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Giochi pericolosi

By 11 Ottobre 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

“I graffi sulla schiena bruciano ancora.’

Fissando lo schermo del cellulare nascosto sotto il tavolo avvertii un’onda di calore percorrere tutto il corpo, mi sfuggì un ghigno, era troppo; lasciai scivolare il telefono nella borsa ai miei piedi e sprofondai nella poltrona della sala riunioni; i gomiti poggiati sui braccioli, le mani intrecciate, gli indici davanti alla bocca e la mandibola gravava con forza sui pollici; così, m’imposi di seguire con attenzione la discussione dei colleghi sui i risultati economici dell’azienda; purtroppo, la mente vagava e puntuale tornava a lui, ai suoi messaggi piccanti e provocatori che mi aveva inviato nell’arco della giornata, creando, una sorta di piacevole disagio; ormai, avevo un unico desiderio: raggiungerlo.

Il collega di marketing stava ancora parlando, entusiasta ed inesauribile. Non riuscivo a sentire altro che un mormorio di parole, quando avvertii i suoi passi avvicinarsi, istintivamente strinsi le cosce, cercai di tornare in me; guardai attraverso la grande vetrata le nuvole grigie mescolarsi all’arancio pallido di un triste tramonto autunnale, quei colori così contrastanti erano diventati magnetici.
Quando la riunione volse al termine, si prese a discutere su dove poter andare a prendere qualcosa, era il rito del venerdì; ripresi il telefono attirata da una sottile vibrazione
“Ho diverse sorprese. Non tardare. Avremo bisogno di molto, molto tempo. ”
“Dannato bastardo!” Pensai, ormai, in preda alla frenesia.
Erano tutti presi dalla scelta del locale, io potevo solo osservare il cartello dell’uscita d’emergenza sulla parete del corridoio oltre la porta trasparente e mi immaginavo già fra le braccia di Marcello.

Mi sentii sfiorare delicatamente il braccio, rinvenni, era il capo.
“Non fuggire questa volta, Dafne. Vieni con noi a bere.’ Il suo sorriso rese chiaro l’interesse alla mia compagnia, ma, avevo altri piani per la serata.

“Mi dispiace tanto! Ho un impegno inderogabile, ma la prossima volta prometto di accompagnarti.’
“Accompagnare”. Chiarii immediatamente.
Sorrisi e sembrava placarlo, un’impressione che svanì immediatamente
‘Inderogabile? Cosa, o Chi, ha meritato così tanta attenzione da parte tua?’
Il suo ghigno impudente mi provoc’ una leggera irritazione, come risposta ottenne uno sguardo poco pacifico.
‘Sono stato inaproppriato… perdona la mia insolenza, anche se tutto questo mistero, ci lascia tutti leggermente perplessi… non voglio trattenerti oltre Dafne, magari ne riparleremo lunedì’
Era vero, ero stata sempre di buona compagnia, non perdevo mai le uscite con i colleghi, qualche ora di svago e leggerezza per chiudere la settimana, mi faceva piacere, ma, la mia recente ‘latitanza’, la mia distrazione al lavoro… le probabilità per una bella ramanzina al rientro, lunedì, erano alte, molto alte. Decisi di non pensarci, non volevo rovinarmi il weekend.
Imperterrita, stavo già escogitando a che tipo di scusa inventarmi la prossima volta.

In auto, la musica aumentò la mia eccitazione.
I Rammstein con la loro Ich Will mi fecero immaginare Marcello, le sue mani: mi prendevano, sfioravano, accarezzavano, e la sua bocca cantava quella canzone con la stessa aria provocatoria e sfrontata di Till.
Sentii nuovamente la sensazione di potenza mentre rievocai il ricordo delle unghie che scavavano nella sua schiena e fantasticai su cosa sarebbe potuto succedere di lì a poco.
Affondai le unghie rosse sul volante in pelle, incapace di contenermi. Non appena potei premere l’acceleratore in direzione di casa, attivai il vivavoce e lo chiamai. La sua voce, seria e sensuale, evoc’ il tocco umido e caldo delle sue labbra maschie, sul mio sesso, teso al dolore.
“Cosa hai preparato per me? Non posso aspettare” Domandai dopo aver risposto al suo saluto.
Rideva, come se nascondesse un grande segreto.
‘Qualcosa di speciale… Come hai passato la giornata?’ Il tono della sua voce indicava chiaramente che si trattava di una questione complessa.
‘Scomoda. Eccitata. Ogni volta che leggo uno dei tuoi messaggi …” Mi interruppi lasciando la frase in aria. Mormorò un’approvazione.
Silenzio.
Poi, con voce profonda mi sollecitò
‘Eccitata? Voglio che controlli. Toccati e dimmi quanto sei umida.’
Alzai gli occhi al tetto della macchina e ridacchiai.
“Non è necessario. Ti assicuro che sono fradicia’
“Passati le dita e dimmi quanto sei umida. Ora.’ L’autorità della sua voce non era pallida, nonostante fosse all’altro lato del telefono.
Dovevo farlo.
Lentamente.
Lasciai una mano sul volante mentre con l’altra mi accinsi ad accarezzare l’interno delle cosce. Rallentai, in modo da tenere una velocità costante, non era la prima volta che lo facevo e sapevo che avrei affondato il piede sull’acceleratore se avessi portato a termine il mio atto di onanismo. Sfiorai la morbida pelle nuda, sopra la linea delle calze, portai due dita fino al pizzo delle mutandine, le scostai da un lato e cominciai ad accarezzarmi con un movimento circolare che comprendeva il clitoride e la mia fessura. Ero umida e vischiosa.
“Sono madida” mormorai a denti stretti. L’ eccitazione cresceva, senza possibilità o desiderio di controllarmi.
“Non vedo l’ora di strapparti le mutandine e di vederlo io stesso’ rispose Marcello concupiscente.
Soppressi un gemito ed affondai le dita.

Marcello intuì la perdita dei miei freni inibitori.
‘Sei pazza, Dafne! Fermati!’
Ansimai
Il tono della sua voce s’inasprì.
‘Voglio che ti concentri sulla strada. Fa molto freddo e potrebbe essere pericoloso. Ci vediamo tra mezz’ora. Non tardare.’
Non feci in tempo a rispondere che agganci’
“Stronzo!’ Urlai.
Mi portai le dita alla bocca e vi asciugai l’umidità del mio sesso mentre sentivo salire la rabbia. strofinai le cosce fra loro, cercando di estinguere quel fuoco, senza alcun risultato; sapevo che mi stava provocando deliberatamente, ghighiai; l’avrebbe scontata a letto. Intanto la potenza di Ich Will aveva lasciato posto alle note di Ich tu dir weh, alzai il volume e cantai insieme alla voce di Till per scaricare la frustrazione:

Bei dir hab ich die Wahl der Qual
Stacheldraht im Harnkanal
Legt dein Fleisch in Salz und Eiter
Erst stirbst du, doch dann lebst du weiter

Bisse, Tritte, harte Schl’ge
Nadeln, Zangen, stumpfe S’ge
W’nsch dir was, ich sag nicht nein
Und f’hr dir Nagetiere ein

