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Racconti Erotici Etero

Erositalia: racconti perduti vol. 2

By 22 Febbraio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Lina, ho da poco compiuto 18 anni e vivo in uno di quei paesi della Sicilia dove sembra che il tempo si sia fermato all’epoca del proibizionismo. Difficile per una ragazza tutto pepe come me vivere qui; mi sento divisa tra la voglia di fare e le idee antitutto che mi impartisce mia madre ogni istante. Per questo, dopo l’ennesima pomiciata col mio ragazzo, la mia parte cattolica mi spinse a recarmi in chiesa per confessarmi. Entrai con la speranza di trovare Don Carlo, il giovane prete che da poco aiutava Don renato nella gestione della parrocchia, ma la mia speranza svani appena sentii la voce del vecchio prete alle mie spalle:

– Ciao Linetta, sono contento che tu sia qui, è un pezzo che non ti vedo alla messa. Hai dei problemi?

– Buongiorno don Renato… bè… non proprio problemi, ma sa..lo studio…

– L’anima sporca non accoglie lo studio. Vuoi confessarti?

– Si, grazie.

– Bene, preparati al confessionale, ora arrivo.

Mamma mia! La confessione iniziava proprio bene. Mi inginocchiai al confessionale raccogliendo i mie pensieri, e poco dopo Don Renato entrò. Dopo le formalità iniziali, entrammo nel vivo della confessione..

– Poi, vede Don Renato, l’amore che ho per mio fidanzato mi spinge oltre i baci…

– Come oltre i baci?

– Si…quando siamo soli, e lui mi accarezza, inizio a sentire un calore che sale da dentro…sento che ho voglia di toccarlo ed essere toccata, non può essere peccato, no?

– Dipende Linetta. Raccontami cosa fate La voce del vecchio prete mi sembrava tremasse un po’. Forse i miei peccati erano troppo gravi da ascoltare?

– Bè, la sera prima di portarmi a casa ci appartiamo a chiacchierare in pineta, nella sua macchina. Appena soli lui mi abbraccia e mi sciolgo… ho voglia di andare oltre, e anche lui, sento la sua voglia..

– E da dove la senti la sua voglia? Non può essere solo la tua immaginazione?

– No. Don Renato. Nell’abbraccio sento il suo membro diventare duro e grosso. E l’istinto è quello di strofinarmici contro.

– E questa cosa ti procura piacere?

– Si..tanto. La mia passerina si bagna, inizia a pulsare d’amore. E’ peccato?

– Se ti trattieni non è peccato. Lo fai?

– Bè..veramente a quel punto la mia mano scivola sul suo coso, lo accarezzo, e lui anche accarezza la mia passerina.

A quel punto sentivo il respiro di Don Renato farsi sempre più affannoso, quasi come quello di Marco, il mio fidanzato nei momenti più intimi.

– Le carezze possono essere ammesse, purché siano caste. Ma poi che fate?

– Ma Don Renato..è l’amore che non ci fa ragionare. Lui mette la sua mano sotto la mia gonna, inizia a cercare, gli piace infilare le dita sotto le mutandine, lo fa con tanto, troppo amore. Gioca con la mia passerina e il suo pisellone scoppierebbe se non glielo tirassi fuori.

– Ed osi arrivare a tanto?

– E’ l’amore… Si.

– E cosa ci fai?

– Lo accarezzo con tanto amore, lo stringo perché è una parte del mio fidanzato, lo muovo su e giù con tanto amore…

Mi fermai un attimo perché sentivo il respiro di Don Renato farsi sempre più veloce, sentivo anche un armeggiare di mano, forse stava manovrando il rosario per me, per le mie colpe.

– ..continua, lo sai che certe cose le fa solo una porcellina? Continua se vuoi che ti assolva.

– Lo so Don Renato, ma è l’amore.. lui a volte stringe la sua mano intorno alla mia e mi insegna a dargli piacere, intanto mette un dito dentro la mia passera, oppure due, e anche lui mi dà piacere.

– E poi? Dai… dimmi cosa ti fa fare…dai, racconta… Ma che succedeva?

Don Renato sembrava piangesse…

– Poi.. a volte spinge la mia testa verso il suo pisellone e mi chiede…

– Cosa ti chiede? Dimmi cosa ti dice ma dimmelo per bene…

– Mi dice: ‘ciucciamelo, voglio che mi ciucci il cazzo’ a volte mi chiama anche troia.. lo so che è una brutta parola, ma l’amore toglie i lumi.

– Ahhh….

Era un grido di dolore o di piacere? No..forse ascoltare i peccati degli altri procurava tanto dolore a Don Renato.

– E cosa fai tu, troia? Inizi a ‘ciucciare’?

– Come potrei non farlo? Mi chino e prima lo lecco ben bene..

– Ahhh…che troietta…continua, continua…

– ..poi ciuccio la sua cappella lucida, ma lui..oh Padre, vuole che lo prenda tutto, tutto in bocca, come potrei dire di no al mio futuro marito? Allora lo faccio entrare tutto in bocca mentre le sue dita si divertono a solleticare la mia passerina

– Ahhh.. e cosa provi, brutta troietta, cosa senti?

– Tanto piacere, Don Renato, ma è l’amore.. sento un calore dentro che si spande, stringo le mie cosce per imprigionare la sua mano, per non farla mai uscire, spingo e muovo il bacino, lo desidero, lo desidero. E’ peccato?

Don Renato non riusciva quasi a parlare…

– E lui? Continua, continua a raccontare mentre io prego per voi..continua…ahhh… ahh… Oltre al respiro affannoso sentivo la sua mano che..manovrava qualcosa, forse il rosario mentre pregava per noi.

– Lui spinge la mia testa sempre più forte verso il suo pisellone e mi parla.

– Siii… troia…

– …come ha fatto ad indovinare? Mi dice proprio cosi…ma anche se sono parole brutte a me piace, perché sono segno dell’amore. Allora il ritmo aumenta fino a quando lui esplode. Il suo pisellone si gonfia ancora di più e poi schizza la sua sborra nella mia bocca.

– Siiiii…ahhhh…cosiiii…. E poi?

– Io devo ingoiare padre, come farei? E’ il seme del suo amore, no?

Padre Renato Rimase in silenzio e poi disse:

– L’amore ha tante facce, so che siete giovani ma dovete trattenervi. Comunque, se mi racconterai tutto nei minimi dettagli io farò in modo di parlare al Signore e intercedere per te. Ora vai..

E mentre mi alzavo, Don Renato usci dal confessionale e mi venne incontro. Mi fece una carezza sulle guance, mi sfiorò le labbra con la mano che sembrava sudaticcia… per un attimo mi chiesi se fosse davvero sudore o…sborra. Non pensavo di avere ancora molte esperienze da fare, alla mia eta’.

Ero arrivato a sessantacinque anni e ne ero fiero, la vita mi aveva regalato molte gioie ma anche molti dolori, e adesso la vecchiaia non mi pesava affatto, anzi ero felice di godermi un’esistenza tranquilla.

Mia moglie mi aveva lasciato gia’ da alcuni anni e io vivevo da solo nella mia monotona e rilassante quotidianita’.

Poi arrivo’ Maria.

Aveva solo 18 anni, un viso da bambina imbronciata e due grandi occhi neri.

Mi disse che sua madre era peruviana ma di suo padre non aveva mai saputo niente. Le avevano raccontato che lei era stata il frutto di una violenza, ma sua madre si era sempre rifiutata di parlarne.

Mentre la osservavo pensai che il padre dovesse essere stato un europeo, ceppo latino, lo dedussi dalla costituzione della ragazza: non molto alta, capelli neri e un corpo robusto, tendente al sovrappeso.

Meglio cosi’: la stavo assumendo, a seguito di un’inserzione, come domestica e avevo bisogno di una persona dalla corporatura robusta, i lavori di casa possono essere a volte molto pesanti…

Maria si stabili’ da me un lunedi’ pomeriggio.

Era una ragazza molto discreta, percio’ la sua presenza in casa non comporto’ per me grosse rivoluzioni.

Era sempre affaccendata, lavava, stirava, puliva, andava a fare la spesa, la sera si coricava presto e la mattina alle sette era gia’ di ritorno con il mio giornale.

Non parlava molto, si limitava a rispondere alle mie domande con poche parole, anche se aveva una discreta conoscenza della lingua italiana e ogni volta si ritirava accennando un inchino.

Pensai subito che fosse perfetta.

Dormiva al piano di sopra in una stanza tutta sua che le avevo detto di arredare come preferiva: ci aveva messo soltanto un pelouche malandato e uno specchio.

Le avevo dato due giorni liberi alla settimana, ma li trascorreva in camera sua a leggere. Pensai che fosse una ragazza strana, e pian piano con il trascorrere dei mesi mi incuriosii sempre di piu’.

Spesso mi intrattenevo a chiacchierare con lei mentre svolgeva le sue mansioni cercando di conoscerla un po’ meglio; le raccontai la mia storia e lei mi disse le poche cose che tutt’ora conosco sulla sua vita: facemmo una specie di strana amicizia.

Via via che prendeva confidenza con me si apriva sempre piu’, mi chiedeva consigli di ogni genere e mi raccontava delle sue paure, che erano veramente infinite.

Scoprii che temeva di essere brutta, si sentiva diversa dalle sue coetanee che incontrava per strada perche’ diceva di essere grossa e di non sentirsi troppo femminile.

La osservai meglio, per la prima volta guardandola come donna e non come la ragazza delle pulizie.

In effetti mi accorsi che c’era una forte stonatura fra quel viso da bimba e il corpo pieno e gia’ ben formato: aveva due tette grosse nascoste sotto i maglioni larghi che portava e un culo altrettanto grosso anche se abbastanza sodo, che cercava di nascondere in gonne ampie.
Malgrado tutto pero’ il contrasto risultava eccitante, e me ne meravigliai.

Mi scoprii a sorridere di me stesso: era parecchio tempo che non analizzavo fisicamente una donna. Provai uno strano senso di ebbrezza. La trovavo tutto sommato bella e glielo dissi.

Mi rispose tristemente che nessun ragazzo l’aveva mai voluta.

“Vedrai che lo troverai presto, un ragazzo” – la rassicurai.

“Non credo…” – fu la sua sconsolata risposta.

Avevo ragione io, naturalmente.

Un giorno di qualche mese dopo, Maria arrivo’ con la bella notizia che da un paio di giorni usciva con un trentenne che aveva conosciuto in biblioteca e io, pur reprimendo un moto di immotivata gelosia, mi complimentai con lei.

Ma i problemi non erano finiti.

Qualche sera dopo stava sparecchiando, quando ad un certo punto si sedette di fronte a me, poggiando i gomiti sul tavolo e strofinandosi nervosamente le mani e mi disse che desiderava parlarmi.

“Si vuole licenziare e va a vivere con quel tipo” – pensai subito.

Vagamente preoccupato le esternai il mio pensiero e lei si mise a ridere nervosamente.

“No!… non e’ questo… anzi, e’ proprio lui il problema…”

La incitai a continuare, temendo che il problema fosse che quel bellimbusto si stesse approfittando della sua sensibilita’.

“Beh, ecco…” – esitava, come in genere faceva quando aveva qualcosa da dire che riteneva imbarazzante o sconveniente.

La rassicurai che poteva dirmi tutto, che desideravo soltanto aiutarla.

Allora parlo’: “Lui… vuole… ha cercato di fare l’amore con me….”

Non dissi nulla. Non vedevo il problema. Forse era una questione religiosa….

“… Io sono vergine!” – disse tutto d’un fiato e spianando le mie perplessita’.

Non ci avevo pensato, eppure avrei dovuto immaginarlo.

Aveva paura della sua prima volta, come tutte le ragazzine, e non aveva nessuno con cui parlarne per farsi coraggio. Magari aveva anche dubbi e perplessita’ che non era mai riuscita a chiarire da sola.

Le sorrisi per rassicurarla e per incoraggiarla a prosegiure ma mi accorsi che era molto imbarazzata, giocherellava nervosamente con una ciocca di capelli e aveva le guance infuocate.

“Ho molta paura di quello che potrebbe succedermi…” – aggiunse – “So che esce del sangue e io se vedo il sangue divento matta… Ho il terrore di fare una figuraccia. E ho paura che il mio seno sia troppo grosso e che lui mi rida in faccia…”

“Ma che razza di idee ti vengono in mente!”

“Lei non puo’ capire, non sa come sono brutta…” – m’interruppe accorata.

“…Ti vedo Maria, e quello che vedo e’ una bella ragazza!”

“Bella?…Io?… Ma lei mi vede vestita!” – la sua obiezione non faceva una grinza.

“Sarebbe la stessa cosa se ti vedessi nuda” – volli a tutti costi rassicurarla.

“Come fa a dirlo, non mi ha mai visto nuda…”

Scossi la testa. Mi sentivo strano. Quella conversazione mi stava eccitando e non avrei mai creduto potesse accadermi ancora. Tossicchiai per mascherare il mio imbarazzo che adesso era pari al suo. Lei abbasso’ lo sguardo. Per un attimo temetti si fosse accorta del mio stato, ma non era cosi’. Stava cercando il coraggio di dirmi qualcosa.

“…forse se lei…se lei potesse vedermi…nuda, intendo…forse potrebbe darmi un giudizio piu’ preciso…”

Aveva il volto in fiamme ed evitava di guardarmi negli occhi.

Io mi ritrovai con un nodo in gola che non riuscivo a sciogliere e con un’erezione che mi stupiva e mi sconvolgeva la mente.

Non parlai.

Non riuscivo a farlo.

Credo pero’ che il mio silenzio le dette coraggio, interpretandolo come un cenno d’incoraggiamento.

Senza osare guardarmi, fissando un punto imprecisato sul pavimento, Maria si alzo’ in piedi, si sfilo’ il maglione e poi, con le mani che le tremavano visibilmente, si sbottono’ la camicetta facendola scivolare giu’ per le spalle.

Sospiro’ profondamente, come per prendere ulteriore coraggio, quindi si slaccio’ un pesante reggiseno nero che scivolo’ ai suoi piedi lasciando strabordare due tette grosse, lisce e gonfie, che le ricaddero sobbalzando leggermente.

Emisi un gemito: la sua pelle bianchissima da cui affiorava qualche venuzza azzurrognola, le aureole grandi e scure, i capezzoli erano grossi e duri. Quei due seni nudi e invitanti dondolavano ad ogni suo respiro e avevano un aspetto terribilmente eccitante.

“Sei bellissima!” – riuscii a dire con un filo di voce.

La vidi sorridere: evidentemente si sentiva sollevata.

“Davvero lo pensa?” – mi chiese ansiosa.

Cercai di riprendere il controllo di me stesso e di assumere un’aria distaccata.

“Certamente piccola! Non devi vergognarti di nulla. Sono sicuro che andra’ tutto magnificamente quando….” – Le parole mi morirono in gola.

Lei sedette di nuovo e per la prima volta riusci’ a guardarmi negli occhi.

“Non e’ soltanto questo…” – mormoro’ – “C’e’ anche che… ho troppa paura di sentire dolore. So che voi uomini non siete molto attenti quando siete eccitati ma ho il terrore di sentire male e del sangue e, beh… sono sicura che mi blocchero’. So che faro’ una figura tremenda…”

Non riuscivo piu’ a capire dove volesse arrivare. Vedevo soltanto le sue tette che, poggiate contro il legno del tavolo, si muovevano al ritmo del suo respiro.

Restammo in silenzio. Sentivo il respiro di Maria che si faceva sempre piu’ irregolare.

Non sapevo neanche io cosa aspettavo, ma stavo aspettando.

Alla fine si decise: “Mi chiedevo se lei… ecco, se lei avesse voglia di… cioe’, se potesse farlo lei che ha molta piu’ esperienza… magari con qualcosa… capisce, qualcosa di piccolo all’inizio, che non faccia male, per abituarmi… poi qualcosa di piu’ grande….”

Non credevo alle mie orecchie!

La guardavo con gli occhi spalancati mentre tremava al suono delle sue stesse parole e non riuscivo a realizzare pienamente quanto andava dicendo.

Per un attimo mi ero illuso che volesse me, che mi desiderasse; adesso non avevo dubbi che voleva solo e soltanto quello che mi aveva chiesto!

Ragionai velocemente. Con cosa avrei potuto farlo? un dito all’inizio, ma lei aveva parlato di oggetti…. una matita… poi mi scossi inorridito, ma che diavolo andavo a pensare??

Aprii la bocca per dirle di rivestirsi e di smetterla di pensare quelle cose assurde, ma le parole mi morirono in gola.

“D’accordo…” – le dissi soltanto.

Mi sembro’ che avesse parlato un altro; quell’erezione che finalmente sentivo dopo tanto tempo premere contro la stoffa dei pantaloni, mi aveva completamente drogato.

“Quando vuoi farlo?” – aggiunsi.

“Subito!” – rispose Maria e notai che sulle braccia e sul seno aveva la pelle d’oca.

Mi alzai, lei si alzo’ con me.

Pensai fosse inutile tentare di nascondere l’erezione che mi gonfiava i pantaloni.

Lei la vide, arrossi’ ma non disse niente.

Guardava sempre in basso, imbarazzata. Le sue tette andavano su e giu’ all’unisono col suo respiro.

“In quale posizione vuoi metterti?” – le domandai.

“In quella che mi faccia sentire meno male…”

“Allora togliti tutto e distenditi sul tavolo a pancia in su.”

Rimasi ad osservarla con la pressione che andava salendo, mentre si svestiva. Si sbottono’ la gonna, la tolse e sistemoo’ sulla sedia. Non portava calze. Fece scivolare le mutandine di cotone sulle anche, sulle cosce, sollevo’ una gamba, poi l’altra e se le tolse del tutto. Sentii il suo odore invadere la stanza.

“Brava!” – le dissi appena fini’ di togliersele.

Gli occhi mi brillavano. Aveva la figa con le labbra gonfie come quella di una bimba, il monte di venere era pronunciato e ricoperto da una rada peluria nera.

Mi scostai per permetterle di sedersi sul tavolo, poi leggermente le spinsi giu’ la schiena approfittando per poggiare la mano su una di quelle tettone, fra la spalla e l’attaccatura del seno.

Si sdraio’. Le sue coscie poggiavano sul tavolo e le gambe e i piedi le penzolavano giu’.

Teneva le gambe strette, quasi con forza.

“Aspettami un secondo, vado a prenderti un cuscino per la testa e qualcosa per… beh, qualche oggetto…” – dissi, non senza un certo imbarazzo.

Quando tornai la trovai nella stessa identica posizione; non si era mossa di un millimetro.

Avevo il fiato corto.

Nel frattempo mi era venuta in mente una cosa: “Ascolta, credo che sarebbe meglio usare qualcosa per lubrificare… sai, insomma per farti sentire meno male…. cioe’, non so se sei gia’ bagnata….”

“Non lo so…” – fu la sua risposta sussurrata – “…un po’ si credo, ma non so se puo’ bastare…”

“Fammi sentire.” – Ormai mi ero immerso nel ruolo.

Poggiai le mie mani sulle sue ginocchia e spinsi gentilmente per allontanarle l’una dall’altra.
Lei oppose una leggera resistenza.

Le sue gambe tremavano.

Mi sedetti di fronte alla sua figa e la osservai cosi’, appena appena aperta. Le labbra erano rosee e carnose e un filo di umore biancastro usciva dalle grandi labbra, scivolando giu’ lungo il solco delle natiche.

Maria fissava il soffitto. Ne approfittai per toccarmi attraverso i pantaloni.
Ma mi fermai quasi subito. Capii che mi sarebbe bastata una strusciata per venire.

Appoggiai un dito sulle sue grandi labbra e lei ebbe un sussulto.

Poi, lentamente, lo spinsi lungo le pieghe della figa a spargere l’umore tutto intorno al buchetto che intravedevo appena nascosto fra le pieghe della carne. Risalii e trovai il clitoride viscido, fremente. Lo presi fra le dita e udii un gemito profondo.

“Si’, credo che tu sia abbastanza bagnata…” – le dissi, ritirando la mano.

La voglia di toccarla ancora fu incontenibile: “In ogni caso se ti toccassi sono sicuro che ti bagneresti ancora di piu’ e…sarebbe preferibile.”

Maria sospiro’: “V… Va bene… se e’ necessario…”.

Volevo leccarla fino a farla gridare, ma mi accontentai di esplorarla con le dita.

Maria rispondeva con tremiti e brividi ad ogni mio movimento.

Le massaggiai le grandi labbra, gliele aprii a scoprire il clitoride, passai le dita su di esso, lo strinsi fra i polpastrelli, lo carezzai, lo scappucciai, allargai la carne per vedere il buchetto, era davvero piccolo, meraviglioso…

Ormai era un lago.

Le mie dita producevano un singolare sciacquettio.

Passai l’indice lungo il clitoride fino all’entrata della vagina e poi, sornione, quasi distrattamente proseguii facendomi strada fra le sue natiche.

“Allarga ancora un po’ le gambe…” – le dissi.

Esegui’. Appoggiai il dito sull’entrata raggrinzita del buchetto del culo.

Sobbalzo’: “Ma cosa fa? Li’ che c’ent….”

“Serve per bagnarti ancora di piu’…” – la interruppi ansimando.

Mi lascio’ fare. La carne delle sue natiche mi rallentava i movimenti, gliele allargai con la sinistra e ritornai ad appoggiarmi sull’entrata del suo ano. Era stretto e lei lo serrava con forza.

Glielo bagnai, cercai di allargarlo facendo forza contro la contrazione dei suoi muscoli. Ma Maria faceva resistenza e capii che forse quello era troppo.

Tornai a concentrarmi sulla figa.

“Vorrei sentire com’e’ l’imene…” – le dissi – “Sai, per rendermi conto…”

Silenzio.

“Solo per regolarmi….”

“V… Va bene…” – disse.

Allora, cautamente, premetti il dito contro l’ingresso della vagina spingendo dolcemente per qualche centimetro e lo sentii davvero: una membrana leggera ed elastica che non avevo mai sentito nella mia vita. Mi provoco’ un moto di libidine incontenibile. La volevo scopare, non resistevo piu’.

Mi fermai a riprendere fiato.

“Crede che ci saranno problemi?” – mi chiese lei preoccupata.

“Nessun problema” – le risposi – “Ora tira su le ginocchia e appoggia i piedi sul tavolo. Cominciamo subito!”

Avevo preso vari oggetti, una matita, un pennarellone e una grossa candela rossa di quelle di natale la cui grandezza si avvicinava decisamente a un cazzo di medie dimensioni.

All’inizio, mentre raccoglievo gli oggetti, pensavo che no, non l’avrei usata. Ora l’eccitazione mi giocava brutti scherzi: la presi in mano.

Guardai il volto di Maria che si stava mordendo il labbro inferiore e teneva gli occhi stretti.

“Ascolta Maria, sono convinto che se potessi leccarti il clitoride mentre faccio quello che devo fare non solo non sentiresti alcun dolore, ma sono sicuro proveresti anche del piacere…”

“Leccare??” – esclamo’ sinceramente stupita.

“Beh, si’, sono cose che si fanno… dicono sia molto bello!”

“Ma a lei non fa schifo?”

Rimasi interdetto. Ero esterrefatto: la sua ingenuita’ mi portava ogni volta sull’orlo dell’orgasmo.

“Se vuoi posso provare, solo un attimo, poi mi dirai se vuoi oppure no.”

La vidi annuire debolmente, incerta.

Allora, famelico, mi chinai su quella figa aperta e gocciolante e vi poggiai sopra le labbra inalandone l’odore fino a stordirmi. La sentii respirare forte, le cosce le iniziarono a tremare mentre continuavo a baciarla sulla fessura.

“Ahhh!….” – il lamento le sfuggi’ all’improvviso.

Si, le piaceva!

Tirai fuori la lingua e iniziai a leccarla gentilmente. La leccai tutta con la punta della lingua, poi con tutta la lingua, ingoiando il suo umore, spingendo il naso a contatto con il buchetto che avrei dovuto penetrare di li’ a poco. Sentivo Maria gemere sommessamente. Allora presi a succhiarle il clitoride eretto e ormai scappucciato.

“Sei pronta?” – le chiesi smettendo per un attimo il mio lavoro.

La vidi stringere i pugni.

Allora presi la candela e, sempre continuando a leccare, gliela spinsi dentro tutta d’un colpo, con tutta la forza che avevo, vincendo facilmente ogni resistenza.

“Aaaaaaaaaahhhhhhhhhh!!!!…”

Il suo grido disumano echeggio’ per tutta la casa.

Subito dopo mi ritrovai la mano bagnata di sangue. Non mi mossi, tenendogliela infilata tutta dentro. Sentii che Maria tentava di sollevarsi ma probabilmente, sentendo ancora piu’ male muovendosi, rinuncio’.

La sentii singhiozzare.

“Lo tolga per favore… lo tolga…. la prego!…” – mi supplico’ piangendo.

Le posai una mano sulla pancia e estrassi piano piano la candela strappandole ancora gemiti di dolore. L’avevo tolta quasi del tutto, era rossa di sangue e umida dei suoi umori. Sentii che i muscoli di lei si stavano allentando. Allora, senza che lei potesse sospettarlo, gliela ricacciai tutta di nuovo dentro.

Ancora un urlo straziante che mi eccito’ fino al parossismo.

Ripresi a succhiarle il clitoride e a leccarle la pelle stirata intorno a quell’asta dura di cera. Poi feci andare avanti e indietro, ruotandola di tanto in tando, dentro di lei e ascoltai le sue grida, i suoi gemiti e i suoi singhiozzi.

Ero fuori di me.

Estrassi la candela da lei, le feci abbassare le gambe e la costrinsi a voltarsi a pancia sotto, poi la tirai verso di me in modo che i suoi piedi toccassero terra e il suo bel culo fosse bene in vista. Ormai Maria non faceva piu’ resistenza, era soggiogata, incapace di reagire e piangeva in silenzio.

Guardai il suo culo, che si ergeva maestoso sulle cosce sporche di sangue.

Senza tanti complimenti le divaricai le natiche. Il solco bruno mi si presento’ davanti agli occhi, al centro si vedeva il buchetto dell’ano, piccolo e rinserrato.

Forse intui’ le mie intenzioni perche’ prese a divincolarsi disperata, ma io la tenevo ben salda per i fianchi.

