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È tutto il giorno che rifletto ripensandoci con accuratezza e con la smania addosso, perché la notte scorsa non è stata sufficiente né propizia, per rischiararmi definitivamente le idee e per rasserenarmi per sempre i lascivi concetti che inseguo e che rincorro da tempo. Bramo d’adocchiarti per bene, là dentro quella camicia che indossi, per poter scrutare e scandagliare con coscienziosità e con scrupolosità tutto quel ben di Dio, che occulti dietro quell’ombroso tessuto che tanto sragionare mi fa. Ci risiamo, pure quest’oggi ci ritroviamo da soli, perché aspetto che tutti quanti s’allontanino per svolgere le consuete mansioni, ma per me è unicamente un lontano e doloroso miraggio, direi che è una prospettiva seducente alquanto penosa che inseguo a questo punto da troppo tempo in modo infruttuoso, anche se mi rimbombano di frequente nella mente ravvivandomi lo spirito e l’intelletto, le sagge e sapienti parole che mio nonno di tanto in tanto mi ripeteva:

“Caro mio, porta pazienza. Credi in ciò che sei, ma in special modo credi e immagina in ciò che sarai. Hai capito Isidoro? Non dimenticartelo in nessun caso” – mi esponeva l’adorato nonno, manifestandomi e confortandomi, cercando in tutti i modi di non scoraggiarmi, allorquando gli esponevo evidenziandogli le mie vicende amorose, sistematicamente ogni qualvolta che mi piaceva qualcosa d’esplicito o quando puntavo una ragazza.

Io sovente mi demoralizzavo, spesso m’intristivo ripetutamente, lui al contrario con la sua pazienza, con la sua bontà e con la sua immensa sopportazione mi rincuorava, tentava di rinfrancarmi, quando non riuscivo subito ad accaparrarmi e a conquistare all’istante quello a cui tenevo, in maniera tempestiva e senz’interposizioni in tutti gli ambiti e nei vari settori della mia esistenza. Mio nonno mi rievocava costantemente, che non esiste una via facile, immediata e scorrevole come talvolta vorremmo a nostro piacimento, perché in certe circostanze bisogna saper desiderare, avere l’abilità d’attendere, essere padroni, avere la cognizione di pazientare, sperare e avere la dimestichezza di tollerare, perché non sempre si ottiene né si riscuote né si raggiunge con successo quello che ci prefiggiamo o quello che ci ripromettiamo, perché sovente bisogna accontentarsi e pretendere poco, perché ogni tanto lui esordiva con il fedele e osservante aforisma peraltro sempre di moda e a effetto, pertinente, preciso e attuale ancora oggi:

“Caro Isidoro, sappi che chi molto vuole alla fine nulla stringe” – era la sua battuta arguta, il suo indiscusso e incontestato motto, perché a ben vedere aveva pienamente ragione.

Adesso sono qua disteso sull’ottomana che rimugino elucubrando senz’interruzione quanto splendido sarebbe poter adocchiare senza nulla addosso, la sagoma della deliziosa Aurelia nel chiaroscuro d’una stanza, adesso che là di fuori inizia a fare abbondantemente caldo. Io m’accontenterei persino di vederla con una canottiera che lasci intravederne le forme, con una gonna leggera e naturalmente senza le calze. Al presente s’avverte in maniera palpabile e netta la fragranza del suo prediletto profumo.

Io non reggo, sono diffusamente attratto dalla tua corporatura, dal tuo respiro che lacera la quiete di quel momento; mentre m’approssimo diventa più affannato, come se avessi l’apprensione e il batticuore, addirittura il timore di provare una cosa che secondo te non è giusta, ciò nonostante sei al corrente e sai che con me potresti fare di tutto. Sei autonoma d’esprimerti e di sbottonarti liberamente, perché io sono il portagioie indiscusso che custodisce le tue immaginazioni, il forziere incontrastato che è irrealizzabile da spalancare, il tuo cofanetto inedito, lo strumento dei tuoi pensieri.

A un tratto non ci tratteniamo, perché quello che si voleva alla fine s’avvera. Un lungo bacio fissa e dispone l’abbozzo d’un momento che vorremmo durasse in eterno. Le labbra finalmente si sfiorano e dopo calcano, le mani bramose d’effettuare prodigiose scoperte s’incuneano penetrando in ogni luogo. Io non resisto, bramo percepire e scrutare quella ricchezza naturale da te delineata e raccontata, perché m’interpella, m’attira assai, in quanto io non sono distaccato né indifferente a quell’attrattiva, in tal modo separo la spallina e finalmente vedo il tuo adorabile seno, è limitato, ma è tondeggiante, è per me ineguagliabile anche se tu non te ne rendi conto, cosicché mi fisso per un attimo nell’ammirare lodando quel brandello di pelle, che grandemente m’affascina e che stupendamente mi scardina le membra. Tuttavia il tempo non è mai sufficiente, sicché in quell’occasione mi precipito per cercare di trattenerlo fra le mie labbra. Percepisco in modo netto che la faccenda non ti lascia indifferente, tutt’altro, colgo che sotto i miei denti attecchisce ampliandosi il contrassegno del piacere, poiché mi sento nientemeno socchiudere le labbra dalla vitalità con cui si sta tonificando.