Ich tu dir weh
Tut mir nicht leid
Das tut dir gut
H’rt wie es schreit

Du bist das Schiff ich der Kapit’n
Wohin soll denn die Reise gehn?
Ich seh im Spiegel dein Gesicht
Du liebst mich, denn ich lieb dich nich…

… Ich tu dir weh …
nulla di più appropriato…

La notte era calata quando giunsi davanti al cancello scorrevole che dava accesso alla sua villa, si aprì senza bisogno di chiamare; mi aveva sicuramente vista arrivare dalle telecamere di sorveglianza, sogghignai. Percorsi lentamente il viale contornato da possenti pini, illuminati dalle luci gialle dei lampioni da poco accesi, avvertii lo scricchiolare della ghiaia sotto gli pneumatici, superato il viale arrivai in un grande spiazzo dove parcheggiai; uscendo dall’auto sentii l’inconfondibile fragranza dell’osmanto appena fiorito; chiusi la lampo della giacca in pelle, il freddo sembrava penetrare nelle ossa, accelerai il passo, salii i tre gradini dell’ingresso e la porta si aprì ancor prima di avere il tempo di suonare il campanello, venni trascinata all’interno da Marcello, mi spinse contro la porta chiudendola.
‘Sei presa per sempre’ mormorò sulle mie labbra.
Mi sentii avvolgere dal suo calore.
Il suo ginocchio si stava già facendo strada tra le cosce per aprire le gambe e le mani mi tirarono su la gonna, mi aggrappai al bicipite, per non perdere l’equilibrio.
‘Ho dovuto guidare con attenzione… per via del buio’ balbettai cercando di giustificarmi, come se fossi stata una bambina arrivata in ritardo a scuola.
Con una mano sbottonai lentamente la sua camicia bianca, le mani ancora infreddolite, sfiorarono le sue costole, seguii con le dita il contorno dei suoi pettorali scolpiti, poi, perlustrai la schiena dove ritrovai le righe dei graffi che si era guadagnato l’ultima volta.
‘Oh! Non pensavo di averti fatto così male…’ sussurrai, fingendo un tono pietoso, mentre lasciavo scivolare le mani sulla sua cintura.
Grugnì mentre tirava fuori la camicetta dalla gonna.
“Ogni volta che la mia camicia ha sfiorato le mie ferite, ti ho pensata. Sai… è stato difficile decidere cosa poterne fare di te’. Quando spinse con forza il bacino in avanti, contro il mio addome, potei nitidamente sentire la sua erezione, sobbalzai alla piacevole sorpresa; mi afferr’ i polsi.
‘Ho passato questi giorni interminabili a pensare a come punirti per questo.’
“Che intenzioni hai? Legarmi?’ Chiesi con un sorriso angelico.
‘Sì. Ho preso le misure perché tu non possa ripeterlo.’ Sentenziò a denti stretti.
Ci fu un attimo di silenzio, il suo sguardo penetrante mi eccitava, sospirai, continuava a guardarmi negli occhi fino a quando non li posai sulle sue labbra mentre sibil’
‘Schiava’
Rimasi in silenzio, il mio respiro cresceva, si tirò leggermente indietro ed aprì il primo cassetto del mobiletto di fianco alla porta, estrasse qualcosa di metallico, ne osservai il luccichio provocato dalla luce esterna che attraversava le vetrate dell’ingresso, realizzai che si trattava di un paio di manette, sentii un sussulto interiore, la vista di quell’aggeggio metallico mi rese inquieta, non ero mai stata amanettata prima di allora.

Stavo per aprire la porta alla sottomissione, qualcosa che conoscevo appena.
Marcello adorava farmi aspettare, tenermi in sospeso. Giocava con la mia volontà mentre faceva tintinnare le manette, assaporando la mia incertezza.
Cominciò a farle suonare: il gancio di regolazione veniva spinto negli anelli di chiusura, per liberarsi e rifare il giro, continuò in questo modo per un paio di volte; il suono era quasi insopportabile, non riuscii a nascondere una smorfia di fastidio, Marcello sorrise compiaciuto, si avvicinò ad un passo da me, un misto di terrore e desiderio mi assalì, il suo ghigno perververso mi destabilizzò, poi, con calma, tir’ fuori dalla tasca dei pantaloni, una chiave, controllò che le serrature funzionassero
‘Le ho provate prima, ma voglio che veda anche tu ‘ Continuava ad armeggiare con quegli aggeggi, mentre aspettavo, ormai impazientemente il momento in cui mi avrebbe immobilizzata
‘Quanta premura’ Ansai, guardavo le scale, desiderosa di salire in camera, ma non ci allontanammo da dove ci trovavamo.
Senza darmi tregua, Marcello mi spinse di nuovo contro la porta d’ingresso; per un istante, c’erano solo respiro spezzato, l’umidità delle nostre lingue che combattevano in un duello di titani, e il suo membro che premeva prepotente contro il mio addome; lentamente tirò giù la lampo della mia giacca mentre le sue labbra continuavano ad assaporare le mie; un bacio languido, lascivo, che mi fece eccitare in modo incontrollabile.
All’improvviso, ogni traccia di uguaglianza nella guerra scomparve: Marcello mi afferrò con forza il polso rivolgendomi un’occhiata di avvertimento, inclinando l’equilibrio a suo favore.
“Sai che hai guadagnato una punizione.”
Rimasi in silenzio mordendomi il labbro tentando di nascondere il piacere, potei solo annuire senza dire niente, bloccando gli occhi verdi su Marcello, che mi fissava scuro e determinato.
“Ferma” ordinò.
La sua voce autoritaria cominciò a generare la voglia irrazionale di compiacerlo, obbedii, Lottai con tutta me stessa per restare immobile, anche se avevo il forte desiderio di carezzare il suo corpo, e di sentirmi penetrata con violenza.
Marcello fece percorrere il gelido acciaio delle manette sulla coscia, con una lentezza premeditata; tremai di piacere, aspettando la sua prossima mossa.
‘Tranquilla, non succederà nulla che tu non voglia’ mi sussur’ all’orecchio, l’odore pungente del suo dopobarba era inebriante.
Con un gesto fulmineo fece sparire le manette nella tasca dei pantaloni e portò le mani al colletto della mia camicetta, con un colpo deciso l’aprì facendo saltare i bottoni, avevo ancora le maniche appese ai gomiti e le tirò via, mi sentii inerme, sembrava furioso, lo lasciai fare mentre sentivo salire l’adrenalina, mi baciò il collo, tirai la testa indietro, ero sua, e completamente pervasa dal piacere, cercai di sollevare una gamba e portarla dietro il suo ginocchio ma non ne ebbi il tempo, aveva afferrato con forza la gonna che stava facendo scivolare ai miei piedi, mi lasciò con l’intimo, le calze ed il reggicalze. Ero in estasi, ansimai a ritmo frenetico.
Di colpo sentii il gelido metallo avvolgermi i polsi, ‘click’, a quel suono raggelai, mi paralizzai, erano chiuse, realizzai che da quel momento la mia volontà era nelle sue mani, pesavano, era una sensazione strana. Scrutava i miei occhi come se riuscisse a leggere i miei pensieri
‘Fredde… pesanti… vero Dafne?… Tranquilla, ti ci abituerai’ non riuscivo a rispondere, mi sentivo spaesata.
‘Ora metto la sicura, cosicché non possano stringersi involontariamente’ mentre, armeggiava ai lati delle manette con la chiave, quella sensazione gelida e pesante ai polsi non riusciva ad abbandonarmi, eppure mi sentivo al sicuro, prese le mie mani e sollevandole le fece passare dietro la sua nuca.
Marcello sorrise, posò le mani sui miei fianchi e mi tir’ a lui, eravamo così vicini, con le dita giocai coi suoi capelli, nonostante sentissi l’attenzione prodigata in maniera spropositata ai miei polsi imprigionati.