“Non ti agitare… Sta ferma!… Se farai resistenza sara’ molto doloroso, devi rilasciare i muscoli…” – le dissi.

Per tutta risposta lei cominci? a contorcersi tremando, come un’invasata. Sembrava disperata.

“No… No!!… Per favore non mi faccia questo!!… NO… NO… NO…” – adesso gridava.

Ma io non resistevo piu’.

Il mio cazzo di media grandezza ma ha una cappella grossa, ben piu’ grande rispetto al resto del membro pulsava. Glielo appoggiai sulle natiche. Era durissimo come non lo vedevo da anni.

Feci scorrere il medio nella sua figa per bagnarlo e poi glielo spinsi nel culo.

Lo teneva ben stretto, dovetti spingere molto e presumo farle molto male prima che si decidesse a cedere un po’. Allora le affondai il dito dentro, strappandole un urlo lacerante. Le pareti del suo canale mi stringevano il dito come un guanto. Spinsi il dito avanti e indietro dentro il culo per un paio di volte, mentre lei strillava come un’aquila.

“Ahii!… mi sta facendo male!… Lei… lei e’ un porco!… purche’ mi fa questo?…. Basta!…”

Estrassi il dito e prima che lei potesse fare un solo gesto la mia cappella era gia’ puntata contro il suo piccolo buchetto e spingeva per aprirsi la strada.

Ce l’aveva strettissimo, non riuscivo ad avanzare per quanto spingessi con forza incredibile.

“Rilassati!… Rilassa i muscoli, altrimenti ti fara’ molto male!” – le dissi.

Lei piangeva, mugolava, muoveva il culo e mi implorava di smettere.

Ma la mia volonta’ era piu’ forte delle sue suppliche e a quel punto intendevo sodomizzarla ad ogni costo.

A poco a poco il suo sfintere andava cedendo alle mie spinte e cominciavo ad entrare.

“AAAAAHIIII!!… Mamma mia che male!… Per favore non resisto!!!…” – gridava scalciando all’indietro nel tentativo di colpirmi.

E piu’ lei gridava piu’ il mio cazzo si faceva d’acciaio.

Ad un tratto sentii come uno strappo, il glande riusci’ a passare e fu risucchiato all’interno dalle contrazioni impazzite del suo sfintere, mi ritrovai dentro il suo culo.

La sentii tendersi come un arco e urlare come se la stessero scannando.

“Stai buona… non ti agitare… ormai il piu’ e’ fatto… ecco.. ora te lo infilo tutto come si deve!” – le intimai.

Cominciai a dare spinte fortissime introducendomi dentro il suo retto centimetro dopo centimetro.

Maria doveva soffrire parecchio, lanciava urla strozzate, agitava le braccia scompostamente sbattendole sul tavolo e dava dei tremendi scrolloni con il corpo per cercare di sfuggirmi. Non mi feci commuovere e continuai la dolorosa introduzione, avvertendo le strette che dava con lo sfintere nel vano tentativo di espellermi.

A un certo punto sembrava che il cazzo non volesse andare piu’ avanti, come se avessi raggiunto il fondo del suo budello, ma almeno un terzo della sua lunghezza era ancora fuori. Presi fiato e incurante delle sue grida strazianti, arretrai un poco per riprendere a forzarla subito dopo. Avanzavo a fatica, a scatti, conquistando lentamente quel culo strettissimo.

Alla fine rimasi piantato tutto dentro il suo intestino e mi fermai un attimo per riprendere fiato e forze. Poi presi a pompare dentro quel canale strettissimo che si andava adattando alle dimensioni dell’intruso.

Lei non si dibatteva piu’, singhiozzando subiva rassegnata, dalla sua bocca usciva solo un lamento prolungato e monocorde e ad ogni affondo, quando andavo a colpirla nel piu’ profondo del suo retto, emetteva un debole “Ahi!”, come una bambina accorata.

Quando glielo tirai fuori del tutto vidi quel buchetto, che prima era quasi invisibile, trasformato in un canale aperto dal fondo nero.

Il mio cazzo era tutto sporco. Glielo infilai tutto nella figa appena sverginata.

“Bastaaa!!… La suplico, non ce la faccio piu’!!…” – gridava lei.

E ben presto neppure io ce la feci piu’: estrassi il cazzo dalla figa e glielo rinfilai dentro il culo facendola gridare nuovamente di dolore. Stavolta entro’ senza problemi.

Pompai due o tre volte tenendole le natiche divaricate al massimo per sfondarla completamente e poi le venni dentro con una sborrata interminabile che le allago’ l’intestino.

Mentre riprendevo il fiato e le forze ascoltavo il suo pianto accorato.

“Forse e’ meglio che tu vada a lavarti…” – le dissi.

La aiutai a sollevarsi e mentre spariva in bagno vidi dei rivoli di sperma misti a sangue le colavano giu’ per le cosce.

E’ passato tanto tempo da quel giorno.
Adesso io e Maria viviamo ancora insieme, ma lei non e’ piu’ la mia domestica: e’ la mia schiava.

Ed io sto conoscendo una seconda giovinezza.

Lei ha capito cio’ che la eccita veramente: il dolore.

Ma questa e’ un’altra storia. Mi chiamo Andrea, ho 20 anni, sono alto, se così si può dire 1,65 cm con un fisico muscoloso. Sono uno studente universitario e non lavoro ciò mi costringe a vivere ancora con i miei,e passo il mio tempo libero tra la palestra ed il computer che ho assemblato da solo pezzo per pezzo. La mia passione per l’informatica mi ha sempre dato soddisfazioni, ultimamente con risvolti insperato. Nel palazzo dove abito, sono quasi considerato un genio dell’informatica, tanto che spesso a casa mia c’era un via vai di gente che mi chiedeva consigli, per l’acquisto del computer o di qualche periferica o che mi portava il computer bloccato da qualche virus o guasto. Un giorno fui chiamato da mia madre che era appena rientrata: “Andrea, ho incontrato la signora Carli”.

– Mi fa piacere per te, chi è?

– Come la Carli, Teresa la moglie di Vincenzo, l’impiegata al collocamento, abitano al quarto piano nell’altra scala.

– Mà, il collocamento non esiste più da secoli, ora si chiama …

– Che importa come si chiama l’ufficio, hai capito di chi parlo.

– Si mà, il signor Vincenzo è negato, avrà incasinato il computer, digli di portarlo che ci do un’occhiata

– No, il computer di Vincenzo non ha niente, lui chatta tutto il giorno, è Teresa che ha comprato un portatile, vuole entrare in internet ma non ci riesce.

– Mà, miracoli non ne faccio, hanno una linea sola non possono collegarsi in 2, va bene le soluzioni ci sono, vediamo quale preferiscono.

– No Teresa, mi ha detto che si collega poco e che il negozio gli ha venduto una scheda umt qualcosa o utm, non so.

– Ho capito, mà, allora può passare anche lei da qui quando vuole.

L’indomani alle 17.30, appena tornata dal lavoro si presentò la signora Carli, mia madre la fece accomodare nella mia stanza ed iniziò a chiacchierare, mà, se tu chiacchieri non ho modo di spiegare nulla alla signora Carli e qui facciamo notte.

– No ci vuole molto Andrea, io ancora devo rientrare a casa, oggi ho avuto il rientro e se si fa troppo tardi restiamo senza cena.

Mia madre offesa disse: “ho capito, il genio deve salire in cattedra e io lo disturbo, me ne vado”

La Carli sorrise, piegò la testa aggiustandosi una cicca di capelli che aveva dinanzi al viso e si sedette all’angolo della scrivania, le calze frusciarono, quando accavallò le gambe e lo pacco si aprì leggermente mostrando la coscia ed il bordo della calza autoreggente. Mentre si caricava il sistema operativo, feci scorrere il mio sguardo su tutte le sue gambe di cui avevo un ottima panoramica, dalle scarpe con i tacchi a spillo, alle caviglie sottili, alle cosce, poi risalii, notando il seno rigoglioso che tendeva il maglioncino. Le labbra erano rese lucide dal rossetto erano invitanti, gli occhi castani apparivano un pò stanchi, ma esprimevano gioia.

Iniziai a configurare il computer e dopo 15 minuti era già collegato ad internet, lei frattanto si era avvicinata, il suo profumo mi inebriava, il suo alto era fresco e profumato, per vedere se aveva capito, le feci ripetere il collegamento, si posizionò dietro di me e quando si accostò il suo seno premeva contro le lie spalle, in quel momento per me sarebbe stato un problema alzarmi in piedi, il mio cazzo ormai in erezione era troppo visibile visto che indossavo la tuta.

– Senti Andrea.

– Mi dica signora Carli

– Signora Carli, così mi fai sentire vecchia, io ho solo 35 anni, chiamami Teresa.

Le donne, sapevo che aveva passato i 40, ma era bellissima, seducente e sentivo il calore del suo seno sule mie spalle.

– Ok, Teresa, chiedimi e farò qualunque cosa tu voglia.

– Ho acquistato una carta di credito di queste ricaricabili, ma ovviamente non so come acquistare on line, puoi farmi vedere come si fà.

Certo, tutti i siti come e-bay o Mr.Price, o qualunque altro effettui vendite on line, necessitano di una completa registrazione dei propri dati anagrafici per la creazione di un proprio account, in questo modo sarà creto un log-in personale con password che identificherà l’acquirente, dopo di che si potranno scegliere gli articoli, selezionandoli verranno inseriti in un carrello della spesa virtuale, poi a scelta terminata si passerà alla fase di acquisto con pagamento tramite carta o alla consegna.

– Sembra complicato.

– No, affatto. Entrai rapidamente su e-bay, ed iniziai a digitare i dati, scoprì così che aveva 42 anni, ma feci finta di nulla.

– Cosa cerchiamo?

– Abbigliamento donna, rispose lei decisa.

Appena apparve la lista della tipologia dei capi, lei disse: “No, non ci siamo, qui non c’è niente che mi serve”

Decisi di disconnettere il collegamento internet del portatile, ed entrai in rete con il mio computer tramite l’adsl, lanciai un paio di motori di ricerca, ma nessun tipo di vestiario sembrava interessarla.

Aprii una seconda finestra, e in un attimo di distrazione lanciai una ricerca di sexy shop, cliccai sul primo indirizzo ed entrai nell’abbigliamento donna.

– Teresa, mi sa che ho sbagliato sito, questo abbigliamento è un pò particolare.

– Umhh, interessante, resta, fammi vedere, forse qui posso trovare quello che cerco. Devo registrare subito i miei dati oppure prima posso dare un’occhiata.

– No, le conviene, scusa ti conviene guardare se c’è qualcosa che ti interessa e poi caso mai ti registri per effettuare l’acquisto. Senza schiodarmi dalla sedia, le dissi: vuoi essere lasciata sola? Non vorrei metterti in imbarazzo co la mia presenza.

– Temo che incasinerei tutto, ma …

– Non preoccuparti, nessuno saprà mai niente da me, un pò tutti prima o poi danno una sbirciatina siti che non confesserebbero mai di visitare e spesso sono io a rimuovere le tracce dai loro computer e i virus, prima che mogli, mariti, genitori e talvolta figli si accorgano che in casa non sono i soli a navigare in siti hard.

– Andrea, mio marito ha mai ..

– Teresa, non posso risponderti, se la stessa domanda me la rivolgesse lui sarebbe lo stesso, comunque guarda il mio computer, io ho acquistato solo il monitor e il tower, tutto il resto sono regali dei condomini, regali peraltro non richiesti con 72 famiglie qui nel palazzo quasi sempre non accetto nulla altrimenti sarei più fornito di un computer discount.

– Chiunque al tuo posto si farebbe pagare, tu rifiuti i regali e ho saputo che hai trattato in malo modo alcuni condomini che volevano duplicati dei programmi.

– Non voglio noie ci sono tanti programmi che costano poco se proprio non si vuole spendere c’è il linux.

– Andrea, se mi aiuti ti farò una sorpresina che non potrai rifiutare.

Quando pronuncio la frase “che non potrai rifiutare” forse voleva imitare il padrino, ma le usci una voce rauca e sensuale, che mi tolse il fiato.

– Teresa, cominciamo pure.

– Vedi, mi serve qualcosa per riaccendere il rapporto con mio marito, qualcosa che … lo scuota, voglio fargli dimenticare le chat e farlo interessare soltanto a me.

– Teresa, qui ci sono abiti lunghi sexy, mini abiti, divise e lingerie di tutti i tipi, quindi dobbiamo restringere la ricerca, al tipo dei capi, a quanti ne vuoi comprare e soprattutto a quanto vuoi spendere.

– No abiti lunghi no, vediamo i mini abiti e la lingerie, dimmi cosa intendi per divise?

– Se vuoi puoi trovare divise da collegiale, intanto cliccavo sopra le immagini per ingrandirle, da infermiera, da cameriera …

– No vediamo i mini abiti.

– Considera il fatto, che sono mini abiti da sexy shop, se vai in giro con questi se sei fortunata ti becchi una denuncia per oltraggio se sei sfortunata ti violentano.

– No scherzi, non li metterei mai per uscire, qui mi prenderebbero per una puttana.

Cominciai a farle vedere le foto.

– No, no questo no, questo è carino.

– Guardai l’immagine del mini abito trasparente in lurex, poi guardai lei immaginandola con quell’abitino, sospirai e deglutii a vuoto.

– Bene Andrea, dalla tua espressione capisco che la scelta è azzeccata, passiamo alla lingerie.

– Teresa come ai visto questo va senza niente sotto.

– Si ho visto, e se vorrò assomigliare di più alla modella dovrò depilarmi anche la fica, ma potrebbe essere divertente.

Il cazzo mi stava scoppiando, tremavo quasi per l’eccitazione, avrei voluto prenderla sbatterla sulla scrivania e scoparla all’istante, ma mia madre infilando la testa nella mia stanza chiese: “Teresa lo gradisci un caffè”, sovrapposi la pagina web del motore di ricerca e mia madre non si accorse di nulla.

Teresa, rifiutò il caffè e mia madre si allontanò.

– Su Andrea, sbrighiamoci se tua madre ci becca, tu ti prenderai qualche ceffone ma io sarò sputtanata in tutto il condominio. Passa alla lingerie.

La situazione si complicò a causa dell’enorme mole di lingerie,ma scartando subito pelle. latex e pvc, ci indirizzammo subito sui scelte più tradizionali, se così si può dire.

Cominciammo a navigare tra baby doll, body, coordinati, guepiere, perizoma, coulotte, sottovesti, string e tute, dopo circa 1 ora, aveva scelto un baby doll, una guepiere, una tuta a rete, e qualche string.

– Poi mi chiese tu cosa prenderesti? cosa pensi che potrebbe starmi meglio.

Scelsi un reggiseno che le avrebbe lasciato i seni completamente scoperti, un perizoma aperto, calze e reggicalze, poi passai alle scarpe le chiesi il numero del suo piede e le scelsi un paio di sandali con un tacco a spillo da 15 cm.

– Che ne pensi, Teresa li trovi interessanti? li metto nel carrello?

– Si li voglio, registrami che li compro, vedi in quanto consegnano e chiedi un pacco anonimo.

Eseguì le sue istruzioni e le assicurai che il pacco era anonimo, le confessai che la settimana scorsa avevo fatto un regalino alla mia ragazza, ma che lei si era offesa e mi aveva mollato. Arrivato al momento di inserire il numero della carta di credito, mi alzai dandole le spalle, per non farle vedere il mio cazzo teso fino allo spasimo, e le dissi di inserire i dati della carta mentre io mi assentavo un attimo, uscito dalla stanza corsi in bagno e mi sparai una sega, venni copiosamente, ma il cazzo non pago rimare duro, mi ripulii, mi tolsi la giacca della tuta e rientrai nella stanza tenendola davanti a me, mi sedetti sull’angolo della scrivania e la posai sulle gambe.

Teresa finì di confermare l’ordine, mise il suo portatile nella borsa, mi diede un bacio sulla guancia e si girò dicendomi: “Grazie, non tanto per la consulenza, ma per l’omaggio che ma hai reso recandoti in bagno, l’odore che ho appena sentito, mi ha fatto sentire ancora desiderabile … mi sa che a te una … beh, lo sa, non sia bastata, mentre lo rifai, pensa a me vestita con la lingerie che ho comprato”, mi lanciò un bacio e se ne andò.

Spensi il compuree e tornai in bagno mi infilai sotto la doccia, l’acqua fredda ed un’altra sega riuscirono a calmare il fuoco che Teresa aveva acceso in me, che fortuna aveva quello stronzo del marito e lui passava il suo tempo a chattare magari con delle racchie, mentre non si accorgeva sua moglie bruciava di passione ed aveva bisogno di attenzioni. Teresa era così calda che mi aveva sconvolto, volevo averla, ma non potevo, se mio padre un militare rigido e all’antica avesse avuto il minimo sentore che insidiavo una donna sposata, mi avrebbe cacciato di casa per sempre.

Erano passati alcuni giorni, non avevo più visto Teresa, ma io non riuscivo più a studiare, in palestra mi sottoponevo a serie massacrati con i pesi per evitare di pensarla, ma non serviva a nulla era diventata il mio chiodo fisso, continuavo a visitare i siti dei sexy shop immaginando Teresa indossare i vari completini sexy. Poi mi arrivò la notizia che un amico aveva avuto un incidente in moto fuori città, tra l’assistenza in ospedale dove il mio amico era stato trattenuto due giorni per accertamenti e il tempo occorsomi per recuperare quanto restava della moto, mitigò la mia ossessione. Il martedì pomeriggio vidi Teresa con un muso lungo entrare in ascensore per salire a casa sua, la salutai, ma lei sembrò non sentirmi. Tornato a casa mi misi a studiare fino a sera, non mi andava di vedere un’altra partita di coppa dopo che la mia squadra era stata eliminata, accesi il computer inserii un cd musicale e mi collegai ad internet iniziando una ricerca per stabilire una meta, ovviamente low-cost, per le mie vacanze, non sentì neanche suonare il campanello di casa, mia madre bussò alla mia porta e mi chiese: Andrea, sei presentabile”

– Si, sono in smoking.

– Non fare lo scemo, la tua stanza è presentabile.

– Si mà, sembra Beiurut dopo i bombardamenti, puoi entrare.

La porta si aprì ed entro mia madre seguita dalla signora Teresa, aveva in mano la valigetta con il portatile, indossava un’impermeabile leggera che la copriva dal collo alle ginocchia e calzava un paio scarpe con i tacchi a spillo.

– Scusa, Andrea ma temo di aver combinato un disastro nel computer e domani mi serve, se non sei impegnato con le partite potresti dargli un’occhiata?

-Certo, e non preoccuparti la partita non mi interessa.

– Io me ne vado, che ci troverete di tanto interessante in quelle trappole?

Mia madre uscì richiudendo la porta.

Presi il porta computer e lo adagiai sulla scrivania.

– Andrea, il computer non ha niente, volevo dirti che la spedizione mi è arrivata dopo 48 ore.

– Pacco anonimo, come descritto dalle condizioni di vendita, vero?

– Si, almeno questo è andato per il verso giusto.

– Perché, cosa è successo, la merce era difettata, hanno sbagliato articoli o la taglia?

– No, sabato pomeriggio, io e io marito eravamo in casa, allora sono andata in camera da letto ed ho indossato il mini abito in lurex e le scarpe che ho ora, senza niente sotto, sono andata in salotto dove mio marito era seduto sulla poltrona, e lui che fà, mi dice: “Teresa sei davanti la tv, non vedi che c’è l’anticipo”, ho riprovato tutta la domenica, ma sai il gran premio, le partite, il fottuto posticipo, controcampo, il lunedì il processo ed oggi la coppa, ma voi uomini non sapete che esiste qualcos’altro oltre lo sport, si slacciò la cintura dell’impermeabile e la fece scivolare al suolo, rimanendo con il mini abito in lurex.

In quel momento mi stavo sedendo, ma mancai la sedia crollando al suolo, senza staccare gli occhi dal suo seno, alto, sodo con i capezzoli già duri, la fica poi era uno spettacolo, la sua peluria castana era rasata a formare una piccola T, stavo per rialzarmi ma lei ancheggiando fece due passi, fermandosi con il piede destro all’altessa del mio inguine, poi alzò la gamba sinistra e posò la caviglia sopra la mia spalla.

Avevo una visione panoramica della sua fica, le labbra leggermente discoste, erano umide, era eccitata ed eccitante.

– Non potevo avvicinare la mia bocca a quel paradiso, senza farla cadere, con la mano destra le carezzai la gamba dal polpaccio fino alla coscia, con la mano sinistra iniziai a carezzarle la fica, introducendo poi il dito medio fino in fondo, e ritraendolo completamente bagnato.

Lei gemette di piacere, la musica riuscì a coprirlo, ma si rese conto che potevamo essere scoperti, allora indietreggiò e mi disse: “non possiamo è troppo pericoloso, potrebbero sentirci”

Mi rialzai ed abbracciandola, la baciai, le nostre lingue sembravano impazzite, con la mano cercai ancora la sua fica, ed iniziai a penetrarla con due dita, aumentando il ritmo, lei continuava a gemere anche se i miei baci li smorzavano un po’, estrassi le dita dalla fica e le infilai un dito ancora bagnato dai suoi umori nel culo, reagì prima mordendomi il labbro inferiore, poi succhiandoselo.

Mi sussurrò: ‘Desidero il tuo cazzo dentro di me, ma non oggi, non adesso”, si inginocchiò e contemporaneamente mi tirò giù i pantaloni della tuta ed il boxer, avviluppando con le sue labbra il mio cazzo, lo succhiò , lo lecco, dal glande fini alle palle, poi si infilo uno dei mie coglioni in bocca continuando a vellicarmi con la lingua lo scroto, con la mano destra frattanto continuava a menarmelo, non sapevo quanto avrei resistito, le accarezzavo le guance, i capelli, ma avrei voluto leccarla, mentre lei mi stava donando un piacere fino ad allora sconosciuto. La mia ragazza non mi aveva concesso che la fica e sempre dopo giorni e giorni di reiterati tentativi. Teresa mi stava succhiando l’anima, si infilò quasi tutto il mio cazzo in bocca, ne rimasi estasiato ed impressionato dalla sua capacità di accoglierlo, stavo ormai per venire e glielo sussurrai, lei aumentò il ritmo, ed io le sborrai in bocca più volte mentre lei continuava a succhiare era tanto il piacere che mi si piegavano le ginocchia e schizzai ancora. Il mio cazzo era ancora teso anche se aveva perduto un pò della sua baldanza.

– Bene Andrea, hai una buona tenuta e non sei ancora sazio, ma oggi non possiamo continuare.

– Teresa voglio scoparti, voglio assaggiare la tua fica.

– Ti prego Andrea, non ora è troppo pericoloso, ma fra 20 minuti inizia la partita, vieni a casa mia, mio marito è al bar con gli amici per tifare per la sua squadra.

Poi si voltò dandomi le spalle, allargò un po le gambe e le tenne rigide, si abbassò e raccolse l’impermeabile da terra, abbassandosi il mini abito si sollevò dandomi una panoramica della sua fica e del buco del culo, girò la testa verso di me dicendomi: “fra un po quello che hai appena visto sarà tuo”, poi rimettendosi l’impermeabile davanti la porta della mia stanza, mi sussurrò: “il mio culo è ancora vergine, Andrea”, poi uscendo a voce alta, mi chiese: “Visto che oggi è stato impossibile, potresti sistemarlo domani?”.

Frattanto mia madre sentendo aprire la porta della mia stanza, e la voce di Teresa ci aveva raggiunti.

– Sarò, felice di farlo, buonasera signora Teresa, dammi pure del tu Andrea, signora suo figlio è veramente gentile, scusi ancora l’intrusione.

Accompagnatala alla porta, mia madre tornò nella mia stanza, e mi disse: “Andrea, se domattina ti metti ad armeggiare al computer di Teresa, di pomeriggio studi è quasi una settimana che non tocchi libro” e ricordati che devi studiare gli esami si avvicinano.

– Mà, io esco vado a vedere la partita con gli amici.

– Ma che ci vai a fare se neanche gioca la tua squadra.

– Per tifare contro.

Una rapida doccia ed ero già fuori di casa, in tempo per vedere il futuro cornuto uscire con la sciarpa con i colori della sua squadra.

Stavo per suonare alla porta, quando questa si aprì, all’interno la luce era spenta.

– Entra e chiudi.

Non me lo lasciai dire due volte, mi chiusi la porta alle spalle e cercai di abbracciarla.

– Aspetta, abbiamo 105 minuti più eventuali supplementari, non avere fretta, seguimi.

Mi portò in salotto, l’unica luce nella stanza proveniva da un’enorme tv accesa, le squadre erano in campo, ma io avevo occhi solo per Teresa, adesso riuscivo a vederla, nella penombra.

Indossava la tutina a rete sembrava una tela di ragno, con aperture sul davanti e sull’inguine. Trovò finalmente uno scompartimento completamente vuoto, ancora ansimante, con le guance arrossate, appoggiò la borsa su un sedile, tolse il cappotto e lo ripiegò.
Dopo un fischio prolungato del capotreno, il treno si mosse e l’improvviso movimento la sbilanciò per un istante.
Si sedette con un tonfo poco aggraziato.
Guardò fuori dal finestrino le persone diventare sempre più piccine finché una curva le nascose del tutto alla sua vista.
Il viaggio sarebbe stato lungo, ma non le pesava.
Il cuore non voleva saperne di decelerare un i suoi battiti.
Esitò per un istante, poi andò a chiudere le tendine, assicurandosi un po’ di privacy.
Tornata al suo posto, prese la grossa borsa, tirò fuori il minibeauty da viaggio, i chewing-gum, le parole crociate e, finalmente, quel che desiderava: il nuovo romanzo di Lucy Graham, “Rito di passaggio”, uno scandalo annunciato, il best-seller dell’estate precedente appena uscito in versione pocket.
Ne aveva sentito parlare nei bagni della scuola, dalle sue compagne più esperte e sfacciate, ma non aveva mai osato acquistarlo.
L’aveva finalmente fatto quel giorno, nella libreria di una stazione di una città in cui era solo di passaggio, dove nessuno la conosceva.
Maledisse la propria timidezza e quella mentalità che sapeva essere retrograda e fuori moda.

