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Flux: visioni di cambiamento

By 6 Agosto 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Dopo l’avventurosa vacanza alle Hawaii, tornai alla mia vita di sempre. Ma ora é giusto che i lettori sappiano che non sono stato il solo ad agire.
Il lettore informato sulle mie avventure ricorderà sicuramente Flux, la mia compagna di diverse avventure e mia amante in più di un occasione (coloro che si sono persi la storia del nostro “rapporto” possono rileggersi tutte le mie avventure).
Ebbene, mentre io andavo in vacanza, lei si é trovata a dover risolvere un problema decisamente enorme e diverso da qualunque altro.
Il lettore avveduto ricorderà quanto avvenuto a Flux in Giorni Diversi. La storia inizia dal giorno successivo alla partenza di Flux.

Aria calda. Maledettamente calda. Flux espirò, tergendosi la fronte. Il Gran Canyon era decisamente caldo in quella stagione. Peggio ancora, il suo contatto era in grave ritardo. Questo e la calura rendevano la giovane mutante quantomeno irritata.
-Perché non poteva fissare l’appuntamento in qualche bar o in un hotel con aria condizionata, come tutti?-, si chiese a voce moderatamente alta.
La giovane era partita da New York dopo la notte di passione che l’aveva vista giacere insieme a Blade (un mutante che da rivale era divenuto un compagno oltre che una delle poche, pochissime persone di cui Flux avrebbe potuto dire di fidarsi) e Zhara al-Jilani (una mutante con tratti rettiliani). Era stata una delle notti più belle che Flux potesse mai dire d’aver vissuto.
Però la vita dei freelance in qualunque ambito era vissuta in corsa e la sua non faceva eccezione.
Così, aveva preso ed aveva raggiunto quel maledetto Gran Canyon, dove ora attendeva da mezz’ora l’arrivo del committente.
Flux raggiunse la bottiglia d’acqua che teneva in borsa con la mano e la stappò. Bevve a grandi sorsi, traendone ben poco beneficio, poiché l’acqua pareva essere divenuta quasi calda.
Infine lo vide. Un 4×4, mezzo adatto a quasi ogni terreno.
Alla guida, un tizio che pareva un bodyguard. Dietro di lui, seduto sul sedile del passeggero, il committente.
Un vecchio. Vestito in modo sportivo ma pur sempre vecchio e quasi patetico.
Flux aspettò che il 4×4 si fermassse e che i due scendessero. Decise che non gli avrebbe fatto pesare il ritardo. Il vecchio si avvicinò. Calvo, mano tremante e decisamente interessato, la scrutava con lo sguardo con cui la scrutavano molti, moltissimi uomini.
Era comprensibile: nera, magra, relativamente atletica e con capelli neri che arrivavano fino alle scapole, Flux sapeva di essere bella e ne approfittava (entro certi limiti). Lasciò che quel vecchio si perdesse a contemplare ciò che lei non gli avrebbe mai dato.
-Ebbene?-, chiese dopo dieci secondi. Il vecchio parve riprendersi all’improvviso, renendosi conto dell’imbarazzante situazione. A suo merito, non disse nulla di sconveniente né ci provò spudoratamente con lei.
-Sì. Giusto… beh, si tratta di questo… C’é un mio rivale, un bastardo che mi ha rovinato la vita. Lo voglio morto.-.
-Già. Chi é e dove si trova?-, chiese lei.
-Armin Holoff. Credo abiti a Dresda.-, disse il vecchio.
-Capisco.-, disse lei. Era un lavoro come un altro.
-Cinquemila dollari adesso, e diecimilla a lavoro fatto sul conto che mi ha indicato.-, disse il vecchio.
Quella condizione era già stata stabilita (da lei, non da lui) in precedenza ma evidentemente quell’ometto si sentiva in dovere di ricordarle tutto ciò.
-Sì.-, disse lei. Il vecchio parve sgonfiarsi. Poi annuì. Schioccò le dita. Il Bodyguard estrasse una mazzetta di banconote e le mostrò alla nera.
Flux le controllò. Sapeva riconoscere dei soldi falsi e quelli non lo erano. Annuì, riponendo il contante nella borsa. Sorrise, come per sciogliere la tensione.
-Bene. Avrà mie notizie tra… tre giorni.-, disse. Si voltò senza salutare. Non le servivano sensi potenziati per sapere che il vecchio le stava fissando il fondoschiena.
Arrivata al suo mezzo, disse all’autista di muoversi. L’uomo annuì. Era un precario, uno che Flux aveva pagato per darle dei passaggi qua e là. Faceva il suo lavoro senza farsi domande o scrupoli. Ma era solo quello, un autista. Anche lui la guardava con desiderio, persino in quel momento. Ma Flux sapeva bene che il fare sesso con quell’uomo le avrebbe solo procurato guai, così si limitò a ignorare quello sguardo.
La notte prima aveva dormito poco e il suo mezzo era chiuso e climatizzato. Regolò il sedile per stare più comoda e si assopì.

Il sogno le giunse all’improvviso, si scoprì a camminare in una valle lussurreggiante, piena di vegetazione. Una vera e propria giungla. Camminò per un po’ e poi lo vide. Il tempio. Una sorta di ziggurat dalle pareti piene di simboli e scritte che le parevano in Sanscrito.
Sentì di essere arrivata alla meta e si avvicinò.
Percepiva una vibrazione, un richiamo mistico che non riusciva a comprendere fino in fondo.
Appena toccò le pietre del muro del tempio, sentì la sua pelle scottare…

-Ehi.-, una mano la scosse non troppo dolcemente, -Ci siamo.-. Flux aprì gli occhi, riprendendosi. Il sogno le aveva lasciato addosso una sensazione che aveva provato molto raramente, quella di essere come sdoppiata, la sequenza di immagini oniriche le era rimasta in testa. Si stiracchiò, per darsi un tono.
-Grazie.-, disse. Estrasse due banconote da cento dollari e le allungò all’autista. Lui le intascò senza fiatare e la nera scese. Meno di due ore dopo era all’interno di uno dei suoi rifugi, una casa intestata alla signorina Vanhaume (una delle sue identità fittizie).
Contattò il suo informatore di fiducia, ordinandogli di iniziare a cercare tutto il possibile su Armin Holoff.
Poi mangiò qualcosa, riscaldando una pizza surgelata e fece una doccia fresca. Passò le successive due ore ad attendere leggendo un romanzo di Lovecraft.
Infine, notando che non rispondeva, fece un po’ di esercizio fisico. Il jingle della chiamata in arrivo la strappò dai suoi pensieri.
-Pronto?-, chiese.
-Armin Holoff, ex archeologo e trafficante di opere d’arte, socio d’affari di Helmut Freihaus. I due hanno litigato per una questione di profitti. Helmut poi ha subito un’aggressione che gli é costata una degenza in ospedale e la perdita della moglie e del figlio.-, disse l’informatore. Flux annuì.
-Dove si trova, ora?-, chiese. Silenzio. Tasti battuti.
-&egrave residente a Dresda, nel centro storico. Ma la sua casa… é una vera fortezza.-, disse lui.
-Troverò il modo di entrarci.-, disse lei.
-Lo so. Sei la migliore.-, replicò l’hacker.
Flux sorrise e chiuse la chiamata. Era pur vero che quella galanteria era fine a sé stessa: lei e quel tizio non si sarebbero mai incontrati. Lui era solo un informatore, quasi neanche una persona, solo dati e parole attraverso l’etere e lei per lui era solo una cliente. Tra loro ci sarebbe stato sempre e solo quel discorso. Quella continua domanda e offerta.
Puro e semplice rapporto d’affari. Fine.
Prenotò un volo per Dresda e uscì. Bevve qualcosa a un bar, respinse due tizi poco interessanti che ci provarono spudoratamente con lei, rincasò e tornò a letto.

Un oggetto bizzarro. Una sorta di disco d’ottone. Brillava. Aveva delle scritte lungo il bordo. Sanscrito, ancora.
Poi una voce tuonò, da ovunque e nessuna parte.
-Tu viaggi, uccidi, inconspaevole. Sei morta. Salva la tua anima, salvati finché puoi!-.
Flux si strappò dal sonno, svegliandosi col battito a mille.
Cosa diavolo voleva dire quel sogno?
Era morta, sì. Ed era stata riportata indietro.
La mano le corse al tatuaggio. Una runa ignota che baluginava sanguigna sulla sua pelle scura.
La stessa runa che c’era sul petto di Blade. Il simbolo del suo sacrificio. La nera si alzò. Inutile tergiversare. Preparò i pochi bagagli e uscì.
Il volo sarebbe partito tra cinque ore. Attese.
Poi, improvvisamente, mentre attendeva al Gate, accadde qualcosa.
La sua mano destra divenne acqua. Improvvisamente e senza motivo. Flux dominò lo shock. Era da quando aveva scoperto i suoi poteri che non le succedeva.
Non andava bene. Ma sapeva di non stare male.
“Cosa diavolo mi succede?”, si chiese.
Espirò, dominando il timore. Si accorse che il Gate era aperto ora. Salì sull’aereo cercando di non mostrare paura o dubbi.

Arrivò a Dresda nel pomeriggio. Prese una stanza in un hotel di media categoria, nel centro storico.
Dresda non le piaceva. Quella città aveva sofferto enormemente, come lei. Ma pareva essere bloccata nel tempo, i resti di bunker antiarei e le stesse pietre portavano evidenti segni di ciò che era accaduto.
“Una città sfregiata. Forse non si riprenderà mai più”, pensò. passeggiò per i viali finché non vide la casa di Holoff. Un appartamentino, una casa monofamiliare.
A giudicare dal suo informatore, quella casa era una maledetta fortezza. Gironzolò in zona, cercando di non dare nell’occhio mentre studiava la zona. Fortunatamente c’erano vicoli, posti in cui nascondersi…
Sì, non sarebbe stato nulla di particolarmente difficile.
Sorrise.

Si concesse una cena in un ristorante locale, poi uscì ancora, verso la mezzanotte, per verificare ulteriormente le condizioni della zona.
E proprio mentre passeggiava, cadde in avanti quando il suo piede sinistro divenne d’acqua. Imprecò, quella faccenda era grave. Prima l’avesse risolta, meglio sarebbe stato per tutti quanti. Tornò in hotel.
“Cosa diavolo succede? Ultimamente i miei poteri non sono più sotto il mio controllo… Perché?”, si sforzò di ragionare, “C’entra qualcosa il fatto di essere tornata in vita? &egrave possibile? Dovrei chiedere a qualcuno… Qualcuno di affidabile.”.
Le veniva in mente solo Blade, che probabilmete non le avrebbe saputo rispondere.
“Faccio il colpo e me ne vado”, decise.
Detto ciò decise di colpire la notte seguente.

Il giorno dopo lo passò a visitare il centro della città. La sera flirtò con un giovane. Flux non era cresciuta con un estremo senso morale (visti anche i trascorsi dei suoi genitori e la sua vita era comprensibile) e quel tipo non pareva il solito idiota ansioso di scopare.
Così, per una volta, la nera cedette.
Finirono a farlo nel bagno della discoteca. In preda a una foga estrema, Flux lo trascinò in uno dei bagni, tirandoglielo fuori e succhiandoglielo. Il giovane mormorò qualcosa in tedesco. Lei non capì ma non le interessava.
Era viva, ancora viva. E pericolosamente in bilico, coi suoi poteri fuori controllo e quegli strani sogni. Aveva bisogno di concretezza, di qualcosa di fottutamente fisico. Di normale.
-Fottimi.-, gli sibilò all’orecchio mentre lo segava.
-Non ho niente per…-, iniziò lui.
-Non preoccuparti.-, ribatté lei. S’impalò su di lui, aprendo una lampo della tuta.
Era grosso e la nera ci mise qualche istante a riprendersi. Il tizo, Karl Qualcosa, ne aprofittò per palpeggiarle i seni attraverso la veste.
-&egrave un vestito molto particolare…-, disse.
-Già… Io sono una particolare.-, disse lei. Lo fece tacere con un bacio. Lui rispose con entusiasmo. Flux sentii che aveva bisogno di un’altra cosa. Le serviva un’altra posizione, ne aveva un bisogno primordiale.
-Scopami, avanti!-, gli sussurrò dopo essersi sfilata, rimessa in piedi e preparata a una penetrazione da dietro. Karl non se lo fece ripetere e affondò nell’initimità della nera con foga. Troppa forse. Ma andava bene: in quel momento a Flux non serviva un amante superbo.
Le bastava qualcuno che le levasse quel prurito.
Karl mormorò qualcosa d’idiota. Lei non ascoltò neppure.
Venne, esattamente un secondo prima che Karl le godesse dentro a grandi fiotti. Si staccarono.
Flux si sentì strana. Bene, poi male. Poi ancora bene.
Come se improvvisamente si fosse pentita di quel che aveva appena fatto. Uscì dopo essersi ricomposta in pochi istanti, lasciando il giovane di stucco.