Improvvisamente affondai le unghie nella sua carne ed inalai violentemente quando, inaspettatamente aprì la porta d’ingresso, al contempo si irrigidì e tir’ la testa indietro soffocando un gemito
‘Idea pessima quella di lasciare le tue unghie alla mercè della mia pelle, la pagherai mia cara Dafne’ sbarrai gli occhi, un soffio d’aria gelida si scontrò in un contrasto brutale con il calore del mio corpo; mi spaventai per un secondo, non capivo dove voleva portarmi, ma non lasciammo la sala.
Marcello si sollev’ leggermente; avevo davanti a me il suo collo, osservai i movimenti del pomo d’Adamo, era lì che avrei voluto premere le mie labbra, baciarlo, e mordicchiarlo; trafficcò con qualcosa sulla porta e chiuse di nuovo, mi sollevò le braccia ed ancor’ la catena delle manette con un lucchetto a quello che sembrava un nastro con occhiello.
‘Non preoccuparti, mi cara Dafne, può sostenere molto più del tuo peso’
Non capivo più niente, l’adrenalina aveva inondato il mio corpo. Ero appesa, bloccata lì, su quella porta; alzai la testa e feci tintinnare le manette, roteando i polsi, poi lasciai che le mani penzolassero.
“Non andrai da nessuna parte” bisbigliò Marcello.
Ero inerme di fronte alla sua voce vellutata e al suo sorriso perverso, questo mi eccitò ancora di più; strofinai le cosce l’una contro l’altra nel tentativo di calmare la foia che saliva, Marcello avvertì quel gesto e fece scorrere lentamente una mano sul mio corpo, accarezzò il mio ventre, scivolò nelle mutandine fino al monte di venere; mugolai e d’istinto tentai di serrare le cosce, ma la punta della sua scarpa scostò di lato la mia caviglia, trattenni il fiato, continuava a fissarmi; esalai con sollievo e chiusi gli occhi quando la sua mano arrivò in mezzo alle mie gambe, il suo tocco era delicato ma deciso.
“Sono affascinato nel vedere quanto sei bagnata… Ma, prurtroppo, mia cara, adesso soffrirai’ mormorò lambendo con le dita l’entrata vischiosa e poggiando il palmo sul clitoride.
‘Prima che io abbia finito con te, Dafne, prima che la notte sia finita, ti assicuro che supplicherai, per avere il mio cazzo.’ Marcello si fermò, intensificando l’opera della sua mano, per sottolineare il significato delle sue parole. Le sue labbra assunsero un gesto predatorio.
‘Pagherai caro ogni singolo graffio.’
Ignorai la minaccia, ero troppo presa da quella mano calda che mi accarezzava la fica, inarcai la schiena, le sue dita cominciarono a premere con più determinazione le grandi labbra, fino a che non avvertii farsi strada all’interno un dito cominciando ad esplorarmi con cadenza lenta, il palmo strusciava sul clitoride; con l’altra mano, stava tracciando il mio addome, carezzò il profilo delle costole e raggiunse il seno. Lo strinse avvolto dal pizzo nero.
“Ah … bastardo …” ansimai al suo pizzico sul capezzolo. Il dolore mescolato al piacere, mi travolse inebriandomi.
Sorrise, massaggiando la zona dolente con il palmo, fino a quando non gemetti ancora, estasiata. Avendo le braccia sollevate sentivo i capezzoli turgidi, sensibili, come se stessero per bucare il pizzo del reggiseno, Marcello sfruttò appieno tutti i vantaggi, sigillò la mia bocca con le sue labbra calde. Per un momento, il sovraccarico degli stimoli era troppo, pensai che presto avrei perso la coscienza: la sua mano instancabile sulla fica, l’altra che giocava con i seni, la lingua e le labbra…
sentii l’orgasmo avvicinarsi violentemente, ansai muovendo i fianchi sulla sua mano per aumentare l’attrito. Avevo solo bisogno di qualche altro secondo ancora, ancora un poco, per esplodere, per liberarmi.
Ma una punizione è pur sempre una pena, e Marcello si era reso conto di ciò che stava accadendo, interruppe improvvisamente il contatto indietreggiando e guardandomi; cercai di muovermi nella sua direzione,ma le manette mi bloccavano e potei avanzare solo di poco con il bacino, protestai, ero affamata e senza forze, volevo il mio orgasmo, volevo il culmine del piacere, sentii germogliare il sudore sulla pelle, sbarrai gli occhi, lo bramavo, ne avevo bisogno.

Marcello si avvicinò, sorrise debolmente e sembrava quasi aver acquistato un’aria indulgente, con due dita mi sfior’ le labbra, poi il mento, il collo, per scivolare lentamente fino all’ombellico, mi sorrise ancora, mentre con le mani sui fianchi mi riport’ delicatamente contro la porta. Mugugnai e chiusi di nuovo le cosce in un altro tentativo disperato di alleviare la foia, ma lui, ancora una volta, aveva scoperto le mie intenzioni.
“Cattiva … ti avevo detto di non muoverti”.
Gemetti di nuovo, al suono di quelle parole, chiusi gli occhi.
Sentii i suoi passi allontanarsi, lenti e decisi; un suono rindondante nella mia testa; li riaprii immediatamente stupita di quell’abbandono, non si era allontanato di molto ma era fuori dalla mia visuale, non sapevo e non capivo cosa stesse facendo in soggiorno; quando tornò, rabbrividii, aveva con sè con una barra separatrice in acciaio con le cavigliere incorporate.
‘No!’ Protestai, in un futile tentativo di fermarlo, ma Marcello mi si inginocchiò davanti e fissò le caviglie senza difficoltà, separandole di circa un metro. Ora non potevo chiudere le gambe e mi sentivo più esposta che mai. sentii l’umidità calda che scendeva sulla pelle sensibile dell’interno delle cosce, sussultai e mugugnai, avvertivo la sua bocca, il suo caldo respiro, a pochi millimetri dalla fica.
‘Marcello!’ Urlai piangendo, mentre affondò il viso tra le gambe.
Ero tesa come la corda di un violino. La sua lingua tracciò le labbra e poi leccò il clitoride che pulsò di nuovo d’impazienza. Tirai i polsi, desiderosi di affondare le dita nei suoi capelli, ma le manette frustrarono i miei sforzi, arricciai le dita. Marcello mi spinse di nuovo contro la porta, ero completamente nella sua misericordia mentre la sua lingua mi assaporava. Chiusi gli occhi cercando di controllare il mio istinto con tutte le mie forze, volevo razionalizzare l’eccitazione e le sensazioni per evitare quella disperata corsa verso l’orgasmo, ma Marcello non mi permise di pensare; avvertii le dita scavare tra i glutei, ed urlai. Fu un urlo breve, secco, asciutto, Marcello infilò due dita nella fica per prenderne gli umori e continuò a tentare di penetrare l’ano, intensificando quella piacevole tortura. Gemetti, ci riuscì, potevo sentirlo giocare dentro di me, mentre continuava a leccarmi la fica.