Mi godo appieno questo fenomenale momento, intanto che con una mano afferro l’altro seno, finora ostacolato nel reggipetto e con l’altra seguo la tua sagoma. Capto la tua cute levigata, bramosa di ricevere più bollore, allora m’introduco sotto la gonna per andare a incocciare quell’intimo anfratto. Quel posto recondito e celato, che è l’incomparabile patrimonio che mi disgiunge dal piacere immenso d’avvertire la tua completa pastosità, la mollezza che può essere solamente accostata e comparata alle tue labbra. Quelle là però le ho già, quando invece dalle altre, mi disgiunge separandomi soltanto un piccolo filo. E’ veramente una sensazione che m’affascina e che m’attizza, allora la posticipo a lungo giocherellando inizialmente sul dietro, introducendo il dito e distendendolo prudentemente per percepire la formosità del tuo posteriore. In seguito il desiderio aumenta, s’amplifica, allora passo sul davanti e nel transitare di fronte il dito s’inserisce sotto quella mutandina, fino ad avere il sentore nell’imbocco di quell’orifizio, perché l’appetito licenzioso e l’intenzione sfrenata è ormai vicinissima nel farmi sragionare.

In quell’occasione t’adagio sul letto, senza neppure speculare né temporeggiare ti levo la canottiera e il reggipetto, giacché rimango per qualche istante nel fissare senza ritegno quel corpo esaminandolo mezzo nudo, però subito la voglia mi riaggredisce scatenandomi, perché da quell’angolazione sul letto posso con sfilarti con comodità quello scampolo di tessuto. A questo punto non c’è più un nascondiglio secco, questo mi soddisfa spingendomi nel compiere di più, perché è il tangibile segno che mette in risalto tutto, accentuando che le cose fatte finora sono state diffusamente gradite. In quel momento, adesso che ho il tuo monte di Venere di fronte, intraprendo l’ascesa che mi porterà al piacere, alla fine posso sentire il gusto naturale e autentico d’una vera donna.

Rincorro la sagoma spessa e compatta della tua bella e folta bionda boscaglia, peraltro ordinata e diligentemente sistemata, dopo una volta superata la montagnola, mi tuffo su quelle labbra che soltanto poco tempo prima avevo tra le grinfie. Al presente non mi trattengo né argino nulla, perché ormai il pendio è imboccato, mentre la lussuriosa brama lievita. Io non resisto a tutto quello splendore, non reggo di fronte a quell’incanto, il tuo clitoride è fra le mie labbra, lo percepisco distintamente, è gonfio e smanioso, non vedeva l’ora d’incontrarmi, io con delicatezza lo succhio, fino a quando tu non spandi un gemito, effondi un miscuglio di benessere e di spasimo nello stesso lascivo tempo.

Può darsi che abbia perfino esagerato, che abbia strafatto e abusato, tuttavia la brama è abbondante, la cupidigia è ingente, dal momento che non riesco a contenermi. Perciò inizio a svagarmi dapprima con le labbra educatamente, dopo costantemente più determinato, con la mia lingua che come un bulino logorato da un pratico intagliatore forgia profili solamente nell’aria, che si modificano potenziandosi in sensazioni sublimi le meraviglie e le percezioni che sento che mi riconsegni, che contraccambi al massimo perché ti dimeni.

In quel frangente io incalzo e mi sbrigo, dedicandomi costantemente al tuo fisico con le mie mani, le tue chiappe, le tue tette e i tuoi fianchi. L’attimo è sopraggiunto, la beatitudine e la soddisfazione m’hanno diffusamente bagnato riempiendomi ampiamente la faccia in ogni parte, io annuso intimamente la tua intima fragranza, interamente la tua sapidità unica, profondamente il tuo peculiare sapore, perché anch’io non posso più durare né resistere.

In quella circostanza, infatti, con un colpo risoluto della lingua completo in modo minuzioso quel vizioso e libidinoso momento, perché in quell’apice sommo di piacere, tu strepiti in maniera veemente il tuo fenomenale, travolgente e possente orgasmo. Tu cedi e ti lasci andare in una lunghissima, erotica e lussuriosa contrazione muscolare seguita da numerose altre a seguire, fino a quando manifestamente affaticata e spossata, visibilmente soddisfatta e acquietata, ti lasci andare sul letto con me di fianco a te.

Mia adorata e deliziosa Aurelia, sono totalmente contento, del tutto gratificato e pienamente soddisfatto d’essere riuscito nel mio intemperante e focoso intento, come così pure tu hai ampiamente azzeccato e centrato il tuo istintivo proposito e il tuo fervido e vivace obiettivo.

Da quel giorno, infatti, non ci siamo più lasciati.

{Idraulico anno 1999} 

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