Si fermò quando fu davanti alla casa di Armin Holoff.
Qualcosa non andava. Normalmente dopo il sesso si sentiva bene, non felice ma quantomeno soddisfatta e rilassata. Invece, in quel caso si sentiva come se non fosse accaduto nulla. Eppure, Karl l’aveva soddisfatta.
Allora perché era come se anche quel colpo, quella situazione, tutto quanto iniziasse ad apparirle lontanissimo?
Scacciò quei pensieri. Doveva riuscirci. Fare quel colpo e tornare negli States. A cercare di capire cosa diavolo le succedesse. Si concentrò, espirando a lungo per calmarsi. Dopo qualche minuto ci fu riuscita.
Telecamere esterne non ce n’erano. Ma all’interno…
Si accorse di quanto non le importasse; alla fine non l’avrebbero comunque riconosciuta. Sarebbe entrata come acqua e uscita come acqua. Fine.
-Andiamo.-, si disse. Cambiò stato e fluì verso la porta. Passò sotto di essa, ritrovandosi in una corridoio. Prima svolta a destra. Cucina. Seconda a sinistra, camera degli ospiti. Terza a destra, bagno.
Tornò a essere solida. Prese un coltello dalla cucina.
Salì i gradini. Uno a uno. Lentamente, senza fretta.
Prima porta del piano superiore. Un ufficio. Niente d’importante, carte, computers, nulla di rilevante.
Seconda porta. Una sorta di sala dei trofei.
C’erano antiche armature appartenute a cavalieri medievali, un Corano che doveva essere del 1400. Un dipinto giapponese del 1600 e persino alcuni scritti autografi di Albert Einstein.
Ponderò di portarsi via qualcosa di quella collezione mirabile ma scartò subito l’idea. Avrebbe reso la fuga più difficile. E i soldi non le mancavano.
Nessun motivo per rischiare tanto. Proseguì. Aprì la porta di un’altra camera. Holoff dormiva sulla schiena, apparentemente perso nel mondo dei sogni.
Flux sorrise. Un lavoro facile, quasi troppo.
E poi lo vide.
Appeso sopra il letto, identico ai suoi sogni. Un disco di ottone del diametro di un CD con segni strani lungo il bordo. La sorpresa le tagliò il respiro.
“Cazzo… Come diavolo é possibile…”. Si accorse di stare sudando. Doveva sbrigarsi. Avanzò di un passo.
Il disco pareva chiamarla, pregarla di prenderlo, invitarla.
Non poteva essere un caso. E ripensando ai suoi sogni, Flux pensò che dopotutto forse quel cimelio era la chiave per avere delle risposte.
Fece un altro passo. E improvvisamente sentì un cigolio.
“Dannati pavimenti all’antica!”, pensò. Holoff aprì gli occhi e lei si lanciò in avanti. Puntò al torace, affondando il coltello fino all’impugnatura mentre il vecchio cercava qualcosa in un cassetto. L’uomo sussultò. Flux estrasse e colpì di nuovo.
-Maledetta!-, ringhiò lui, -No… Non lo avrai!-, ma le forze lo abbandonavano.
-Cosa?-, chiese la nera. Non capiva. Non ci riusciva.
-Come?-, attraverso gli spasmi e la bocca piena di sangue, il vecchio sorrise, -Non lo sai?-, chiese.
-No…-, ammise lei. Armin Holoff sorrise e alzò il braccio destro. Sfiorò il disco appeso sopra il letto.
Flux non capiva. Non riusciva semplicemente a capire.
Si accorse appena che Holoff aveva smesso di respirare. Pensò che ora avrebbe solo dovuto andarsene via.
Ma guardò ancora il disco e decise.
Non se ne sarebbe andata senza quell’artefatto.
Lo afferrò. E improvvisamente l’allarme antifurto prese a suonare. La nera agì d’istinto. Corse al piano di sotto e, aperta una finestra si gettò fuori.

Sfuggire alla polizia fu facile. Lasciare Dresda anche.
-Sono io. &egrave fatto.-, disse al telefono col committente.
Helmut Freihaus pareva soddisfatto.
-Sì. Ho saputo.-, disse con tono collocquiale.
-I miei diecimila dollari sono già sul conto, ho notato.-, disse lei. Aveva controllato appena arrivata negli States, meno di mezz’ora prima.
-Sì. Come pattuito. Tuttavia debbo farti una domanda.-, il tono del vecchio divenne diverso, non più lieto, solo freddo, -Il vecchio Armin aveva un disco in ottone, un cimelio Indù il cui valore ammonterebbe sui duecentomila dollari. Io te ne offro… quattrocentomila, se me lo porterai.-, disse.
-Come sa che ce l’ho io?-, chiese Flux. Non le piaceva che quel tizio sapesse così tante cose.
-Oh, ho le mie fonti. Ora… Flux. Fammi questa cortesia e potrai goderti una vacanza.-, il tono del vecchio era bramoso. La giovane intuì che c’era dell’altro.
Qualcosa che Helmut Freihaus non le stava dicendo.
Lei guardò il disco. Quel coso era l’unica traccia che aveva per capirci qualcosa di quello che le stava accadendo. Nessuna cifra in denaro le avrebbe potuto dare una simile occasione.
-Mi spiace. Ha un valore affettivo.-, disse.
-Oh, capisco. Bene.-, disse Helmut.
Invece no: Flux se lo sentiva, non andava bene.
-Se dovessi rivedere la tua posizione al riguardo, sai dove trovarmi.-, disse il vecchio.
-Già.-, disse lei. Chiuse la chiamata. Sapeva che non sarebbe finita lì. Quel cavolo di disco le era costato un colpo perfetto, un cliente e ora le avrebbe potuto procurare più guai di quanti effettivamente lei fosse disposta a passarne. Ma era pur vero che se non avesse riottenuto il pieno controllo dei suoi poteri, proabilmente la sua vita sarebbe divenuta veramente orribile.
Provò a immaginarsela… Strinse i denti giurando che non avrebbe permesso che succedesse.
In quel momento, il suo braccio sinistro divenne acqua.
La borsa le cadde e così anche il disco.
-Dannazione!-, esclamò. Raccattò tutto con la destra mentre il braccio mutato si accingeva a riprendere solidità. Un bambino la indicò.
-Mamma! Quella signora ha un braccio trasparente!-.
-Non guardarla, Chris. &egrave una mutante brutta e cattiva.-, disse una megera che doveva pesare sui centoventicinque chili con pettinatura bionda laccata e seni rifatti… Flux si trattenne dal commentare.
Non era nuova a episodi del genere ma ogni volta faceva male vedere come la paura del diverso fosse ancora profondamente radicata nell’uomo.
Ma non era così rilevante: la giovane aveva ben altri pensieri. Doveva trovare qualcuno a cui chiedere spiegazioni riguardo quel che le stava succedendo.
E ovviamente, capire qualcosa di più riguardo il disco.

Arrivata da Enoch, Flux spiegò il problema senza giri di parole. L’uomo la stette a sentire, indicandole poi una lettiga in una camera attrezzata di tutto punto per diagnosi o simili. Iniziò a fare varie analisi. Prelievi di sangue, encefalogramma e altro. Praticamente, a notte fonda, Enoch poté arrivare a delle conclusioni.
Flux si sentiva il cuore in gola, letteralmente, come se il muscolo cardiaco fosse prossimo a fermarsi.
Così, quando Enoch entrò, la giovane era già pronta al peggio.

Enoch, il cui vero nome era ignoto, era un ricercatore e un medico. Dotato, molto più di tantissimi falsi medici, era decisamente un genio. Senonché, in passato la morte di una paziente sotto la sua responsabilità lo aveva spinto a lasciare una promettente carriera medica. Si era stabilito a Manhattan ed aveva iniziato un diverso tipo di carriera. Molto meno riconosciuta ma non per questo meno nobile. Aiutava tutti senza distinzione di razza, genere o altro. Era un brav’uomo. Purtroppo però chiedeva comunque di essere pagato (quando possibile), ma per quello non c’era problema: lui e Flux si erano già accordati.
Quattromila dollari per prendersi cura del suo caso al meglio delle sue possibilità.
-Dimmi, Enoch.-, disse Flux, spezzando il silenzio venutosi a creare. Lui sollevò lo sguardo dai fogli.
-Quanto mi resta?-, chiese la nera. Era pronta a tutto. A ogni risposta. Perché la verità, anche se faceva male, era preferibile all’ignoranza, secondo lei.
-Tutta la vita.-, ribatté l’uomo, spiazzandola.
Lei fissò il nero con un misto tra incredulità e rabbia.
-Che vuol dire?-, chiese.
-Che stai bene, Flux.-, disse lui.
-No… cioé, hai visto… i miei poteri… E poi, ho il cuore che batte debolissimo…-, disse lei. Non era possibile che andasse semplicemente tutto bene.
-Già. Per quello ti prescrivo dei farmaci, ti rialzeranno la pressione. Per quanto riguarda i poteri, non ho notato nulla di strano. Erano episodi sporadici, dovuti a picchi di tensione e, probabilmente, emotività temporanea. Passeranno, non temere.-, spiegò Enoch con tono rassicurante.
Flux annuì, comprendendo che le risposte che stava ricevendo non le sembravano corrette.
Sicuramente da un punto di vista medico lo erano e c’erano le analisi a confermarlo. Ma lei sentiva che qualcosa non andava. E allora…
-Mi stai dicendo… che é tutto apposto?-, chiese.
-Sì.-, ribatté Enoch, -A parte le pulsazioni cardiache ma quello non é poi un enorme problema.-.
Flux sospirò. Forse avrebbe dovuto parlargli dei sogni, del disco. Fece per farlo, poi si fermò.
Enoch era un uomo di scienza. Un medico eccezionale ma limitato al mondo della logica. Seguiva uno schema in base al quale il mondo funzionava in un preciso modo. Le irregolarità erano sempre problematiche per lui e gli enigmi onirici non erano il suo campo. Aveva fatto tutto quello che poteva per lei, ma non avrebbe potuto fare di più.
Flux lo capiva. Lo accettava.
-Grazie.-, disse.
-Di nulla. Prendi subito una delle medicine. Starai meglio.-, le sorrise. Lei annuì, ingollando una pasticca, convinta che non sarebbe servita.
La scienza non le sarebbe servita, per nulla.
Lo capì appena si alzò. La scienza non poteva nulla.
Serviva qualcos’altro. L’altra faccia dell’esistente.
Serviva un esploratore dell’insondabile, dell’inesplorato. Flux sospirò. Enoch le porse un toast.
-Mangia. &egrave tardi. Ce la fai a tornare a casa?-, chiese.
Lei scosse il capo. Non perché volesse disturbarlo ma era bene che si fermasse, che riflettesse. E se aveva capito bene il tono di voce di quel vecchiaccio che le aveva commissionato il suo ultimo lavoro, qualcuno la stava cercando. Volevano il disco, quel disco che pareva uscito direttamente dai suoi sogni.
Ma lei non poteva cederlo, perché quell’oggetto poteva essere la sua ultima e unica speranza.
-Ti ospito. Ho una stanza per gli ospiti al piano di sopra.-, disse Enoch. Le fece strada.
La giovane lo ringraziò, si gettò a letto.
Si addormentò prima ancora di toccare il cuscino.

Il canto era antico, ma per qualche ragione, Flux riusciva a capirne le parole come se fosse stato inglese.
-Portami dal Visibile all’Invisibile. Dall’Irreale al Reale. Dal Falso al Vero. Dall’Uno all’Infinito.-.
Il canto continuava, Accompagnato da tamburi e conchiglie che producevano suoni suonate da asceti.
Il Tempio, ancora, apparve. Brillava.
Appena lo vide, Flux si svegliò.