‘Scopami!’ Gridai mordendo le labbra al suono di quella voce che non riconoscevo.
Marcello affondò due dita nella fica, mentre la lingua continuava a lambire il clitoride.
‘Marcello!’ Piagnucolai, incapace di resistere ed arricciai le dita alla disperazione.
Sollevò la testa, e con voce ferma mi invitò a supplicarlo
“Devi pregarmi, Dafne’
“Sei pazzo!” Urlai
Immediatamente Marcello riprese a penetrarmi con le dita, con colpi secchi e decisi.
Esclamai la mia insoddisfazione, accompagnatada borbottii sconnessi.
“Chiedilo… Dimmelo Dafne, o giuro, che posso continuare così per tutta la notte’. Marcello intanto appoggiò la bocca sul mio sesso e riprese a succhiare il clitoride con piacere. Cercai di affogare le lacrime nei singhiozzi, ma scivolavano incontrollabili, le gambe cominciavano a cedere, ed il mio corpo si contraeva involontariamente in modo ritmico.
Non c’era più nulla da fare, non potevo più nascondermi
“Cazzo …” Sussurrai quasi impercettibilmente.
Marcello lasciò la presa.
“Dimmi, Dafne… cosa vuoi?’ Mormorò
“Scopami. Ora… Scopami, scopami, scopami” sussurrai quasi supplicante
Marcello si alzò con quel sorriso che lo condannava all’inferno e improvvisamente sbottonò i pantaloni. La vista della sua erezione, era come un dono, mi lasciai fondere nel desiderio.
‘Non stai chiedendo nel modo giusto, mia cara Dafne’ disse avvicinando il glande al clitoride, era maledettamente vicino, quasi a sfiorarmi, lo faceva troppo bene, nella sua crudeltà, rabbrividii nei miei gemiti.
‘Per favore… chiedilo’
“Per favore, Marcello. Per favore. Per favore… ti prego’ lo chiesi senza alcuna inquietudine , avevo perso tutte le restrizioni, qualsiasi segno di vergogna era scomparsa.
Marcello, sorrise compiaciuto e soddisfatto, poi, senza pietà, affondò dentro di me in un solo movimento, esalai un grido di sollievo mescolato al dolore. Cominciò a muoversi dentro di me come un selvaggio, sollevandomi sulle punte dei piedi e sbattendomi, ripetutamente e ritmicamente contro la porta.
sentii il mondo scomparire sotto i piedi. Le mie grida, mescolate ai suoi grugniti primitivi, eravamo due istinti, due animali in balia della passione.
il predatore e la sua preda.

Non mi resi nemmeno conto, quando Marcello mi liberò dalle catene, ero frastornata ed appagata, mi lasciai cadere fra le sue braccia, non parlammo, non ne avevamo bisogno. Marcello mi guardava e sorrideva vittorioso mentre saliva le scale.

Una volta fra le lenzuola di raso, non ebbe nemmeno il tempo di augurarmi la buonanotte che mi abbandonai tra le sue braccia, l’ultima cosa che avvertii fu un tenero bacio sulle labbra.
Quando mi svegliai, la camera dai toni neutri, veniva irradiata dalla flebile luce del sole filtarata dalle tende leggere, mi voltai dall’altra parte e lui non c’era, restai a fissare immobile il suo cuscino, carezzai le lenzuola vuote, chiedendomi, quasi delusa, dove mai poteva essere andato, portai lo sguardo ai suoi abiti ben riposti sul servomuto, mi rigirai dall’altra parte sconfortata e notai sul comodino un foglio di carta, lo afferrai nervosamente e lessi quelle poche righe di Marcello, sorrisi ed espirai sollevata. Mentre mi alzavo dal letto, notai di vestire il mio pigiama in seta, e proprio non riuscivo a ricordare come e quando lo avessi indossato.

Venni attirata dal luccichio delle manette, erano sul comò poco distante dal letto, conservavano intatto quell’aspetto vagamente inquietante e perversamente attraente. Mi avvicinai, le osservai con desiderio, quando le sfiorai un brivido di piacere rievocò la serata precedentemente trascorsa.
Andai al balcone, era una bella giornata, ispirai guardando l’orizzonte, da quel lato della casa, la vista poteva godere di una bella porzione del giardino dal prato curato, abbellito da alberi e piante; alcune delle quali, avevano cominciato a perdere le foglie, i colori intensi dal verde, al giallo, al rosso, vivacizzavano quell’angolo tranquillo, le siepi sempreverdi ne tracciavano i confini, e poco distante i giochi di luce e delle onde del mare che, si perdeva e mescolava al cielo azzurro.