E che cavolo, era l’anno Duemila anche per lei!

Come nelle barzellette, prima di andare alla cassa aveva preso da uno scaffale anche un volume di “Tutte le opere” di Shakespeare e, dopo aver pagato, non senza essere arrossita come un peperone, era quasi corsa via, come se fosse stata sul punto di perdere il treno.

Sì, proprio come aveva notato nel negozio, la copertina della raccolta shakespiriana calzava proprio a pennello sul libro di Lucy Graham!

Sorrise soddisfatta di sé: adesso, se anche fosse entrato qualcuno, non si sarebbe dovuta sentire in imbarazzo ma avrebbe potuto continuare a leggere tranquillamente!
Una volta a casa, naturalmente, avrebbe dovuto far sparire quel libro, se non avesse voluto far venire un infarto a sua madre, la quale, al contrario, sarebbe stata molto contenta di vedere la figlia prendere sul serio i suoi studi di letteratura.
E invece lei Shakespeare lo odiava.

Con un fremito d’anticipazione, saltò la prefazione e la biografia dell’autrice.
Non riuscì a staccare gli occhi dal testo per le prime trenta pagine; il romanzo era scritto in forma epistolare e narrava l’iniziazione erotica della giovanissima protagonista e della sua amica di penna francese.
Era ambientato in un esclusivo collegio femminile americano, gestito da due coniugi, che di metodo Montessori non avevano mai sentito parlare, ma che prendevano molto a cuore le loro studentesse più graziose.

Il contrasto con i primi baci rubati dietro qualche covone dell’amica francese era stridente: Lisa non avrebbe saputo dire quale delle due diverse esperienze bramava di più in quel momento.
Rinchiusa nel suo corpo di adolescente improvvisamente diventata donna, da tempo non riusciva più ad accontentarsi del solitario piacere che le sue dita avevano imparato a darle. Ascoltava con mal celata invidia i racconti delle prime esperienze delle sue amiche, chiedendosi quando sarebbe toccato a lei. Ormai viveva la propria verginità come un fardello. Aspettava solo la persona giusta, non il “principe azzurro”, qualcuno in sintonia con lei che riuscisse a intuire i pensieri che le frullavano in testa.

Il suo corpo, nel frattempo, cominciava a reagire a quegli stimoli, sentiva già le mutandine bagnate e il familiare odore dei propri umori…oppure si trattava solo di suggestione?

Quasi inconsapevolmente con una mano salì a sfiorarsi i capezzoli da sopra il maglioncino e li scoprì duri, eretti, in attesa di maggiori attenzioni.
L’autrice del libro si soffermava molto sulla sorpresa di Jeanne, alle prese con la scoperta della diversa anatomia maschile, così come sulle esperienze lesbiche della collegiale. Lisa cominciò ad immaginasi in analoghe circostanze…

“Queste cose accadono solo nei romanzi” – pensò con una punta d’amarezza mentre le tornava in mente il suo primo e unico bacio.

Lo aveva dato a Tommy Schneider, il figlio della sua insegnante di storia, durante una di quelle stupide feste a cui nessuno la invitava. E lui l’aveva baciata solo per pagar pegno. Glielo aveva detto subito dopo, ridendo, per non illuderla.

“Scusi, questo posto è libero?”

Fu un brusco risveglio per Lisa, che non riuscì ad impedire a se stessa di arrossire mentre balbettava un: “No!…cioè sì, non c’è seduto nessuno…”

Era uno di quei ragazzotti dall’aria di “giramondo sfaccendato”, come li chiamava sua madre. Alto, sui trent’anni, castano schiarito dal sole di chissà dove, la barba rada di qualche giorno, vestito casual che più casual non si poteva e con due occhi luminosi.

“Due fari blu sorridenti” – si sorprese a pensare, per poi correggersi – “Sciocca! I fari non sorridono!”

Strinse forte le gambe – “Dio, fa che non senta…che non si accorga dell’odore!”

Lui si libero’ del grosso zaino sollevandolo sul portapacchi, fece lo stesso con un voluminoso borsone, poi tolse il giaccone, lo appallottolò e lo gettò con noncuranza da una parte. Finalmente si sedette, allungando sul sedile di fronte i piedi, che calzavano delle logore Nike. Dopodichè dedicò tutta la sua attenzione alla graziosa vicina.

“Dove sei diretta?” – esordì.

Prima di entrare non si era accorto quanto lei fosse giovane. Adesso guardandola meglio si rese conto che era stata la pettinatura a sviarlo.
Lisa portava i capelli biondi legati e tirati su, come le ballerine classiche, ma qualche ciocca ribelle le era sfuggita e le ricadeva davanti agli occhi, di un bel colore nocciola. Il naso era spolverato di lentiggini che avevano assunto un colore buffo, quando era arrossita, poco prima. Due labbra carnose completavano il quadro.

Forse si era sentita a disagio per non essersi accorta della sua entrata, era così assorta nella lettura.

Shakespeare! Pero’…la ragazzina!

“A Templeton…” – Lisa esitò. Sua madre l’aveva sempre ammonita di non dare troppa confidenza agli sconosciuti, ma lei saggiamente pensò che in ogni caso il ragazzo l’avrebbe vista scendere. Anche se fosse stato un poco di buono lei ormai era lì, nello scompartimento con lui, con le tendine chiuse, sola, in balia di un ragazzotto di gran lunga più grande e grosso di lei…

Si affrettò a frenare il corso dei suoi pensieri, prima che la portasse troppo oltre, in un’area decisamente sconveniente.

“Sono stata a far visita a mio padre per le vacanze di Natale, e ora torno a casa.”

Lui annuì, sorrise come se avesse indovinato tutto quel che le era passato nella mente in quegli attimi.

“Templeton…Sì, ci sono stato. Posto noiosetto, non trovi?”

Si ritrovarono così a chiacchierare abbastanza piacevolmente: parlar male di un luogo, o di una persona è sempre il modo migliore per iniziare una conversazione. Odiare le stesse cose fa sentire vicini più dell’avere gli stessi interessi. Quando due persone amano entrambe la musica, ad esempio, scatta una sorta di gara a chi conosce meglio questo o quell’autore, o quell’opera, e il tutto si riduce ad un mero elenco di date, titoli, citazioni. Ma se è l’odio per qualcosa o qualcuno ad essere in comune, ciascuno a turno fa notare all’altro come sia detestabile o ridicolo questo o quell’aspetto della cosa, suscitando così ilarità e apprezzamento.

Ben presto Lisa dimenticò il libro e la sua piccola trasgressione e, persa in quegli occhi blu e in quel sorriso coinvolgente, si ritrovò molto più ciarliera di quanto non fosse mai stata; proprio lei, così timida e introversa..

L’uomo si rese conto di esercitare un certo fascino su quella ragazzina. Aveva cominciato a parlarle per noia e per gentilezza, nonostante non fosse precisamente dell’umore ideale per conversare. Il suo non era un viaggio di piacere: era un insegnante e stava raggiungendo la sede in cui lo avevano appena trasferito. Era un po’ seccato di dover lasciare la famiglia e gli amici e aveva scelto quello scompartimento proprio perché c’era solo quella ragazza dall’aria troppo timida per essere una rompiscatole come quella tardona che lo aveva abbordato appena salito sul treno.

Man mano che chiacchieravano, Lisa si scioglieva, sorrideva sempre più spesso e lui era ammaliato da quei dentini bianchi, quasi quanto dal suo gesticolare animato.

“Quanti anni hai?”

“Diciotto” – si sorprese a mentire prontamente. Stavolta riuscì perfino a non arrossire.

Non sapeva bene perché l’avesse fatto, forse semplicemente perché non voleva che lui la considerasse una ragazzina.
Senza essere visto lui la osservò meglio: indossava dei jeans e un maglioncino con il collo a V, che le metteva in evidenza il seno, pur senza essere scollato. Era snella ma non troppo. Con un certo sollievo notò anche i suoi stivali, stretti, senza l’ormai consueta “zeppa” cui la moda delle ragazze di quell’età lo aveva tristemente abituato.

Si era sempre domandato cosa ci fosse di così sexy nei piedi alla Homer Simpson che tutte loro ostentavano da un paio d’anni.
Dal canto suo Lisa non poteva credere che quell’uomo si stesse interessando a lei. Certo, era la sua unica compagna di viaggio, ma sembrava ascoltarla davvero e non le era mai capitato prima.

Si ritrovò a parlargli di sé, del proprio amore per il disegno, per il cinema, dell’odio per la cioccolata e il pomodoro, della fobia per le lucertole. Quando arrivò l’ora di pranzo nessuno dei due aveva voglia di andare nella carrozza ristorante, sicuramente invasa dagli altri viaggiatori. Preferirono condividere una scatola di biscotti, un’aranciata che lui aveva con sé e un paio di panini che la moglie di suo padre le aveva dato per il viaggio.

Fu quasi un picnic.

Mancava ormai solo mezz’ora all’arrivo in stazione. I binari costeggiavano il mare poco distante e il sole sembrava essere sul punto di tuffarsi nel blu.

Una strana tristezza assalì entrambi: sapevano che si sarebbero separati per sempre da lì a poco.

Lei non aveva certo il coraggio di chiedergli l’indirizzo o il numero di telefono. Si limitò a guardare fuori, intristita e silenziosa.

La monotonia dello sferragliare del treno subì una strana variazione: il treno stava frenando e si stava fermando.

Si scambiarono uno sguardo sorpreso: la stazione era ancora lontana.

L’altoparlante diede una risposta ai loro dubbi: “Ci scusiamo con i signori viaggiatori, ma si è verificato un guasto e siamo costretti a fermarci. Dalla stazione di Templeton stanno arrivando i tecnici. Prevediamo un ritardo di circa due ore.”

Un brusio seccato si levo’ dagli altri scompartimenti, mitigato dall’annuncio successivo: non erano costretti a rimanere a bordo del treno, ma potevano scendere e sgranchirsi le gambe; poco distante da lì c’erano un ristorante e un piccolo negozio raggiungibili a piedi.

La maggioranza dei passeggeri cominciò a defluire lentamente dal treno, avviandosi verso i vicini edifici.

“Vuoi scendere anche tu, Lisa?”

Lei scosse il capo: “Non mi sono mai piaciuti i luoghi troppo affollati, e ho idea che quel posto presto lo sarà.”

“Non parlavo del ristorante…ti va di andare… al mare?”

Gli occhi le si illuminarono di stupore e piacere. Guardò l’orologio; dopo tutto avevano almeno un paio d’ore da trascorrere fermi lì.

“Perché non trascorrerle in spiaggia?” – concluse lui con un sorriso, quasi le avesse letto nel pensiero.

Attraversarono un breve tratto di strada in direzione del mare e ben presto il terreno sotto i loro piedi cominciò a cedere il posto alla sabbia. L’odore della salsedine si fece sempre più forte. Erano usciti senza indossare i cappotti e un lieve venticello li faceva rabbrividire sebbene non fosse una sensazione del tutto spiacevole.

Non c’era nessuno: erano stati gli unici a preferire il mare al caldo rifugio del punto di ristoro. Come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, si ritrovarono a camminare mano nella mano. Gli stivali non erano il genere di calzatura più adatto per passeggiate nella sabbia, così ad un certo punto Lisa si sedette a terra e se li sfilarlo’. Anche lui fece lo stesso con le proprie scarpe.

“Era tanto che desideravo farlo” – spiegò lui – “Quasi non ricordavo più la sensazione della sabbia sotto i piedi nudi. Andiamo sul bagnasciuga? Chi arriva per ultimo paga pegno!”

Corsero come due bambini verso il mare tenendosi per mano e ridendo per la pura gioia di essere lì, in quel momento, insieme.

Ad un certo punto lui inciampò, o forse fu lei a perdere l’equilibrio. Si ritrovarono insieme per terra.
Lui la strinse teneramente, si guardarono negli occhi e continuarono a ridere, incuranti della sabbia sui vestiti, sui capelli, dappertutto.

Poi qualcosa cambiò, lui le accarezzò il viso con una mano e avvicinò la bocca a quella di lei.

“Sta per baciarmi sta per baciarmi sta per…” – Lisa era incredula e felice.

Morbide, le sue labbra erano stranamente morbide.

Lui si limitò a premerle leggermente contro le sue, le lasciava la scelta di rendere casto quel bacio o di spingersi oltre.

Lo guardò. Aveva gli occhi socchiusi, ne sentiva il respiro accelerato adesso che erano così vicini.
La stava abbracciando, ma sentiva che avrebbe potuto divincolarsi in qualsiasi momento.

Ma Lisa non voleva andare.

Aveva aspettato fin troppo tempo che accadesse.

La barba pizzicava un po’ ma era morbida. Allungò una mano ad accarezzarla e socchiuse le labbra. Era il segnale. Lui la sfiorò con la lingua, piano, lasciandole sentire l’alito caldo sulla bocca. Poi d’improvviso la baciò con passione, stringendola più forte a sé.

Le mani di lui la percorsero tutta, insinuandosi sotto il maglioncino, mentre la sospingeva sotto di sé, mescolando il suo corpo alla sabbia ruvida, e compensando con la morbidezza delle sue labbra.

Lisa sentiva un calore incredibile e la stessa bramosia di lui di scoprire, toccare, esplorare. I suoi capezzoli erano talmente eretti da farle quasi male sotto quelle mani gentili ma esigenti.

Come se l’avesse intuito sostituì le mani alla bocca.

Lisa si sentì come stordita. Riusciva soltanto a sentire le onde e i gabbiani. Quel ronzio nelle orecchie edoveva essere il suo sangue che rombava nelle vene.

Si accorse a malapena di lui che le sfilava jeans e le mutandine. Avvertiva ogni millimetro del percorso di quella bocca sulla sua pelle, come una colata lavica su un bosco. Si sentiva incendiare.

Le labbra di lui arrivarono infine alla meta: si tuffarono in quel cespuglio dorato e morbido.
Lisa non riuscì a trattenere un gemito di piacere: non aveva mai sentito nulla del genere. D’istinto allargò le gambe e spinse in avanti il bacino per facilitargli i movimenti.

Lui affondò la testa e cominciò a leccarla in profondità, cercando di penetrarla con la lingua per raccogliere i suoi abbondanti umori.

Era strettissima. Lui si eccitò ancor di più quando si rese conto che lei fosse vergine. Raddoppiò i suoi sforzi per darle piacere, torturandole il clitoride, finché non resistette più.

Fu sopra di lei, i pantaloni sbottonati, il pene durissimo pulsante di desiderio.

“Vuoi, Lisa?” – la sua voce era roca, quasi titubante. Lei era ormai andata oltre per riuscire a fermarsi; per tutta risposta lo baciò, protendendo il bacino in avanti.

Lo sentì entrare piano. Lui osservava il suo volto e quando si accorse di una piccola smorfia di dolore, andò più a fondo e poi uscì, con delicatezza. Poi la penetrò di nuovo. Continuò così finché tornò a leggere sul suo viso nuovamente piacere.

Quel corpo caldo e ricettivo sotto di lui lo aveva eccitato troppo, la scoperta della sua verginità: sentiva di essere sul punto di esplodere. Accelerò il ritmo, con colpi sempre più profondi. Con le mani le stringeva le natiche, come per aprirla ancor di più.

Lisa gemette, si inarcoò istintivamente, facendosi sommergere dalla marea di piacere, fino all’urlo finale.

Lui riuscì ad uscire dal suo corpo giusto in tempo, inondandole la pelle di sperma. Poi si accasciò su di lei, esausto.

Rimasero in silenzio per un momento, ansimanti, immersi dal piacere delle sensazioni appena provate. Poi lui le diede un tenero bacio sulla guancia.

“E’ stato incredibile, Lisa… ”

“Era la prima volta…”

“Lo so.” – sorrise – “Spero di essere stato degno della situazione.”

Lei rimase divertita da quella frase: “Non avevo mai provato niente di simile prima, nemmeno quando mi…”

S’interruppe, bloccata da un improvviso attacco di timidezza. Ma lui fu veloce a toglierla dall’imbarazzo: la baciò con estrema la dolcezza. Poi la aiutò a pulirsi e a rivestirsi, dandole dei fazzoletti per asciugare il poco sangue che aveva perso.

Rimasero lì, abbracciati, accarezzati dal vento ad ascoltare il rumore delle onde, e adesso a lui quel corpo che stringeva sembrava così fragile, indifeso.

Due fischi prolungati del treno li ridestarono. Fino a quel momento il resto del mondo era rimasto come sospeso intorno a loro. Adesso li richiamava a sé.

Si scrollarono la sabbia di dosso riacquistando un’aria presentabile e s’incamminarono verso il treno mano nella mano.

Lisa si sentiva un po’ dolorante e un po’ stordita.

Era salita su quel treno era eccitatissima per uno stupido libro, adesso aveva fatto l’amore con un uomo, un uomo vero, non uno di quei ragazzotti che Jeanne baciava dietro i covoni di grano!

Dal canto suo, lui era ancora incredulo per la piega che avevano preso gli eventi. Non aveva avuto alcuna intenzione di fare sesso con quella ragazzina, anche se era carina e gli piaceva molto… Cominciava a sentirsi in colpa: dopo tutto lei era vergine prima di incontrare lui.

“Oh cazzo, una diciottenne! Le sarò sembrato un vecchio porco libidinoso…” – pensò mentre salivano sul treno.

La gente cominciava a tornare, sembrava che il guasto fosse stato riparato anche prima del previsto.

Lisa sentiva il cuore batterle a mille, avrebbe voluto dire tante cose ma tutte le sembravano sbagliate. Non sapeva come comportarsi, era la prima volta che si trovava in quella situazione.
Lo sbirciò di sottecchi: il suo viso era tirato e immaginò che si sentisse in imbarazzo. Forse il suo timore era che la ragazzina gli si incollasse addosso, magari pregandolo di far di lei una donna onesta.

Rise dentro di sé per quel pensiero buffo, rinfrancata dal suo disagio che la faceva sentire un po’ meno deficiente.

Il viaggio le sembrò durare pochi secondi; tanti erano i pensieri che si susseguivano nella sua mente, mentre cercava di ricordare le nuove sensazioni provate e di fissarle perennemente nella sua memoria.
Avrebbe sempre voluto ricordare ogni singolo gesto, sospiro, carezza.

L’indolenzimento che sentiva nelle parti basse era un dolce memento…

Trasalì quando il treno fischiò, arrivando in stazione.
Finalmente i loro sguardi si incontrarono.

“Come ti chiami?” – gli chiese resaso conto che erano ormai vicini all’addio.

Lui scarabocchiò qualcosa su un pezzo di carta e glielo porse.
Aveva un’aria colpevole, contrita, o almeno così sembrò a Lisa.

“Martin” – lesse a bassa voce.

C’era anche un numero di telefono, un cellulare.