Si alzò. Era notte inoltrata. Sì e no saranno state le tre di mattina. Comprese che il sonno non sarebbe tornato. E poi lo sentì. Qualcuno che bussava.
-Arrivo.-, biascicò la voce di Enoch.
“Dev’essere un qualche paziente urgente.”, pensò Flux, decisa a ignorare il presentimento che le urlava che non era proprio nessuno di amichevole.
La porta si aprì.
-Sì?-, chiese Enoch.
-Veniamo per la ragazza, Flux. Sappiamo che é da te.-, disse una voce. Accento caucasico, tono scortese. Come diamine avevano fatto a capire dove si trovava così in fretta?
Non aveva importanza. Non dovevano trovarla e Flux lo sapeva. Spalancò la finestra e uscì.
-Guardate… non so di chi parliate… Io qui sono solo.-, disse lui. Rumori di collutazione. Uno sparo.
L’avevano ucciso. Quei bastardi avevano ucciso Enoch. Flux strinse i pugni. Desiderò poterli uccidere ma si dominò. Non aveva il pieno controllo dei suoi poteri. Era vulnerabile, e per lo più non sapeva quanti erano i nemici. Davanti a una simile situazione la soluzione era una sola. Fuggire.
Si eclissò tra le vie della città, facendo perdere le sue tracce nella folla in uscita da una discoteca.
Arrivò in quella che era una delle sue case sicure alle 06:21 di mattina. E ancora, il cuore pareva balzarle in petto, pronto a smettere di battere. Si accasciò su una sedia, cercando di calmarsi.
“Ne verrò a capo…”, si disse, “A ogni costo!”.
Poi ricordò. Il Dr Strange. Era lui che l’aveva riportata tra i vivi, grazie al sacrificio fatto da Blade. E lui avrebbe avuto le risposte che lei cercava.

Trovare l’abitazione di Strange non fu un problema: l’Informatore di Flux ci mise pochissimo tempo. La nera si recò sul posto il giorno stesso.
Si sentiva malissimo, stanca. Lenta.
“Sto morendo.”, si accorse di tremare.
Fissò l’abitazione dello Stregone Supremo.
“Speriamo possa aiutarmi…”, pensò. Mosse due passi verso il cancello. E si sentì osservata.
Il Dr. Strange apparve atterrando delicatamente davanti a Flux. Non pareva sopreso di vederla.
-Beh, qualcosa mi dice che non é una visita di cortesia.-, disse.
-Vorrei davvero che lo fosse.-, disse lei, -Ti devo parlare.-. Poi la vide. Un’auto che macinava terreno. Andava verso di loro, spedita. La nera cercò la pistola.
E fu scansata da una forza innaturale proprio un istante prima che una raffica di piombo la falciasse.
Cadde ma trasformò la caduta in una rotolata e si rialzò. Prese la pistola e sparò. Il primo colpo mancò il bersaglio, impattando contro la carrozzeria del mezzo. Il secondo colpì il finestirno posterirore. Lamenti e un improvvisa emulsione cremisi le segnalarono che il tiro era stato un successo. Improvvisamente si aprì una fenditura davanti all’auto. Un vortice. Il mezzo ci finì dentro senza rallentare. E subito l’apertura dimensionale si richiuse.
-Beh, ora sono un problema dei Fon.-, disse Strange.
-Cos…-, Flux decise di posticipare quella curiosità.
-Avevi qualcosa da chiedermi.-, disse lo Stregone.
-Sì… io…-, La gamba sinistra di Flux divenne acqua. Strange la resse, afferrandola prima che cadesse.
-Andiamo dentro.-, disse.

Seduta al centro di una stanza perfettamente circolare al centro del Sancta Sanctorum, Flux si sentiva… strana. Non solo per quel che le stava accadendo; era più che certa che la credenza le avesse ammiccato. Le scale le erano parse strane e alle pareti c’erano i certificati e le lauree conseguite da Strange.
Che improvvisamente mutavano, mostrando sprazzi di altre realtà. Il Dr. Strange sorrise alla nera.
-Bene… dicevo. Credo che quel che ti sta accadendo non sia normale, vero?-, chiese. Le porse una tazza di té. Flux bevve. Normale té verde.
-&egrave un po’ che succede. Qualche giorno.-, disse.
-Uhm.-, Strange si limitò a bere un sorso.
-Non é tutto qui. Faccio dei sogni strani, ho un sacco di altri problemi e… Non lo so. &egrave come se la vita mi si stesse staccando di dosso, in ogni senso.-, si prese la testa tra le mani, incapace di sopportare oltre.
-Che diavolo mi succede?-, chiese.
-Essere riportati in vita non é cosa facile. Ci sono strascichi, a volte. Altre volte invece, semplicemente non c’é possibilità di evitare di morire.-, disse il Dr. Strange. Flux assorbì quella frase con calma.
-&egrave così, Dottore? Sto morendo?-, chiese.
-Non lo so.-, ammise lui, -Ma lo scoprirò.-.
-Come?-, chiese lei.
-Utilizzando l’Occhio di Agamotto per vedere più a fondo.-, disse lui. Flux si sentì a disagio.
-Vedrà tutto, vero?-, chiese, -Tutto il mio passato, intendo.-. Stange annuì. La nera capì che non c’era altro modo. Annuì e Strange si alzò.
Il medaglione sul suo petto baluginò di luce propria.
E improvvisamente Flux si vide passare davanti tutta la sua vita, l’ultimo furto, la notte con Blade e Zhara, la caccia a Melchor a Madripoor, La lotta per sopravvivere, il primo scontro con Blade, lavori, omicidi, sesso, giorni di gioia e di dolore. Tutta la sua esistenza passata al setacciò in un istante. Poi il vuoto. E improvvisamente qualcos’altro accadde. Se ne accorse all’improvviso. Aveva dei tatuaggi lungo le braccia, le gambe. Su tutto il corpo. Lettere, scritte brillanti che non riusciva a capire ma che splendevano attraverso pelle e tessuti.
-Cos…?-, lo stupore le tagliò il fiato.
La luce dell’Occhio terminò. Strange la guardò. Prese il disco dalla sua borsa.
-Questo disco é un cimelio del Tempio di Dharmachakram, un centro di potere, di conoscienze antiche. Laggiù gli uomini appresero i misteri. La magia in quanto tale. Laggiù é rimasto qualcosa.-, disse, -Tu sogni il Tempio… perché per qualche ragione é legato a te, a ciò che sei. E a ciò che devi essere.-, concluse.
Flux non capiva.
-Io non ci sono mai stata. Nemmeno so dov’é!-, disse.
-Non in questa vita.-, disse Strange.
-Non credo alla reincarnazione.-, disse lei.
-Non importa. Accetta il fatto. Accetta che sei quello che sei. Magari tu non ricordi ma l’energia di cui siamo composti vive molteplici esistenze.-, disse lo Stregone. La nera tentò di riportare il discorso su cose concrete, anche solo minimamente.
-I tatuaggi… Cosa diavolo significano?-, chiese.
-Sono i tatuaggi di un’iniziata. Visibili solo a chi possiede una vista diversa da quella fisica.-, disse Strange. Flux si sentì di capire ancora meno.
-Perché non ricordo niente di tutto questo?-, chiese.
-Tu ricordi, ma hai dovuto morire e tornare perché i ricordi varcassero la soglia.-, disse.
-&egrave per questo che sto male?-, chiese lei.
-Sì. Il tuo passato preme contro il tuo presente. La tua stessa esistenza é una chimera. Devi riuscire a far coincidere ciò che sei con ciò che eri. O ne verrai distrutta.-, disse Strange. Altro sorso di té.
-Quanto tempo ho?-, chiese la nera.
-Non lo so. Ma suppongo sia più di quanto tu creda.-, disse Strange.
-Insomma… io vado, trovo questo Tempio di Dharmachakra e… guarisco?-, chiese.
-Credo di sì. Comunque io credo che guarire non sia che una minima parte di quello che dovrai fare. Quel Tempio sarà il punto di svolta della tua esistenza.-.
Ok, ora la cosa diveniva inquietante.
-Esattamente…cosa dovrebbe succedere?-, chiese.
-Ritroverai qualcosa, qualcosa che dovevi trovare. E che ti farà capire chi sei.-, disse lo Stregone Supremo.
-E… sarà pericoloso, vero?-, chiese Flux.
-Oh, moltissimo. Ma se ne uscirai viva, tutti i tuoi problemi saranno risolti.-, disse.
-Ok… allora, tu sai dov’é il Tempio?-, chiese.
-No. Ma posso trasportarti in un luogo vicino. Poi segui le stelle.-, disse Strange.
-Le stelle?-, chiese lei. Notò che lo Stregone Supremo aveva iniziato a salmodiare qualcosa.
-Abbi fiducia. Capirai a tempo debito.-, le disse lui.
Poi una luce bianca fagocitò l’uomo e la stanza. Flux aprì gli occhi. Lo studio e Strange erano scomparsi, sostituiti dalla folta vegetazione di una giungla lussureggiante. La nera si alzò dalla posizione seduta in cui si era ritrovata.
“Ok. Tempo di darsi da fare. Dove sono?”, si chiese.
“Nelle vicinanze del Tempio. Ti ho teletrasportata quaggiù per facilitarti le cose visto che fuori dal Sancta ti aspettavano almeno due squadre di sicari armati.”, la voce di Strange le rimbombò in testa.
“Resterai con me?”, chiese mentalmente lei.
“Purtroppo altre questioni richiedono il mio intervento ma non temere. Sei sulla strada giusta”, disse lo Stregone.
“Capisco… Ma come capirò dove andare?”, chiese Flux.
“Il Disco ti mostrerà la via.”.
Il Disco… la giovane trovò la sua borsa. Telefono, chiavi delle varie case, altre cose non esattamente utili… E il disco. Lo prese in mano.
Subito sentì qualcosa. E poi la sua mente vide una strada dove una strada non c’era, attraverso un muro di vegetazione. Sospirò.
“Se solo avessi un machete.”, pensò.
Non poteva trasformarsi in acqua, non senza perdere il disco. Allora doveva forzatamente trovare un modo di proseguire a piedi.
In quel momento il suo braccio destro divenne acqua. Il disco divenne acqua con lui.
-Cos…-, Flux guardò quella metamorfosi con stupore assoluto. Non era possibile, sfidava ogni legge della fisica e ogni sua personale esperienza riguardo l’uso dei suoi poteri. Eppure era. Toccò il disco col braccio ancora solido, affondando nel disco con un dito.
-Incredibile.-, disse. Ma d’altronde di che si stupiva? Era da quando quella storia era iniziata che le succedevano cose di cui non si capacitava.
Poi lo vide. Un elicottero in volto. Lontano.
Si concentrò nuovamente sulla vegetazione.
Chiuse gli occhi. “Forza!”.
Immaginò il suo corpo divenire acqua. Fluire.
Sorrise. Aveva scelto il nome Flux dopo un giorno passato a girare per New York sotto forma d’acqua.
Neela aprì gli occhi. Sentiva ancora il disco in mano, ovunque la mano fosse. Ce l’aveva fatta. Strisciò attraverso i vegetali sino a uno spiazzo aperto.
Riprese forma umana, esaminando i dintorni.
Una roccia bizzarra occupava il centro dello spiazzo, altrimenti circondato di vegetazione. Si avvicinò.
-E tu cosa sei?-, chiese. Passò una mano sulla roccia.
E la sua mente fu sopraffatta dalla visione.