Arrivai in terrazzo, era enorme, e anche qui, le piante nei vasi ne facevano da padrone, alcune seguivano la ringhiera, altre, con i rami aggrappati quasi a fondersi con essa, la maggior parte, presentava i rami quasi del tutto spogli, indicando che l’inverno era, ormai dietro l’angolo; al centro, un ombrellone aperto, dal tessuto spesso e candido, riparava dai raggi del sole un tavolo tondo in ferro battuto, Marcello, era intento a leggere il giornale, seduto di spalle si godeva la tiepida temperatura autunnale.
‘Buongiorno’ esordii
‘Buongiorno cara, visto!?! Com’è strano l’autunno, durante le ore soleggiate, si può addirittura di pensare di fare un tuffo a mare, invece, quando cala la sera, l’umidità ed il freddo ti fanno venire voglia di accendere il camino’ sorrise
‘Infatti me ne sono accorta ieri sera, quando hai aperto la porta…’ ghignai avvicinandomi alla sedia.
Marcello rise compiaciuto
‘Non mi sembra ti sia dispiaciuto… quel che è accaduto nel frattempo, e prima, e dopo… non ti ho mai vista addormentarti in quel modo’ replicò
‘Quale modo? Ma poi come ho fatto a mettere il pigiama?’ Domandai, afferrando la brioche
Marcello sorseggiò il suo caffè e mi lanciò un’occhiata ammiccante
‘Nonostante la tua poca collaborazione, ti ho vestista io, ormai eri già nel mondo dei sogni’
‘In poche parole ti sei approfittato di me?’ Sorrisi
‘Se questo lo consideri approfittarsi di qualcuno…’
Marcello si fece serio
‘A proposito, i miei graffi…’
Sobbalzai eccitata.
‘Non ti sei vendicato abbastanza? Vuoi dirmi questo?’ L’interrogai sbigottita
‘Fammi finire Dafne… i miei graffi, li hai sentiti ma non li hai visti’
Si sfilò la maglia e si alzò dalla sedia, mi alzai a mia volta e cominciai a contemplare la sua schiena, in alcuni punti dovevo avergli veramente fatto male, perché, c’erano ancora dei segni ben visibili e delle piccole crosticine.
Mi sentii quasi mortificata a non aver saputo dosare la giusta quantità di dolore.
Quando si voltò, restò fermo a fissarmi per qualche istante ed io non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Mi afferrò la mano
‘Mi piacciono i tuoi modi da gatta selvatica e non devi mortificarti, sai bene che ho la soglia del dolore abbastanza elevata, è un gioco a due, sappiamo entrambi quando poter proseguire o quando è l’ora di fermarsi ed abbiamo anche la nostra parola di sicurezza… allora, perché, ora ti sei rabbuiata?’
‘Avrei voluto farli più profondi’ lo provocai.
Marcello scoppiò a ridere e mi abbracciò, gli carezzai i graffi e sorrisi, non c’era nessun altro posto, in cui avrei voluto stare in quel momemento.
Quando ci riaccomodammo presi la mia tazzina di caffè e Marcello riprese a leggere il giornale, poi voltandosi appena nella mia direzione senza scollare gli occhi dalla pagina mi rivolse una domanda a cui inizialmente non sembrava aver nessun significato particolare.
‘Dafne… quale tra i tuoi sensi ritieni, più importante?’
Non sapevo dove mi avrebbe condotta la risposta a quella domanda
‘Mi spiego meglio, se potessi salvare un solo senso, quale terresti con te?’
‘Non saprei, è difficile, ma, credo la vista…’
‘Quindi potresti dire di poter fare a meno, anche per un lasso limitato di tempo, degli altri quattro?’
‘Marcello, non capisco…’ affermai titubante
Chiuse il giornale e lo adagiò sul tavolo, poi rivolse il suo sguardo nel mio
‘Siamo abituati a dare le cose per scontato mia cara, ma immagina se in una nostra sessione, uno dei due venisse privato di tutti i sensi meno uno. Tu hai detto che non rinunceresti alla vista…. potrebbe piacerti Dafne?’
‘E come?’ I miei occhi cercavano nei suoi una spiegazione
‘Hai presente ieri sera? Potevi fare tutto tranne toccarmi…’
‘Continuo a non capire Marcello’
Poggiò i gomiti sul tavolo e portò le spalle in avanti, e assunse un’aria quasi confidenziale
‘Sai che ho un sacco di perversioni mia cara, e mi piacerebbe poter provare con te qualcosa di più audace, ma solo se anche a te solletica l’idea…’
Ripensai a tutte le nostre discussioni e cominciai ad intuire qualcosa.
I miei pensieri si dissolsero quando Marcello pronunciò queste parole
‘Il tuo capo Dafne’

Cercai di restare impassibile, portai lo sguardo alle piante oltre la sua spalla, come se potessi trovare lì, la risposta giusta
‘Ti ascolto’ affermai senza saper dire altro
‘Ha sempre avuto una specie di interesse nei tuoi riguardi o sbaglio?’ Soghignò
‘Velatamente, non è mai stato palese’ replicai, cercando ancora di evitare i suoi occhi
‘Per quale motivo?’ M’interrogò sfiorandosi il mento
‘Credo, sia sposato, anche se in giro ci sono voci che lo definiscono una specie di predatore sessuale’ stavo cominciando ad avvertire quella situazione abbastanza scomoda.
‘Con te ci ha provato?’ Insistette, poggiando la schiena alla sedia e portando la caviglia sul ginocchio
‘Te l’ho detto, in maniera molto blanda… perché, ora, stiamo parlando di lui?’ Mi irrigidii ormai spazientita
‘Voglio che ci provi con lui’ esordì secco, senza scomporsi e continuando a fissarmi, con quello sguardo duro e provocatorio
Per un istante rimasi basita, ma il desiderio di capire quale gioco perverso volesse fare Marcello, era forte.
‘Perché?’ Domandai
Ghignò compiaciuto
‘Il perché è semplice mia cara e selvaggia Dafne, l’interesse del tuo capo nei tuoi confronti non è a senso unico, so, abbastanza per certo, che in qualche modo la tua fantasia è stata stuzzicata da pensieri poco casti che lo comprendono’
Ero allibita e sentii la rabbia e la vergogna bruciarmi in volto
‘Come ti vengono in mente certe cose?’ Balbettai, guardando nervosamente il piattino da caffè
Marcello, assunse una posizione composta e posò la mano sul mio pugno serrato
‘Quando ho nominato il tuo capo, hai cercato di rimanere naturale ed indifferente, questo, con le parole, ma i tuoi gesti ti hanno tradita; ti sei avvicinata a me in maniera quasi impercettibile, hai cominciato a sbattere le ciglia, poi all’incalzare delle mie domande ti sei irrigidita, ed ora sei livida di rabbia e vergogna, perché, ti ho smascherata mia cara, ma non devi preoccupartene, sai bene come la penso, quindi la faccio breve: voglio che scopiate, voglio essere presente e gustarmi la scena… solo se anche a te piace l’idea’
Restai in silenzio, fissavo il vuoto interdetta, intanto Marcello mi sfiorava la mano che avevo rilassato
‘Sarebbe solo per una notte’ sorrise cercando di rassicurarmi
‘E la privazione dei sensi dove sta in tutto questo?’ Domandai con una leggera flessione piccata
‘Guarderò, non potrò partecipare in nessun altro modo a meno che tu non voglia…’
Cominciava a stuzzicarmi quell’idea
‘Va bene, quindi… potrai guardare senza toccare, annusare, gustare ed ascoltare?’
‘Certo, in quel momento, tutto sarà nelle tue mani…’
‘Come potrebbe avvenire tutto questo? Mi sembra difficile’
‘Se ci pensi bene non lo è…non preoccuparti dei particolari, me ne occuperò io’

Marcello, così simile a me, sapeva come rassicurarmi, ed il fatto che volesse vedermi a letto con un altro uomo mi eccitava da matti.

Passammo il resto del tempo a nostra disposizione insieme, come una di quelle coppie innamorate che si baciano ogni volta che possono, e nella maggior parte dei casi il tutto sfociava in amplessi animaleschi ed incontrollabili, insieme ci sentivamo forti ed invincibili, indissolubili.

Prima del mio rientro in città, Marcello mi conged’ con questa frase
‘Ti darò varie istruzioni in questi giorni e dovrai eseguirli ciecamente, non farai domande al riguardo. Chiaro?’
L’aria autoritaria con cui pronunciò quelle parole, fece svanire in un attimo quell’arua dolce e premurosa che gli avevo cucito addosso in questi ultimi due giorni.
‘Chiaro’
Mi fidavo di lui ero pienamente consapevole che in ogni momento, se non me la fossi sentita, avrei potuto interrompere quel gioco perverso.