Scendendo dal treno Lisa ripeté ancora una volta dentro di sé il nome, sapendo che non l’avrebbe mai dimenticato. Mi chiamo Teresa, ho trentotto anni e un figlio di diciotto, Stefano.
Sono divorziata e, dopo un paio di storie non proprio esaltanti, ho deciso di dedicarmi completamente a lui.
Stefano è un ragazzo un po’ introverso con pochi amici, non frequenta ragazze che io sappia. Ogni tanto gli chiedo se ha delle amiche o se ha la ragazza ma lui diventa rosso, farfuglia qualcosa, insomma è un bel timidone.
Qualche volta la sera, quando resta solo a vedere la televisione, mi accorgo che va alla ricerca di film erotici e la cosa mi intenerisce.
Un pomeriggio, mettendo in ordine la sua stanza, trovai in fondo all’armadio un pacco di giornali pornografici.
“Questo è troppo!” – mi dissi – “Un conto è un film con la Fenech ma questi giornalacci proprio no. Quando torna mi sente!”
Presi il pacco di riviste e le portai con me in cucina per fargli una solenne ramanzina.
Stefano era in ritardo così presi una delle riviste e cominciai a sfogliarla. Non ne avevo mai viste in vita mia ed in verità ero un po’ curiosa.
Non immaginavo di vedere certe cose, pensavo ci fossero dei nudi, ma quella era roba da maniaci: donne che lo prendevano in bocca, che leccavano altre donne…insomma tutte cose che mai avrei osato immaginare. Ero veramente scandalizzata.
Dopo un po’, sbollita la rabbia, sentii però che, anche se schifose, quelle cose mi stavano eccitando. Non capivo neanch’io perché, ma a quelle scene così esplicite mi fecero bagnare fra le gambe. Non riuscivo a smettere di sfogliare quelle riviste, i capezzoli erano diventati duri da farmi male. Senza sapere neanche io cosa stessi facendo mi infilai una mano dentro gli slip e cominciai a masturbarmi. Non lo avevo mai fatto, neanche da ragazza. La mia mano ormai si muoveva da sola senza controllo.
Venni in un modo indescrivibile. Non avevo mai goduto tanto.
Quando mi ripresi ero tutta sconvolta. Mi vergognai di quello che era successo. Se poi fosse rientrato Stefano e mi avesse trovata in quello stato sarebbe stato ancora più drammatico.
Dovevo rimettermi in ordine. Decisi di rimandare la ramanzina ad un’altra volta; rimisi le riviste al loro posto e andai in bagno a rinfrescarmi.
Stefano rientrò un quarto d’ora dopo. Sebbene fossi ancora un po’ frastornata cercai di far finta di nulla. Parlammo del più e del meno poi, con la scusa del mal di testa, me ne andai a letto e lasciai Stefano da solo a vedere la televisione.
Nei giorni successivi, quando Stefano era fuori, presi ad andare in camera sua a leggere quelle riviste. Ogni tanto ne trovavo di nuove. Guardavo e continuavo a masturbarmi furiosamente cercando sempre l’eccitazione proibita della prima volta.
Un giorno, cercando nel solito posto scoprii che le riviste erano sparite. Cominciai allora a rovistare dappertutto con una strana ansia addosso. Finalmente le trovai in fondo ad un cassetto. Tirai un sospiro di sollievo.
Analizzando dopo a mente fredda quanto mi era appena successo mi resi conto che la cosa stava diventando un terribile vizio, una cosa di cui non potevo fare a meno. Non riuscivo più a privarmene.
Una volta capitò pure che Stefano rientrasse un attimo dopo aver finito di rimettere a posto le sue riviste.
“Lasci sempre la camera in disordine” – dissi a mezza voce, per giustificare la mia presenza nella sua stanza – “Cerca d’essere un po’ più ordinato!”.
Le cose andarono avanti così da un paio di mesi, finchè, una notte d’estate, alzatami per andare a bere, vidi che in camera di Stefano c’era ancora la luce accesa. Pensai che si fosse addormentato e avesse dimenticato di spegnerla, così aprii piano la porta per non far rumore.
Rimasi sconvolta dalla scena che mi trovai davanti: mio figlio era sul letto nudo con una rivista in una mano mentre con l’altra si stava menando l’uccello.
Stupita ed affascinata allo stesso tempo, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella scena.
Stefano ad un certo punto si accorse di essere osservato, abbassò il giornale e mi vide. Sorpreso in quella situazione compromettente cercò di coprirsi farfugliando qualcosa.
Mi sentivo in colpa per aver violato la sua privacy, così mi avvicinai e dolcemente gli sussurrai – “Dai, non ti vergognerai mica di tua madre? Non c’è niente di male… Lo fanno tutti…”.
Il suo cazzo un po’ per lo spavento un po’ per la vergogna aveva perso la sua erezione.
“Scusa l’intrusione…pensavo ti fossi addormentato con la luce accesa. Continua pure tranquillamente e non preoccuparti per la tua mamma. Te l’ho detto: è una cosa normale che fanno tutti” – cercai di rincuorarlo sedendomi sul letto accanto a lui.
Per tentare di sdrammatizare iniziai a dargli dei pizzicotti sulle cosce. E scherzando gli dissi: “Non vorrai lasciare il tuo pisellino insoddisfatto”.
Sempre così, per gioco, allungai la mano sul suo pacco, glielo afferrai e lo agitai un po’.
“Dai mamma! Su! Mi vergogno…” – disse ridendo – “…dici davvero che lo fanno tutti?”
“Certo!” – risposi – “Tutti.”
“Anche tu?” – La domanda mi prese alla sprovvista, lo guardai negli occhi senza sapere che rispondere.
“Si…anche la tua mamma guardando quei giornaletti si tocca la micina…e…le piace tanto!” – mi arresi decidendo di confessargli tutto.
Ci guardammo un po’ in silenzio. Avrei dovuto alzarmi e tornare a letto ma…si era creata una strana atmosfera elettrica, un clima di complicità; in fondo a tutte e due piaceva fare la stessa cosa…
Senza quasi rendermi conto di quel che stavo per dire gli proposi: “Vuoi che lo facciamo insieme?”
Mi guardò sorpreso: “Sì mamma…mi piacerebbe tanto”.
“Allora spostati! Fammi posto sul letto!” – lo esortai, decisa.
Stefano si spostò un po’ di lato. Mi tolsi la camicia da notte, mi sfilai le mutandine e mi sdraiai a fianco a lui, poi aprii le gambe e iniziai a masturbarmi lentamente.
Nel frattempo il cazzo del mio ometto Stefano era tornato di nuovo duro. Anche lui cominciò a toccarsi e, mentre si masturbava, con la mano libera cominciò ad accarezzarmi la coscia.
Venne quasi subito con potenti schizzi che finirono anche sulla mia pancia.
Il contatto con il suo seme bollente mi mandò in estasi e in pochi istanti venni anch’io.
Ci stringemmo teneramente a riprendere fiato. Gli sussurrai all’orecchio: “La prossima volta che ti servono soldi per quelle riviste chiedili pure alla tua mamma”.
Da quel giorno diventammo complici: Stefano ogni tanto mi chiedeva dei soldi extra – “Tu sai per cosa” – mi diceva facendomi l’occhiolino.
La sera stessa trovavo una rivista nuova sotto il cuscino.
L’idea che nella stanza a fianco alla mia mio figlio facesse le stesse cose che facevo io moltiplicava la mia eccitazione.
Una mattina, in bagno, avevo appena fatta la doccia e mi stavo asciugando quando entrò Stefano.
“Scusa” – tentò di giustificarsi – “non sapevo che eri in bagno”
“Entra pure…ho finito, esco subito”
Si appoggiò al lavandino e si fermò a guardarmi: “Lo sai mamma che sei proprio bella, molto meglio delle ragazze che sono sulle riviste”
Il complimento mi fece piacere. Gli chiesi allora: “E ti faccio anche lo stesso effetto?”
“Giudica tu!!” – rispose indicandomi la patta del pigiama che effettivamente era gonfia.
“Ti ci vuole una bella doccia fredda per mettere a riposo il tuo soldatino” – gli dissi sorridendo.
“Conosco un modo più piacevole…” – fece lui con un sorriso sornione mentre si toglieva il pigiama.
“Ho capito…prendo l’accappatoio e ti lascio solo..”
“No, non te ne andare! Vieni un po’ qui, fatti abbracciare” – mi prese la mano e mi abbracciò stretto – “Sei davvero molto bella…sai?”
Il suo uccello duro premeva contro la mia pancia. Non sapevo cosa fare. Non volevo cacciarlo bruscamente, ma nemmeno desideravo che la situazione ci sfuggisse di mano.
Mi scostai un po’. Guardando il suo uccello e gli dissi scherzando: “La situazione sta peggiorando se non intervieni subito rischia d’esplodere”
“Mi fa male per quanto è duro…ed è tutta colpa tua!”
Glielo accarezzai leggermente: era duro come un pezzo di legno.
Al tocco della mia mano iniziò a gemere: “Mhhhh…continua mamma, ti prego! Così…è molto più bello…”
Iniziò ad accarezzarmi la schiena.
Non sapevo che fare. Mi dissi che in fondo non c’era nulla di male…la cosa non mi dispiaceva affatto.
Lui iniziò a tormentarmi un capezzolo.
“Guarda che così ecciti anche me” – dissi con voce roca.
Passò allora la mano sulla mia pancia e iniziò a carezzarmi le cosce.
Capii dove voleva arrivare…aprii un po’ le gambe e gli aprii la strada per carezzarmi la figa.
Ci stavamo ormai masturbando lentamente ma con lo stesso ritmo.
“E’ bellissimo mamma! Non ti fermare” – mi sussurrò con il fiato corto.
Aumentai il ritmo e lui con me. Venne con un gemito soffocato, lo sentii inondarmi di schizzi la pancia fino al petto. Allora strinsi le gambe con forza e venni anch’io.
Eravamo esausti. Tremavano le gambe a entrambi. Mi sedetti sul bordo della vasca e lo feci sedere in braccio.
“Dovrò rifarmi la doccia” – gli dissi indicando il suo sperma – “Dove la tenevi tutta questa roba?”
“Te l’ho detto, è tutta colpa tua!”
“La prossima volta allora dovrò chiudere la porta del bagno… Ora esci un attimo e fammi rimettere in ordine!”
Non accennammo più a quanto successo in bagno quella volta, anche se continuavamo a scambiarci le riviste porno.
Finché una sera, dopo cena, Stefano mi disse: “Sai mamma mi hanno prestato un filmino porno…Ti va di vederlo?”
“Com’è?” – risposi un po’ vaga cercando di non far trasparire che la cosa mi incuriosiva da matti.
“Non saprei, non l’ho ancora visto” – mi rispose – “L’amico che me l’ha prestato dice che c’è un po’ di tutto. Domattina devo riportarglielo perché è di suo fratello e lo rivuole indietro”
“Va bene” – feci io ridendo – “Stasera ci daremo alla pazza gioia”.
Stefano era tutto eccitato e anch’io non ero da meno.
“Potremmo vederlo al televisore in camera tua” – disse lui – “staremo più comodi”
“Ma non c’è il videoregistratore!”
“Possiamo usare quello del salotto. Ci vogliono solo dieci minuti. Eviteremo che i vicini sentano qualcosa…” – incalzò
La cosa mi convinse. Il salotto confinava con quello dei nostri vicini, due vecchi noiosissimi. La mia camera invece era fra il salotto e la camera di Stefano e dava all’esterno del palazzo.
Mi tolsi i vestiti, rimanendo in mutande e maglietta. Stefano trafficò un po’ con i fili poi, tutto soddisfatto, disse: “Fatto! Siamo pronti”
Si tolse i jeans e la maglietta, infilò la cassetta nel videoregistratore e si mise sul letto accanto a me.
Eravamo entrambi seduti contro la spalliera del letto impazienti e curiosi di scoprire cosa ci aspettava.
Il film iniziò. Non c’era una vera trama ma le scene erano veramente forti. Vedere in video cose che normalmente avevo visto sulle riviste mi faceva uno strano effetto.
Mi voltai a guardare Stefano: era tutto rosso in viso, gli occhi fissi allo schermo e una vistosa erezione che gli premeva nelle mutande.
“Non ti eccitare troppo!” – dissi per tentare di calmarlo un po’
“Il film è lungo…Ti massaggio un po’ la schiena?” – mi disse Stefano.
“Sì da bravo” – gli risposi.
Mi sedetti davanti a lui e lo lasciai accarezzarmi dolcemente le spalle da sotto la maglietta.
Ad un certo punto si bloccò: “Scusa mamma…ma le mutande mi stanno dando troppo fastidio. Me le devo togliere.”
Rimase nudo a massaggiarsi l’uccello.
“Capisco” – risposi – “Anche le mie non sono più di alcuna utilità: sto bagnando il lenzuolo”
Ero proprio partita per dirla terra terra.
La cassetta intanto andava avanti e ogni scena era più eccitante della precedente.
Stefano si stava toccando lentamente guardando il film in estasi.
Decisi di spogliarmi completamente e anch’io cominciai a stuzzicarmi stringendomi i capezzoli. La cosa mi dette una sferzata di piacere.
“Ti piace proprio!” – mi sussurrò Stefano in un orecchio mentre con una mano cominciò a massaggiarmi la pancia.
“Togli quella mano per piacere o stavolta non rispondo di me” – lo implorai.
Per tutta risposta Stefano iniziò a baciarmi sulla spalla poi sul seno.
Ero ormai incapace di fermarlo: iniziò a baciarmi la pancia poi scese lentamente più giù, mise la testa fra le mie gambe e iniziò a leccarmi.
Mi sentii morire: ormai non esisteva nient’altro che il selvaggio desiderio di godere.
Allungai la mano e afferrai il cazzo del mio ometto che aveva ormai assunto dimensioni indescrivibili.
Lentamente mi girai per raggiungere con la bocca il suo bastone e iniziai a baciarglielo.
“Mi fai morire, mamma…” – riuscì a sussurrare fra i gemiti.
In men che non si dica con un movimento deciso mi sdraiò sul letto e si posizionò su di me.
Iniziò a penetrarmi lentamente. Sentivo la sua carne premere contro la mia.
I nostri sguardi si incrociarono carichi di passione.
Ogni mia resistenza era ormai svanita. In pochi attimi mi ritrovai intenta a farmi scopare e a rispondere con gemiti incontrollati ai suoi colpi possenti.
Non so quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui ero stata posseduta in quel modo…forse mai…non ci sono parole per descrivere la follia di quel piacere e il piacere di quella follia.
In quel folle delirio ebbi un attimo di lucidità: “Non puoi venirmi dentro!”
“Girati allora. Voglio prenderti da dietro” – mi sussurrò con dolcezza.
“Sì…ma fai piano…non mi fare male” – dissi un po’ titubante.
Mi girai e mi misi in ginocchio. Con le mani divaricai il sedere. Stefano poggiò il suo uccello sul mio forellino e iniziò a spingere lentamente.
Fece un po’ fatica ma poi, piano piano, cominciò ad entrare. Mi sentii letteralmente aprire in due, era la sensazione che stavo cercando.
Le sue spinte da lente e dolci divennero sempre più decise e furiose.
Mentre lui era intento a sbattermi da dietro, con una mano mi masturbavo senza ritegno.
Infine lo sentii venire. Il suo sperma bollente mi allagò l’intestino.
Era troppo anche per me: venni anch’io con un orgasmo sconquassante che mi mandò in estasi. Mi chiamo Stefano, ho 18 anni e, da quando i miei genitori hanno divorziato, vivo con mia madre, Teresa.
Mio padre non lo vedo quasi mai. Non siamo mai andati molto d’accordo, mentre con mia madre mi trovo bene. A volte è un po’ rompipalle, però fra noi c’è abbastanza confidenza.
Frequento il liceo scientifico della mia città e, per quanto sia io che i miei amici proviamo a familiarizzare con le nostre compagne di scuola, loro non ci si filano per niente: escono solo con quelli più grandi di noi e ci trattano come ragazzini.
Io e miei amici ci sfoghiamo quindi usando la fantasia, immaginando cosa faremmo a una o all’altra ma, soprattutto, siamo grandi consumatori di riviste pornografiche che ci scambiamo per economizzare sulle nostre magre finanze.
Son sicuro che mia madre si incazzerebbe di brutto se trovasse le mie riviste porno. Così, dopo tanto pensare, le ho nascoste nel mio armadio, fra le cose della palestra, dove mia madre non va mai a guardare.
La notte poi, quando sono sicuro che lei dorme, ne tiro fuori una e mi faccio una bella sega con tutta calma.
Un giorno mentre con i miei amici stavamo facendo i soliti discorsi sulle nostre fantasie erotiche, Marco se né uscì dicendo che in assoluto quella che più lo mandava fuori di testa era mia madre.
Le sue parole mi lasciarono stupito: non avevo mai pensato a mia madre dal quel punto di vista. Ma poi, a ragionarci bene, convenni che mia madre era effettivamente una bella donna.
Da quel giorno cercai di sbirciare quando accavallava le gambe, quando la mattina girava in camicia da notte o mentre si vestiva ma, pur non essendo mia madre una puritana oltre la sua schiena nuda non ero mai riuscito a vedere. Il sesso non era un tabù, parlavamo apertamente di sesso anzi lei spesso mi rompeva le balle chiedendomi se conoscevo ragazze, se avevo la ragazza ecc.
Ero comunque preoccupato per le mie riviste. Puritana o no, ero sicuro che se me le avesse beccate avrei passato un brutto quarto d’ora.
Una volta ebbi la sensazione che non fossero come le avevo lasciate la volta prima. Preso dalla paura cambiai posto: le misi nel cassetto dei maglioni invernali. Essendo estate, mia madre non avrebbe aperto quel cassetto per qualche mese.
Qualche notte dopo accadde quello che non avrei mai osato immaginare.
Faceva caldo e mia madre era già andata a dormire da un paio d’ore. Avevo beccato sul solito canale un film cretino ma pieno di tette e di culi.
Ero abbastanza eccitato. Andai in camera mia, chiusi la porta e presi una rivista. Dopo essermi spogliato mi sdraiai sul letto e guardando due donne se la leccavano a vicenda iniziai a masturbarmi lentamente.
A me piace farlo con calma, non mi piace venire subito, voglio gustarmi la cosa senza troppa fretta.
Quella volta però, sentii che qualcosa non andava. Abbassai la rivista e mi ritrovai sulla porta mia madre intenta a guardarmi.
Mi venne un colpo, l’uccello mi si ammosciò in un attimo.
“Adesso chi la sente! Sai che ramanzina!” – pensai cercando di coprirmi. Ero veramente imbarazzato, mi vergognavo come un ladro.
Con mia grande sorpresa mia madre invece di incazzarsi sembrava dispiaciuta.
Mi disse che credeva mi fossi addormentato con la luce accesa, che aveva fatto piano per non svegliarmi.
Si sedette sul letto e cominciò a dirmi che non c’era niente di male in quello che stavo facendo, che lo facevano tutti. Cercava di rincuorarmi. Si era resa conto che mi ero preso un bello spavento. Poi cominciò a darmi i pizzicotti e a farmi il solletico per sdrammatizzare. Infine, vedendomi sollevato, mi disse che tornava a dormire e che avrei potuto continuare pure. Nell’alzarsi, scherzando, mi prese anche l’uccello fra il pollice e l’indice e me lo sbatacchiò un po’ ripetendomi che era una cosa del tutto normale.
Osai allora chiederle, se era vero che lo facessero tutti, se lo faceva anche lei.
“Ora m’arriva una sberla” – pensai.
Con mia grande sorpresa invece mi rispose che non solo lo faceva ma che le piacevano anche le riviste porno.
L’idea che mia madre si masturbasse nella stanza a fianco alla mia mi turbò e mi eccitò allo stesso tempo.
Guardai mia madre con altri occhi. Lei mi sorrideva e mi guardava con la stessa complicità di quella volta in cui avevamo fatto fuori un barattolo di Nutella alle due di notte.
Poi, sempre con fare complice, mi chiese se voleva che lo facessimo insieme.
Non potevo crederci! Sembrava un sogno!
Mi disse di fargli posto sul letto, poi si spogliò, si sdraiò accanto a me, si mise una mano fra le gambe e cominciò a masturbarsi.
Il mio uccello si risvegliò di colpo, iniziai a darci dentro guardando mia madre con la coda dell’occhio.
Venni schizzando una quantità di sperma mai vista bagnando anche mia madre.
Lei venne un’istante dopo.
Mi sentivo sfinito: mia madre mi carezzava la guancia, sentivo il suo odore, mi sembrava di galleggiare su una nuvola.
Prima di tornare a letto mi disse pure che mi avrebbe dato lei i soldi per comprare le riviste porno.
Rimasto solo non riuscivo a prendere sonno. Pensavo e ripensavo a quello che era capitato e mi sentivo ancora su di giri.
Mi masturbai di nuovo. Poi, finalmente, riuscii ad addormentarmi.
Da quel giorno il nostro rapportò cambiò. Eravamo in grande confidenza, ogni tanto le chiedevo dei soldi extra e la sera le lasciavo la rivista appena comprata sotto il cuscino. L’idea che la sfogliasse masturbandosi nella stanza a fianco alla mia mi faceva impazzire.
La mattina successiva con un sorriso sornione mi chiedeva se avessi dormito bene.
Le cose andarono avanti così per un po’ finché una mattina entrando in bagno trovai mia madre nuda che si asciugava dopo la doccia.
Mi disse di restare, che aveva quasi finito. Era la prima volta che la vedevo alla luce del giorno in tutta il suo splendore.
Le dissi che la trovavo molto bella, più di quelle ragazze delle riviste.
Ripensandoci poteva non essere quel gran complimento che pensavo, ma mia madre gradì. Anzi, mi chiese se mi facesse effetto.
Fu allora che le mostrai la patta del pigiama: avevo un’erezione niente male.
Lei ci scherzò su dicendomi di farmi una doccia ma io le risposi che c’era un sistema più piacevole per risolvere il problema.
Lei rise e, mentre mi toglievo il pigiama mi augurò buon divertimento. Poi prese l’accappatoio e fece per uscire.
La pregai di restare e l’abbracciai ripetendogli che molto bella; non volevo che se ne andasse.
La stringevo forte a me con l’uccello schiacciato sulla sua pancia provando sensazioni mai immaginate.
Lei però dopo un po’ si scostò e sempre scherzando mi disse che dovevo sbrigarmi se no mi scoppiava.
Mi carezzò i capelli e poi mi sfiorò leggermente il cazzo. L’implorai di non fermarsi.
Lei mi guardò, era perplessa. Poi, forse impietosita dal mio stato, cominciò a masturbarmi lentamente.
Mi sentivo al settimo cielo. Cominciai ad accarezzarle la schiena, i fianchi…infine osai stringerle un capezzolo.
Sentivo che si stava eccitando anche lei. Feci scivolare giù la mano e le accarezzai le cosce.
Lei in tutta risposta aprì leggermente le gambe facendomi strada verso la sua figa.
Non potevo crederci! Iniziai a carezzarle la figa.
Mi sentivo in paradiso…davo e ricevevo…aumentammo pian piano il ritmo finchè io venni tremando.
Pochi istanti dopo mia madre strinse le gambe e iniziò a venire anche lei.
Non mi reggevo in piedi. Ci sedemmo sulla vasca esausti.
Mia madre fece qualche battutina sulla quantità del mio sperma e mi chiese di lasciarla sola per rimettersi in ordine.
Dopo quello che era successo mi sentivo sempre più strano.
Non riuscivo a concentrarmi su niente, mi sentivo sempre eccitato e con i miei amici non riuscivo più a parlar d’altro se non di sesso.
Desideravo ardentemente che si ripresentasse l’occasione per masturbarci insieme ma avevo anche paura che se avessi esagerato mia madre ponesse fine a tutto.
Così pensa che ti ripensa alla fine ebbi un’idea.
Chiesi a Marco di prestarmi uno dei video hard che suo fratello possedeva.
Lui mi rispose che non se parlava neanche, che se suo fratello se ne fosse accorto l’avrebbe gonfiato di botte.
Dopo numerose insistenze e con la promessa che glielo avrei riportato la mattina dopo alla fine lo convinsi.
La mattina seguente Marco, con fare da complice, mi passò di nascosto dagli altri una cassetta.
Gli chiesi com’era e mi disse che era un’antologia, c’era un po’ di tutto, si raccomandò comunque di riportargliela la mattina successiva.
Lo rassicurai pregustando una serata molto eccitante.
Una volta a casa non sapevo come dirlo a mia madre. Poi dopo cena, cercando di essere disinvolto, le dissi che mi avevano prestato una cassetta porno e se le interessava vederla.
Lei non sembrò molto turbata, mi chiese com’era e infine poi acconsentì.
Le proposi allora di portare il videoregistratore in camera sua con la scusa che i vicini avrebbero potuto sentire.
La cosa la convinse.
Iniziai a trasferire il videoregistratore in camera di mia madre.
Lei arrivò dopo un po’. Indossava una maglietta e gli slip.
Infilai la cassetta, mi tolsi i jeans e la polo e saltai sul letto.
Il film era veramente tosto, erano tutti episodi singoli.
Nel primo una ragazza scopava con due uomini, nel secondo due lesbiche si scambiavano attenzioni, c’era anche un episodio con un travestito.
L’uccello negli slip mi stava scoppiando. Mia madre dal canto suo deglutiva a fatica tenendo gli occhi fissi sullo schermo.
Avevo voglia di toccarla ma non volevo rovinare tutto. Le proposi di farle un massaggio sulla schiena, lei acconsentì e si sedette davanti a me.
Avevo una voglia di schiacciargli l’uccello fra le chiappe ma mi trattenni e mi limitai a carezzarle la schiena.
Il contatto con la sua pelle moltiplicò la mia eccitazione. Ad un certo punto le chiesi se potevo togliermi gli slip perché mi davano fastidio.
Mi rispose che anche i suoi erano diventati inutili perché stava bagnando il lenzuolo.
Sentire da lei quella frase mi eccitò da matti.
Cominciai a carezzarmi l’uccello lentamente mentre il film continuava con episodi sempre più spinti.
Ad un certo punto mia madre si tolse la maglietta e le mutande e cominciò a pizzicarsi capezzoli.
Era il momento di agire. Mi avvicinai e le sussurrai parole eccitate all’orecchio intanto con la mano scesi a carezzarle la pancia.
Mi implorò di fermarmi perché non era in condizione di rispondere di se stessa. Non aspettavo altro: iniziai a baciarle la spalla, poi il seno, il capezzolo. Lei gemeva ma non accennava a farmi smettere. Mi feci coraggio e scesi con la testa fra le sue gambe e iniziai e leccarle l’interno delle cosce e la figa.
Era la prima volta che lo facevo ma da come mugolava mia madre non dovevo cavarmela male.
Poi lei mi prese sotto le braccia e mi tirò su e cominciò a baciarmi l’uccello, eravamo proprio partiti.
Ma non volevo venire in quel modo, così la feci sdraiare, le montai sopra e glielo misi dentro.
Ragazzi che favola!
Era la cosa più bella che mi fosse capitata. Cominciai a possederla con sempre più forza, ma ad un certo punto lei mi bloccò: non voleva che le venissi dentro.
Non ci avevo proprio pensato, non volevo che finisse così. Mi feci coraggio e osai chiederle di girarsi perché volevo prenderla da dietro.
Lei eccitata com’era non se lo fece dire due volte si inginocchiò con la testa sul cuscino e con le mani si allargò le chiappe offrendomi un panorama mozzafiato.
Mi Chiese di fare piano.
Era meno facile di quanto pensassi, ma dopo un paio di tentativi iniziò ad entrare.
A fatica mantenni la promessa di fare piano, avevo voglia di sfondarla.
Quando fu entrato tutto iniziai a muovermi cercando sempre di contenermi.
Poi non resistetti più ed iniziai a dare colpi su colpi come se non ci fosse più un domani.
Non resistetti molto, venni tremando abbracciato a mia madre.