-OM! Sia lode! Sia lode a Pushan! Egli ci conduce dal Falso al Vero, dall’Irreale al Reale. Dal Relativo all’Assoluto. Dal Duale all’Unico. OM!-, le parole fluirono dalla bocca della giovane dalla pelle scura, capelli lunghi e seni piccoli sotto la veste in seta che indossava. Il suo corpo era marchiato di tatuaggi.
-OM! Sia lode! Egli é il guardiano della porta! Possa guidarci attraverso i veli di Maya!-, esclamò un giovane dalla pelle più chiara, il corpo similiarmente tatuato. Flux vedeva tutto questo da fuori, ma non aveva alcun motivo di dubitare del fatto che la giovane di carnagione scura fosse lei stessa.
Una vita o più prima…
Quella pietra invece era una specie di altare, in quel momento ingombro di incenso che bruciava.
Gli adepti, vestiti di seta grigia sedettero in posizione del Loto attorno alla roccia. Ce n’erano altri. Maschi e femmine. Un vecchio sacedote guidava la cerimonia.
-OM! Possa l’universo conoscere pace! Possa la pace generare pace! OM!-, esclamò un giovane.
Tutti ripeterono. Flux notò che la sua alter-ego non staccava gli occhi dal giovane.
-Chi siamo?-, chiese il Sacerdote.
-Viaggiatori.-, risposero tutti loro.
-Da dove proveniamo?-, chiese ancora.
-Dalle tenebre.-, risposero loro.
-Dove andiamo?-, chiese il vecchio.
-Verso la luce.-, dissero.
-Shunakin.-, chiamò il Sacerdote.
Il giovane accanto all’altra Flux si alzò. Calmo e posato nei movimenti, arrivò davanti al Sacerdote.
-Oggi tu affronti la tua prova. Dovrai andare sino al Tempio.-, disse il vecchio, -Senz’armi, come Pushan.-.
-Con te verrà Anjali. &egrave pronta. Vieni, Anjali.-.
Flux vide la sua reincarnazione alzarsi e prendere posto accanto a Shunakin.
-Questo viaggio é vosto. E insieme, procederete sino alla meta.-, disse il vecchio.
Stese la mano sulle teste dei due, proni a terra, in segno di omaggio al loro guru.
-Possa Pushan guidarvi.-, concluse.
Poi Anjali e Shunakin s’immersero nella giungla.

Flux sbatté le palpebre un paio di volte, tornando al presente con lentezza mentre il cervello si riattivava
-Così… Quella ero io?-, si chiese. Era stupita.
-Chissà come é finito il viaggio…-, ponderò quell’interrogativo per altri venti secondi, poi seguì la direzione presa dai due giovani. Attraverso la boscaglia. I suoi poteri erano ancora fuori controllo. Dovette procedere a piedi e sentì il tessuto delle vesti lacerarsi su spine e rovi, la pelle graffiata.
-Non cederò.-, disse stringendo i denti.
Arrivò a una vallata. E proprio in quel momento si sentì assalire da un’altra visione. Chiuse gli occhi.

Anjali e Shunakin attraversavano la vallata. Era diversa: la vegetazione era più mite. Animali non ce n’erano salvo alcuni bizzarri uccelli e insetti.
Shunakin guardò Anjali. Era bello, Flux lo aveva subito visto come tale. Ed evidentemente anche lui pensava che Anjali fosse spledida, perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
-Se continui a guardare me, difficilemente arriveremo al Tempio.-, disse la giovane Anjali.
Flux notò che i due giovani avevano si e no la sua età.
-Scusa… é che…-, imbarazzato, Shunakin sembrò prendersi un lungo istante per riuscire a parlare.
-Sei bellissima. Neppure gli occhi di Parvati sono tanto belli come lo sono i tuoi.-, disse.
Flux sorrise. Era una frase stupenda. La sua alter-ego doveva pensare lo stesso, poiché sorrise al medesimo modo. Passò un istante di silenzio, poi Anjali si mosse, facendo un passo.
-Su, andiamo.-, disse. Inciampò mettendo un piede in fallo. Sarebbe caduta ma Shunakin si protese a sostenerla. Rimasero fermi, lui che le teneva un polso, lei in precario equilibrio.
E Flux capì cosa stava per succedere, lo comprese perfettamente. Alla fine tutti quanti cerchiamo solo di amare ed essere amati, no?
-Shunakin…-, iniziò la giovane.
-Anjali…-, sussurrò lui. Silenzio, ancora.
Poi i loro volti si avvicinarono. Le loro labbra si sfiorarono in bacio talmente esitante e goffo da rendere evidente la loro inesperienza in tal senso.
Comunque, dopo il primo venne un altro bacio.
Poi un altro. Sempre più decisi, sempre più irruenti, animati da un fuoco che la fiamma della vita alimentava grandemente.
Flux guardò mentre Shunakin stendeva la sé stessa del passato sull’erba e l’accarezzava. Ridevano entrambi. Rotolarono come amanti con Anjali sopra, ora. La giovane baciò il collo dell’uomo, scendendo sul petto. Lentamente, come a voler assaporare il momento, o forse per paura di sbagliare.
Flux si accorse che la prima volta che lei aveva fatto sesso (nella sua vita attuale) era accaduta più o meno la medesima cosa.
Solo che Shunakin pareva veramente deciso a ricambiare quel piacere, il partner di Flux invece era stato un gran bastardo, capace solo di prendere da lei fino all’ultima oncia di eros che la giovane era riuscita a elargire. Un miserabile che la nera aveva piantato pochi mesi dopo…
Anjali scoprì il petto del giovane e si dedicò a baciarlo. Shunakin, perso tra seni della giovane indù, leccava i capezzoli. Forse fu un errore, o forse no ma parve mordere un capezzolo poiché la giovane sussultò e gli disse di fare piano. Lui continuò a dedicarvisi dopo delle scuse decisamente sentite.
Flux sospirò, ricordando gli amanti che avevano saputo essere come quel giovane, capaci di regalare piacere prima di prenderselo tutto per sé.
Capaci di ricordare anche nel momento più rovente dell’amplesso che la donna non é un bambola gonfiabile… Sì. Gente così era davvero rara.
Non stupì la nera, il sentirsi fortunata ad averne trovati almeno due in altrettante vite. Era già molto.
Shakunin scese lungo il corpo di Anjali baciando lo stomaco, il ventre. La guardò negli occhi, come a chiederle il permesso di continuare.
-Continua…-, mormorò Anjali, trasognata. Si sfiorava i seni con goffa eccitazione, evidemente già dipendente di un frutto dolcissimo e capace di assuefare anche al più piccolo morso. Intanto aveva estratto la verga di Shunakin dalle vesti. Non sapeva bene come fare, era evidente. Flux invece, la sua prima volta aveva avuto più inventiva e decisamente più informazioni.
Comunque, dopo qualche istante la ragazza prese a segarlo. Goffa, decisamente impacciata e assolutamente incerta. Bisognava dire che Shunakin non era esattamente un amante esperto: trovatosi davanti alla vulva di Anjali iniziò ad accarezzarla, leccandosi poi le dita. Baciandola goffamente.
La giovane sorrise, gemette mentre masturbava lentamente il ragazzo. Andava a suo merito che il giovane non si lamentò né fece il puntiglioso su come avrebbe dovuto essere quel trattamento. Forse perché era la prima volta, o forse perché indaffarato nel procurare uguale piacere ad Anjali.
La giovane mugulò di piacere, gemendo mentre la lingua di Shunakin tracciava solchi liquidi lungo le sue gambe e nella porta del suo piacere.
-Shunakin…-, sussurrò all’improvviso aprendo gli occhi. Si guardarono per un lungo secondo.
-Prendimi…-, sussurrò lei. Un ordine, una supplica appena accennata. Il giovane la guardò. Annuì.
Supina, la giovane indù spalancò le gambe. Shunakin si insidiò tra di esse e la prese, affondando in lei con un singolo colpo di reni. Flux sorrise riconoscendo la sua stessa espressione nel godimento della giovane.
Non durò a lungo. Shunakin non era in grado di trattenersi, si vedeva da come tentava di farlo e d’altronde Anjali pareva su un altro pianeta. Mormorava rispondendo piano ai baci di lui, graffiandogli amorosamente il petto con le unghie.
Si rotolarono sul terreno, perdendosi e riprendendosi, amanti mai ebbri.
Poi, d’un tratto, i due vennero. All’unisono, lei con un grido strozzato, lui con un gemito divenuto ringhio.
Uno stormo di uccelli si alzò in volto.
Giacquero abbracciati, ancora uniti dal membro di lui piantato nella vulva di Anjali.
-&egrave stato bellissimo.-, sussurrò lei.
-Non ho mai provato… sensazioni così.-, disse lui.
Sorrisero. Si baciarono. Flux si sentì come di troppo in quella scena. E anche se la riguardava in modo quantomai veritiero, la giovane capì che in un certo senso era un po’ il classico terzo incomodo.
Fortunatamente, dopo altre paroline dolci, Shunakin si alzò e aiutò Anjeli ad alzarsi, rivestirsi e ripulirsi.
Recuperata una parvenza di normalità, i due ripresero il cammino, mano nella mano.

La visione finì. Flux riprese contatto con la realtà.
Era eccitata. Se lo sentiva, vedere una sua reincarnazione accoppiarsi così, spinta da un amore assoluto e una passione che lei mai aveva provato era… splendido.
“Ci sarà tempo dopo per calmare i bollori.”, pensò, “ora devo trovare il Tempio, prima che il mio corpo mi dia altri problemi.”. Proprio in quel momento sentì il suo cuore saltare un battito.
Il tempo passava. Fottutamente in fretta.
Doveva muoversi. Andò nella direzione in cui erano partiti i due amanti nella sua visione.
Vegetazione. Pura e semplice. Flux si fece strada usando il disco per aiutarsi. Poi la vide.
Maestosa. Imponente. Una tigre dal mantello arancio striato di nero. Gli occhi erano vecchi e saggi.
Ruggì, annunciando il predominio del territorio.
Flux provò il desiderio di fuggire, di ritirarsi e trovare un’altra strada. Ma non ce n’erano e se c’erano altre strade, sicuramente avrebbe rischiesto tempo il trovarle. No. Doveva passare.
Fissò il felino negli occhi. La tigre ruggì di nuovo.
Flux non indietreggiò di un passo.
“Passerò o morirò provandoci!”, pensò. Era ferma.
Altro ruggito. La tigre avanzò di un paio di passi.
Era a poco meno di sette metri dalla nera.
La giovane si accorse di tremare. Si fece forza dominando il terrore. La tigre avanzò ancora.
“Sta ferma… Stai ferma!”, s’impose.
La tigre ruggì, a poco meno di un metro da lei.
“Cazzo…”, Flux si sentiva terrorizzata ma sapeva che non aveva scelta. Se non fosse riuscita a trovare il Tempio sarebbe morta lo stesso.
Piantò gli occhi in quelli neri della tigre.
Occhi negli occhi, un lunghissimo istante.
Poi il felino ruggì di nuovo. Si voltò e se ne andò.
Flux rimase imbambolata per qualche secondo, poi sorrise. Se era una prova, probabilmente l’aveva superata. E ora, il Tempio la aspettava.
Avanzò ancora, saltando un ruscello.
Il Disco che aveva in mano brillò. Non poteva essere un caso. Il Tempio di Dharmachakra doveva essere vicino. La giovane proseguì. Sentì un rovo morderle una caviglia. Se ne fregò.
Arrivò a uno spiazzo, un ruscello vi scorreva in mezzo.
E ancora, i ricordi di un’altra vita le entrarono dentro.

Fermi al ruscello, Shunakin e Anjali bevevano l’acqua, lavandosi. Non parlavano ma dai loro gesti si capiva tutto. Si vedeva che qualcosa tra loro era cambiato, enormemente cambiato. Terminate le abluzioni si rivestirono.
-Quanto mancherà al Tempio?-, chiese Anjali.
-Non molto.-, la rassicurò il giovane, -Ci arriveremo entro breve.-. Lei parve adombrarsi.
-Non voglio separarmi da te.-, disse. Lui le sorrise.
-Neanche io, amore. Vedrai. Nessuno si accorgerà di niente.-, disse Shunakin.
-Ma… se controllassero…?-, chiese lei.
-Non lo faranno, fidati. Che motivo avrebbero. Eravamo solo amici prima di questo viaggio.-, disse il giovane. Pareva calmissimo.
-E ora cosa siamo?-, chiese lei.
-Dimmelo tu!-, eslcamò lui. Sorrideva.
Sorrise anche Anjali. E Flux capì cos’avrebbe detto.
-Siamo qualcosa di più, immagino. Amanti? Come Shiva e Parvati?-, chiese.
-Amanti.-, concordò lui. La baciò. Il bacio si fece più intenso. Lei sorrise fermandolo.
-Non qui. Non ora.-, disse, -Potrebbero starci cercando. Lo hai detto tu che siamo vicini al Tempio.-.
-Già. Ma una volta dentro… beh, sarà difficilissimo vederci e stare da soli…-, protestò il giovane.
-E allora?-, chiese lei, -Un modo lo troveremo, vedrai. Ma se ci scoprono qui, sarà la fine. Ricordi cos’é successo a Shikala e quella novizia? Quello che abbiamo fatto é stato un errore.-, si fermò.
-Un errore che voglio ripetere.-, disse sorridendo.
Shunakin le sorrise.
-Lo rifaremo, amore. Tutte le volte che vorrai. Anche io ho una gran voglia di te.-, disse.
-Ti amo.-, disse Anjali.
-Ti amo anch’io.-, disse lui.
E con quelle parole si diressero verso nord.