Nel momento in cui infilai la chiave nella serratura il mio cellulare trillò, entrai nel mio piccolo appartamento, chiusi la porta dietro di me col tallone, e mi lasciai cadere sul divano esausta, lessi il suo messaggio
‘Troverai le manette nella tua borsa, mettile in posto sicuro, buonanotte’
Le uniche risposte che dovevo inviargli erano le foto dell’avvenuta esecuzione dei suoi ordini.
Presi la borsa, soppesandola, avvertii di essere stata poco attenta per non aver avvertito quel cambiamento, anche se labile, il loro peso si faceva sentire. Le afferrai, mi fermai ad osservale per qualche istante, poi frugai nervosamente alla ricerca delle chiavi, che non trovai; mi sarebbe piaciuto indossarle e rievocare quelle sensazioni che mi avevano regalato insieme a Marcello.
Con la mente cercai un posto dove poterle riporre, custodirle mi elettrizzava, era una prova di grande fiducia nei miei riguardi.
Il tavolino con carillon era perfetto, ogni volta che veniva aperto una melodia risuonava nell’aria se precedentemente caricata la molla sul fondo. Scattai una foto, la inviai a Marcello e lo chiusi a chiave.
‘Bene, buonanotte’
Mi accasciai sul divano, assopendomi col ronzio di un programma televisivo in sottofondo, quando rinvenni erano ormai le cinque, avevo la schiena a pezzi, e la TV continuava a mormorare ed a sprazzi colorare la stanza; mi stiracchiai cercando di scrollarmi di dosso quegli acciacchi; era troppo tardi per andare a letto e troppo presto per poter fare qualsiasi altra cosa; restai a fissare il vuoto per un tempo indefinito, poi decisi di fare colazione continuando a crogiolarmi sul divano seguendo distrattamente i noiosi programmi che giravano a quell’ora, tornai in me circa due ore dopo, quando lessi, sullo schermo del telelofono, il suo buongiorno.
‘Buongiorno mia cara, oggi, indosserai la gonna, quella nera fasciante, per ora è tutto’
Mi infilai sotto la doccia, rimasi sotto il getto d’acqua calda a pensare se sarei stata in grado di ottemperare a quel desiderio che ormai ci apparteneva.

Mandai la foto a Marcello che non perse tempo a rispondermi
‘Brava, mia dolce Dafne, non fare tardi al lavoro’
Mi precipitai in ufficio, una volta alla mia scrivania; nonostante il vago stato confusionale in cui riversavo; mi buttai a capofitto sulle varie scartoffie da controllare.
A metà mattinata, Il capo si presentò nel mio ufficio con due bicchierini di caffè, chiedendomi di presentarmi nel suo ufficio intorno alle 17:00, ero certa che non ci sarebbe stato nulla di buono ad attendermi, anche se già sapevo come girare le carte a mio favore.

Quando percorsi il lungo corridoio che portava agli ascensori, gli uffici si erano da poco svuotati, l’unica compagnia al suono dei miei passi nelle decoltè di vernice nera, mi era data dal ronzio delle fredde luci al neon.
Le porte chiuse degli uffici, rendevano quel luogo, a tratti, quasi spettrale. Durante la permanenza in ascensore sentii un leggero senso di oppressione, per un attimo ebbi il terrore che se si fosse bloccato sarei potuta rimanere lì per chissà quanto tempo, mi risollevai quando le porte si aprirono. Mi accolse il silenzio e la penombra, in fondo una luce flebile mi indicava la via per l’ufficio di Dario. Sentii le gambe quasi cedere, respirai a fondo e ripensai alle parole di Marcello durante la telefonata di qualche ora prima, scattai una foto alla porta dell’ufficio del capo e la inviai. Aspettai una sua risposta per un tempo che sembrava non trascorrere mai, stavo quasi pensando di tornare sui miei passi ed abbandonare, quando il telefono vibrò
‘Bene, sai cosa fare’
Quella frase secca, mi diede la spinta a proseguire.

Bussai alla porta ed attesi la voce di Dario per entrare.
Quando aprii la porta, lui era dietro la scrivania, intento al computer, la stanza era illuminata solo da una fioca lampada da tavolo, e la luce dello schermo sfiorava il suo viso; le ombre sul suo volto venivano accentuate, quasi da fargli assumere un aspetto grottesco; senza scostare lo sguardo mi invitò ad accodomarmi, attesi su quella sedia con un misto di desiderio perverso e nervosismo; fuori, era ormai buio; le luci dei lampioni rischiaravano a tratti le ombre della notte. Ormai in azienda non c’era rimasto pressoché nessuno, oltre noi due.

Avvertii una leggera vertigine, quando Dario, improvvisamente mi trafisse con lo sguardo ed un sorriso bizzarro pennellò il suo volto.
‘Dafne, devi scusarmi se ti trattengo oltre l’orario d’ufficio, ma in questo ultimo periodo, mi sei sembrata poco attenta, e vorrei solo metterti in guardia, non puoi continuare così, sarei costretto a prendere provvedimenti avvertendo i piani alti, e a questo, non mi ci farai arrivare, perché, sono sicuro che un atteggiamento del genere, da parte tua non si ripeterà più’
Ecco, era partita la ramanzina, se non fosse stato per la buona chimica fra di noi, a quest’ora probabilmente, avrebbe agito diversamente.
Rimasi in silenzio ad ascoltarlo, Lo fissai mentre si alzava per raggiungere la finestra, dove, rest’ a guardare quel cielo di pece.
Stavo per cominciare a parlare quando lui si voltò a fissarmi le gambe
‘In quest’azienda, siamo tutti importanti, ma nessuno è indispensabile, devi esserne consapevole, perciò vedi di tornare in te, Dafne’
Parole crude, pesanti.
La luce nei suoi occhi sembrava minacciosa, al punto tale da investirmi un senso di soggezione.
Decisi di desistere, per quella sera non se ne sarebbe parlato di azionare il nostro piano, la situazione non mi sembrava per nulla adatta, ma qualcosa sarebbe cambiato di lì a poco, anche se la fuga in quel momento mi sembrava l’unica soluzione sensata.
‘Capisco Dario, sono felice che tu me ne abbia parlato, d’ora in poi il mio comportamento per quest’azienda sarà quello che è sempre stato’ replicai
‘Se non conoscessi il tuo valore qui dentro, non te ne avrei parlato direttamente, e poi ci tengo a te’
Mi alzai dalla sedia e sorrisi, sarebbe stato quello il momento giusto, ma non me la sentivo di forzare la situazione
‘Grazie Dario, grazie davvero per esserti premurato così nei miei riguardi…’
Non ebbi il tempo di completare la frase, Dario si era avvicinato pericolosamente a me e con un gesto delicato mi sfiorò la coscia, senza proferir parola mi fece ritrovare seduta sulla scrivania, con le sue mani alzò la gonna fino a scoprire i ganci della giarrettiera.
Lo fermai per tempo annunciandogli che avevo un partner, lui di tutta risposta scrollò le spalle
‘Non sono geloso’ affermò
Ora, sapevo di poter sfruttare a mio favore quella circostanza.
‘Allora non ti dispiacerà se anche lui partecipasse a questo gioco…’
Il mio atteggiamento così diretto, credo, avesse disorientato Dario anche se solo per un secondo, mi fissò ad occhi stetti, come ad aspettarsi la conferma della veridicità di quelle mie parole, tenni lo sguardo nel suo senza esitazioni ed allargai le gambe, mostrandogli la fica; non indossavo biancheria intima, come mi era stato ordinato da Marcello; Dario ghignò, capendo perfettamente il gioco. Non mi toccò più e annuì senza dire niente.
indietreggiò con gli occhi puntati tra le mie cosce, e m’interrogò
‘Quando?’
“Venerdì” replicai
Non c’era bisogno d’altro.
Uscii da quella stanza esaltata ed allo stesso tempo inquieta.
Nel parcheggio, voltai lo sguardo al suo ufficio, c’era ancora la flebile luce accesa, di colpo il vento gelido sfiorò il mio corpo, rabbrividii e mi infilai in fretta in auto.
Lungo il tragitto per casa parlai al telefono con Marcello, ragguagliandolo sul progresso del nostro piano.

