciuta, che a quanto pare non vuole farmi sporcare i pantaloni e continua con gentilezza a succhiare e ingoiare, succhiare e ingoiare finche il mio cazzo duro torna un pisello senza vita. Ed è in quel momento che mi accorgo del pullman mmobilr ad un’altra fermata [merda, è la mia]. Guardo fuori dal finestrino, la giornata è meno grigia di prima, mentre una ragazza se ne sta in piedi a guardarmi con la bocca aperta.

è la mia ragazza. Ha il casco del motorino in mano, probabilmente voleva scusarsi per l’ennesima volta del rifiuto non giustificato e promettermi che un giorno me la darà e me la ridarà e sarà bellissimo. Era la mia ragazza. Le sorrido, alzo la testa della sconosciuta dalla patta dei miei pantaloni, la indico e sorrido a quella statua che continua a guardarci.

Il pullman riparte. La sconosciuta non ha capito, ma mi guarda compiaciuta. Anch’io la osservo, è davvero carina.

– come ti chiami?

Can’t call it leavin, cause it’s just / I never came’

Leave a Reply