Flux riemerse dalla visione. Si sentiva quasi commossa a pensare che Anjali avesse vissuto quel genere di passione, quell’amore bruciante con cui la vita diviene una melodia e non la battaglia che spesso era. La giovane sorrise.
-Andiamo.-, si disse. Prese a marciare attraverso la vallata. La direzione era sempre quella.
Presto sarebbe arrivata. Ogni sua domanda avrebbe avuto risposta. O quantomeno avrebbe riottenuto il controllo sulla sua vita.
Ma perché la sua esistenza le giocava quel pessimo tiro? Si soffermò a pensarci. Strange era stato vago in tal senso, come se ci fosse stato qualcosa di cui vergognarsi profondamente. Qualcosa da non dire.
Da celare a ogni costo.
Cosa? Cosa diavolo poteva essere?
“Non sarà che alla fine io morirò in ogni caso?”, si chiese. No. Non era possibile. Strange le aveva detto come fare. L’aveva mandata là per quello.
Continuò a camminare, il Disco in mano, davanti a sé, come a indicare la strada.
Poi la vide. Dovevano essere i resti di un villaggio, o di una corte interna, non lo capiva. Ma notò un bassorilievo, la figura scolpita di un danzatore con due paia di braccia e gambe all’interno di una ruota infuocata. Lo riconobbe.
-Shiva il Danzatore… colui che danza la danza eterna. Creatore, preservatore e distruttore del tutto…-, disse.
Aveva appena mormorato quella parole, come timorosa di offendere quell’entità o quel luogo. Sfiorò appena il bassorilievo. E vide.

Anjali e Shunakin emersero dalla giungla. Gli anziani li accolsero. Il posto era una sorta di cortile, un’armoniosa fusione di natura e opera umana. Statue delle divinità e panche si fondevano con alberi e prati.
Due enormi Stupa (monumenti a forma fallica tipici dello Shivaismo) si ergevano ai lati di una scalinata.
-Ben arrivati! Qui inizia il vostro cammino. Pushan vi ha guidati bene. Entrate, entrate!-, esclamò un monaco accogliendoli.
Guidò i due giovani verso lo ziggurat del Tempio situato poco lontano. Ma se avesse potuto vedere le espressioni sui loro volti, forse avrebbe capito che non era la meraviglia del luogo il principale pensiero dei due giovani. Tuttavia non lo fece.
Entrarono nel Tempio dal cancello principale, azionato da congegni a leva non dissimili da quelli greci.

Ripresasi dalla visione, Flux procedette spedita, ignorando la sua mano sinistra che diveniva liquida.
“Ancora pochi passi…”, pensò. Poi lo vide.
Il Tempio di Dharmachakra. Non era come nelle sue visioni, il tempo era stato impietoso con quel luogo.
Sicuramente era ancora maestosissimo, uno ziggurat non dissimile da qualche piramide atzeca ma i fregi e le sculture esterne erano consunte e lise. In alcuni punti sino al punto di non essere riconoscibili.
Ma non era quello il danno maggiore. Il peggio era il cancello. L’ingresso era crollato, impedendo il passaggio.
Flux spese un istante, uno solo a considerare cos’avrebbe potuto trovare là dentro.
Poi scoprì che non le interessava, non davvero.
Avrebbe trovato quel che doveva trovare, sarebbe divenuta ciò che doveva divenire.
Quell’avventura, quel pellegrinaggio le aveva regalato qualcosa: la consapevolezza che gli eventi non possono sempre essere contrastati, certi futuri e certi atti vanno vissuti e compiuti, non importa quanto si provi a evitarli.
Così, Flux si avvicinò all’ingresso.
E sorrise, sentendo la pelle della sua mano scottare e il disco rilucere mentre toccava le pietre cadute, proprio come nei suoi sogni. Sorgeva però un nuovo problema.
L’ingresso crollato ostruiva l’accesso. Inizialmente Flux pensò non fosse chissà quale ostacolo.
In condizioni normali, sarebbe divenuta liquida e sarebbe stata in grado di oltrepassare le macerie sgusciandoci attraverso. Ma non in quel caso.
Ci provò e riprovò. Per due volte. Fallendo.
I suoi poteri erano nuovamente fuori controllo.
Guardò il Disco. Brillava, non debolmente ma proprio forte, tanto da quasi abbagliare un occhio imprudente.
Flux notò che non brillava su tutta la superficie. Ma solo in un punto. Possibile che indicasse una direzione?
“Cos’ho da perdere, salvo poco tempo?”, si chiese.
In fondo, ne avrebbe perso ben di più cercando di sollevare i macigni che bloccavano l’ingresso.
Si diresse nella direzione indicata dal Disco, costeggiando le pareti esterne del Tempio.
Dharmachakra era immenso. Non era visibile dall’alto o in qualche modo doveva essere schermato alla vista dei comuni mortali perché, in caso contrario sarebbe già stato individuato da tempo.
La giovane arrivò a un tratto di muro sgombro da glifi e iscrizioni varie. Sorrise.
-E ora?-, chiese al Disco. Notò un apertura. Una corona circolare dello stesso diametro del Disco, incisa nella pietra del muro. Tutto il resto dei glifi aveva subito (anche se marginalmente) l’effetto del tempo. Ma quello no.
E improvvisamente ebbe un’altra visione.

Anjali, apparentemente di qualche anno più vecchia rispetto alle visioni precedenti sorrise a Shunakin. Nudi, godevano della reciproca compagnia.
I capelli del giovane erano cresciuti parecchio, formavano una treccia lunga fino a metà schiena, come quelli della ragazza. Evidentemente era uso che li portassero così.
Era evidente che avevano appena fatto l’amore. Lontani da tutti, nascosti, guardinghi… per paura di essere scoperti. Flux immaginava che non fosse facile.
La giovane incarnazione precedente della mutante sorrise, apparentemente persa nel momento. Baciò il suo compagno sulle labbra.
-Ormai quanto tempo é che ci vediamo così?-, chiese lui.
-Qualche anno… Quasi tre anni dal nostro arrivo.-, disse lei. Lui parve immalinconirsi.
-Capisco.-, disse. Pareva deluso.
-Vorrei che le cose andassero diversamente.-, disse lei, -Ma il destino é segnato. Il nostro Dharma é questo. Essere ciò che siamo.-. A dispetto di quelle parole, Flux notò il turbamento, il dubbio negli occhi di Anjali.
-Degli amanti?-, chiese Shunakin.
-Degli iniziati.-, disse lei.
-Perché?-, chiese il giovane. Anjali si accigliò.
-Perché dev’essere per forza così?-, chiese ancora lui.
-Perché questo é quello che siamo. Così doveva essere.-, ribatté lei. Il giovane scosse il capo.
-A volte vorrei che potessimo andarcene. Fuggire, avere figli… Come persone normali.-, disse.
-Non é destino, Shunakin. Il nostro compito é attendere colui che dovrà usare l’Astra e metterlo alla prova.-, disse la giovane sacerdotessa.
-E se non arrivasse mai?! I sacerdoti hanno aspettato mille anni. Il tempo passerà anche per noi. Le nostre vite bruceranno qui, in attesa di un eletto che potrebbe non giungere mai…-, Shunakin pareva ora veramente frustrato. Comprensibile. Voleva qualcosa che forse non avrebbe mai potuto avere, desiderava l’irrealizzabile.
E proprio a causa di questo, soffriva.
Il desiderio… Flux aveva letto qualcosa su quanto faceva soffrire. Pur sapendolo, non poteva evitare quella dicotomia. Ed evidentemente anche quel giovane soffriva per quella che era l’umana condizione di volere più di quanto si possa avere.
-Arriverà.-, ribatté Anjali, -Abbi fede. Le profezie non mentono.-. Si alzò, rivestendosi lentamente.
Shunakin scosse il capo. Le afferrò un braccio prima che lei si addentrasse nel bosco.
-Ma se fossero false? Se si sbagliassero? Se tu ti sbagliassi?-, chiese. Era disperato, disperatamente desideroso di poter vivere una vita normale con Anjali.
Un anelito impossibile.
-Anche se così fosse, la nostra non é una vita normale e mai lo sarà. Sia tu che io siamo impossibilitati a mettere al mondo figli. C’é un sigillo su di noi. E il secondo sigillo vuole che viviamo per un millennio. Il potere dell’Astra ci ha scelti. Noi non possiamo ribellarci.-, disse Anjeli.
Era ferma nella sua credenza. Decisa. Flux si scoprì ad ammirarla. A parti invertite, forse lei avrebbe ceduto.
Per un affetto simile, un amore tanto puro, chi non l’avrebbe fatto?
-L’abbiamo fatto adesso… Non abbiamo fatto che ribellarci in silenzio per tre anni.-, ribatté Shunakin.
-Sì, e non rimpiango nulla. Ti amo, così come so che tu ami me. Ma conosco il mio dovere, il mio destino. E so che non c’é possibilità di scegliere. Ti prego, non rendere tutto più difficile.-, disse la giovane.
Shunakin annuì. Un gesto che gli costò ben più di un mero movimento del capo. Anjali sorrise.
Lo baciò di nuovo.
-Dunque… tra cinque giorni qui?-, chiese.
Lei annuì. Un sorriso radioso che le risplendeva in viso.
Shunakin invece pareva leggermente ombroso, il peso del fato lo schiantava. E Flux ebbe la netta sensazione di sapere come sarebbe finita.
Lasciando il suo amante sulle rive del fiume, Anjali tornò al tempio. Appoggiò il disco nella nicchia apposita e lo fece ruotare su sé stesso verso destra. E improvvisamente, una sezione del muro si aprì per farla entrare.

