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Racconti Erotici Etero

GIALLO A COPENAGHEN

By 22 Maggio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

L’angelo giaceva senza vita ai piedi della Sirenetta, Den Lille Havfrue, come la chiamava la gente del porto. L’alba indorava dei suoi chiarori i tetti aguzzi della città e la brezza mattutina scompigliava dolcemente quei lunghi boccoli biondi, morti, che ricoprivano gli scogli.
Una scia di sangue scarlatto macchiava dolcemente quel collo di cigno, quella pelle d’avorio’ Il corpo era ancora caldo.
La morta giaceva supina e con le braccia spalancate; forse, nell’ultimo istante, aveva provato il desiderio di abbracciare qualcuno, il suo amore perduto. Indossava una sorta di mantellina nera ed una camiciola candida, che pareva fatta di seta delle Fiandre. Pensate che non si era nemmeno difesa’ Forse, non ne aveva avuto il tempo, perché la falce della morte non le aveva permesso di pensare, né di fuggire.
E sembrava che i gabbiani solitari intonassero i loro canti funebri, mentre ingombravano l’etere tranquillo con le loro ali grandi e bianche, così bianche, che’ Oh!
Era d’estate e una dopo l’altra le grandi navi passavano, andavano verso il porto, o l’alto mare. C’erano anche i rimorchiatori, dai fumaioli grandi, che facevano un rumore sinistro. Di tanto in tanto, s’udiva il canto di qualche marinaio, o il lamento triste di una sirena; erano voci confuse, che svanivano nello sciabordio delle onde contro gli scafi, nel muggito vago dei flutti che languivano sugli scogli. Pareva intonassero i canti dei morti. Ma la schiuma fredda del mare non poteva carezzare quelle membra.
E la statua più famosa di Copenaghen assisteva ignara e fredda a quella visione così tragica!
I primi raggi del sole dissolvevano le ultime nebbie in cui dormiva la città, con i suoi castelli e le sue torri pendenti.
Chi era stato? Chi mai? L’assassino aveva usato un coltello o un pugnale, dalla lama micidiale, per tagliare il collo all’innocente. Era questa l’unica certezza.
Il Commissario T. iniziò subito le indagini. Era un uomo malinconico, con dei lunghi baffi neri, pensoso e quasi sempre avvolto in una sorta di impermeabile bigio. Teneva talvolta la pipa in bocca, ma non fumava mai.
Era così triste, così triste pensare che in quella Venezia del nord fosse accaduto un delitto tanto orrendo! I marinai del porto dicevano che la vittima era troppo bella per vivere, troppo, troppo bella’ Forse, era stata la sua bellezza ad ucciderla.
Nessuno conosceva il nome della morta. Dicevano che fosse straniera, che fosse fiamminga’ I suoi occhi, pieni d’azzurro e di mare, avevano fatto innamorare molti. Al suo funerale, tutti piansero commossi, tranne una vecchia, dai lunghi capelli canuti, che sogghignava nell’ombra. Quella figura assai cupa avrebbe fatto impressione a chiunque, in quegli istanti, mentre la luce ardente dei ceri illuminava il suo volto, solcato da mille rughe profonde, e la sua bocca, spalancata e senza denti.
Il Commissario T. parlò con molte donne, interrogò tanti brutti ceffi, dai volti loschi, che giravano nei bassifondi. Ma la verità triste era lontana, tanto lontana, quanto i battelli grigi che navigavano davanti alla Sirenetta o le coste remote della Svezia.
Si seppe che la vittima aveva un’amica, che faceva la sarta e abitava in una casa decrepita, dal tetto assai spiovente, dalla quale usciva assai di rado. Dalle finestre si vedeva il porto ed un lungo canale, sul quale, d’estate, passavano le navi vichinghe.
– L’ultima volta che le ho parlato era d’inverno ‘ rispose l’amica della morta, interrogata dal Commissario T. ‘ Ci eravamo incontrate sul lungomare delle case rosse dai tetti neri, lei aveva sciolto i suoi lunghi capelli e cadeva la neve’ Era felice, tanto che volle baciarmi sulle labbra’ Ci amavamo molto. Voi non potete capire.
Per parlare con quella donna, il Commissario T. era salito in una specie di soffitta, piena di antiche macchine da cucire, tessuti d’ogni sorta ed aghi tanto lunghi, che facevano paura. Aveva trovato l’amica della morta all’arcolaio, con in mano un ago gigantesco, aguzzo, che faceva quasi venire i brividi.
– Forse, siete stata voi a tagliarle il collo, con uno di quegli arnesi ‘ le disse l’uomo, ridacchiando.
– Eh, via’ State scherzando, spero.
Nella vita si scherza assai di rado. Il Commissario T. se lo ripeteva vagamente, mentre, seduto a prua di uno di quei vaporetti che permettevano di attraversare i canali di Copenaghen, vedeva passare i palazzi antichi dai colori ardenti e dalle forme aguzze, i viali adorni di fiori ed ingombri delle ultime folle di turisti curiosi. L’estate, fredda, volgeva all’oblio, con le sue luci, le sue mezzenotti crepuscolari, le sue malinconie. A prua di quei battelli, l’aria di mare suscitava mestizia. Il Commissario T. conosceva la morta, l’aveva amata, era stato innamorato, follemente innamorato di lei, dei suoi capelli, ma non era mai riuscito a baciare le sue morbide labbra. La morte gliela aveva strappata dalle braccia, prima che riuscisse a baciarla.