Il giorno dopo, come promesso, restituii la cassetta a Marco che mi chiese se mi era piaciuta.
“Non immagini quanto!” – risposi. Quello era il primo anno che andavo ferie con il mio ragazzo: avevamo pochi soldi e optammo per la tenda.
Una mia amica mi aveva raccontato cose folli: “La tenda avrà un effetto erotico sul tuo Gio! Il fatto di sapere che qualcuno fuori delle tenda possa sentire tutto, vedrai, lo ecciterà al punto da dargli la carica e di farti urlare. So quant’è dotato Gio. Sai, in piscina al club, ho potuto notare attraverso lo slip minuscolo le dimensioni del suo ferro! Dai Jenny! Se vuoi il fuoco procurati la tenda e via…all’Elba se ne diranno di belle su Gio e Jenny”
Mi adeguai e fu così che decidemmo per la tenda.
Non sto a raccontare il montaggio della tenda la prima sera, arrivati tardi, al buio. Dormimmo sotto le stelle, nel sacco a pelo ed io mi persi “la prima notte in tenda.
Ma non è tutto.
Non avevo fatto i conti con il blocco dello stimolo del mio Gio!
Infatti la seconda sera dopo una pizza fantastica e qualche bicchiere di buon vino rientrammo al campeggio.
Il mio Gio era eccitato, allegro, mi abbracciava sul viottolo che ci portava alla pineta del campeggio; indossava una T-shirt e pantaloncini corti aderenti come una seconda pelle.
In pizzeria tutti ammiravano i suoi muscoli delle braccia che lui mostrava di proposito per farsi ammirare: era il più bel fusto di tutti fusti!
Un atleta come Gio anche oggi non è comune a vedersi; lo avevo scelto con cura.
Mentre tornavamo alla tenda, nel buio, di tanto in tanto mi abbracciava e mi faceva sentire il gonfiore del suo membro sul mio addome lasciato nudo dal semplice top che indossavo.
Mi sussurrava: “Jenny sono contento di avere una ragazza come te! Tutti ti guardavano, pensa fra qualche giorno quando sarai abbronzata! Dai corriamo in tenda voglio……. ti voglio e basta!”
E mi baciava…erano tremendi i suoi baci, i cosiddetti “french kiss” degli americani….mmmmh!
Anche adesso, il mio Gio mi bacia la bocca e le labbra, tutte, in un modo che mi toglie il respiro.
Arrivammo finalmente alla nostra tenda, entrammo a fatica, un po’ brilli per la verità.
Lui in un attimo era nudo, me ne accorsi al buio, sentendo il caldo del suo grosso membro contro la mia schiena nuda, e dei suoi muscoli pettorali lisci e potenti sotto la mia mano.
Mi afferrò alla vita, iniziò a strapparmi la leggerissima minigonna ed il top. Portavo un perizoma veramente minuscolo che lui letteralmente stracciò.
Nudi, nudi. Sì: nudi ed eccitati.
Gio aveva cominciato a leccarmi il collo, poi a baciarmi il seno, a mordicchiarmi i capezzoli a toccarmi tutta mentre io cercavo di stringere con le mani i suoi muscoli, di graffiargli la schiena.
Ma io lo volevo vedere!
“Accendi la lampada, voglio guardarti. Sdraiati, accendi la luce, voglio vedere il tuo fantastico torace pieno di muscoli. Oggi in spiaggia mi eccitavano, tutti ti guardavano…..fatti vedere!”
Lui accese la luce.
Il mio sguardo correva sul suo corpo sdraiato ed il colore rosso, fioco dei raggi della lampada rendevano più drammatico e possente quel fusto, tutto mio: una montagna di muscoli perfetti e guizzanti, leggermente sudati brillavano solo per me.
Lui era consapevole e si eccitava sapendo che io mi eccitavo a guardarlo.
Pensavo e speravo che qualcuno fuori sentisse, e che tutto questo desse una carica particolare in più al mio Gio…invece ad un tratto mi sussurrò quasi spaventato: “Spegni, ci vedono, la tenda sarà trasparente! Ci vedono!”
“E allora?”
“Come allora? scusa dai non mi sembra che…. io… insomma!”
Non ci crederete: avete presente la banana e la buccia della banana? Ecco, mi trovai con in mano la buccia. La banana era sparita e io non l’avevo nemmeno assaggiata!
Gio spense la luce.
Mi buttai su di lui, lo baciai, mi strusciai, ero in calore come una gatta. Iniziavo a fare sentire i miei sospiri, lo desideravo, ma lui…mi respinse, mi disse che forse eravamo un po’ brilli.
“Domani Jenny, domani. Dai, fa la brava. Ti sentono! Cosa pensi che diranno?”
La rabbia mi montò fino alla punta dei capelli!
Mi misi attorno ai fianchi un asciugamano ed uscii al buio. Stizzita, mi sedetti su una seggiolina alla luce fioca di una luce della piazzola accanto dove c’era una grande tenda.
Presi un lattina di coca. Ero ancora eccitata, avevo bisogno di fare l’amore, mi sentivo la fichetta umida, le labbra gonfie per il desiderio, i capezzoli duri non capivo se per la brezza o per la rabbia o per la voglia repressa!
Mi passavo una mano sul seno destro e con l’altra quasi senza rendermi conto me la ritrovai tra le gambe iniziando a masturbarmi. Scorreva libera sulla zona dove non c’era più il triangolino di pelo perché il mio Gio mi aveva rasata perfettamente, poi più giù, più intimamente…mi toccavo la mia “asticciola”, come dicevamo con Gio, eccitata e veramente dura. Mi sentivo bagnata ma anche arrabbiata.
Iniziai a piangere dalla rabbia
“Stronzo e timido!” – pensavo – “non ti conoscevo così! Che disastro di vacanze abbiamo cominciato!”
Ad un tratto sentii una presenza alle mie spalle. Troppo tardi: due mani forti e dure mi avevano afferrata alle spalle.
Mi sentii sollevare e girare; una bocca iniziò a baciarmi con passione.
Avevo paura, sentivo odore di maschio, di sudore, come quello che sento normalmente in palestra quando si allenano due o più uomini e si sfidano in prove di forza emettendo umori quasi come animali in lotta!
La paura aveva avuto il sopravvento sulla eccitazione. Sentii le braccia lunghe e forti di quell’uomo che mi stringevano alla vita con dolcezza, il mio viso era schiacciato contro il suo le sue labbra mi cercavano, la sua lingua lottava contro la mia.
Insomma per farla breve mi trovai dentro alla tenda della piazzola vicino alla nostra, alla luce rossastra di una lampada forse a petrolio
Quell’uomo si scostò un attimo e ci guardammo.
Ero nuovamente eccitata, al punto da tremare. Lui molto più anziano di Gio, forse 45 o 47 anni, abbronzatissimo, nudo, petto villoso asciutto e muscoloso, gambe lunghe magre ed atletiche, mi osservava con desiderio e passione.
Mi sussurrò: “Tu sei Jenny, quel ragazzone continuava a chiamarti oggi sulla spiaggia. Ti allontanavi dalla spiaggia in mare e lui a chiamarti e poi ancora a chiederti di asciugarti, di non scottarti al sole…che rompipalle! E adesso lui dorme e tu che fai? …Posso?”
Si avvicinò nuovamente a me, prendendomi fra le sue braccia forti con dolcezza e poi….. e poi?
Quell’uomo ci sapeva davvero fare: mi portò a terra sul materassino con lui. Eravamo entrambi nudi. Mi sentii penetrare con decisione ma dolcemente, fino in fondo. Il suo membro era lungo e durissimo, lo chiamerei “secco” se mi capite cosa voglio dire!
Mi venne spontaneo di fare dei paragoni con Gio!
Maledizione Jenny, mai fare paragoni in quei momenti, specie sulle prestazioni.
Ma quell’uomo mi fece di tutto. Pensava solo a cercare di soddisfare me, era come una competizione con se stesso per darsi e poi trattenersi, per non lasciare che tutto terminasse…forse voleva farmi vedere che un uomo maturo è meglio di un giovane? Chi lo sa?
Tutto durò almeno quaranta minuti credo, ero eccitata e non più brilla e partecipavo eccome.
Lui, abilissimo, mi leccava, mi penetrava, mi rovesciava per prendermi da dietro, poi mi metteva il suo membro fra le tettine e mi sussurrava: “Hai le più belle tette del mondo, dure e gonfie come…. sei bella!”
E poi ancora lo strofinava sui capelli e la cosa mi faceva impazzire.
Tutto questo alla luce debole di quella maledetta lampada!
Infine mi sussurrò: “Te lo metto nel culetto!”
“No!!!” – urlai quasi.
“Siii…ti apro in due! Non crederai che ci possa rinunciare…senti che bel culetto duro…. che cosce!”
“Ti prego, non farlo!” – lo implorai
“Siii, dimmi che lo vuoi!!”
Lentamente, grazie alle sue calde carezze, cominciai a cedere…
“Mhhhhh, ti prego, mettimelo dentro… nel culetto, ma adagio!”
Non mi ero accorta, ma probabilmente non stavamo sussurrando e poi quella luce!
Forse le nostre figure stavano facendo lo spettacolo delle ombre cinesi!
Smisi di pensare. Non ce la facevo più, quell’uomo non mi lasciava tregua, era instancabile, avevo già avuto due orgasmi, in silenzio, serrando le labbra per non gridare, stringendo le cosce per tenere fermo quel tizzone di fuoco che era l’uccello, duro lungo e “secco”, che mi pompava senza tregua.
Mi afferrò con forza inaudita alle spalle e mi ribaltò sul materassino. Mi prese da dietro alla vita sollevandomi e mettendomi in ginocchio. Lui dietro a me, lievemente piegato su di me. Le sue mani si spostarono alle mie spalle, e poi…il suo membro duro e lungo, ma non enorme, ma molto lungo e duro, mi si appoggiò in mezzo ai glutei. Lo sentivo umido, ero sudata, una spinta, trattenni un urlo mordendomi le labbra…ricordai quando con Gio facevamo “l’esercizio speciale”, come lo chiamavamo, per favorire la penetrazione.
Mi rilassai e lo aiutai anche per non sentire troppo male. Ddopo un qualche istante… Ragazze, se non avete mai provato, peggio per voi!
Lo sentivo bene, mi piaceva, ad ogni affondo mi mancava il respiro, mi piangevano gli occhi dal piacere incontrollato.
Poi lui mi esplose dentro. Lo sentii rantolare sopra le mie spalle. Si afflosciò con tutto il suo corpo nudo sulla mia schiena.
E poi? poi tutto finì, dolcemente, ci rilassammo, sul materassino di gomma a riprendere fiato.
Mi baciava con dolcezza accarezzandomi il viso.
Fissai quella luce maledetta, quella lampada. Mi venne da piangere, forse per il rimorso.
Mi fece segno con la testa: “Vai torna da lui, Jenny, vai, buona notte!”
Raccolsi il mio asciugamani e me lo avvolsi attorno al corpo, come uno scialle. Mi precipitai fuori dalla tenda, due passi, eccomi di nuova da Gio, la zip della nostra tenda aperta.
Mi infilai silenziosa come un gatto. La luce si accese.
Gio ancora nudo mi fissava, eccitato, sdraiato su un fianco, il suo membro enorme, come lo conoscevo, mi fece sobbalzare: si era caricato.
“Vi ho sentiti, ti ha fatto…sei la solita! …vieni da me Jenny, ora non ho più paura che ci sentano. Ti faccio vedere io chi è il migliore maschio del mondo”
“Spengo la luce?” domandai
“No! Deve vedere. Urlerai come una gatta in calore!”
“Fammi impazzire! Eccomi! Prendimi, sono tua!”
L’idea che l’altro fosse là nella sua tenda a sbirciare ancora, come Gio poco prima mi eccitava.
La mia amica aveva ragione, mi sentivo un calore dentro. Le vigorose braccia di Gio mi stritolavano, i suoi muscoli caldi, duri, fortissimi lisci, la sua bocca che mi cercava. Mi bloccò i polsi, con le spalle a terra, poi iniziò con le mani a toccarmi dappertutto.
Mi faceva impazzire l’idea dell’altro che sentiva e vedeva le nostre ombre.
“Gio Gio Gio, siii toccami, fatti sentire cosiiiii, i tuoi muscoli, sei duro, uhhhhh è grosso enorme, il suo non è niente…. scopami, in bocca siii, mhhhh come è duro, eccccooooo si ancora, stringimi ancora di piùùùùùùù, mettimelo dentro daiiii!”
Mi penetrò a fondo. Non potei che constatare che il Gio aveva un cazzo enorme che mi riempiva bene, caldo e duro. Mi pompava, le sue braccai mi stringevano, le sue gambe avvinghiate alle mie. Ormai eravamo uniti strettamente, lo carezzavo come potevo mentre le sue mani mi avevano afferrato i glutei.
“Sai come si chiama il bel tenebroso della tenda accanto?”
“No, non mi interessa, si chiama Nessuno, tu sei l’unico, non……”
“Dimmi che non ti interessa, che sei mia, dimmi che sono io il tuo maschio!”
Mi prese per due ore di fila. Alla fine volle che gli spegnessi la sua enorme candela, un gioco che mi piace da matti: mi penetrava con la sua verga su cui ero seduta. Ci guardavamo alla luce della torcia ormai si stava esaurendo.
Lo cavalcavo come una forsennata, aumentando il ritmo. Sudavamo, sentivo l’odore del corpo di Nessuno che ancora avevo addosso mescolarsi con quello del mio maschio, del mio Gio. Impazzivo di gioia, fino a che, esausta, mi sono accasciata sul suo corpo mentre lui e non più Nessuno, godeva dentro di me.
Il nostro orgasmo fu completo e lunghissimo, Gio rimase dentro di me a lungo, fino che sentii che si stava assopendo. Mi staccai da lui, ma le sue braccia mi raggiunsero e mi strinsero fino quasi a farmi svenire: “Stai qui, dove vai, non andare via, stai con me!”
Dormimmo, finalmente. La mattina ci svegliammo perché la luce del sole penetrava dalla cerniera della tenda rimasta aperta.
Cercai con lo sguardo la tenda del mio assalitore, ma non c’era più nessuno
Quell’uomo misterioso era già partito temendo forse le ire di Gio, o forse era stato un sogno.
Mi alzai a fatica, mi accorsi che dietro….un bruciore, proprio là fra i glutei…
Da allora, credetemi, non ho più tradito il Mio Gio. “Enrico! Non sapevo che fossi qui!”
Elena era appena entrata nella cabina della sauna, sorprendendo il figlio diciottenne della sua amica, disteso tranquillamente sulla panca.

Enrico si alzò di scatto sulla panca: “Mi scusi, signora Federici, avrei dovuto chiedere prima di usare la sauna” – rispose imbarazzato.

Elena scosse la mano per rassicurarlo: “Sciocchezze! Ti avevo detto, appena arrivato, che per queste due settimane con noi la nostra casa sarebbe stata la tua casa. E ovviamente anche la sauna.”

Riaprì la porta per uscire: “Ritornerò quando avrai finito.”

“Oh…no, signora Federici…non voglio mandarla via.”

Elena richiuse la porta: “Bene, è sempre carino avere da chiacchierare mentre ci si fa una bella sudata sebbene qualcuno preferisca stare da solo.”

“Non per me” – rispose con fare sicuro, sebbene il suo leggero nervosismo tradisse il suo imbarazzo.

Non aveva previsto che la madre di Gianni potesse venire nella sauna, ed in quel momento indossava solo un paio di pantaloncini da ginnastica bianchi.

“Benissimo” – rise Elena – “Un ragazzo carino come te non può avere nulla da nascondere.”

Lo disse mentre annuiva sorridendo.
Enrico, imbarazzato, si sentì avvampare. Cercò in tutti i modi di darsi un contegno.

Elena distese un telo da bagno multicolore nella panca, accanto ad Enrico.
Era in piedi davanti ad lui e distrattamente slacciò la cintura del suo accappatoio bianco: “E poi, io sono vestita ancora meno di te!”
Detto questo, afferrò i bordi dell’accappatoio e fissando gli occhi il ragazzo, allargò lentamente l’accappatoio mostrando il suo corpo coperto solo da un piccolo bikini.

Gli occhi del ragazzo si spalancarono involontariamente, la sua bocca si aprì visibilmente.
Elena sorrise, continuando a fissarlo per parecchi secondi. Poi si tolse l’indumento dalle spalle, lasciandolo cadere a terra.

Enrico era estasiato da quel corpo incredibile vestito solo di un piccolissimo bikini giallo. Il colore brillante faceva contrasto con la pelle liscia ed abbronzata, leggermente olivastra.

Era bellissima.

Sebbene la signora fosse sopra i quaranta, con quel fisico sembrava molto più giovane.
Il suo viso era dolce e caldo, gli occhi scuri scintillanti e delle labbra sensuali. I capelli erano neri, senza colori artificiali.
Non era alta, ma veramente ben proporzionata: il fisico poteva essere quello di una trentenne. Qualsiasi uomo si sarebbe voltato al suo passaggio.

“Hey, Enrico, sei diventato muto? Ti piace il mio bikini? O credi che sia troppo piccolo?” – civettuò Elena, passandosi la mano tra i capelli.

Rimase in piedi di fronte a lui, aspettando la risposta.

Lui, con evidente imbarazzo, riuscì solo a farfugliare: “Hmm…è un po’ piccolo…signora Federici ma…le sta benissimo.”

“Sono contenta che ti piaccia.” – rispose mentre si sedeva – “Mio marito adora questo costume, ed è meglio che sia così, dato quello che mi è costato!”

Lo guardò negli occhi da vicino: “A dire il vero a lui gli piace qualsiasi cosa metta in mostra le mie tette…” – disse infilando le dita sotto le sottilissime spalline del reggiseno e tirandole un po’.

Il ragazzo tossì incredulo: non poteva credere che avesse pronunciato quelle parole. Tette?

“In effetti, ” – continuò imperterrita – ” si può dire che in una donna guardi solo quello….”
Fece una pausa.

“Da come mi guardi, credo che anche tu sia come lui!”

“Signora Federici!” – esclamò imbarazzato.

Lei rise di gusto, raccolse il telo e cominciò ad asciugarsi il sudore che ormai iniziava a formarsi sul viso. Era sempre in piedi di fronte a lui.
Rimise a posto il telo sulla panca accanto al ragazzo e si sedette rivolta verso di lui. Incrociò le belle gambe come per un gesto di seduzione. Mise una mano sul ginocchio del ragazzo: “Nessuno problema, Enrico, so già che alla maggior parte dei ragazzi piacciono le donne con le tette grandi. Anche a mio figlio. Me l’ha perfino detto.”

Poi si piegò verso di lui per sussurrargli nell’orecchio: “…ma il tuo segreto sarà al sicuro con me.”

Era tutto vero: fin da quando l’aveva vista la prima volta, aveva sempre osservato di sottecchi le sue tette. Elena aveva veramente un seno incredibile, non soltanto per dimensioni. Fin dall’adolescenza Elena aveva sempre avuto un seno scultoreo. Poi, con il tempo era diventato anche grandissimo. Da almeno vent’anni era abituata ad attirare gli sguardi di tutti gli uomini che incontrava.
Ed il bikini che indossava ora copriva a malapena le areole scure attorno ai capezzoli.

Non che il resto del corpo fosse da meno: vita stretta, fianchi soffici ed arrotondati, pancia piatta e gambe lunghe, slanciate e soprattutto lisce come seta.

Elena prese ancora una volta tra le dita i lacci del reggiseno e li tirò per metterselo a posto: “Di solito mi sento sempre a posto con il fisico, ma a volte i reggiseni sono veramente troppo piccoli, specialmente questo. Credo che non sia male da vedere, ma a volte fa un po’ male.”
Armeggiò ancora con i lacci del reggiseno, con una smorfia nel viso.

Poi guardò Enrico negli occhi: “Mi sta veramente dando noia, non so perché…ti offendi se me lo tolgo?”

Enrico era scioccato: “Non dovrebbe farlo, signora Federici!” – sbottò senza controllarsi.

“Non dovrei forse…ma con il tuo permesso” – disse senza dare importanza alla cosa.

“Sta diventando veramente scomodo.”

“Beh…” disse Enrico indeciso.

“Allora va bene!” – rispose lei, togliendoli ogni altra possibilità di scelta.

Lentamente, fissandolo sempre negli occhi, portò entrambe le mani dietro la schiena e sganciò il reggiseno.
Le sue enormi tette balzarono in avanti.

“Ah…ora va molto meglio!” – disse sollevata. Si sfilò completamente il reggiseno.

Sorridendo, lo lasciò cadere sulle cosce di Enrico: “Sei libero di guardarmi, ma attento a non consumarti gli occhi.”

Gli occhi di Enrico vagavano su quelle fantastiche forme ormai esposte senza vergogna. Le enormi tette sporgevano in avanti con le punte a cono, terminavano meravigliosamente con i capezzoli completamente eretti, circondati da due perfette areole scure. Gli occhi gli rimasero fissi su quei capezzoli turgidi, che sembrava chiamassero delle dita a stuzzicarli.

“Dio!” – mormorò involontariamente.

Notando che Enrico aveva lo sguardo praticamente ipnotizzato, lo fece mettere più comodo prendendogli le spalle e spingendole indietro verso lo schienale della panca, mentre sporgendo le tette in avanti gli sfiorava il torace. Poi si mise le mani sui fianchi per mettere ancora più in evidenza le sue tette: “Sì, sono convinta: ti piacciono.” – disse con complicità.

Il ragazzo non disse nulla, continuò a guardare un po’ imbarazzato.
Lei sorrideva.
Si avvicinò ancora a lui, improvvisamente seria, si guardò le tette che nel frattempo si erano coperte di sudore, si pizzicò appena i capezzoli eretti: “Hai buon gusto, sono tutte naturali.”

Si alzò in piedi, fece un passo indietro, sempre guardandolo.

“La nudità è un qualcosa di cui non bisogna vergognarsi, Enrico, è una cosa naturale.” – Dicendo questo, prese con le dita i lacci delle mutandine del bikini e se le abbassò sulle gambe, mostrando un soffice e nerissimo triangolo tra le cosce.

Se le tolse del tutto: “Come vedi, non sono per nulla timida!”

Si girò di 180 gradi e lasciò che il ragazzo esaminasse il suo fantastico e sodo sedere. Poi si girò ancora, guardandolo negli occhi.

“Sarò anche vecchia, ma faccio ginnastica tutti i giorni e sono orgogliosa del mio corpo.”

Si passò la mano sui capelli: “E’ proprio bello, non credi?”

Enrico si sgranchì nervosamente le spalle. Non aveva mai sentito porre una domanda più retorica. Il suo pensiero era che fosse incredibilmente bella e desiderabile, mentre posava senza vergogna di fronte a lui. Non poteva credere che fosse completamente nuda, ad un metro davanti a lui. Era imbarazzato anche perché sentiva che un’enorme erezione stava crescendo dentro i suoi pantaloncini.

Pregò che non se ne accorgesse: “Signora Federici, lei è la più bella donna che abbia mai visto.”

Elena sorrise radiosa: “Sono felice che lo pensi.”

Gli strizzò l’occhio: “Devo sentirmelo dire di tanto in tanto.”
Stirò le braccia sopra la testa: “Mi piace essere nuda. Mi fa sentire libera e viva. Sai, Enrico? Mi sento perfettamente a mio agio ad essere nuda di fronte a te. Guardami pure finché vuoi. Non essere imbarazzato, io non lo sono.”

“Beh, devo ammettere che ci metterò un po’ di tempo ad abituarmi” – rispose Enrico.

Elena sorrise. “Credo di capirti. Sei giovane e scommetto che gli ormoni si stanno scatenando.”

Si inginocchiò di fronte a lui, con le mani appoggiate sulle sue cosce. Le strinse appena, con tocco lieve.

“Scommetto che la vista del mio corpo nudo ti ha fatto andare su di giri!”

Continuava a stringere le cosce del ragazzo, con le mani che scorrevano verso le anche. Guardò in basso, verso il grosso gonfiore che tendeva in pantaloncini. Spalancò gli occhi e deglutì.

“Davvero su di giri…Enrico, ti ho fatto venire un’erezione!”

Prese con le dita l’elastico dei pantaloncini, e lo tese: “Ti ho mostrato le mie cose, ora devi mostrarmi le tue.”

Il ragazzo era semplicemente paralizzato. Era come se lei l’avesse ipnotizzato. Benché avesse così vergogna della situazione e avrebbe voluto scapparsene via, tutto quello che riusciva a fare era di girare la testa per non incontrare lo sguardo di Elena. Era come se si togliesse la responsabilità per quello che lei stava per fare.

Elena cominciò ad abbassare i pantaloncini lentamente. Poi li abbassò del tutto, come se la curiosità avesse preso il sopravvento.
Il pene rigidissimo balzò fuori d’un tratto, puntando verso il soffitto. Gli occhi di lei si spalancarono meravigliati.
Gli sorrise e lo guardò negli occhi: “Questo si chiama cazzo!” – disse quasi in adorazione.

“Enrico…” – sussurrò ancora guardando fisso verso il basso – “…le signore devono stare ben attente a un attrezzo del genere.”

Abbassò ancora i pantaloncini fino alle cosce, stringendo ancora con le dita morbide le gambe del ragazzo.
Sempre inginocchiata di fronte a lui, guardò ancora quell’incredibile enorme oggetto, che la faceva ribollire tutta.

“Quasi non ci credo…” – mormorò. Guardo ancora Enrico negli occhi, sussurrando: “Credevo che mio marito avesse un cazzo grosso, ma sembra un bambino al confronto tuo!”

Gli occhi di Elena continuavano a spostarsi dal pene di Enrico ai suoi occhi. Lo guardò sorridendo dolcemente, e fissandolo negli occhi abbassò il viso portando le labbra sulla punta di quell’arnese per baciarlo delicatamente.

Elena si tirò nuovamente indietro per tornare ad ammirare quel pene enorme. Si vedevano le goccioline di saliva rimaste sulla punta. Il tocco delle sue labbra sul ragazzo aveva avuto l’effetto di uno shock elettrico.

“Delizioso” disse.

Si alzò in piedi lentamente di fronte a lui, prendendogli le spalle con le mani per farlo alzare.

“Vieni con me!” lo incitò. Aprì la porta della sauna e prendendolo per le mani tutte sudate lo tirò a se. Quella donna voluttuosa, lussuriosa e sicura di sé camminò spedita, portandosi dietro quel ragazzo con un’erezione spropositata, per tutta la casa. Attraversò l’ingresso, le scale e infine la camera da letto padronale.
Lo guidò nel bagno accanto.

Nel loro cammino, passarono accanto ad un grande specchio antico. Elena si fermò di fronte allo specchio. Entrambi si guardarono:
il velo di sudore copriva completamente i loro corpi scintillava alla luce diretta del sole che entrava dalla grande finestra adiacente.

“Siamo una bella coppia, non credi?” – disse mentre gli teneva la mano.

Enrico era senza parole, completamente sconvolto, impacciato alla vista di se stesso nudo con il pene gonfio e durissimo mano nella mano di quella splendida donna.

“Non sei mai stato con una donna, vero Enrico?”

Lui la guardò sospettoso: “Cosa?”

“Mi hai sentito!” – disse divertita dal suo imbarazzo – “Non hai mai fatto l’amore, non è vero?”

Enrico non sapeva che rispondere: “Uhm…no, signora Federici.” – balbettò.

Lei rise, lo trascinò in bagno e aprì l’acqua della doccia finita in marmi colorati.

“Non preoccuparti, caro. Mio marito è lontano 3.000 miglia.”

Il ragazzo tossì nervosamente. Il vapore cominciò ad uscire dalla doccia. Elena regolò la temperatura.

“Dopo di te, caro il mio stallone!”

Il ragazzo entrò nella doccia, seguito subito da Elena. Rimasero un po’ sotto l’acqua, uno di fronte all’altro guardandosi negli occhi. Enrico era un bel ragazzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi, un po’ più alto di Elena. Sentiva i suoi capezzoli che gli solleticavano il torace, mentre lei sentiva la punta del pene turgido sulla pancia.

Enrico bramava di possedere quella bellissima donna. Il fatto che fosse la madre del suo migliore amico e che fosse sposata ormai non gli importava più nulla. In quel momento la desiderava più di ogni altra cosa al mondo. Guardò da capo a piedi quel bellissimo corpo: lo eccitavano da morire le sue enormi e fantastiche tette con i capezzoli completamente eretti, la sua vita sottile ed i suoi fianchi soffici e larghi. Osservava come l’acqua della doccia scorresse sul suo corpo, e si raccogliesse sul cespuglio nero tra le cosce ben tornite.

Lei lo guardava negli occhi e gli accarezzava dolcemente le spalle.
Si appoggiò a lui e lo baciò teneramente sulle labbra. Lui rispose al bacio con passione, mentre sentiva le mani di lei che si muovevano dalle spalle a tutte le braccia.
Le sue labbra erano infuocate, la sua lingua lentamente ma inesorabilmente penetrava nella sua bocca. Sentiva che lei si stringeva sempre più, con le sue incredibili tette che premevano contro il suo torace.
La sensazione era incredibile, elettrizzante. Alla fine le braccia di Elena lo strinsero completamente.

Enrico la sentiva stretta a sé, il suo pene mostruosamente eretto strusciava sulla sua pancia.
Era ancora imbarazzato, ma come gli piaceva!
Si baciarono ancora, con passione.
Elena massaggiava il pene del ragazzo con il ventre, poi lo fece scivolare tra le cosce.

Gli prese le mani e le tirò sul seno, implorandolo: “Stringimi le tette, Enrico. Stringi le mie tettone bagnate! Sono tutte tue!”

Le sue mani presero quegli ammassi di carne. Era colpito da quanto erano sode. Toccare le tette di quella signora, così esperta e senza alcun pudore, era ben diverso che toccare quelle delle sue amichette. Era infinitamente più eccitante. Sentiva i capezzoli ergersi sensibilissimi. La sentì gemere dolcemente.

Lei lo abbracciò stretto e gli sussurrò in un orecchio: “Devo, DEVO succhiare quel tuo cazzone. Devo sentirne il sapore!”

Si allontanò dal ragazzo e si inginocchiò di fronte a lui, come davanti ad un altare. Prese quell’enorme cazzo con due mani e, mentre l’acqua della doccia scorreva sui loro corpi, lo infilò tutto nella bocca famelica. Iniziò a lerccarlo, succhiarlo, baciarlo, mordicchiarlo, spingendo contro di sé il sedere del ragazzo. Non aveva mai baciato e succhiato un cazzo con quella dedizione, anche lei era eccitatissima dalla situazione.

Ad un certo punto lei sentì le gambe del ragazzo che iniziarono a tremare. Un gemito uscì dalla bocca di Enrico: “Signora Federici! Signora! Sto…Sto per…”

Si sentì mancare le gambe e si appoggiò alle spalle di lei. Lei non si fermava, continuava a succhiare e leccare. Non si fermava.
E allora lui venne, nella sua bocca. Uno, due, tre, quattro schizzi…
Elena deglutiva tutto famelica. Il ragazzo tremava tutto.

Elena tolse il cazzone dalla sua bocca e lo accarezzò dolcemente. Se lo fece passare sul viso e sul collo, con un tocco lieve.

Enrico intanto era senza respiro, incapace di reggersi in piedi.

Elena si rialzò per sorreggerlo. Lo abbracciò forte, poi lo lasciò e fece un passo indietro sorridendo.

“Questo era un bocchino! Non sei d’accordo, caro?”

Enrico sorrise per la prima volta. Godere nella bocca di quella signora fantastica era stato scioccante. Ora si sentiva bene, era euforico, si sentiva padrone del mondo.

“E’ stato incredibilmente bello, signora Federici!”

“Bene. Ora tocca a te fare qualcosa!”