La visione finì ma Flux aveva capito tutto ciò che le serviva. Si avvicinò al muro, appoggiò il disco e lo ruotò verso destra dopo averlo inserito nella nicchia.
Silenzio. Possibile che non avesse funzionato?
Poi lo vide. Il muro si aprì verticalmente, e così anche il disco. Un portale, un ingresso segreto.
Titubante, la nera mosse i primi passi nel Tempio di Dharmachakra. Non fece che due passi poi la sentì.
Una voce.
-Brava. Sei arrivata.-, disse la voce.
Flux si mise in guardia, preparandosi a difendersi da un attacco ma la voce, che pareva giungere da ogni dove, non apparteneva a nessuno nelle vicinanze, o quantomeno a nessuno decisa ad attaccarla.
Davanti a sé la giovane vide un corridoio che s’inoltrava nel buio. “Se solo avessi una torcia”, pensò con stizza.
Appena formulato quel pensiero, improvvisamente delle torce sulle pareti presero ad ardere.
-Cosa?!-, era incredibile. La nera si fermò a contemplare le iscrizioni in sanscrito sui muri del tempio, storie di guerrieri ed eroi, Deva e Rakshasa, Avatar di Vishnu ed esseri infernali. Quel posto le pareva magico.
Quella sensazione non le era data solo dal fatto che fosse effettivamente una parte di un suo passato. C’era qualcosa là dentro che la faceva sentire… bene.
Seguendo un pensiero, tentò di trasformarsi in acqua.
Ci riuscì. Tornò umana.
“Qualunque cosa mi stia succedendo, qui sembra guarire.”, pensò.
Ma era tutto lì? No, ne dubitava. Non poteva aver affrontato tutto ciò solo per entrare in un vecchissimo tempio. Doveva esserci dell’altro.
-Vieni.-, disse la voce.
-Dove?-, chiese Flux.
-A conoscere la verità. A trovare una cura e delle risposte. &egrave questo che vuoi, no?-, chiese la voce.
Inglese. Senza accento. Come se a parlarle nella mente fosse un americano. Ma lei sapeva, sentiva che non poteva essere così.
-Chi sei?-, chiese.
-Qualcuno che ti aspetta. Qualcuno che può aiutarti. Stai morendo, Neela.-, disse la voce.
-Come sai il mio nome?-, chiese Flux, irrigidendosi.
-So molte cose di te, Flux. Incluso il fatto che preferisci evitare di ricorrere alla tua vecchia identità. Ma tu sai molto poco di me, mi sembra.-, ribatté la voce.
-Cominciamo dal nome.-, disse la nera.
-Il mio nome non ha importanza. L’ho lasciato dietro di me quando accettai l’incarico di Custode.-, disse la voce.
Flux sospirò.
-Non mi rendi certo facile fidarmi di te.-, disse lei.
-Perché?-, chiese la voce.
-Perché sei una dannatissima voce che mi parla nella testa, in un tempio abbandonato da millenni che ho trovato seguendo visioni di una vita che non ho vissuto e che non ricordo. Come posso fidarmi?-, chiese la nera con rabbia. La voce tacque.
-Fidarsi é un atto di fede. Significa donarsi all’altro.-, disse infine, -&egrave normale che ti sia così difficile visto ciò che hai passato.-.
La mutante preferì non ribattere.
-Il tuo arrivo qui é provvidenziale.-, disse la voce.
-Perché?-, chiese Flux.
-Perché io sto morendo. &egrave normale, il mio tempo é finito. Ma, prima di andarmene, posso compiere il mio dovere.-, disse la voce.
-Cos’é l’Astra?-, chiese la nera.
-Un’arma… Mille volte più temibile delle armi da fuoco che hai usato tanto spesso. &egrave un’arma mistica, il cui potere si attiva tramite un mantra. -, spiegò la voce.
-Perché vuoi darla a me?-, chiese Flux.
-Io non te la sto dando. C’é una prova. Una profezia a cui tu devi sottostare. Prove da superare. Perdere tempo non serve a nessuno. Tu stai morendo, Flux. Ti restano due giorni, poi la tua anima migrerà da quel corpo. Ciò che rimarrà sarà un ghoul, un essere privo di mente e coscienza. Un abominio con le tue fattezze.-, rispose la voce. Flux sentì un birivdo di terrore lungo la schiena.
-Strange… lui e Blade mi hanno riportata indietro…-, era confusa, come mai prima d’allora.
-No. Strange e Blade hanno legato la tua anima al tuo corpo ma la trasmigrazione di un anima non può essere fermata, solo rallentata. Il sacrificio di Blade ti ha concesso del tempo, ma non basterà. Solo l’Astra può darti il potere per vincere la morte. E devi morire per poter rinascere.-, disse la voce.
Flux non capiva. Si tenne la testa. Decise.
-Dove sei?-, chiese.
-Segui il corridoio.-, disse la voce, -Arriverai alla Sala Grande, dove un tempo io e i miei fratelli e le mie sorelle ci addestravamo. Entra oltre l’altare, troverai delle scale. Da lì sali e raggiungi il piano superiore. Troverai una sala circolare. Lì mi troverai. Ci vediamo tra poco.-.
Iniziò a camminare. Spezzoni di passato la travolsero.
Vide Anjali apprendere i movimenti di un’arte marziale, divenire esperta nell’uso di spada e arco, meditare, mangiare, dormire, vivere….
Una vita intera di cui lei non aveva mai neppure sospettato. Una vita ligia a un dovere, votata a un bene maggiore. Ora Flux comprendeva: se quell’arma fosse caduta in mano di altri, di gente sbagliata…
Il mondo intero ne avrebbe pagato il prezzo.
Arrivò alla Sala Grande. Armi spezzate alle pareti, corpi, scheletri. Era evidente che qualcosa, qualcuno aveva compiuto qualcosa di terribile.
Una battaglia per conquistare l’Astra? Flux capì improvvisamente che quella voce doveva appertenere all’ultimo custode dell’arma mistica.
Notò che c’erano scheletri anche nel corridoio. E ne aveva visti alcuni anche in certe sale.
Salì le scale. Altri morti, ma sempre meno.
Altra rampa di scale. I morti ora erano veramente pochi. L’ultimo scheletro protendeva una mano verso i gradini finali, il moncone di una spada nel pugno della mano ossuta. Flux si fermò, improvvisamente conscia che quel che l’aspettava, in un modo o nell’altro l’avrebbe sconvolta. Fece un lungo respiro. Non era arrivata sino a lì per fermarsi e tornare indietro.
-Entra.-, disse la voce.
Flux fece un solo passo dentro la sala. La luce di mille soli la costrinse a corpirsi gli occhi. Un istante dopo la luce era svanita, si era abbassata a una luminosità sopportabile. La nera lasciò cadere le mani.
Davanti a lei stava una vecchia, capelli bianchi, molteplici trecce le coprivano il corpo nudo dai seni cadenti. Quel che maggiormente colpì Flux fu lo sguardo. Stanco.
Come se i millenni avessero eroso la voglia di vivere di quella donna. Non capiva, non riusciva a capire.
-Chi sei?-, chiese con un sospiro.
-Immagino che non sia molto riconoscibile.-, disse la Custode. Sorrise. E improvvisamente una luce la avvolse. Flux vide il corpo della Custode cambiare. I capelli ripresero colore, i seni cascanti recuperarono solidità. Rughe e muscoli flaccidi sparirono e ripresero tono mentre il tempo scorreva al contrario. Infine se la trovò davanti e non poté più negare la verità.
Non trovò le parole per esprimere lo stupore.
-Tu…-, iniziò. Si fermò. Era troppo. Cadde in ginocchio.
-Io.-, rispose Anjali. Era proprio come nelle visioni che aveva avuto stesso sorriso, stessa identica espressione, gli occhi colmi di compassione ma anche di consapevolezza. Emanava un’aura di assoluta e totale sicurezza e tranquillità.

-&egrave bello vederti qui, Flux.-, disse Anjali.
-Io… Tu sei me…-, disse la nera. Era sbigottita.
-Sì.-, rispose con semplicità la giovane indù.
Pareva assolutamente incurante della sua nudità e Flux doveva riconoscere che le somigliava moltissimo.
D’altronde anche la mutante aveva ben’altro a cui pensare che al pudore.
-Come può essere?-, chiese infine.
-&egrave semplice. L’Astra mi ha eletta sua protettrice. Ma questo ha avuto un prezzo. La mia anima si é separata dal mio corpo e, spezzata in due parti, ha occupato un secondo essere. Quell’essere, Flux, sei tu. Sei la prima che é stata riportata in vita tramite la magia. Il tuo ritorno dai morti non era previsto. Ha alterato l’equilibrio. Se non fosse successo, io sarei morta normalmente, tra anni. Ma ora…-, la giovane sorrise mestamente, -Le cose sono cambiate. L’Astra sa che sto morendo. Ti ha attirata qui perché tu possa assolvere al tuo ruolo.-.
-Ossia proteggerlo? Aspettare il prescelto?-, chiese Flux.
-No. Nessun prescelto. Solo tu, Neela… Tu e basta. Ora tocca a te. L’Astra ti attende. Le prove ti attendono.-, disse la sacerdotessa.
-Prove…-, Flux parve riflettere.
-Le prove sono tre. Il fuoco, la lama e la carne. Colui che le supera tutte é degno dell’Astra.-, disse Anjali.
-Tu non lo eri… Però la proteggi.-, ricordò la nera.
Gli occhi dell’Indù si velarono per un istante.
-Hai visto il passato. Sì. &egrave così. Nella mia vita ho commesso un errore per amore. Shunakin però non si rese conto di quanto profondo fu il nostro errore e non gli importava più del suo giuramento. Quando fuggì dal Tempio, io non lo seguii. Però lui scelse comunque di tornare, per avermi anche contro la mia volontà. Assaltò il Tempio a capo di un esercito. Tutti i miei fratelli e le mie sorelle e i miei maestri morirono per difendere l’Astra.
Rimasi solo io. E feci quello che non avrei mai dovuto fare. Usai l’Astra, distruggendo Shunakin e i suoi uomini.-, una lacrima cadde sul pavimento, -L’Astra mi aveva salvata ma mi aveva anche condannata. In questo luogo, io posso alterare l’esistenza a mio piacimento. Posso apparire come sarei se gli anni avessero effetto su di me o ringiovanire quanto desidero. Rendere questo luogo un inferno o un paradiso.-.
-Ma sono solo illusioni…-, disse Flux.
Un serpente le si avvolse attorno al braccio, la nera imprecò, divincolandosi inutilmente. L’animale si vaporizzò, non senza lasciarle addosso la sensazione della sua pelle viscida che le strisciava addosso.
-No, Flux. Qui dentro, illusione e realtà coesistono. Io non mangio da mille anni ma non soffro la fame. Non bevo da millenni ma non soffro la sete. Non dormo e non sono stanca. Solo l’eternità che mi scorre addosso é logorante e attraverso il tempo passato, ho compreso la saggezza della vita e l’importanza somma della morte.-, rispose Anjali. Si avvicinò di un passo alla nera.
-Dobbiamo sbrigarci. Le prove attendono.-, disse.
-L’Astra… Può veramente salvarmi?-, chiese Flux.
-Sì. Ma significherà la mia morte. Va bene: dopo mille anni, la vita non appare più come una benedizione.-, l’indù sorrise. La nera invece no.
-Non sono sicura di volerla… insomma, &egrave un potere immenso e io…-, iniziò.
Anjali le mise una mano sulla spalla.
I tatuaggi sui corpi di entrambe brillarono.
-Tu sei destinata a questo, Flux. Non si tratta di cosa vuoi. Se moriamo qui, chiunque potrà trovare il Tempio e reclamare l’arma per sé.-, disse.
-Ma come faccio… mi stai dicendo che devo diventare qualcosa che neanche so di poter essere… Insomma…-.
-Abbi fede in me… abbi fede in te.-, sussurrò Anjali.
La abbracciò. Flux sussultò. Non se lo aspettava.
-Se me l’avessero detto…-, sussurrò.
-Già. Immagino che non ci avrei creduto neppure io.-, ammise la sacerdotessa.
Poi la baciò. Flux si sorprese. Ma non era schifata. Il bacio fu un istante, brevissimo, le due metà di un’anima in due corpi diversi che si congiungevano nello spazio di un secondo.
-Perché?-, chiese quando Anjali si fu staccata.
-Perché no?-, chiese la giovane, -Sto per morire, ricordi? Non ti sembra giusto che mi prenda qualche soddisfazione? Dopo un migliaio d’anni da sola…-.
-Ci provi?-, chiese Flux. Era esterrefatta.
-Forse. Ma non é importante.-, sibilò la sacerdotessa.
Una porta si aprì. Scale. Ancora.
-Vai. La prima prova ti aspetta.-.

Flux prese a camminare senza pensare. Avanzò verso la prima prova. E improvvisamente, sentì la sua tuta sciogliersi, lasciandola nuda.
“Non é divertente.”, pensò.
-Non deve esserlo. La tuta ti proteggerebbe e tu non devi poter barare. Ho tolto anche i tuoi poteri. Te li ridarò una volta finito-, disse Anjali.
La nera sospirò e riprese ad avanzare.
La porta che si ergeva davanti a lei aveva delle scritte strane. Improvvisamente, Flux capì di saperle leggere.
-Il fuoco divora e crea. Lotta per il fuoco, diventa il fuoco, solo allora avrai il fuoco!-, lesse.
La porta divenne un muro di fuoco, la giovane ne sentiva il calore vicinissimo. Si accorse di tremare. Era terrorizzata oltre ogni dire.
-No… Non ho i miei poteri! Morirò!-, esclamò.
-Tutti muoiono, Flux! Ogni giorno migliaia di anime migrano di corpo in corpo. Perché ti credi tanto diversa?-, chiese Anjali.
-Perché non voglio morire!-, esclamò.
-E per cosa? Per una vita destinata a stancarti?-, chiese l’indù. La mutante imprecò.
-Modera il linguaggio, per favore. Questo é un posto sacro.-, disse.
Il calore aumentò, facendosi tale da iniziare a farla sudare. E improvvisamente Flux si accorse che dietro di lei c’era un muro. In mattoni. Si girò, picchiando i pugni contro di esso.
-No…-, sussurrò. Si sentì a un passo dal pianto.
-&egrave tutto qui, Flux? Pensavo volessi vivere… La vita ti aspetta, oltre la morte.-, disse Anjali.
-Dannazione!-, rabbia sorse dalla disperazione, poi il puro vuoto dell’assoluto nichilismo. Focalizzandosi su quella consapevolezza, Flux balzò nel fuoco.