In quegli istanti, l’amarezza lo travolse, piano piano, mentre sentiva la brezza marina, salata e fredda, che gli carezzava i capelli ormai brizzolati. All’improvviso, il cappello suo volò in mare, rapito da una folata inattesa. Un marinaio si offrì per recuperarlo.
– Non importa ‘ disse il Commissario, con gli occhi umidi di rimpianto. ‘ A questo mondo tutto passa e nulla ritorna’
Ricordo che c’era un po’ di folla, davanti ad un ristorantino che dava sul mare, nei pressi della Sirenetta. Avevano disteso la tenda e c’erano le sedie impagliate e i tavoli, per sedersi all’aperto e consumare le vivande. I camerieri, vestiti di bianco e di nero, passavano fra i clienti con i vassoi d’argento in mano, i volti dipinti di malinconia, più raramente d’allegria. Tutti sapevano dell’evento triste da poco accaduto e anche se non conoscevano l’angelo, sembrava che piangessero. La piccola Copenaghen era in lutto, sì! Eppure, sembrava continuare a sorridere, con i suoi fiori, i suoi castelli, i suoi parchi e gli ultimi raggi felici del sole d’estate!
Davanti al ristorantino, oltre la ringhiera di ferro battuto, ricoperta di fiori, passavano le barche. Sull’altra sponda del vasto canale, si vedevano le case vecchie, dipinte di giallo, di rosso, di verde, di azzurro. Alcune avevano il tetto nero, altre, color di mattone.
– Ho freddo, ho tanto freddo ‘ diceva l’interlocutrice del Commissario T., seduta ad uno dei tavoli con lui. ‘ Ora che la mia amica non c’&egrave più, nemmeno per me la vita ha un senso, ormai’ Se dovessi cadere nelle acque fredde di Copenaghen mi metterei subito a bere, senza neppure chiedere soccorso.
Mentre sussurrava queste parole tristi, due grosse lacrime, azzurre come il cielo, scesero dagli occhi meravigliosi di quella giovane donna. Aveva dei bei capelli, come d’altronde tutte le giovani di quel paese. La pelle sua era di perla’ Impossibile non rimanere commossi dinanzi a tanta bellezza. Ma quanto mistero, quante immagini grigie, si celavano dietro quelle pupille!
– Forse, mi ci getterò, in queste acque ‘ riprese a dire la meravigliosa.
Ella non diceva sul serio. Uno stormo di colombi si alzò in volo, proprio in quell’istante. Stava passando un rimorchiatore, che faceva tanto, tanto rumore. Un marinaio sventolava la bandiera della Danimarca.
Si diceva che la vittima suonasse il pianoforte, fosse una pianista, sì, una musicista. Si esibiva in qualcuno di quei ristorantini, di quei caff&egrave, così spesso affollati d’estate. C’erano i violini, le fisarmoniche, i cantanti, che attiravano i passanti ed allietavano l’etere tranquillo. I musicisti erano vestiti con abiti pomposi, molti di essi portavano il frac o il papillon, le donne erano abbigliate come fate.
Era facile sospirare, affacciandosi ad una delle terrazze che dava sul mare, là dove erano ormeggiate le barche di legno e c’erano mille vasi di fiori profumati dai petali vermigli, che parevano tulipani.
Ricordo che il Commissario T. giocò una partita a scacchi, con la donna del pianto, di cui or ora vi ho narrato.
La luce delle fiamme illuminava il volto di lei, languido e nordico, mentre diceva:
– L’alfiere uccide il pedone’ Il cavallo uccide l’alfiere’ La regina uccide il cavallo’ Il re uccide la regina’ La torre uccide il re’
– Siete stata voi? L’avete uccisa voi? ‘ urlò il Commissario T., afferrando la bella mano della donna del pianto, sospesa sopra la scacchiera bianca e nera.
– No, non sono stata io! ‘ mormorò lei, mentre gli occhi suoi si bagnavano di lacrime, al ricordo dell’amica. ‘ Sento che non le sopravvivrò a lungo’ La amavo tanto!
E la donna del pianto svenne tra le braccia del Commissario, davanti alla scacchiera ed al fuoco morente.
Presto si seppe che la morta aveva fatto l’amore, prima di lasciare questo mondo. Due mani irsute e virili l’avevano stretta forte, tanto forte, ma non l’avevano stuprata. Ella l’aveva fatto di sua voglia, consenziente, sì. Era accaduto all’aria aperta, come si usava in quei paesi del nord. I due amanti avevano consumato il loro amplesso con i vestiti indosso, o almeno, lei non si era tolta i suoi. Questo si sapeva perché avevano trovato dell’umore fecondante nella vagina della vittima. Il corpo suo, inoltre, non aveva mostrato alcun segno di violenza sessuale. Chi l’aveva uccisa non era la stessa persona che aveva fatto l’amore con lei, prima che morisse.
E ben presto, venne il momento in cui le grigie, fredde manette si chiusero attorno ai polsi rugosi della vecchia colpevole, di cui già vi narrai. Accadde davanti alla Sirenetta, dove avevano trovato la giovane donna, morta. C’erano tanti corvi, che volavano intorno, le guardie dai fucili con le baionette e le case dai tetti ardenti, nell’ora del tramonto.
L’ultima folata del vento d’estate fece rizzare tutti i capelli canuti della vegliarda, che strillava, mostrando al mondo il suo pugnale e le sue gengive sdentate:
– Vi maledico tutti! Vi maledico tutti!
A quel punto, lanciò a mille passi da sé l’arma del delitto insanguinata, si gettò al suolo e si mise a ruzzolare e a strapparsi i capelli con indicibile rabbia, urlando, bestemmiando e promettendo sciagure atroci a quanti l’avevano catturata.
E disparve.

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