Dicendo questo si allungò per prendere una saponetta e gliela passò: “Ho sudato un bel po’, Enrico. Dovresti lavarmi tutta.”

Sorrise con aria sorniona, si mise le mani sui fianchi e sporse in avanti le tette, facendo indietreggiare le spalle, come per sfidare Enrico a resistere a quella richiesta.

Enrico si riempì le mani col sapone. Le sue mani passarono sulle spalle, sulle braccia, su quelle magnifiche tette. Strofinò la pancia e l’ombelico, poi scese sulle cosce, sulle gambe, fino ai piedi. Era elettrizzato. Non aveva mai pensato che un giorno avrebbe potuto toccare una donna così sensuale e voluttuosa. Sentiva quanto soffici erano le sua carni, come erano vive tra le sue dita. Il pene stava ridiventando turgido.
La cosa non passò inosservata ad Elena.

Elena prese il sapone e cominciò a sua volta ad insaponare il suo giovane amante. Si massaggiavano l’un l’altro con voluttà. Cominciarono ad abbracciarsi e baciarsi, toccandosi tutti senza pudore. Alla fine Elena chiuse l’acqua e portò Enrico fuori dalla doccia.

Con dolcezza asciugò il ragazzo, poi asciugò se stessa. Intanto guardava con ammirazione quel pene completamente eretto.

“E’ il momento, Enrico” – mormorò – “E’ il momento che tu mi fai provare cosa può fare quel tuo cazzo incredibile!”

Manovrò da esperta il ragazzo, tirandoselo sul letto, poi disteso con il pene eretto al massimo che puntava verso il soffitto, salì sul letto con grazia e montò il suo amante, stringendogli le gambe tra le sue.

Enrico guardò verso l’alto a quella donna magnifica, quelle incredibili tette erano a pochi centimetri dal suo viso. Elena le prese con le mani e si piegò in avanti, prendendo la testa di Enrico nella profondità del solco.

“Succhiale, caro. Succhia le mie tettone succose!”

Spinse un capezzolo dentro la bocca di Enrico, che lo succhiò famelico.

“Lecca questo capezzolo, piccolo! Mostrami cosa sai fare!”

Alla fine, si alzò e gli disse: “Sei pronto piccolo? Sei pronto a riempire la mia figa calda con quell’enorme cazzone?”

Tutto quello che riuscì a fare Enrico fu di gemere.

Elena mise in posizione la sua figa incredibilmente bagnata ed eccitata sopra quel cazzo durissimo. Abbassò il ventre verso quell’organo di piacere. Il primo contatto della figa con il glande fu paradisiaco. Lentamente e con cautela si abbassò su quell’organo gonfio e durissimo. Elena non aveva mai provato dentro di sé una cosa così grossa.

Dopo un tempo che sembrò un’eternità, Elena si abituò e riuscì a far entrare tutto il pene.
Cominciò a strofinarsi su di lui, mentre quell’enorme cazzo la infilava come una spada. Era bagnatissima. Ormai il cazzo scorreva dentro di lei sempre più velocemente e senza fatica. Enrico non aveva mai provato nulla di simile. La figa di Elena era calda e accogliente, eppure strettissima. Era su quel limite indefinibile tra il dolore ed un piacere immenso. Il suo cazzo era come un pistone, si muoveva senza tregua. Si sentiva bloccato senza possibilità di muoversi tra le forti cosce di Elena, ma si sentiva anche potentissimo e maschio allo stesso tempo.

Guardò il viso di Elena, affascinato da come lei aveva perso ogni controllo. Il viso di Elena era estasi pura, sempre più profonda, pronta ad esplodere.

Ed esplose. Le spinte di Elena inizialmente regolari e cadenzate, erano diventate furiose e selvagge, il suo viso era contorto in una smorfia di piacere. Le sue enormi tette si agitavano freneticamente.

Alla fine entrambi i corpi furono presi da convulsioni. Elena gemeva sempre più forte, mentre quel cazzo magnifico aveva preso a pompare lo sperma dentro di lei a schizzi consecutivi. Gridò senza alcun ritegno, abbandonandosi al piacere che il ragazzo le stava regalando. Vennero quasi assieme, gemendo, aggrappandosi l’un l’altro, incastrando i loro corpi.

Alla fine lei cadde esausta su di lui e rimasero abbracciati come due innamorati.

Questo fu l’inizio di una lunga relazione che segnò profondamente la vita di Elena ma anche l’inizio della vita sessuale di un bellissimo ragazzo e splendido amante. Mi presento: sono Chiara, ho ventitre anni e sto con il mio ragazzo, Antonio, da ormai cinque anni.
La nostra storia è iniziata sui banchi del liceo al quarto anno, dopo una cena di classe, ed è andata avanti senza particolari scossoni fino ad ora.
Sono una ragazza normale, forse una po’ più bella della media, ho un fisico ben fatto e proporzionato, anche se non eccedo nelle misure (ho una terza di seno), ed un viso a detta di tutti molto dolce.
Il mio ragazzo è alto un metro e ottanta, con un fisico magro ma ben fatto e due splendidi occhi incorniciati in un viso pulito da bambino, nonostante i suoi ventitré anni.
Il nostro rapporto rispecchia quello di tante altre coppie: uscita con i rispettivi amici il venerdì, cinema e pizza il sabato e vedersi ogni tanto la sera durante la settimana.
A letto tutto procedeva abbastanza bene, nessuno dei due amava situazioni strane e particolari.
L’amore l’abbiamo sempre fatto a letto nel modo più tradizionale e non gli ho mai concesso cose particolari come il mio bel sederino.
Per questo non avrei mai potuto pensare succedesse qualcosa come ciò che accadde poche settimane fa.

Pochi sabati or sono eravamo andati come al solito a mangiare una pizza nel solito ristorante.
Quella sera non indossavo niente di particolare: una gonna lunga che non lasciava intravedere più di tanto ed una maglietta normalissima, senza trasparenze. Non mi sentivo particolarmente sexi, se non altro non più di tante altri sabati sera.
Appena accomodati al tavolo, notai un cameriere differente aveva preso il posto di quello precedente.
Era decisamente un bel ragazzo, un corpo atletico e muscoloso, due splendidi occhi verdi con uno sguardo davvero penetrante.
Non mi sfuggirono le sue iniziali occhiate tuttaltro che innocenti, ma non ci feci caso più di tanto.
A metà pizza, sentii il bisogno di andare in bagno, e mi diressi verso la toilette del ristorante.
Dopo aver fatto pipì, andai allo specchio per darmi un’aggiustatina, quando sentii due mani che mi afferrarono da dietro con decisione.
Stupita, mi girai e me lo trovai di fronte.

Rimasi così interdetta e lui, approfittandone, mi baciò appassionatamente sulla bocca. Mi prese alla sprovvista, tanto che non seppi tirarmi indietro. Non aveva certo intenzione di fermarsi li: mentre mi stava infilando mezzo metro di lingua in bocca, aveva infilato le mani sotto la maglietta cominciando a pastrugnarmi vivacemente le tette.
Tentai di oppormi, ma lui mi girò, mi alzò la gonna e, dopo avermi spostato i collant di lato, si chinò e cominciò a leccarmi la figa che ormai, causa la situazione decisamente insolita, era completamente bagnata.
A quel punto, inutile dirlo, tutte le mie difese erano sparite.
Lo vidi rialzarsi allo specchio della toilette e, chinatosi a baciarmi sul collo, me lo infilò tutto dentro in un solo colpo.
Un grido strozzato mi uscì dalla bocca, ma lui prontamente mi mise la mano sulla bocca per tappare i miei gemiti.
Il ritmo della scopata infatti era impressionante; raramente il mio fidanzato mi aveva scopata in questo modo.
Venni dopo pochissimi colpi e, dopo cinque minuti di scopata, anche lui se ne venne. Mi fece girare e me lo ficcò in bocca costringendomi ad ingoiare tutto per non macchiarmi il vestito.

Ci stavamo ricomponendo quando sentii il mio ragazzo bussare alla porta e chiedendomi se andava tutto bene.
In effetti, erano già almeno quindici minuti che ero alla toilette. Dissi che era tutto ok e che stavo uscendo. Mi ricomposi alla svelta e feci per uscire. Il cameriere però, a quel punto, mi diede un biglietto da visita col suo nome, e mi disse: “voglio che tu domani mi chiami per vederci, trova una scusa con quel frocio del tuo ragazzo ed esci di casa. So che lo farai, lo devi fare, perché le troie come me meritano solo di essere scopate come delle vacche, e tu questo lo sai bene!”.

Mi infilai il biglietto nella borsa ed uscii.

Non so perché non buttai il biglietto via immediatamente, non ero arrabbiata con quell’uomo, anzi, ero arrabbiata con me stessa perché ci ero stata e mi era piaciuto. Sapevo che l’avrei chiamato.

Non so cos’è che mi attirava, la nuova situazione, quell’uomo, il vedermi in una luce completamente diversa.
Quella sera il mio uomo volle scoparmi in macchina e per fortuna che non mi leccò la figa, altrimenti avrebbe scoperto tutto.

La scopata fu penosa, due minuti di su e giù senza neanche troppo forza, e tutto finito. In confronto alla scopata di qualche minuto prima, questo era niente, posso dire che ormai non l’avevo neanche sentito dentro di me.

Il giorno dopo, domenica pomeriggio, il mio ragazzo venne a casa mia per un pomeriggio tranquillo, la solita passeggiata della domenica pomeriggio. Fu allora che mi decisi a chiamare.

Con una scusa, finsi di dover chiamare un’amica. Il cameriere, sentendosi chiamare Sandra, capì la messinscena: “allora, troia, oggi pomeriggio la vuoi la tua razione di cazzo, o ci deve pensare quel rammollito del tuo ragazzo?”
“No Sandra, oggi pomeriggio non posso studiare, andrò al parco a fare una passeggiata con Antonio”
“In che parco andrete, troietta?”
“Lo sai Sandra, sempre il solito parco di via dei Salici, giusto due passi e un gelato alla baracchina”
“va bene troia, ti aspetto alla baracchina”
“No Sandra, oggi non posso davvero, facciamo domani!”
“Non ti ho chiesto se va bene, ho detto che ci troviamo a quella baracchina e basta, capito troia?”
“Va bene Sandra, ci vediamo, ciao!”
Antonio non sospettava nulla; ci avviammo al parco.
Io, non sapendo cosa aspettarmi, mi misi un vestito leggero con una gonna svolazzante e niente mutandine. Nel caso il cameriere, di cui non sapevo neanche il nome, avesse voluto ripetere un’esperienza come quella della notte prima, non avrebbe dovuto fare molta fatica per ottenere quello che voleva.
Arrivati al parco, dopo pochi passi incontrammo la baracchina. Ci sedemmo ad un tavolino ed io, senza farmi notare troppo da Antonio, cominciai a guardarmi in giro per vedere il cameriere. Lo notai vicino ai bagni pubblici, pochi metri più distante dalla baracchina.
Mi fece cenno di andare, ed io, con una scusa mi allontanai, dicendo ad Antonio di aspettarmi lì dieci minuti.
Mi avvicinai e lui mi fece cenno di seguirlo. Andammo poco distante, vicino ad un cespuglio poco lontano dalla stradina che circondava il parco. Obiettai che lì ci poteva vedere qualcuno, ma lui non se ne curò per niente e, mentre parlavo, mi infilò la mano sotto la gonna: “ah, allora è vero che sei solo una troia, non ti sei messa le mutandine per farti scopare meglio”
“Dai, facciamo un’altra volta, qui c’è gente e il mio fidanzato mi aspetta”

Inevitabilmente cominciai a bagnarmi con quella mano che mi frugava dentro.

“Ci godi, brutta vacca, a farti scopare da me mentre quel cornuto del tuo fidanzato è lì che ti aspetta, eh?” E mentre diceva questo, se lo era tirato fuori e me lo aveva messo in mano.
“Succhia troia!”

Mi chinai a prenderglielo in bocca, ma nemmeno un minuto e mi aveva girato a pecora e infilato in figa.
Dopo poco, lo tirò fuori e senza darmi il tempo di replicare me lo infilò in culo.

Cacciai un urlo. Non lo avevo mai preso dietro, mi sentivo spaccata a mezzo, mi mancava il fiato per urlare.
Le gambe mi si fecero molli, sentivo un dolore pazzesco e il culo mi bruciava da morire.
Lui dietro di me grugniva e, incurante del mio dolore, mi dava dei colpi tremendi, facendomi sussultare.
Qualcuno ci sentii: delle facce che si sporgevano attraverso il cespuglio a guardarci.
Del resto, non ero nelle condizioni per fermare l’uomo che in quel momento mi stava inculando a sangue.
Ormai avevo perso la percezione del tempo, non saprei dire se mi stava inculando da due minuti o da un’ora.

Finalmente, lo sentii che stava per venire. Come la volta precedente me lo sfilò da dietro, mi girò e me lo cacciò in bocca.

Non potei fare altro che accoglierlo. Stavolta ero davvero disgustata, il cazzo puzzava tremendamente del canale posteriore ed era sporco di sangue: mi aveva spaccato il culo nel senso letterale del termine.

Sentii il suo membro gonfiarsi e sborrare, era come una liberazione.

La sborrata non finiva più, mi scivolò di bocca e la sborra mi colpì anche negli occhi, sui capelli e sulle guance.

Non ebbi neanche il tempo di tirarmi su da sola.

Mentre riacquistavo la percezione di quello che stava accadendo intorno a me, sentii una mano che mi afferrava e mi stringeva qualcosa intorno ai polsi, e così al cameriere che mi aveva appena sventrata. Sentii anche capannelli di ragazzi che inneggiavano a me con canti goliardici.

I carabinieri ci portarono via, ed io mi coprii la faccia per non essere vista. Una delle ultime cose che vidi, prima di uscire dal parco, fu la faccia attonita di Antonio che mi guardava, e non capivo se quello nei suoi occhi era sdegno, commiserazione o semplicemente incredulità… è notte e sta dormendo, abbiamo appena scopato. Velocemente e senza esuberanza, com’è suo costume.
è stato così insoddisfacente che gli ho mentito: ho detto che ero fertile e l’ho fatto venire sulla mia pancia. Poche gocce di un liquame trasparente, con macchie lattiginose sparse qua e là.
Mentre era in piedi, nudo, gli ho guardato l’uccello in erezione, l’angolo con l’addome si è allargato. Succede dopo i trentacinque, dicono. Poi peggiora.

Arriviamo alla stazione Termini che sono già le cinque, ma fa ancora un caldo dannato; l’aria è appiccicosa e puzza di miscela bruciata.
Suona il telefono non appena entriamo in stanza.

Rispondo io mentre slaccio il reggiseno – “Si?” – lo faccio scivolare dalle spalle liberando i seni che ondeggiano morbidamente.
“Stefania, sei tu? Sono Menin, mi passi il tuo (con vocina petulante) neo-marito?”.
“Si, è qua. Ciao”

Sfilo la gonna e mi butto sotto la doccia. Lo scroscio dell’acqua mi tiene lontane le banalità telefoniche che si consumano tra mio marito e il suo capo. Riverso la testa, e mi sento purificata. Lavo via dal seno il sudore; via dalla pancia e dalle gambe. Esco e mi guardo allo specchio, sto bene.

“Va bene, va bene…” – dice al telefono.

Lo so. Ha appena finito di mettersi a novanta gradi davanti ai superiori, per strappare un po’ di misero quieto vivere. Entra in bagno.
Io mi sdraio sul letto e leggo un catalogo di oggetti inutili da comprare in aereo.
Lui è sotto la doccia. Impreca. Non ha tolto gli occhiali.
Smetto di leggere e vado verso il bagno. Lui è sul bidè: si sta lavando con una mano dietro la schiena.
Chissà, forse ha rischiato di prenderlo in culo con quella telefonata e si è seduto a controllarselo.
Mi fa incazzare vederlo curvo mentre si guarda i genitali. Torno in camera e metto su un abito da sera leggero e indosso i sandali.
Lui esce e si veste.
Vado in bagno a lavarmi i denti: strofino lo spazzolino con furia mugugnando di rabbia. Sputo nel lavandino. Guardo la mia faccia allo specchio.

Di sera l’aria è più tersa e Roma è più gialla. Sono più gialle le case e le chiese, più vive e belle le persone. Anche i mascalzoni e i farabutti, che sembrano vivere e basta.

Ci sediamo in un ristorante nuova formula cino-capitolina: cibo cinese e tradizione romana. Le tovaglie sono italiche a scacchi bianchi e rossi, i bicchieri da osteria e le bacchette le devi chiedere; siamo sotto un bel pergolato che ricopre quasi per intero la via.
Mentre mangiamo si fermano all’imbocco della strada due scooter; sul primo due ragazzi, due ragazze sull’altro. Le figliole avranno quindici anni, una è particolarmente bella. Ha i capelli lunghi mori e lisci, increspati dalla corsa in moto sembrano capelli di zingara. è molto più alta della sua amica anche se ha meno seno, ma sembra galleggiare sulle gambe talmente sono lunghe.

Bacia il più alto dei due – “Ciao Lù” – poi con la sua amica risale a bordo e se ne va.

I due ragazzi lasciano il motorino sul marciapiede e si mettono seduti al tavolo dietro al nostro, ordinano due bottiglie di birra cinese. Uno dei due tira fuori dalla tasca delle cartine e un pezzo di fumo e rolla una canna con le mani sotto al tavolo. Ridono forte, sono sballati e pieni di vita. Si guardano negli occhi ridendo e ammiccano continuamente.
Arrivano le birre, le bevono direttamente dalla bottiglia. Quello più basso passa la canna all’amico e nasconde la faccia nel gomito allungandosi sul tavolo. L’amico senza complimenti la porta alle labbra, alza la testa e fa un tiro fregandosene della gente che comincia ad accorgersi di loro.
Dà un’occhiata in giro squadrando tutte le persone sedute e alla fine del giro mi butta gli occhi addosso, poi li socchiude leggermente aspirando un’altra boccata di fumo.
Lo guardo incuriosita per un attimo, il ragazzino dà un colpo di gomito al compare che alza lo sguardo verso di me. Mi rompo subito di quel gioco da bambini e li lascio perdere.
“Menin ci ha invitati ad una festa, andiamo?”
“D’accordo, sai dov’è?”
“Si, in un locale….il Tribuno, mi sembra” – Lo dice anche con aria seria.

Siamo ‘cortesemente’ invitati in un locale con un nome del genere e lui non fa una piega.
Torno con gli occhi verso quei due: stanno ridendo come due scemi quando, quello che credo si chiami Luca, dice qualcosa nell’orecchio dell’altro. Si bloccano e appoggiano gli occhi sulle mie tette parlottando tra di loro, ridendo forte. Lui non se ne accorge, beve un sorso, si alza e va al cesso. L’altro al tavolo getta a terra il filtro bruciacchiato e soffia una ventata di fumo lanuginoso che investe un tavolo di ragazze dietro di loro.
Scoppia un casino: una delle ragazze gli urla un “vaffanculo”.
Interviene un tizio con accento del nord: “Ma te chi ti credi di essere eh!?!?”

Lui scatta in piedi e lo guarda fisso negli occhi: è alto meno di un metro e ottanta, ma ha spalle larghe e fianchi stretti, drittissimi. L’altro, basso di cavallo e sgraziato, fa un gesto con la mano aperta, come per colpire.
Intanto mio marito, tornato dal bagno, si trova nel mezzo.
Prende due sberloni subito. E’ cinto al collo dal ragazzo più alto e tirato giù dal suo metro e ottantacinque, la faccia premuta contro il bicipite. Lo trascina verso la coppa del punch e gli immerge la faccia. Tutti stanno a guardare attoniti, come degli imbecilli, mentre quel teppistello gli tiene la testa a mollo nel mandarino.
Mi alzo e cerco di strattonarlo via afferrandolo per la schiena: “Lascialo, brutto cazzone”.

Una spallina del vestito cade e la tetta sinistra scivola fuori. Lui molla la presa e me la guarda sorridendo.
Mio marito esce con la testa dall’insalatiera, boccheggiante. Gli occhiali rimangono sul fondo.
Sono ancora tutti lì a guardarmi con gli occhi strabuzzati. Compreso il teppista, che mi fissa ancora la tetta.

“Piantala di guardare! Vaffanculo!” – gli urlo, rimboccando il seno nel vestito.

La storia finisce lì, con i padroni del locale che intervengono per placare gli animi.
Adesso lui sta guidando la macchina presa a nolo. La macchia attorno al colletto non si vede quasi più, l’aria la sta asciugando.
Guardo fuori dal finestrino mentre andiamo al Tribuno, locale di Roma in stile. Non ci diciamo una parola, lui è umiliato, lo sento, ma io sono troppo incazzata per parlare. Una macchina ci taglia la strada e lui urla qualcosa di pietoso.
Nel parcheggio scendiamo in silenzio dall’auto, e in silenzio entriamo.

E’ peggio di come pensassi.

Un night banale dove gli uomini si sdilinquiscono in risatine checcose per cazzate raccontate dai loro superiori.
Solo i barman sono un po’ aggressivi, così mi avvicino al bancone e mi faccio servire un drink.
Butto lo sguardo verso mio marito. C’è vicino anche Menin, il veneto, che mi fa ciao ciao con la manina. Che stronzo.
Chiedo dov’è il bagno. Mi indicano un corridoio spoglio con delle finestre in alto, come delle bocche di lupo, aperte. Mentre mi dirigo in quella direzione, da una finestra spuntano un paio di gambe agili, vestite di jeans. Con un salto sono giù e aiutano un altro paio di gambe a fare lo stesso: sono i due ragazzi del ristorante.
Mi hanno già vista e sono troppo vicina per tornare indietro, così passo accanto senza guardarli, andando dritta verso la porta.
Dentro ci siamo solo io e una mulatta che getta un assorbente rosato nel cestino e se la guarda dall’elastico dei pantaloni.
Entro nel cesso lasciandola sola davanti allo specchio. Alzo il vestito e calo le mutande, appoggio il sedere alla tazza e piscio.
Al di là della porta ci sono quei due, giovani ed aitanti, che sono entrati saltando da una finestra. Mi metto a ridere.
Ridendo mi pulisco con un pezzo di carta, poi esco.

Sono ancora lì e appena esco mi guardano gli occhi e le tette. Questa volta sorrido.
“Allora?” – chiedo.
“Com’è sta festa?” – fa quello più alto.
“Una palla…Perché non mi offrite una canna?”

Usciamo nel parcheggio da una porta antincendio. Ci appoggiamo ad una macchina io e quello alto mentre l’amico rolla veloce.
“Come ti chiami?”
“Luca, lui è Aldo”
“Io sono Stefania”
Luca è davvero bello. Magro e affusolato con la pelle scura e gli occhi neri grandi. Fumiamo in silenzio.
Quando Luca mi passa la canna, il filtro è bagnato della sua saliva. La lecco con la punta della lingua.
Ci guardiamo dritto negli occhi io e Luca, mentre fumiamo e mentre fuma l’altro.

Spegniamo il mozzicone e Aldo fa: “Tornamo dentro?”

Luca alza le spalle.

Arriviamo all’albergo in poco tempo. Mi sento piena di vita e, scalpicciando sui tacchi, faccio una corsa verso la porta lasciando dietro i miei due accompagnatori: “Dai, forza!”
Saliamo in ascensore accompagnati dallo sguardo inquisitore del portiere nella hall. Appena le porte si chiudono Aldo infila una mano sotto al vestito.

“Fermo!”.
“Eh dai! ..aspè” – interviene Luca.

Aldo ha gli occhi da animale ottuso; so già che cercherà di scoparmi al volo appena entriamo in stanza.
Entriamo. Luca ed io ci attacchiamo subito in un bacio: scende con le mani a toccarmi il sedere impalmandomi i glutei.
Io gli tengo le spalle e accarezzo i bicipiti.

Credo che Aldo ci stia girando attorno.
Sfilo la maglietta di Luca. Il torace è ampio e teso.
“Quanti anni avete?”.
“Stamo pe’fanne diciassette”.
In preda all’emozione mi inginocchio a guardarli in mezzo alle gambe: è Luca ad avere il pacco più gonfio. Portano le mani alle cerniere ed estraggono i cazzi.
Quello di Luca è ancora molle, ma è lungo una spanna ed ha una cappella viola e gonfia, come se l’avesse chiuso in una portiera.
Aldo ce l’ha piccolo, forse per questo è già dritto con il filetto del glande che sembra sul punto di strapparsi.
Con una mano per parte faccio scivolare fuori le palle. Quelle di Luca sgusciano fuori rimbalzando gonfie.
Non riesco a trovare quelle di Aldo; le dita si impigliano in una macchia di pelo fitto. Lo guardo con aria perplessa; lui allunga una mano e le tira fuori. Con due dita sollevo la cappellona di Luca e la bacio: è asciutta e sa di fegato. Luca si appoggia ad un comodino basso mentre Aldo punta il suo uccello verso di me sperando nello stesso trattamento.

Abbasso il vestito fin sui fianchi rimanendo con le tette esposte. Mi alzo e il mio vestito scivola a terra.
Sono piegata a novanta gradi, con le gambe dritte e la bocca sui genitali di Luca.
Aldo mi abbassa le mutande scoprendo il sedere.
Alzo lo sguardo verso Luca, lascio uscire l’uccello dalla bocca, metto una mano sotto la tetta sinistra e la sollevo verso di lui.

“Questa la conosci già!”
Luca ride.
“Vorrei avere mille tette, con un occhio per ciascuna, per guardarti mille volte”.
Prendo anche l’altra e, in mezzo, appoggio il suo cazzo che scivola umido di saliva. Sta diventando duro e la cappella comincia a spuntare dal solco del seno. Lo sento crescere e inturgidirsi. Guardo ancora Luca mentre stringo e agito più forte il seno.
Il suo cazzo mi colpisce duro sotto il mento. Ha completamente bagnato le tette di colla trasparente. Abbasso la testa e lo prendo tra le labbra.
Aldo cerca di farmi sentire il suo cazzetto in mezzo alle chiappe strofinandolo con una mano. Poi punta verso il mio ingresso e dà una spinta: non lo trova. Ci prova ancora ma va troppo in basso.