Lingue di fiamma sulla carne, nella carne. Fu terribile. Sentiva la pelle screpolarsi e bruciare. L’ossigeno strappato dai polmoni dal calore, la nera riuscì ancora a urlare una sfida al creato.
-Non tornerò indietro! Non esiste, mi senti?! Non esiste che io torni indietro!-, gridò. Il fuoco improvvisamente si fermò. E Flux si accorse di essere in piedi. Nuda. Viva.
E illesa. Si guardò le mani, le braccia, le gambe.
Era viva. Il fuoco non le aveva fatto niente.
-Hai superato la prima prova. Ma é la più facile.-, disse Anjali. “Se quello per te era facile…”, pensò lei.
-E ora?-, chiese.
-Dopo la vita, la morte. Ci aspetta tutti, Flux. Senza eccezioni.-, disse la sacerdotessa.
-Che diavolo vuol dire?-, chiese.
-Vai avanti.-, la esortò l’indù.
La nera giunse a una sala circolare.
Un uomo in nero, mantello nero con cappuccio a corpire il volto la guardava. E ancora, appena entrata, le uscite si chiusero.
-Tu sei la prova, vero?-, chiese. L’uomo sfoderò una spada. Un’arma dalla lama curva, tipo scimitarra.
E la attaccò.
Flux schivò i primi due attacchi, piroettando e rotolando, balzando all’indietro e cercando di contrattaccare quando possibile. Ma la verità era che senz’armi non avrebbe mai potuto vincere.
-Che diavolo devo fare? Che cosa devo fare?!-, chiese.
Un fendente la ferì. Vide le dita della mano destra staccarsi. Bruciore, rabbia. Gridò di dolore.
-Figlio di puttana!-, ringhiò. Sferrò calci e pugni, cercando di controbattere. Inutile: l’uomo si limitava a schivare e contrattaccava. La scimitarra andò a segno nuovamente, incidendo la pelle della schiena di Flux dipingendo una linea cremisi dalla spalla alle costole opposte. Era una piccola ferita ma insieme alle dita…
Ci sarebbe morta. Lentamente.
-No… non sono arrivata qui per questo!-, ringhiò.
Si lanciò in avanti, cercando di colpire il nemico. Schivò un fendente e un altro. La scimitarra impattò contro il muro, rompendosi.
-Ah!-, esclamò Flux. Sì, ora poteva vincere, a meno che…
Il bastardo estrasse una spada dalla lama diritta e lunga.
A meno che non estraesse un’altra arma.
-Ok…-, disse. Il bastardo le arrivò addosso di nuovo. Fendente, fendente, un altro e infine un terzo. La coscia destra della nera si aprì in uno squarcio cremisi.
Flux ringhiò, incoerentemente, consapevole che se non l’avesse uccisa quel bastardo lo avrebbe fatto il sanguinamento. Ma alla fine non poteva vincere.
Solo accettare, solo rimettersi al fato.
Solo rinunciare, cedere. Arrendersi al suo destino.
Per impietoso che fosse.
Cadde in ginocchio.
-Fai ciò che devi.-, disse. Il tizio le appoggiò la spada sul petto, proprio sul tatuaggio che aveva da quando era tornata dai morti. E spinse.
La trapassò impalandola sulla lama. Flux sentì il cuore cercare di battere, il cervello che ancora ragionava.
Sorrise. Andava bene, no? Aveva vissuto una buona vita e alla fine l’aveva detto che non era degna di quell’Astra.
Se doveva morire lì, almeno poteva dire di aver tentato di tutto prima e così era stato. Chiuse gli occhi.

Li riaprì.
Le ferite erano sparite. Tutte. Controllò e notò che stava bene. Si alzò a fatica.
-Quanto tempo?-, chiese.
-Almeno due ore. Normale, dopo lo shock di una morte apparente. Sei stata brava. Anche di fronte alla morte, in molti non sanno arrendersi finché non sono morti. Ciò che hai fatto non é stato da poco.-, disse Anjali.
-Era fottutamente reale, lo sai questo?-, chiese Flux.
-Era. Appunto. Concentrati. L’ultima prova é la più difficoltosa.-, disse l’indù.
-E che cosa sarà mai, sentiamo?-, chiese.
-La carne.-, rispose con semplicità Anjali.
-Oh… molto specifico, direi.-, ironizzò la nera.
-Abbastanza, ritengo.-, ammise l’altra.
Le uscite erano di nuovo agibili. Flux proseguì.
-Così… questa é l’ultima prova?-, chiese.
Nessuna risposta.
-Simpatica, me stessa. Molto simpatica.-, sospirò lei.
Si trovò davanti una porta in legno. Chiusa.
-Ah, beh…-, almeno non c’era qualche ingresso minaccioso stavolta. Bussò.
-Entra.-, disse Anjali. Flux entrò.

Si trovò davanti una stanza lussuosa e vastissima.
In un angolo, una vasca idromassaggio pareva già pronta ad accoglierla. Un cameriere entrò posando su di un tavolino delle pietanze che la giovane aveva sempre amato. C’era di tutto. Le bibite erano anche meglio. Un’assortimento di vini e liquori da paura. E, dulcis in fundo, un letto a baldacchino con coperte di seta morbidissima. Flux mosse due esitanti passi.
Sfiorò il letto. Era veramente morbido, il genere di letto degno del sonno di un re… o di una regina.
Guardò le bibite. Vodka Nimroff, un Rum cubano che probabilmente costava migliaia di dollari al millilitro, vino etiope servito caldo, un Glenfiddich invecchiato dieci anni (il genere di liquore che si tiene sulla mensola per fare impressione più che per bere).
E il resto… sigari cubani arrotolati a mano, sigarette, persino della ganja…
-Io…-, quanto tempo era che non mangiava e non beveva. E lì, finalmente, poteva darci dentro.
Si avvicinò ai piatti.
Gamberoni black tiger alla griglia con masala…
Sushi, tagli di ventresca bassa di tonno della miglior qualità. Roba che ormai doveva essere introvabile.
Un Cheeseburgher perfetto, sotto tutti gli aspetti faceva bella mostra di sé. Arancini sicilliani che lei ricordava di avere provato solo una volta e di fretta per giunta…
-Pancia mia fatti capanna…-, si disse.
-Che maleducata…-, disse una voce.
Flux si voltò. Era impossibile. Eppure lui era lì.
Blade, il suo compagno, rivale, amante e avversario.
Le sorrise. Era nudo, come lei.
-Inizi a mangiare senza aspettarmi? E soprattutto senza salutarmi! Potrei offendermi, se non fossi così bella…-, disse. Flux sorrise. Già. Era stata proprio sciocca a pensare che Strange non le avesse mandato dei rinforzi di qualche genere. Il fatto che avesse inviato Blade aveva senso ma tutto il contesto ne era totalmente privo.
Poi Flux guardò il giovane. Era eccitato, come lei.
Il suo membro era rigido ed eretto e la nera ricordò come l’ultimo suo rapporto sessuale fosse stato.
Si accorse di volerlo, di essere eccitata.
-Beh? Stiamo qui a guardarci? Di solito ci scateniamo…-, disse Blade. Le sorrideva in modo impudente e idiota.
Come al solito. Come lei aveva imparato ad amare.
-&egrave stato Strange a mandarti qui?-, chiese.
-Che importa? Hai visto che stanza? Nemmeno con Zhara avevamo un trattamento simile. Io ne approfitterei…-, si avvicinò. La nera sorrise. Si sfiorò appena tra le gambe. Era umida, rorida di desiderio.
-In effetti…-, si fermò. Non sapeva perché.
Blade le mise una mano sulla spalla, scendendo lungo il seno. Iniziò a giocherellare col capezzolo con estenuante lentezza. Flux sospirò. Era bello, quasi troppo.
Blade la baciò, le rispose al bacio con trasporto appena accennato, C’era qualcosa che non le quadrava.
-Andiamo… qui sto facendo tutto io, tesoro. Non va bene.-, disse Blade. Era vero… ma era tutto così confuso. Tutto così profondamente strano.
Il dito di Blade scese lungo lo stomaco, sino al pube.
-Devo prenderti in braccio?-, chiese.
-No… io…-, Flux si accorse che il dito le era entrato dentro senza difficoltà. Cedere sarebbe stato facile. Semplicissimo. L’aveva già fatto altre volte.
“La Carne… Ecco cos’é!”. Certo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Presa dalle altre prove non c’aveva pensato. Tolse con gentilezza il dito di Blade da dentro di sé, domando l’impulso che sentiva sempre più forte.
-Blade… so che questa é una prova. E se farò quello che mi proponi, per quanto io voglia farlo, non la supererò.-, disse lei. Lui si accigliò, intristendosi quasi.
-Almeno prendi qualcosa da bere… hai le labbra secche…-, disse lui.
“Perché no?”, si chiese. In fondo la prova era “La Carne”, non “l’Acqua” o “il Cibo”. Ma si fermò.
E se per “Carne” si fossero invece intesi tutti i desideri del corpo? Aveva senso.
-Ecco qua.-, disse Blade. Aveva riempito un bicchiere di Perrier. Flux titubò.
-Grazie, ma non ho sete.-, disse infine.
-Ah. Cibo? Dai, non vorrai mica sprecare tutto questo ben di dio…-, disse lui.
-Io… no grazie, Blade. Non ho neanche fame.-, rispose lei. Lui si accigliò.
-Sei tesa. Vedrai che un bagno ti rilassa…-, disse. Si stese nella vasca idromassaggio, invitandola a raggiungerlo. Flux scosse il capo.
-Io devo andare.-, disse.
Aprì la porta, quella da cui era uscito il cameriere e si trovò davanti una marea di ricchezze. Cornucopie di monete d’oro, lingotti, diamanti grossi come pugni umani, topazi e rubini. Il tesoro di Ali Baba…
Blade la raggiunse, gocciolante acqua e stupore.
-Beh, questa sì é una sorpresa.-, disse.
-Già.-, ammise Flux.
-Diventeremmo ricchi. Su, cerchiamo una borsa.-, disse lui. La nera scosse il capo.
Blade non avrebbe mai, mai anteposto la ricchezza alla morale. La sopravvivenza era un’altra cosa ma quello…
-No. Non ne abbiamo bisogno.-, disse Flux.
-Andiamo… potremmo vivere nel lusso! Pensa a tutti quelli che ci insultano per essere come siamo! Sarebbe la vendetta ideale.-, disse.
La nera scosse il capo. Era stanca. Fisicamente e mentalmente ma soprattutto era sfinita da quella sorta di gara, di rivalità tacità, di odio sotterraneo tra umani e mutanti. Scosse il capo.
-Non é così che riporteremmo la pace.-, disse, risoluta.
-Hai ragione.-, ammise Blade. Gettò a terra la borsa piena di monete d’oro.
Flux non disse altro e si diresse verso la porta.
Aprì. Si trovò su una terrazza. Era… era sul balcone della Casa Bianca… Si accorse di essere vestita, un abito in seta bianca. Non da matrimonio, ma da cerimonia.
-E ora, Neela Mourne, Presidente degli Stati Uniti d’America!-, esclamò uno speaker.
Silenzio. Tutti attendevano una sua parola. La folla era in completo silenzio, sotto di lei. Tutti le rivolgevano cenni di pura fiducia, pendevano dalle sue labbra.
Flux si sentì mancare.
Quello era stato il suo sogno segreto, da bambina. Quando ancora la vita non le aveva dato i suoi poteri, togliendole il resto. Quello era ciò che voleva, diventare Presidente degli States e rendere il mondo un posto migliore per tutti. Vacillò per un istante. Uno solo.
Poi scosse il capo. E uscì dalla stessa porta da cui era entrata.

Si ritrovò in una sala come quella in cui aveva trovato Blade. Solo che stavolta c’era il letto. Solo il letto.
E Flux era stanca. Esausta.
Che male avrebbe fatto sdraiarsi? Cosa sarebbe cambiato? Si avvicinò al letto barcollando.
“Mi stenderò… solo un istante…”, si disse.
Ma proprio prima di toccare le morbide coltri, ricordò.
“La Carne… questa prova dev’essere quella finale.”.
Doveva proseguire. Strinse i denti e si sollevò barcollando e rischiando di cadere.
Uscì dalla porta opposta a quella da cui era entrata.