“Ahia! …che cazzo fai!?!” – bofonchio tenendo l’uccello di Luca in bocca.
Aldo suda e grufola e armeggia con le dita attorno alla mia vagina e ne dischiude le labbra. Si leva in punta di piedi e lo infila con uno scattino.
Sento che si sta dando da fare là dietro, sta faticando per tenerlo dentro: su e giù sulle punte dei piedi. Scivola fuori quasi subito e deve ricominciare da capo. Ho cosce troppo lunghe per lui.
Allora cerca di allargarmi di più le gambe. Ma io le tengo belle ferme, anzi alzo il sedere, che gli fa l’occhiolino e gli dice: “prendimi, prendimi”.
Il pene di Luca mi strozza in gola una risata.
Aldo ci prova con le dita e me ne infila due nel culo, a secco. Sento bruciare e porto una mano tra le natiche.

“Ahhh, cristo!”.

Luca si alza: “…mo’ hai rotto er cazzo!”.

L’uccello ondeggia pesante tra le sue gambe e punta la cappella nuda verso quello di Aldo.

Aldo accenna un sorriso impaurito: “ah Lu’ ma che?..”.
“Rivèstite!”.
Si rimette le mutande e i calzoni ed esce. Di scena intendo.
Ho guardato turbata tutta la scena, nuda con una mano di dietro.
Luca è di spalle e guarda la porta con gli occhi stretti. Mi avvicino, gli appoggio il seno alla schiena, passo una mano sul suo ventre lucido da adolescente e gli afferro il pene. E’ un duro.

Ho le tette ancora bagnate, lo sdraio sul letto e riprendo l’uccello nel seno. Torna subito in erezione. Luca geme, sta per venire. Abbasso gli occhi e dalla cappella esce un nastro di latte denso che schizza in alto, sopra la mia testa. Segue un secondo, ancora più grosso che mi colpisce in viso e cola vischioso sulle labbra e sul seno.
Ha sborrato tantissimo lucidandomi la faccia e le tette di sperma bianco candido, che odora di legno verde.
Gli scivolo addosso e lo bacio. Allungo una mano e lo masturbo. Gli torna diritto di nuovo.
Luca mi rovescia sulla schiena appoggiando le mie cosce sul petto. Me la trova al primo colpo ed io con le dita divarico le natiche, per accoglierlo dentro.
Entra lentamente e non finisce mai. La mia vagina si contrae e si rilassa non abituata a quelle dimensioni.
Sto producendo una quantità industriale di secrezioni: è la mia figa che fa così, che se lo vuole bere; lo spinge fuori e lo risucchia dentro con un rumore di risacca…da perdere la testa.
Tenendolo per i fianchi lo faccio uscire dolcemente. Detergo la fronte dal sudore e dai capelli rimasti appiccicati e sorrido, come una bambina: “Aspettami qui”
Entro in bagno e ritorno con la boccetta d’olio per i capelli. Luca è sdraiato sul letto e mi guarda col cazzo duro che gli tocca quasi lo stomaco. Sono sudata e contenta. Mi inginocchio tra le sue gambe.
“Voglio che mi inculi”
“Ma nun te faceva male?”
“So che non me ne farai”
Verso un po’ d’olio sulla punta dell’uccello. L’olio scivola verso le palle e gli lucida l’asta. Ne prendo un po’ in mano e mi ungo il buco del culo mischiando olio e secrezioni vaginali. E’ olio di placenta, c’è un nesso evidente.
Luca si è seduto sul bordo del letto, ed io sono già girata e in piedi con il sedere all’altezza dei suoi occhi.
Infilo una mano tra le cosce e prendo in mano l’uccello, lo appoggio su di me e mi siedo lentamente.
Mi lascio rompere il culo, anche se mi fa male. Soffio, sudo, e stringo i denti, ma scendo lo stesso, fin quando mi sento completamente riempita. Alzo i piedi, sostenuta solo dal suo cazzo, che è lì, come una nuova colonna vertebrale e li punto sulle sue cosce. Comincio ad agitarmi su e giù, puntando solo sui piedi. Tengo le natiche larghe con le mani e con le dita sfioro il buco del culo tutte le volte che scendo. E tutte le volte che scendo, sbatto il sedere sudato sulle gambe.
“Ti faccio male alle palle?”
“No, continua!”
D’un tratto sento rumoreggiare la serratura, la porta si apre, è mio marito, che mi vede a gambe aperte con un cazzo su per il culo. Gli occhi diventano giganti e la bocca si schiude in un forellino umido.
Smetto di agitarmi e lo guardo anch’io, mentre continuo a gocciolare sudore dalla punta del naso.

“Che stai facendo?! Oh diosanto!”

Luca mi prende per i fianchi e mi fa scivolare fuori.
Luca: “Senti, è meglio che esci”.
Mio marito: “Ma che cazzo dici?!”
Io: “Si dai, aspetta fuori”

Luca si alza e appoggia una mano sulla spalla di mio marito. Le ha già prese, non sembra che voglia riprovarci. Inoltre l’uccello di Luca si è appoggiato sui suoi pantaloni chiari e ha lasciato una macchia bagnata.
“C’è una poltrona qua fuori, aspettami lì” – dico.
Esce, Luca mi prende da dietro e finiamo quello che avevamo iniziato. Tutto accadde per una stupida distrazione e per la voglia, che spesso prende a quarant’anni, di sentirmi ancora giovane facendo cose da giovani: pilotare una moto al limite delle proprie possibilità, sentire quella frizzante sensazione d’euforia che ti da l’adrenalina che fluisce abbondante nel sangue.

Una mania che mi aveva preso da poco e che mi è costata cara. Al rientro da un giro sulle belle strade delle colline bolognesi viaggiavo lentamente, godendomi l’aria fresca della sera. Un attimo di distrazione, ed eccomi a terra senza nemmeno sapere come. Poi il dolore, il trasporto in ospedale ed un mese di cure prima di essere inviato a casa con la gamba ingessata per trascorrere la convalescenza di tre mesi.

In totale 4 mesi buttati al vento un’autentica iattura. Il mio umore in quei giorni divenne a dir poco pessimo: la tranquilla villetta in collina, da eremo di pace nel quale trascorrere i pochi momenti di relax si trasformò improvvisamente in una prigione. Privato della mia mobilità ero imprigionato in casa, senza riuscire a muovermi se non nelle stanze del primo piano. L’isolamento rendeva difficile procurarmi quanto mi serviva e contribuiva a peggiorare ulteriormente il mio umore.

Cercai di riprendere in qualche modo il mio lavoro usando il telefono, ma i risultati erano scarsissimi e le mie giornate parevano interminabili. Spesso mi ritrovavo a passare intere ore a guardare dalla finestra e fu così che notai Sabrina.
Non che non la conoscessi già, ci eravamo incontrati altre volte, ma ero sempre troppo indaffarato e fino ad allora ci eravamo scambiati solo fugaci saluti.

Sabrina era una ragazza carina, anche se non bellissima, forse di 25 anni, piuttosto alta, dai lunghi capelli corvini ed un fisico aggraziato ma non prorompente. Aveva un carattere aperto ed esuberante e, saputo del mio incidente, si diede subito da fare per aiutarmi. Non mancava giorno che uscendo non mi salutasse, chiedendomi se avevo bisogno di qualche cosa. Gli appuntamenti con lei divennero poco a poco un’abitudine, una fugace rottura della monotonia delle mie giornate solitarie.

Con il passare dei giorni incominciai ad apprezzarla: vestiva in modo un poco eccentrico, ma stuzzicante. Prediligeva il nero e sapeva valorizzare le sue belle e lunghissime gambe con gonne molto corte o con ampi spacchi. La mattina vederla camminare nel vialetto con passi lunghi e decisi era sempre un piacere, ma anche un piccolo tormento vista la mia condizione.

Senza rendermene conto incominciai a tenerla d’occhio e, quando era in casa, a spiarla…
La primavera era ormai inoltrata e spesso il caldo si faceva sentire. Sabrina, come tutti, incominciò a tenere spesso aperte porte e finestre e a vestire abiti sempre più leggeri. Gli aderentissimi pantaloncini da ciclista, rigorosamente neri, che indossava spesso, mi consentivano di apprezzare le deliziose forme del suo culo: le natiche erano sode e piene, la curva dei fianchi un poco accentuata ma piacevole. Le canotte multicolori evidenziarono il suo seno piccolo ma marmoreo.
Per osservarla meglio mi dotai di un minuscolo cannocchiale che mi feci portare da un amico – “Almeno posso guardare la natura e distrarmi” – buttai li come spiegazione
“Mo va la…. che la natura che t’interessa si limita alle passerine!!!” – mi rispose lui con il suo solito accento emiliano.

La mia attenzione per Sabrina diventò morbosa: passavo le giornate ad osservarla e nemmeno la presenza di altre persone in casa sua mi fermava. Anzi, se si trattava di ragazzi la mia attenzione cresceva, nella speranza di cogliere qualche particolare piccante.
La ragazza doveva essere di vedute piuttosto ampie, dal momento che in più occasioni riuscii a coglierla in teneri atteggiamenti con differenti ragazzi. Niente di particolarmente eccitante: qualche carezza più audace delle altre un bacio rubato qua e la.

La convalescenza e la forzata inattività incominciavano a influenzare pesantemente la mia vita. Dormivo a lungo durante la giornata, soprattutto quando Sabrina non era in casa, così la notte faticavo ad addormentarmi o mi svegliavo la mattina prestissimo. Appena sveglio mi portavo al mio punto d’osservazione, nella speranza di cogliere qualche fugace visione di Sabrina.

Una mattina, poco prima dell’alba, la mia costanza fu premiata: la porta della vetrata che dava sul salotto di Sabrina si aprì. M’irrigidii mentre sulla soglia compariva lei, nuda, con i suoi lunghi capelli neri sciolti. Si stiracchiò dolcemente, i capelli si scostarono lasciandomi vedere i capezzoli scuri che s’inturgidivano per la carezza della fresca brezza dell’alba.
Il mio sguardo scese istintivamente lungo il suo ventre piatto e raggiunse il pube. Aveva un nerissimo vello accuratamente rifinito a formare una piccola invitante freccia che portava direttamente al suo sesso.
L’eccitazione e la curiosità mi spinsero ad agitare un po’ troppo il cannocchiale e, con la luce che ormai incominciava ad aumentare lei mi scorse.

Con mia grande sorpresa, non fece nulla per coprirsi, ne si spostò rientrando: rimase immobile. Vidi la sua larga bocca aprirsi nel sorriso che ben conoscevo e la sua mano muoversi leggermente in un gesto di saluto. Rimasi immobile incapace di reagire, assalito da un senso di vergogna per averla spiata. Poco dopo sussultai e mi ritrassi. Dietro di lei era comparso un uomo, l’aveva abbracciata da dietro con le mani che si erano immediatamente impossessate dei seni della ragazza. Sabrina aveva reclinato di fianco la testa, consentendo all’uomo di baciarla sul collo, ma non aveva smesso di guardare nella mia direzione.

Sconvolto com’ero, mi ci volle un po’ per notare che aveva iniziato a muovere leggermente i fianchi, rabbrividii al pensiero di quelle sode natiche che sfregavano dolcemente sul membro del maschio che le stava alle spalle. Non ci volle molto prima che l’uomo eccitato la penetrasse. Il movimento era chiaro e distinto ed ancor di più lo furono le ritmiche spinte che lui incominciò ad assestare. Lei si appoggiò alla vetrata per far fronte al crescente impeto di quel maschio.

I miei sensi eccitati percepirono, o credettero di percepire, l’osceno schiocco delle giovani natiche percosse dal pube del maschio. Vidi la mano di lei scendere lungo il ventre e le lunghe dita affusolate raggiungere il pube ed iniziare ad accarezzare il clitoride. Osservavo senza quasi respirare, con il sangue che mi pulsava alle tempie per l’eccitazione che mi sconvolgeva. Credetti di percepire il suo gemito liberatorio quando venne, non resistetti e presi il cannocchiale e lo puntai sul suo viso.

Aveva gli occhi chiusi, le labbra dischiuse e se le mordeva leggermente per soffocare i gemiti. Poi la vidi aprire gli occhi, guardare apertamente verso di me mentre tra le labbra compariva la tumida lingua umettandole di saliva.
Scomparve alla mia visuale ristretta dall’ingrandimento del cannocchiale. Subito lo spostai e la cercai con lo sguardo. Mi accorsi che si era voltata ed inginocchiata davanti al maschio. La larga bocca si era impossessata del membro turgido, le labbra carnose l’avvolgevano e lo massaggiavano mentre i lunghi capelli sobbalzavano a causa dei frenetici movimenti della testa.

Ripresi il cannocchiale e riuscii a vedere la mano che guidava l’asta, l’altra che posta a coppa sotto lo scroto del maschio massaggiava i testicoli. Vidi il pube del maschio iniziare una serie di rapidissimi movimenti istintivi mentre lei improvvisamente si arrestavò lasciando che fosse lui a muoversi quasi chiavandola in bocca. Immaginai lo sperma che eruttava dal glande stampandosi sulla lingua e sul palato, riuscii a scorgere il suo collo che sussultava mentre deglutiva il caldo fiotto che le riempiva la bocca.

L’uomo smise di eiaculare e Sabrina abbandonò l’asta, vellicandola perversamente con la lingua, poi si rialzò e lo baciò. I due scomparvero dalla mia vista. Poi Sabrina tornò e si fermò a tirare le tende. Vidi la sua mano far capolino e ripetere il gesto di saluto che mi aveva fatto quando si era accorta della mia presenza.

Quando l’eccitazione sbollì, lasciò il posto alla rabbia: ero furioso con me stesso e per l’essermi ridotto alla stregua di un guardone, ma ero anche furioso con lei, per come si era comportata. Dopo circa un’ora sentii una macchina partire ed allontanarsi. Poco dopo squillò il telefono.

“Pronto?” – risposi meccanicamente mentre la mia mente vagava altrove
“Ciao…credo di doverti delle scuse….” – Era la voce di Sabrina, ebbi un sussulto
“Lascia stare anch’io…” riuscii solo a farfugliare
“Tu sei scusato…non dev’essere facile fare il recluso, ma io…non so cosa mi abbia preso. Scoprire di essere nuda davanti a te mi ha eccitata e…quando è giunto Roberto ed ha iniziato a toccarmi…”

La sua voce era calda e sensuale e l’eccitazione tornò a crescere in me: “Dovresti piuttosto chiedere scusa a lui, attore inconsapevole. Non si tratta così un fidanzato!” – le risposi io con un poco di rabbia nella voce.

Sabrina scoppiò a ridere: “Non sono fidanzata, era solo un amico…speciale, ma pur sempre un amico.”

La mia eccitazione crebbe ancora, avrei voluto farle avances esplicite, ma mi trattenni.
“Non vorrei che tu pensassi che sono un guardone, è solo che questa maledetta gamba mi tiene immobilizzato…con tanto tempo passato a far niente la mente vacilla…” – dissi
“…e io che pensavo che fosse tutto merito mio e della mia travolgente bellezza!” – rispose lei canzonandomi.
“Non ti preoccupare! So benissimo che non sei un guardone di professione. Anzi, la tua casa è sempre stata ben frequentata e le tue FIDANZATE la mattina quando se ne andavano avevano sempre un aspetto radioso, segno evidente che ci sai fare. Anche quella volta le fidanzate erano due…ho potuto apprezzare come fossero soddisfatte, quando sono andate via…”.

A quelle parole rimasi impietrito: Sabrina mi aveva spiato e con grande attenzione. La mia casa era sempre stata ben frequentata e di belle ragazze se ne sono fermate sempre parecchie. Una sola volta mi era capitato di portarmi a casa due modelle francesi, lesbiche ma in vena di emozioni forti e di qualche cosa insolita…e lei aveva notato tutto.

Non riuscii ad arrabbiarmi, primo perché la sua attenzione solleticava il mio orgoglio di maschio, secondo perché io mi ero comportato allo stesso modo.
“Non sono l’unico che spia dalla finestra a quanto pare….” – dissi in tono complice
“Spiare è una brutta parola…diciamo che a me…piace occuparmi dei miei vicini!” – ridacchiò lei – “Ora debbo scappare. Se hai bisogno di qualche cosa te la porto questa sera quando torno.”

“Qualche cosa ci sarebbe… ma non so se sia il caso di chiedertela…” – dissi con tono pieno di sottintesi.

Lei ridacchiò ancora una volta: “Ora sei in convalescenza, meglio di no. Poi quando sarai guarito…chissà…”.

Mi lasciò ed io attesi a lungo con il microfono in mano sperando che non avesse veramente riattaccato.

Quello fu il giorno in cui Sabrina cominciò a trascinarmi in un gioco crescente fatto di complicità e provocazioni.
La sera stessa mi chiamò al telefono; erano le sette circa.

“Ciao! Sono stata invitata a cena da un uomo molto affascinante…circa della tua età…ho pensato di chiederti qualche consiglio su come vestirmi. Potresti andare alla tua postazione d’osservazione???” – mi domandò.

Feci quello che mi chiese, spostandomi alla finestra con il cord-less.

Sabrina aveva appena fatto la doccia e si era avvolta un asciugamano intorno al corpo

“Prendi quel tuo meraviglioso cannocchiale per favore…” – proseguì.
La vidi sedersi e sollevare una gamba appoggiando il piede al bordo della seggiola. Il movimento fece sollevare l’asciugamano e mi aprì la visuale sulle sue cosce consentendomi di risalire sino a pube. Mi soffermai ad ammirare lo splendore delle grandi labbra arrossate per la doccia calda.

“Non è li che devi guardare…” – disse lei intuendo quanto stavo facendo. Era evidente che aveva studiato quelle mosse con grande attenzione. – “Devo darmi lo smalto alle unghie e volevo il tuo parere sul colore.”

Spostai il cannocchiale puntandolo sul suo piede. Era piuttosto grande, ma ben formato ed aggraziato.
Lei con gesto misurato posò una striscia di smalto sull’unghia. Il rosso fuoco colpì i miei occhi.
Continuò con una nuova striscia su un’altra unghia, questa volta un viola pallido ma brillante.

“Quale dei due ??” – mi domandò
“Il secondo certamente, meno volgare, ma comunque eccitante” – risposi io.
“Bene! Non te ne andare e gustati il panorama mentre io finisco di darmi lo smalto. Ho altre cose da chiederti dopo.”

Non si ‘diede’ lo smalto normalmente: continuò a muoversi, a variare posizione permettendomi di guardare il suo corpo da ogni lato.
Quando l’asciugamano si slacciò e cadde a terra continuò come se nulla fosse accaduto semplicemente commentando: “Tanto sono già asciutta”.

L’operazione, lunga e laboriosa, prese quasi mezz’ora…ma io non mi annoiai per nulla.

“Bene! Ora passiamo alla scelta dell’intimo…” – disse. Cominciò a mostrarmi leggerissime mutandine di seta di vari colori, reggiseni di varie forme e via via gonna camicetta, chiedendomi di sceglere.
Sebbene fosse l’opposto di uno strip, lo spettacolo era comunque eccitante. Alla fine era tremendamente carina ed eccitante.

“Grazie! Ora devo proprio scappare sono già in ritardo…se combino qualche cosa questa sera ti chiamo e ti racconto….” – ridacchiò salutandomi ed allontanandosi con un accentuato ancheggiare che non sfuggì al mio sguardo.

Inutile dire che quella sera passai il mio tempo a pensare a Sabrina che seduceva il suo maturo amico.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio, attesi con ansia la sua telefonata che arrivò puntuale alle due.

“Ciao, disturbo? Stavi dormendo?” – mi domandò con la voce mielosa di una donna soddisfatta
“No, affatto! E’ andato tutto bene ??” – risposi io
“Fantastico !!! Voi quarantenni siete tutti così prestanti ed insaziabili ???” – civetto Sabrina cercando evidentemente di farmi ingelosire
“Maturare serve a qualche cosa..” – replicai io – “Ha apprezzato il tuo abbigliamento ??” – continuai
“Certamente…ed ha apprezzato ancor di più togliermi tutto” – ridacchiò. Poi iniziò a raccontare come era andata la serata, a partire dalla cena in un lussuoso ristorante, alla veloce corsa sulle strade di collina che l’aveva eccitata al punto che si era lasciata andare e glielo aveva succhiato mentre lui guidava a velocità folle.
“Ho cercato disperatamente di farlo godere nella mia bocca, ma non ci sono riuscita…” – confessò candidamente. Poi lui la condusse nella sua gar’onierre
“E’ li che mi ha spogliata e si è dedicato solamente a me…mi ha fatto impazzire! Era così tenero…credo che si sia innamorato del mio culetto. Me lo ha baciato e leccato per ore…credo che volesse tanto farmelo. Ma io non sono certo una che da il culetto alla prima uscita!”

L’implicita ammissione di esser avvezza anche alle pratiche sodomitiche mi provocò una fitta di desiderio che controllai a stento. Sentii il suo respiro cambiare, il ritmo accelerare e capii che aveva iniziato a masturbarsi.

“Ma sei insaziabile! Non dirmi che ti stai toccando!” – esclamai io
Lei ridacchiò: “Che cosa ci posso fare se ho ancora una gran voglia e sono tutta sola nel mio grande letto?” – disse con un gemito.
“Tu piuttosto, sei fatto di ghiaccio??? Non dirmi che non sei eccitato…non dirmi che non vorresti toccarti anche tu…” – proseguì con il respiro sempre più affannoso.
“Veramente solitamente non faccio certe cose, ma…potresti salire da me e risolveremmo entrambi i nostri problemi…” – tentai io.
Lei ridacchiò: “Non sta bene che una ragazza sola vada a casa di un uomo ad un’ora simile! …dai, non ti far pregare! …sto già immaginandoti mentre ti masturbi. Fammi sentire il rumore della zip dei pantaloni che si abbassa..” mi disse con voce sempre più roca.
L’accontentai e ben presto mi ritrovai a masturbarmi come un ragazzino
“Che cosa ti piace di più di me ??” – mi domandò
“La mia bocca, così grande e carnosa perfetta per…? Oppure i miei seni piccoli e sodi come quelli di una ragazzina? O forse preferisci la mia micina o il mio culetto…? Dimmi che cosa ti piace di più!!” – m’incitò.
La mia mano rispose prendendo ad accarezzare velocemente il membro già eccitatissimo.

“Mi piace il tuo culetto, fasciato da quel pantaloncini neri attillatissimi mi fa impazzire….”
La senti gemere alle mie parole: “…Porco!!!! Siete tutti porci voi quarantenni…Cosa ci faresti se potessi??? Me lo leccheresti anche tu??” – mi stuzzicò ancora
“Certamente!” – risposi io mentre la mia mano accelerava ancora – “…ma non mi limiterei di certo a leccartelo!” – conclusi con voce roca.

Ancora una volta un gemito rispose alle mie parole.

Insistetti: “Voglio che adesso ti metta un dito in bocca, che lo lecchi per bene…” – la sentii mugolare a dimostrazione che stava seguendo le mie istruzioni
“Brava! Adesso voltati su di un fianco e passati il dito inumidito tra le natiche…proprio sul tuo piccolo forellino….” – continuai.
Attraverso il telefono la sentii voltare. Le feci ripetere più volte l’operazione: “Fai conto che sia la mia lingua…” – le dicevo ogni volta e lei gemeva
“Adesso mi sono stancato di giocare! Bagnati per l’ultima volta quel dolce ditino, ma questa volta immagina che sia il mio cazzo…” – le dissi.
Il mugolio si accentuò e quando le ordinai di spostare il dito e di affondarlo nel suo culetto, il mugolio si tramutò nel gemito prolungato ed inarrestabile di una donna in preda all’orgasmo.
Mi unii a lei pochi istanti dopo gemendo, a mia volta mentre il mio sesso impazzito spruzzava il mio seme imbrattandomi tutto.

“Sapevo che saresti stato un perfetto amante…. è stato bellissimo buona notte….” – Si congedò Sabrina quando ebbe ritrovato il fiato per pronunciare quelle poche parole.

(Continua…) Quel piacevole tormento nei giorni e nelle settimane successive divenne un inesorabile crescendo. La fantasia di Sabrina pareva non avere limiti. Da un lato io che, malgrado le mie condizioni, avrei voluto rendere il nostro rapporto molto più concreto, dall’altro lei che ostinatamente rifiutava.

Una sera molto tardi, nel corso di una delle nostre solite telefonate notturne Sabrina mi disse: “Sai mi è capitata una cosa strana… Un amico, un vecchio amico sposato ormai da molti anni mi ha confidato di avere scoperto che la moglie è lesbica. Lui è ancora molto innamorato, lei è bellissima, la desidera sempre come il primo giorno, ma lei non vuole essere toccata nemmeno con un dito, a meno che lui non le procuri delle ragazze per soddisfare le sue voglie. Venendo al dunque: mi ha chiesto di dividere il letto con loro una di queste sere. Secondo te, che cosa dovrei fare ???”.

“Secondo me dovresti lasciar perdere tutto e fare un salto su da me. Ti farei passare io certe idee…” – scherzai
“Si serio…ormai dovresti aver capito come la penso: devi solo pensare a guarire. Ora dimmi cosa ne pensi.” – replicò prontamente Sabrina.
“Non so, dipende solo da te…l’idea ti attira ??” – le domandai
“Sinceramente? Si. Da quando ho visto uscire quelle due da casa tua mi sono sempre chiesta cosa si possa provare. Mi piacciono le cose un poco perverse…” – confesso lei
“Allora fallo!”
“Aspetta non ti ho ancora detto tutto. Lui e la moglie sono soliti riprendere queste loro serate con la videocamera…avevo pensato che potrei farmene dare una copia così tu…potresti vedermi impegnata nella mia prima esperienza lesbica. Che ne dici ?”
Dal tono della voce si capiva chiaramente che era eccitata dall’idea che io potessi vederla
“Lo vedrei molto volentieri…” – risposi con un filo di voce mentre una paurosa erezione sconvolgeva i miei pantaloni.

A differenza delle altre volte, tornata da casa del suo amico e della moglie, Sabrina non volle parlarmene. Poi, una mattina, mi recapitarono un pacchettino. Quando lo aprii scoprii che si trattava di una videocassetta.

Con mani tremanti la introdussi nel videoregistratore. La cassetta iniziava con Sabrina e la moglie del suo amico, che entravano nella camera da letto. Non potei fare a meno di notare che Sabrina non aveva esagerato: la donna era veramente bellissima, poco più che trentenne, dai capelli rosso fuoco, lunghissime gambe ed un seno ben formato. Fu molto eccitante vedere le due donne studiarsi, sfiorarsi ed accarezzarsi per poi iniziare a spogliarsi. Per la prima volta Sabrina pareva impacciata ed imbarazzata, ma la rossa sapeva cosa fare e sotto al suo tocco lentamente la ragazza si sbloccò. La stanza incominciò a riempirsi dei suoi primi gemiti eccitati mentre la lingua della rossa entrava in azione. Ben presto il letto divenne un groviglio di corpi alla frenetica ricerca del piacere. Mi eccitò moltissimo vedere Sabrina leccare con passione la vagina della rossa.

Dopo un buona mezzora sulla scena comparve anche il marito della donna, amico di Sabrina. Era ovviamente eccitatissimo, cercò le labbra della moglie che però dopo poco lo cedette a Sabrina per tornare a leccare la giovane. La sua capace bocca lo accolse con facilità e lei vi si dedicò con passione accresciuta dall’abile lingua della donna.
Dopo non molto l’uomo la rovesciò sul letto e la penetrò, mentre la moglie leccava i loro sessi. Sabrina al centro delle attenzioni dei due venne penetrata nelle più svariate posizioni. Poi l’uomo tentò di penetrarla nel culetto, ma lei, che sino ad allora si era prestata docilmente ad ogni gioco si sottrasse.
“Mi dispiace cocco…questo non è per te! Lo riservo ad una persona speciale…” – disse.

Quelle parole mi fecero impazzire, immaginando di essere io quella persona speciale.
La foga del maschio si riversò allora sulla moglie che questa volta non si oppose e si lasciò inculare, mentre Sabrina la leccava. Il membro scorreva velocissimo nello splendido culo ed ad un tratto sfuggì al ferreo abbraccio eruttando sperma sul volto della ragazza. Quasi contemporaneamente anch’io venni imbrattandomi la mano.

Arrivò finalmente il giorno in cui mi tolsero il gesso. La mia mobilità migliorò un poco anche se dopo tanta immobilità qualche difficoltà c’era. Sperai che fosse giunto il momento di approfondire il mio rapporto con Sabrina; orami non riuscivo a pensare ad altro che al momento in cui l’avrei avuta tutta per me.

Alla prima occasione ci provai: “Ora sto molto meglio, sai? Non sono ancora al cento per cento ma…se tu venissi a trovarmi e mi facessi qualche massaggio…sono convinto che farei miracoli”
“Forse hai ragione! Hai proprio bisogno di un bel massaggio. Una mia amica è infermiera diplomata, ma guadagnava troppo poco ed ora si è specializzata in massaggi…qualunque tipo di massaggio. Te la manderò…e poi tu mi racconterai i tuoi progressi” – ridacchiò lei rifiutando per l’ennesima volta le mie anvances.

Quando due giorni dopo si presentò a casa mia Ilaria, l’amica di Sabrina, rimasi molto deluso. Era una brunetta non molto alta, con gli occhiali e con un viso carino, vestita in modo non certo eccitante. Credetti di essere di fronte ad uno scherzo di Sabrina.
La ragazza infatti, con fare professionale, mi disse: “Lei è Daniel, vero? Sabrina mi ha detto del suo incidente, ma adesso andrà meglio: qualche seduta di rieducazione e starà bene”.
In fondo avevo proprio bisogno di massaggi rieducativi, la gamba mi faceva ancora un gran male.
Mi chiese dove fosse la camera poi il bagno. Glieli indicai e lei prontamente mi disse: “Lei intanto si spogli, tenga pure maglietta e mutande e si stenda sul letto. Io mi cambio e la raggiungo…” – e scomparve ne bagno.

Senza farmi altre illusioni, seguii le sue istruzioni e mi stesi sul letto ad attenderla.
Quando la vidi ricomparire stentai a riconoscerla: indossava il camice bianco di ridottissima misura che le fasciava un petto ben più sviluppato di quando avessi immaginato e finiva in una cortissima gonna sotto la quale si vedeva il reggicalze che sosteneva le candide calze a rete. I tacchi altissimi, a spillo, esaltavano la bella linea delle lunghe gambe.

“Che tipo di massaggio preferisce ???” – mi domandò appoggiando un piede sul letto in modo che potessi vedere ben oltre il bordo della gonna. Sorrisi: “Vedremo di volta in volta, dopo tanta inattività credo che la seduta sarà lunga…Una sola richiesta: vorrei riprendere la seduta con la mia videocamera. Nulla in contrario? ”
“Cosa intende farne ?” – mi domandò la ragazza
“Uso personale” – risposi io
“Allora va bene”.

Una volta piazzata la telecamera, Ilaria si avvicinò per iniziare il massaggio, ma io la fermai: “Anch’io sono bravo nei massaggi e vorrei un tuo parere da esperta…” – le dissi mentre le mie mani iniziavano ad esplorare il suo corpo giovane e sodo.
Per prima cosa slacciai il camice e liberai i suoi seni, li soppesai. Era un a terza abbondante. La mia bocca iniziò a dedicarsi ai capezzoli grossi e scuri e non mi ci volle molto perchè iniziassero ad inturgidirsi. Continuai a stuzzicarla mentre la mia mano risaliva lungo la vellutata seta delle cosce sino a raggiungere il bordo delle calze ed a proseguire sino ad incontrare la calda e pulsante vagina.
Non mi ci volle molto per strappare ad Ilaria il primo gemito soffocato. La liberai del camice e la rovesciai sul letto iniziando a leccarla più in basso.

Il giovane corpo rispose ai miei abili tocchi ed i primi umori incominciarono a fluire. Mi stesi sul letto e la invitai a salire sopra di me e a continuare il gioco. Ripresi a leccarla mentre lei a sua volta liberava il mio membro oramai eccitato ed iniziava a sfiorarlo con la bella lingua ben inquadrata dalla telecamera.
Quel corpo era una continua sorpresa: in quella posizione potevo ammirare lo splendore delle sue natiche sode e perfettamente modellate. Le mie mani iniziarono a palparla.

Lei scivolò in avanti e non riuscii più a leccarla. Iniziai allora a giocare con le dita sulla vagina ormai perfettamente lubrificata. Nel frattempo il mio cazzo era scivolato nel solco dei suoi seni e lei li aveva stretti dolcemente intorno all’asta.

Giocammo a lungo e senza fretta prima che lei percependo il mio desiderio si stendesse sopra di me affondandosi il cazzo nel ventre.
Era veramente brava, si muoveva con armonia mentre le mie mani vagavano sul suo corpo. Mi divertii a saggiare con le dita la resistenza del suo forellino posteriore trovandole elastico e molto capiente.
“Ti piace il mio culetto vero?” – disse Ilaria – “Vorresti provarlo ???”
“E’ stupendo e sono certo che sarebbe un’autentica delizia ma…ne conosco uno ancora più bello…diciamo che voglio conservarmi in onore di quel sogno” – le risposi.

Volevo dar prova a Sabrina della mia ritrovata efficienza fisica, così rovesciai Ilaria sul letto e presi a scoparla con foga.
La presi persino alla pecorina anche se con qualche difficoltà. Ma la difficoltà maggiore fu ignorare il suo splendido culo che pareva palpitare desideroso davanti ai miei occhi.
Cercai di trattenermi il più lungo possibile, ma la lunga astinenza poneva limiti invalicabili.
Mi staccai da Ilaria e la feci sedere sul letto appoggiata allo schienale le porsi il cazzo da succhiare e lei iniziò a stuzzicarlo con la lingua. Chiusi gli occhi ed immaginai che al suo posto ci fosse Sabrina. Inarrestabile l’orgasmo mi colse. Il cazzo si contrasse eruttando un fiume di sperma sul viso di Ilaria che non si scompose e continuò a leccare e succhiare bevendo quanto le giungeva in bocca e lasciando che il resto le imbrattasse oscenamente il viso.

Mentre Ilaria stava per andarsene, le porsi la cassetta.
“Visto che sei amica di Sabrina, dalle questa da parte mia”
Lei sorrise: “Ne ho vista di gente strana in vita mia, ma voi due li battete tutti…”
Ridacchio e, presa la cassetta, se ne andò salutandomi con un sorriso.

Quella sera fui io a telefonare a Sabrina
“Hai visto la cassetta ?” le domandai
“Ed ho anche parlato con Ilaria: mi ha confermato quanto già sapevo. A letto ci sai fare. A proposito…grazie per il complimento” – rispose
“Quale complimento ?” – domandai, facendo il finto tonto
“Hai detto che il mio culetto è meglio di quello di Ilaria…ed il suo è veramente stupendo…”
“Allora avrai capito che quando c’incontreremo non avrai scampo e dovrai concedermelo” – incalzai
“Quando c’incontreremo sarò la tua schiava…potrai fare di me ciò che vuoi…non ti negherò nulla”.

Rispose lei con voce roca ed eccitata. Ero ormai stanco di quei giochetti, non potevo più aspettare.
“Adesso basta! Non hai più scuse. Come hai visto sono perfettamente in grado di soddisfarti a pieno. Dimmi quando c’incontreremo!”

Lei ancora una volta cercò di resistere, io minacciai di smettere con il gioco ed alla fine giungemmo ad un compromesso.
“Tra dieci giorni, Sabato sera, voglio che duri tutta la notte” – si arrese lei.

(Continua…) Il tempo per me parve fermarsi e quei giorni mi parvero lunghissimi, ma alla fine trascorsero. Avevo ancora qualche difficoltà a camminare, ma me la cavavo. Mi preparai ed andai a prenderla. Mentre attendevo alla sua porta, un fremito di timore e di impazienza mi assalì.

La porta si aprì e comparve Sabrina. Era vestita come al solito di nero. I lunghissimi capelli neri erano stati cotonati e formavano un’incredibile criniera che si perdeva sulle spalle fondendosi con il giubbotto di pelle. Il giubbotto si apriva su di una canottierina, anch’essa nera e assolutamente trasparente che prometteva di non lasciare nulla all’immaginazione. Ancora più un basso una microscopica minigonna di pelle, copriva a malapena il bordo delle calze a rete ed il reggi calze e lei si muoveva come una pantera sugli altissimi tacchi a spillo.

“Come mi trovi ?” – domandò
“Stupendamente eccessiva…” – risposi io e lei gongolò
“Voglio essere eccessiva questa sera. Voglio essere la tua puttana, pronta a soddisfare ogni tuo desiderio….” – Rispose e mi baciò lasciandomi un pesante segno del rossetto scarlatto che ornava le sue labbra carnose.
Salimmo in macchina e partimmo.

“Sai? Mentre mi preparavo mi sono dovuta cambiare tre volte le mutandine. Alla fine ci ho rinunciato. Sono troppo bagnata…” mi disse.
Allungai una mano che lei strinse tra le sue cosce: non mentiva, era completamente fradicia.
Usciti dal centro abitato iniziammo ad inerpicarci lungo la strada che conduceva al ristorante dove avevo prenotato.
Lei mi domandò: “Quanto ci vorrà ?”
“Una mezz’ora” – risposi.
“Bene, allora c’è tutto il tempo per un aperitivo…” – disse.
Si stese tra me ed il volante e le sue mani presero ad armeggiare con i miei pantaloni.

“Sei pazza! Finiremo fuori strada!” – cercai di oppormi senza troppa convinzione
“Peggio per te! Ho dei denti molto affilati…” – ridacchiò.
Subito dopo le sue morbide labbra mi avvolgevano ed immediatamente la mia erezione si fece prepotente.
Era bravissima e la sua lingua cesellava ogni millimetro dell’asta che scompariva sempre più profondamente nella sua gola.
Le sue labbra riuscivano a sfiorare lo scroto e lei si tratteneva così con il glande profondamente conficcato in gola sino a quando non le mancava l’aria ed era costretta ad indietreggiare per non soffocare.
La mia eccitazione ben presto crebbe oltre il sopportabile: “Se continui così mi farai venire…!” – mugolai, ma lei non si fermò e quando sentì il membro irrigidirsi ancor di più e iniziare a contrarsi eruttando caldissimi getti di sperma, serrò le labbra intorno all’asta in modo da non lasciarsene sfuggire nemmeno una goccia.

La sentii ingoiare rumorosamente e mugolare di piacere per poi ripulirmelo dolcemente con la lingua sino a che non si fu un poco ammosciato.
Solo allora lo abbandonò e lo ripose nei pantaloni tornando a chiuderli.
Si alzò e mi sorrise leccandosi le labbra: “Delizioso….un aperitivo fantastico.”
“Per essere la mia schiava hai un po’ troppe iniziative…” – scherzai io
Lei strinse le spalle: “Ti è per caso spiaciuto ??? A me non è sembrato” – e rise.

Arrivammo al ristorante, ci accomodammo e lei si sfilò il giubbotto. La canottiera trasparente aveva eleganti ricami che nascondevano appena i suoi stupendi seni.
Appena tolto il giubbotto mi disse: “Vado un attimo in bagno..” – e si allontanò sculettando impercettibilmente, attirando gli sguardi di tutti i maschi presenti ed i commenti furiosi delle signore.
Cenammo. Il suo piedino più volte si allungò verso di me a stuzzicarmi e ogni volta le mie mani risposero accarezzandole le gambe.
Cercai di controllarmi dal momento che quella sera sarebbe stata la nemesi delle pene che mi aveva fatto passare nelle settimane precedenti.

Appena usciti Sabrina mi sussurrò: “Ho mangiato benissimo, adesso sento proprio il bisogno di un digestivo…” – leccandosi le labbra per farmi pregustare la replica di quanto accaduto all’andata.
Scossi la testa: “Questa volta faremo a modo mio: avrai il tuo digestivo ma nel modo in cui vorrò io. Sono o non sono il tuo padrone ??”.
Sabrina si strinse al mio braccio docile e compiaciuta: “Sono la tua puttana padrone, farò tutto quello che vuoi.”

Risalimmo in macchina e velocemente ridiscesi alla pianura; l’attesa di quanto sarebbe accaduto dopo elettrizzava Sabrina.
Percorsi i lunghi e bui vialoni che circondano la città e mi diressi verso i fuochi che costeggiavano la strada, rallentando l’andatura.
Non fu facile trovare la ragazza che cercavo. Durante tutto il tempo Sabrina se ne rimase in silenzio.

Alla fine trovai una bella ragazza di colore dalle forme opulente che mi propose: “Per duecento mila faccio tutto quello che volete”.

La feci salire e ci allontanammo sino ad una zona tranquilla.
Io e Sabrina scendemmo dalla macchina lasciando la ragazza seduta dietro.
Aprii la portiera e mi posi davanti a la ragazza lasciando abbastanza spazio per permettere a Sabrina di guardarci.
Aperti i pantaloni, tirai fuori il cazzo.
Da brava professionista la ragazza poggiò il preservativo sulla punta ed aiutandosi con le labbra per tenere ferma l’asta fece scorrere la gomma sino alla radice. La presi per la nuca e le affondai il cazzo in gola e iniziai a farmi spompinare.

Poi, fatto un passo indietro e la feci alzare, la misi a quattro zampe sul sedile, le sollevai la corta gonna scoprendo le giunoniche natiche. Non portava le mutandine, naturalmente. Piegai leggermente le ginocchia e la penetrai, poi mi appoggiai sulla sua schiena e con le mani ghermii le sue belle tette polpose. Iniziai a scoparla con decisione. Tutt’intorno l’aria riecheggiava del suono del mio pube che sbatteva contro le natiche d’ebano.
Non mi ci volle molto prima di raggiungere l’orgasmo. L’idea di scoparmi quella ragazza proprio sotto gli occhi di Sabrina mi eccitava moltissimo. Era solo l’inizio. Ben presto ruppi il ritmo e mi persi in una serie di colpi convulsi, mentre venivo copiosamente.

Mi voltai verso Sabrina, le posai le mani sulle spalle, sotto la mia leggera pressione lei docile si accucciò davanti a me.
Con le mani tremanti per l’emozione, mi sfilai il preservativo, stando attento a non far sfuggire nemmeno una goccia del prezioso liquido.
Lo avvicinai alla sua bocca. Lei capì al volo e spalancò le labbra. Versai lo sperma raccolto nel serbatoietto di plastica, facendo in modo che le colasse sulle labbra e sul viso. Lei bevve tutto e mi ripulì le dita con la lingua.

Senza parlare pagai la ragazza riaccompagnandola dove l’avevamo incontrata. Ritornammo a casa senza parlare.
Appena arrivati, aprii le tende per riempire la stanza di luce.
“Spogliati” – dissi a Sabrina. Lei obbedì prontamente.

Finalmente quel corpo era completamente nudo e a pochi centimetri da me. Potevo sfiorare quella pelle tanto a lungo sognata. Prima di toccalra presi a girare intorno a lei ammirandola in silenzio. Le chiesi poi di spogliarmi.
Le sue mani sul mio corpo mi fecero rabbrividire.
La condussi in camera da letto, la feci sdraiare sul letto e le legai i polsi dietro la schiena. Lei, docile oggetto tra le mie mani, si lasciò bendare. Iniziai a giocare con il suo corpo, ad accarezzarla, a baciarla a leccarla. La sentivo fremere e gemere sotto i miei tocchi. La sua crescente eccitazione aumentava anche la mia. Il membro era così duro da dolermi mentre ero impegnato in quella dolce tortura.
Per trovare sollievo spinsi il glande contro le sue labbra. Lei prese a succhiarmelo dolcemente. Le mie mani ripresero ad esplorare il suo corpo. Allungai una mano e presi il tubetto di crema che avevo preparato, ne spalmai un bel po’ sulle dita e le affondai tra le sue sodissime natiche. Lei gemette ingoiando ancor di più il cazzo in bocca. Ripetei l’operazione ma questa volta lasciai che un dito finisse dentro al suo culetto: era incredibilmente stretta. Sentivo le pulsazioni della carne. Mi ritrassi spaventato.
Lei intuì la mia paura: “Non fermarti… non importa se non l’ho mai fatto prima… ti voglio nel mio culo… ora” – gemette implorandomi.

Ripresi a lubrificarla con maggiore dolcezza, cercai d’abituarla lentamente. Poi le salii sopra ed iniziai a spingere con decisione sullo sfintere.
La vidi mordersi le labbra.
Le sussurrai: “Rilassati e spingi, non cercare di opporti…”
Dopo qualche tentativo finalmente varcai la soglia del suo sfintere e con piccoli leggeri colpi scivolai sempre più in lei.
Slacciai la cinghia che le cingeva i polsi e le tolsi la benda. Le feci girare la testa e la baciai con passione, mentre iniziavo a muovermi dentro di lei.
“Ti piace ??” – domandò lei appena le lasciai libere le labbra
“Sei fantastica…” – risposi io affondando un paio di colpi più decisi.

Le mie mani ripresero a giocare con il suo corpo, l’eccitazione aveva ormai preso il posto del dolore e lentamente la condussi all’orgasmo. Ubriaco dei suoi gemiti, mi unii a lei inondandole l’intestino con il mio sperma.

Ansanti e sudati ci stringemmo l’una all’altra.

Dopo aver ripreso fiato andammo insieme a farci la doccia.
Tra una carezza e l’altra ben presto tornammo ad essere eccitati. Incominciammo a scopare in piedi sotto il tiepido getto ristoratore.
La sua fichetta, stretta e sensibile non era meno deliziosa a confronto dell’entrata posteriore.
La omaggiai con una nuova razione di sperma, sebbene meno copiosa delle precedenti.

Abbracciandola e baciandola teneramente, pensai che in fondo quella caduta in moto non era poi stata una sfortuna così grande. L’enorme garage sotterraneo era silenzioso nella sua penombra, nella sua quasi oscurità.
Dal mio nascondiglio, dietro uno dei grandi pilastri, vicino ad un postauto rintanato in un angolo, guardavo le sagome confuse delle altre auto parcheggiate. L’orecchio teso a sentire qualche altro rumore che non fosse il ticchettio di un motore che si raffreddava.
La tuta da meccanico blu scura, il passamontagna che mi copriva tutto il viso, tranne occhi e bocca, mi rendevano invisibile.
Sapevo che stava per arrivare e non volevo correre rischi: troppa era la mia voglia di possedere quello splendido corpo da puttana .
Il cigolio del lontano cancello d’ingresso si apriva attirò la mia attenzione. Riconobbi il rumore del motore che si stava avvicinando.
Tante volte avevo ascoltato quel suono, spiandola, in attesa dell’occasione favorevole.
Le luci si accesero automaticamente; avevo fatto bene a togliere qualche lampadina rendendo ancora più buio l’angolo dove ero in agguato.
Sentivo che l’eccitazione saliva dentro di me come una fiamma liquida: tra poco avrei avuto quello che bramavo.
L’auto si parcheggò in fondo alla fila di auto, il motore si spense dopo un ultimo rombo.
Intravidi l’occhiata perplessa della guidatrice alla penombra intorno: come al solito il garage era poco illuminato malgrado i numerosi interventi per l’illuminazione. Strinsi gli occhi al rumore della serratura per non restare abbagliato dalla luce dell’auto che si accese mentre lei apriva la portiera. In controluce i suoi lunghi capelli biondi e arricciati sembravano una criniera dorata. Dall’auto uscì una gamba lunga, interminabile, perfetta, dalla caviglia sottile alla striscia di pelle nuda oltre l’orlo di una calza autoreggente velatissima, coperta a malapena dalla gonna cortissima. Eccola là, col suo modo di scendere sempre puttanesco, mostrando il più possibile del suo corpo arrapante.
L’altra gamba raggiunse la prima, dandomi il tempo di intravedere il triangolo degli slip.
Uscita dall’auto si tirò su lisciando la gonna sui fianchi opulenti e tirando giù la giacca aperta a mostrare il seno superbo ed eretto sotto una maglietta scollata e aderente. Sentivo il mio cazzo ergersi ed indurirsi, impaziente.
Si chinò a prendere qualcosa nell’auto: era arrivato il momento! Uscito dal mio nascondiglio la afferrai per le spalle strattonandola fino a stendenderla a pancia sotto sul cofano ancora caldo. Lei emise un grido tra il sorpreso ed il terrorizzato cercando di divincolarsi.
Mi gettai sopra di lei, avvicinando la bocca al suo orecchio: “Sta’ zitta, troia, se non vuoi che ti faccia male!”.
Lei soffocò un nuovo grido che stava per emettere.
Rialzandomi leggermente le tirai giù la giacca sulle spalle, in modo da bloccarle le braccia, poi infilai una mano tra le sue cosce, afferrai gli slip e li strappai via. Appoggiai la mano sulla sua fica, tastando il calore che emanava dal suo sesso. Cominciai a strofinare la mano tra le sue cosce. Lei tentò di stringere le gambe per bloccarmi.
“Piantala, stronza! Allarga le gambe…vedrai che ti piacerà”.
Facendo forza con le mie le feci allargare le gambe, poi le infilai dentro un dito e cominciai a sgrillettarla.
Tentò ancora una volta di divincolarsi, senza successo, vista la posizione ed il mio peso.
Continuai a masturbarla furiosamente con due dita, poi introdussi di forza il pollice nel suo ano, strappandole un eccitante gridolino.
Sentivo le mie dita inumidirsi. La fica cominciava a colare sempre più succo.
Staccai la mano e tirai giù la lunga chiusura lampo che chiudeva la mia tuta da meccanico. Liberai il mio cazzo teso e duro come una sbarra di ferro.
Le afferrai nuovamente le spalle e appoggiai la cappella alle labbra bagnate del suo sesso. Spinsi entrando in lei con un grugnito di piacere, a cui lei rispose con un gemito.
Cominciai a pomparla, avanti e indietro, con colpi violenti, profondi. Assestavo il mio cazzo dentro di lei, con forza, dentro la pancia di quella puttana.
Lei cominciò lentamente a rispondere alla penetrazione, divincolandosi appena, muovendo i fianchi come per sfuggirmi. Così facendo non si era resa conto che rendeva ancora più intensa e profonda la penetrazione. Sempre più infoiato continuavo a pompare come un ossesso, finché un suo sonoro:
“Aaaahhhhh, aaaaahhhhhh, aaaaaahhhhhhhhh………” ruppe il silenzio. Stava gemendo, scossa da quello che indubbiamente era un orgasmo potente. Stava godendo, la zoccola.
Ma il bello doveva ancora arrivare. Tirai fuori il cazzo, madido dei suoi succhi abbondanti, glielo appoggiai al buchetto posteriore e cominciai a premere con decisione, aprendomi lentamente la strada nel suo culo.
“No, no! Lì no! Fa male! Ahhh, aahhhh, aaaaaaahhhhhh!”.
L’iniziale diniego per il dolore si trasformò nuovamente in un gemito di piacere mentre ormai ero completamente dentrl al suo stretto canale.
Cominciai di nuovo a stantuffare come un forsennato. I suoi gemiti sempre più intensi accompagnavano quella folle galoppavata verso un orgasmo travolgente. La sentii sussultare sotto di me mentre mi svuotavo dentro di lei, mordendole selvaggiamente una spalla.
Mi bloccai su di lei a riprendere fiato. Mai avevo provato un orgasmo così intenso. Poi mi staccai da lei, lasciandola ansimante piegata sul confano.
“Resta ferma così, non ti muovere”.
Richiusi la lampo e rapidamente guadagnai l’uscita di sicurezza, filandomela via prima che lei potesse riprendersi.
Raggiunsi la mia macchina, salii e guidai velocemente verso casa, riassaporando con la mente il godimento che avevo appena provato.
Parcheggito al solito posto, salii in ascensore e infine entrai a casa.
Buttai la tuta nel cesto della biancheria sporca e m’infilai sotto la doccia.
Mentre mi lavavo sentii entrare in bagno mia moglie: indossava un accappatoio che copriva a malapena il suo bel corpo nudo, abbronzato.
Sulla spalla spiccava il segno di un morso.
Mi venne vicino e cominciò ad accarezzarmi il cazzo.
“Fammi godere, ancora!”.
“Certamente! …vedrai che sorpresa ti preparo per la prossima volta!”.

M’infilò la lingua in bocca, iniziando un bacio carico di passione.

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