Buio. Totale. Assoluto. Flux espirò. Era esausta. E il buio non sembrava avere fine o uscite.
-Dove sono?-, chiese.
-Non sei.-, rispose una voce. Non Anjali.
-“Non sono” cosa?-, chiese lei.
-Non sei. Non sei mai stata. Non esisti.-, disse la voce.
-Esisto… sto parlando!-, esclamò Flux.
-Le tue parole sono il battito di ciglia di un essere eterno. La tua intera esistenza é ininfluente e impermeante.-, disse la voce.
-Questo non la rende meno vera.-, rispose Flux.
-Chi sei?-, chiese la voce.
-Un’iniziata.-, rispose Flux. I tatuaggi sul suo corpo brillarono brevemente senza illuminare nulla.
-Da dove vieni?-, chiese la voce.
-Dal buio.-, rispose lei.
-Dove vai?-, chiese ancora quella presenza.
-Verso la luce.-, disse la nera. Sentiva l’aria sul corpo nudo. Si sentiva stanca, stanchissima.
-Brava.-, disse una voce. Anjali.
Il buio esplose di pura radianza, la luce fu tanto forte che a Flux parve di essere travolta da uno tsunami di pura energia. Chiuse gli occhi abbandonandosi alla sensazione. In un istante si sentì minuscola, come un granello di polvere nell’infinito. Eppure erano miliardi di granelli a formare quello stesso infinito.
Si sentì strappare dal suo corpo, si vide morire e vivere.
Sentì che era appena iniziata. E che non sarebbe finita mai. Sorrise.
E scivolò nell’oblio.

Riaprì gli occhi. Anjali la fissava. Sentì il terreno sotto la pelle. Era nuda.
-Tutto bene?-, chiese l’Indù, -Non é mica un esperienza facile. Io sono rimasta svenuta per sei ore dopo il primo contatto con l’Astra.-.
-Svenuta? Quanto… Quanto mi resta?-, chiese Flux.
-Oh, beh… Almeno otto ore.-, disse Anjali.
La nera si tirò su sedendosi.
-Otto ore? Ti prego, dimmi che ha funzionato… che l’Astra mi ha guarita…-, era disperata.
-Dimmelo tu.-, disse con un sorriso l’Indù.
Flux sospirò. D’un tratto si sentì sprofondare dentro sé stessa. Stava bene. Era incredibile ma stava bene.
Se lo sentiva. Con la stessa identica precisione con cui si sentiva il suolo sotto i glutei.
-Ascolta… Non abbiamo molto tempo. Sono le quattro e all’alba io dovrò andarmene.-, disse Anjali.
-Morirai, intendi.-, disse la mutante.
-Sì.-, disse l’indù. Nessun rimpianto, nessuna paura.
-Devi capire. L’Astra é potente, più di quanto pensi. Per questo ho fatto sì che non sia un arma come lo era per me o per coloro che mi hanno preceduta.-, spiegò.
-Allora cos’é? E dov’é…-, chiese Flux.
Anjali le prese un braccio.
-Qui, vedi?-, chiese.
-Io…-, sul braccio destro di Flux c’era un tatuaggio, un disco identico a quello che aveva rubato a casa di Armin. Lo stesso disco che l’aveva accompagnata.
-Quel disco era l’Astra?-, chiese con stupore.
-Ne era la forma fisica. Ma viste le tue capacità, non mi pareva idoneo lasciarlo in tale forma. L’Astra obbedisce al suo possessore. Ti troverai davanti sfide, momenti in cui usarlo ti parrà la cosa più saggia. Ma non sarà così.
Inoltre l’Astra ti concederà una certa dose di agilità e di capacità magiche. Lo ha fatto con tutti i suoi detentori. Non arriverà a permetterti il controllo che ho io sul Tempio ma ti permetterà di scoprire alcune cose utili.-, spiegò Anjali. Flux annuì. Sorrise.
Era salva. Provò a trasformare il suo braccio destro in acqua. Ci riuscì. Lo fece tronare reale e rifece lo stesso col sinistro. Sì. Tutto era di nuovo apposto.
-L’Astra ha fatto sì che la tua anima sia nuovamente legata al tuo corpo. Ma perché il passaggio sia completo, io devo farmi da parte.-, concluse Anjali.
Flux la guardò, improvvisamente conscia che la sua vita sarebbe costata quella di quella ragazza.
-Non c’é altro modo.-, disse Anjali, -E comunque non dispiacerti: non potresti evitarlo. In più, se hai altro da dirmi, ti conviene dirmelo ora.-.
-Shunakin… Lo amavi molto.-, Flux si sentì un’infame a rivangare il passato ma la giovane non parve darsene peso. Sorrise, ricordando i bei tempi andati.
-Lui… era particolare. Lo amavo e anche lui amava me.
Ma il nostro amore non sarebbe dovuto essere. Coloro che custodiscono l’Astra non possono legarsi ad alcun essere.-, disse Anjali.
-Così… quando io morirò dovrò passarla a qualcuno?-, chiese la nera. Si alzò in piedi.
-Sì. Ma potrai farlo in qualunque momento. I vecchi riti e le vecchie usanze sono morte, Flux. Tu sei la nuova via. E devi agire come saprai essere giusto.-, rispose Anjali.
-Grazie… per tutto.-, disse Flux.
-Prego. Sono felice che tu ce l’abbia fatta.-.
Rimasero ferme per un lungo istante.
-Prima che io vada… c’é una cosa che vorrei sapere.-, ammise Anjali. Flux annuì.
-Ho visto il tuo passato. Com’era…-, la giovane esitò, poi riprese, -Com’era farlo con un’altra donna?-, chiese.
Flux sorrise. Classica domanda birichina.
-Beh, é difficile spiegare a parole.-, disse.
-Oh, capisco.-, disse Anjali con un sorriso d’intesa. La stanza cambiò ritornando la stanza con letto a baldacchino di poco prima.
Si avvicinò alla nera.
-Fammi capire…-, sussurrò. La baciò. Un bacio lungo in cui la lingua dell’indù invase la bocca di Flux dardeggiando diabolicamente. La mutante sospirò.
“Al diavolo…”, pensò. Abbracciò Anjali e le accarezzò la schiena sino alle natiche. Le baciò il collo e i capezzoli. Senza fretta e con assoluta consapevolezza che il tempo scorreva. L’indù sorrise.
-Oh… bello… Shunakin e io non abbiamo potuto farlo con calma…-, ammise. Flux scese lungo il corpo scuro della giovane sino al pube e prese a leccare l’intimità di lei facendo cerchi sempre più stretti poi sempre più ampi.
Una vera tortura.
-Leccami un po’ anche tu…-, sussurrò la nera.
-Andrà bene anche se non sarò così brava?-, chiese l’altra. Flux sorrise.
-Sarà perfetto.-, disse. Anjali eseguì.
Le due presero a darsi piacere a vicenda. Infine Anjali venne con un gridolio delizato e Flux si unì al suo orgasmo con un gemito.
Giacquero per qualche istante sul letto. Poi l’illusione finì e si trovarono distese sulla pietra.
Flux notò che il tatuaggio che aveva sul petto c’era ancora ma ora era divenuto nero.
Anjali le sorrise baciandola. Il suo bacio sapeva di lei… di loro. Flux lasciò che fosse lei a decidere quanto a lungo baciare e quando finire.
-&egrave stato stupendo. Il miglior orgasmo da tanto, tanto tempo.-, ammise l’indù.
-Già. Anche per me…-, ammise la nera.
Anjali si alzò in piedi. Parve ascoltare. Poi annuì.
-Ci siamo.-, disse. Flux annuì. Sapeva cosa volesse dire.
-Rimarresti con me?-, chiese Anjali. Invecchiò, tornando anziana e decadente in pochi istanti.
-Sarebbe un piacere.-, disse Flux.
Anjali si sedette in poszione del Loto e prese a respirare con calma. Entrò in quello che pareva uno stato di quiete, talmente calma da rendere la presenza di Flux quasi un disturbo, almeno dal suo punto di vista.
Poi improvvisamente, una luce invase la sala.
A occhi chiusi, Flux prese a recitare.
-OM! Possa tu trovare pace! Possa Shiva darti pace! OM! Conducila dall’Irreale al Reale, dal Falso al Vero, dal Visibile all’Invisibile…-, la voce le si spezzò.
E mentre le prime lacrime di Flux cadevano sul pavimento, Anjali sparì, divenne luce pura mentre una voce lontana intonava mantra vedici. La nera pianse mentre la sua salvatrice, la sua altra sé e la custode di un segreto potentissimo e terribile ascendeva al cielo.

Flux si alzò, recuperò i suoi vestiti e sorrise. Era finita.
Ora doveva andarsene di là. Sicuramente, senza la protezione dell’Astra, il Tempio di Dharmachakra sarebbe divenuto individuabile.
Doveva muoversi. Si rivestì e tributò un ultimo pensiero ad Anjali, ringraziandola per tutto. Scese le rampe di scale e arrivò all’entrata.
Si trovò davanti il vecchio. Helmut Freihaus e due scagnozzi armati di mitra.
-Bene bene bene. Sapevo che ti avrei trovata da queste parti. Una fortuna che io abbia allertato alcuni soci che tenevano sotto controllo gli strani fenomeni in questa zona.-, disse.
-Non ho più il disco. &egrave finita.-, disse Flux.
-Già. Ma hai qualcos’altro. Questo Tempio non sarebbe divenuto improvvisamente visibile sennò.-, disse Helmut.
Altri sette uomini armati di mitragliette entrarono.
“Ecco che la storia si ripete.”, pensò Flux.
-Ecco come faremo. Dammi il disco. E forse uscirai viva di qua.-, disse Helmut.
Flux era lontana, lontanissima. Distante.
Improvvisamente capì. Cedere l’Astra a Helmut avrebbe significato condannare il mondo intero a un’era di oscurità e terrore.
Usandolo però… Avrebbe infranto la promessa fatta?
Forse. O forse era proprio quello che doveva fare.
S’interrogò in un istante sulla cosa.
-Allora?!-, le guardie di Helmut, tutti quanti, alzarono i mitra. Flux espirò. Inspirò. E annuì.
“Bene e male non sono concetti fissi. Giusto e sbagliato non sono sinonimi di bene o male”.
-Quindi vuoi l’Astra. Se sai di questo Tempio, sai anche cosa custidisce.-, disse Flux.
Helmut annuì, con un sorriso predatorio.
-Sì. L’Astra.-, sussurrò. Un sussurro malevolo, infame.
-Non posso permetterti di averla. Sai che danni può fare.- , disse infine la nera, -Ti prego di non costringermi a lottare.-.
Helumt sospirò. Annuì. Fece un cenno.
Flux sospirò. Protese il braccio destro e recitò il mantra dell’Astra.

Fu come se un’uragano improvviso avesse scosso il Tempio. Una forza primigena, assoluta. Totale.
Avvolse Flux, trapassando tutto il resto, disintegrando tutto ciò che c’era davanti a lei. Il Tempio gemette, macigni crollarono. Lontanissime le urla di dolore di Helmut e dei suoi rimbombarono nella mente della giovane. Erano morti… in qualche modo. Flux aveva chiuso gli occhi. Si sforzò di chiudere la mano destra.
Infine ci riuscì. Aprì gli occhi.
Il soffitto era crollato. Il Tempio era collassato. La Sala Grande era ingombra di rovine. Di Helmut e compagnia l’unica traccia erano macchie di sangue e armi contorte, resti dell’ennesima inutile battaglia per un potere inadatto agli uomini di questo tempo.
Flux sospirò. L’aveva fatto. L’Astra aveva cancellato Helmut e i suoi e trasformato Dharmachakra nell’edificio fatiscente che avrebbe dovuto essere fin da principio.
Polvere alla polvere.
Poi Flux chiuse gli occhi immaginandosi il Sancta Sanctorum.

Il Dr. Strange aprì gli occhi trovandosela davanti.
Sorpreso e sbigottito ci mise un attimo a reagire.
-Immagino tu abbia risolto tutto ma questo non spiega come tu abbia brecciato le difese di questo luogo o come tu abbia iniziato a teletrasportarti..-, disse.
-Lunga storia. Ne parlerei volentieri davanti a una tazza di té verde. E magari potrai aiutarmi a seppellire una cosa in un posto lontano e irraggiungibile a tutti.-, disse Flux. Sorrideva.
-Sono tutto orecchi.-, disse Strange.

Flux uscì dal Sancta Sanctorum tre ore dopo.
L’Astra era stato scagliato in una dimensione oscura, una non-dimensione inaccessibile a ogni essere o entità. Un luogo così lontano e distante da essere irraggiungibile persino a Reed Richards e compagnia bella.
Era finita. E Flux era libera.
Per modo di dire, poiché aveva capito che non sarebbe mai stata veramente libera. Non era immortale e prima o poi il destino l’avrebbe reclamata.
Ma sino ad allora avrebbe vissuto, libera e lieta.
Si diresse verso casa. Aveva bisogno di mangiare, farsi una doccia e dormire un po’.

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