Quella settimana, al lavoro, trascorse tranquilla.
In base a nostri sguardi, potei ben capire da parte di Dario che l’invito era ancora in piedi.
In quell’ultima settimana, ogni notte, avevo ricordato la sensazione di impotenza e di desiderio frustrato; ogni volta che mi masturbavo; rievocavo quell’orgasmo brutale con cui avevo finito la sessione insieme a Marcello, per questo gli era dovuta una piccola sofferenza, anche se, per il momento non l’avevo ancora ben chiara.

Come sempre, ogni venerdì dopo il lavoro, l’appuntamento era in uno dei tanti locali che ci piaceva frequentare poco lontano dall’azienda, stavolta toccò allo Steel; un bar dall’ambiente intimo e confortevole dovuto dalle luci soffuse ed dalla musica jazz in sottofondo, l’arredo rimandava ai vecchi magazzini industriali, tutto, ne rievocava l’aspetto: dai lampadari al bancone, dai tavoli alle sedie, e quest’ultime, ne vivacizzavano il contesto essendo tutte pitturate in modo diverso, i colori erano sgargianti: dal verde al giallo fluorescente, dal blu elettrico al grigio metallizzato, e dal fucsia al rosa schocking. Ero al bancone con la mia birra ghiacciata ed osservavo Dario che parlava con tutti come sempre in maniera magistrale, tra pacche sulle spalle, risa, e concitazione. A mano a mano che la serata volgeva al termine, gli animi si acquietarono ed i colleghi ad uno ad uno cominciarono a lasciare il locale. Quando quasi tutti furono andati via, Dario mi raggiunse al bancone, stavamo cominciando a chiacchierare, e notai oltre la vetrata l’arrivo di Marcello; sorrise dietro il vetro, ricambiai quel gesto; era impeccabile come sempre; ci raggiunse e cingendomi la vita mi baciò la guancia, poi porgendo la mano a Dario esordì ‘Salve, sono Marcello, e deduco tu sia Dario’ Dario strinse la mano con grande sicurezza ‘Salve Marcello’ Si avvertiva nell’aria una strana carica elettrica, nessuno sembrava aver molta voglia di parlare. Percepii la tensione di Marcello, emanava quella strana energia sessuale di sempre, e mentre eravamo in taxi; lungo la strada per il mio appartamento; ebbi la conferma di quella sensazione poggiando la mano sul cavallo dei suoi pantaloni, la sua erezione era poderosa. Arrivati nel mio quartiere, feci fermare il taxi qualche palazzo più indietro rispetto casa mia; nonostante le giornate precedenti non fossero state un granché; quella notte l’aria era stranamente calda, vuoi per il tiepido sospiro del libeccio, vuoi per il calore che gli edifici e l’asfalto rilasciavano dopo averlo accumulato nelle poche ore di sole, o semplicemente per l’alcol e l’adrenalina che saliva. Le strade erano deserte, camminavamo in silenzio ed io cercavo di decifrare l’espressione di Marcello. Era la prima volta che veniva a casa mia. Una volta varcata la soglia li condussi nello studio, l’arredamento dai colori neutri, era essenziale, una piccola scrivania incassata in una libreria che ricopriva una delle pareti, a terra un grande tappeto antracite dai fili di lana grossi e ribelli occupava quasi tutto il pavimento, dall’altra parte della stanza un divanetto in tessuto chiaro, lo studio si affacciava sul terrazzo che tracciava buona parte dell’appartamento. “Un altro bicchiere?” Domandai, abbandonando la giacca e tacchi sulla strada per la cucina, i due uomini annuirono; indicai il divano, Dario si sedette appoggiando il tallone su un ginocchio, Marcello restò in piedi; sembrava studiare la situazione. Consegnai a Marcello un whisky e gli diedi un bacio sulle labbra; leccai la sua bocca assaporando l’amarezza del malto e scivolai con le dita giù per la camicia arrivando ai pantaloni; poi mi rivolsi a Dario, posando il bicchiere sul tavolino e mi accomodai accanto a lui. ‘Riprendi da come lo hai lasciato lunedì” mi sfidò Marcello. “Vieni’ l’invitai, con sguardo languido, accarezzando la seduta morbida del divano. “Preferirei guardare” replicò facendo scorrere il dito lungo il bordo del bicchiere. Sorrisi, Marcello era un voyeur per eccellenza; insieme avevamo visto diverse altre coppie fare sesso e sapevo che lo eccitava in maniera incredibile; ma ora, si trattava di fare un passo avanti, ed inoltre, dovevo attuare la mia piccola vendetta. “Ti basta guardare, allora lo farai da lì’ inarcando il sopracciglio indicai la panca sul balcone; a breve, sarebbe rimasto a guardare senza poter fare altro; Marcello si accomodò sui cuscini morbidi e sogghignando, con un gesto della mano mi invitò a continuare con Dario, scossi lentamente la testa, ricordandomi che mancava qualcosa di importante. “No Marcello, devo assicurarmi che tu possa solo guardare, ricordi?” Mi alzai dal divano e raggiunsi il carillon, lo aprii; la musica melanconica che ne usciva fuori, cozzava con l’aria carica di ormoni e tensione che si respirava in quello studio; afferrai le manette e richiusi lo sportello del tavolino. Marcello sorrise e vedendomi arrivare da lui con quel aggeggio luccicante e metallico fra le mani, sollevò i polsi nella mia direzione, prima di chiuderle lo fulminai ‘Le chiavi?’ reclinò la testa e guardandomi sottecchi ghignò ‘In una delle tasche del pantalone’ lo perquisii e quando le trovai azionai il rituale per controllare le serrature ‘Bene, ora sarai mio’ imprigionai i suoi polsi ancorandoli al bracciolo in ferro della panca, solo per dissimulare qualsiasi atto masturbatorio. Una chiave la lasciai scivolare nella collana che riallacciai al mio collo, l’altra invece, la riposi nella tasca dei suoi pantaloni, ci fu uno sguardo d’intesa. L’aria tiepida grazie al libeccio mi assicurava che Marcello sarebbe stato comodo, ma presi comunque il caldo plaid in lana d’Angora e gli coprii le spalle; una piccola attenzione nei suoi confronti. ‘Devi tenerci davvero molto a me’ sussurrò con un tono sembrava quasi sarcastico. ‘Semplicemente non voglio ti ammali, non mi piacciono gli uomini deboli, lo sai’ replicai con leggera rigidità nel timbro vocale. Feci scivolare le dita sulle sue braccia, accompagnando la coperta, poi aprii i bottoni della camicia e cominciai a sfiorare i pettorali, affondai le unghie nei muscoli. Dario stava per alzarsi, mi voltai a guardarlo “Rimani dove sei. Ora mi prendo cura di te.’ Dovevo prima lasciare Marcello sull’orlo dell’orgasmo. Divaricai le gambe ed il tubino si arrampicò sui fianchi, esponendo il mio sesso, poi con le ginocchia strinsi le sue cosce, e mi sedetti a cavalcioni sulle sue gambe. “Lo hai fatto” mormorò Marcello, guardando compiaciuto fra le mie gambe. “Ogni giorno” replicai sogghignando. “Il suo profumo può farti impazzire’ s’intromise Dario, sorprendendo entrambi. ‘Potrei identificare la miscela del tuo profumo e del tuo sesso in qualsiasi angolo dell’ufficio.’ Continuò. Mi voltai verso di lui che mi guardava con gli occhi azzurri stretti, le labbra si separarono in un gesto decadente e le mani stavano per sganciare i pantaloni. Cominciai a muovermi sull’erezione di Marcello, e non riuscivo a togliere gli occhi da Dario, che cominciò a masturbarsi; ero affascinata dalla vista dei movimenti ritmici della sua mano e presto mi resi conto che mi stavo muovendo con la stessa cadenza su Marcello, che ansava eccitato. Era difficile togliere gli occhi da Dario, ma dovevo affrontare l’uomo in attesa tra le mie cosce. Feci scivolare, lentamente, la lampo dei pantaloni di Marcello, sfiorando deliberatamente il pene con i polpastrelli, con le dita arrivai a scoprire la cappella, Marcello gemette, lo afferrai con delicatezza e cominciai a masturbarlo, soffoc’ un gemito ed avanz’ col petto verso di me cercando il contatto, era quello il segnale che avevo atteso; portai le dita alla bocca per assaporare i suoi umori, lo guardai intensamente mentre giocavo con le dita sfiorandomi le labbra, poi scossi la testa soghignando e strinsi le spalle. “No, Marcello. Preferisci guardare. Bene, allora guarda.’ Avvicinai le labbra alla sua bocca e mi feci sfuggire un ghigno sadico. Lo fissavo negl’occhi e sapevo che avrebbe preferito morire anziché ammettere di aver sbagliato nella sua scelta, lo conoscevo fin troppo bene. Mi alzai, e a pochi centimetri da lui voltai le spalle rivolgendo il mio sguardo a Dario, aprii la lampo del tubino nero dietro la schiena, e lo lasciai scivolare ai miei piedi. Ero nuda, completamente a mio agio, alimentata da quella tensione che si era creata. “Non perdete tempo” dissi con tono perentorio a Dario, che non aveva mai smesso di masturbarsi. Sembrava che anche egli amasse guardare, ma adesso doveva intervenire. Mi voltai ancora verso Marcello e lo guardai con aria di sfida ‘Puoi solo guardare’ rimarcai di nuovo facendo slittare lentamente il vetro chiudendolo fuori. Mi apprestai a sbottonare la camicia di Dario, con i polpastrelli perlustrai il suo torace fino ad arrivare al suo cazzo, si lasciò fare, all’improvviso avvertii le sue dita correre su e giù lungo la mia schiena in un movimento lento e delicato, un brivido mi pervase il corpo e senza capirne il motivo, mi eccitai più di quanto avessi immaginato. Cercò di baciarmi, ma controllai quel contatto dolcemente, le sue labbra intrise di whisky sfiorarono la mia bocca, le sue carezze, mi resero ancora più consapevole del suo cazzo che sfiorava le labbra vaginali madide, le nocche sfioravano i seni in movimenti sinuosi e quasi felini mentre cercava di penetrarmi lentamente. Mi afferrò sollevandomi la coscia mentre mi avvinghiavo alle sue spalle, quando entrò si liber’ in un gemito e lentamente cominciò ad affondare con colpi lenti, portò una mano dietro la mia schiena accarezzandomi fino ad arrivare alle spalle e con una pressione lieve ma decisa, mi invitò ad abbassarmi insieme a lui, ci ritrovammo a terra, sul tappeto. Soffocai un gemito, mentre sentivo il cazzo pulsante nella mia fica madida, poggiò i gomiti a terra, osservando affascinato fra le mie gambe; sentii in quell’istante, gli occhi di Marcello dietro la mia testa; inarcai la schiena mentre Dario stringeva fra le mani i miei seni tesi e gonfi di piacere, scivolò fino al clitoride, stuzzicandolo e carezzandolo con due dita, poi mi afferrò per i fianchi e col suo cazzo come perno mi fece girare, per ritrovare lui alle mie spalle e Marcello che ci fissava eccitato ed immobile difronte a noi, separato da quel vetro. ‘Così può godersi meglio la scena’ si fece sfuggire Dario in un impeto dettato dalla foga del momento. Quelle parole mi eccitarono terribilmente, cominciai a muovermi su Dario lentamente, muovendo i fianchi in cerchi concentrici, intensificavo l’attrito dei glutei sul suo basso ventre. Dario, a quel punto portò una mano al clitoride sfregandolo e stuzzicandolo con delicatezza, fermai i movimenti ed avvertii il suo torace sfiorarmi la schiena, l’altra mano stringeva ed univa i seni, poi mi abbracciò portando la mano poco sotto l’ascella, e continuando a titillare il clitoride con l’altra, piantò i piedi a terra e cominciò ad affondare con forza il cazzo all’interno della mia vagina che pulsava di piacere; la spinta possente del suo affondo mi fece ritrovare con i palmi a terra, in quel momento la sua mano spingeva fra le scapole, fino a che il mio viso non entrò in contatto con i fili ribelli del tappeto, ad ogni colpo sentivo l’attrito del tappeto sulla mia guancia e le spinte di Dario diventare sempre più vigorose. La sua mano, ora era era ben salda sull’estremità prossimale del femore, invitandomi a sollevare i glutei, accondiscesi inarcando la schiena, a quel punto i colpi di Dario si fecero più densi e teneva tenacemente con entrambe le mani il mio bacino. Mi risollevai sui palmi ed avvertii i seni ballonzolare ad ogni suo colpo. Dario si lasciò sfuggire un grugnito primitivo e mi spinse con forza contro la vetrata del balcone, la mia faccia ed i miei seni ora erano a contatto col gelido vetro. Quella sensazione fredda e quasi scomoda terminò quasi immediatamente, il brivido di avere i mie seni schiacciati su quella vetrata e l’immagine che Marcello poteva gustare mi fece infoiare in maniera clamorosa. Urlai di piacere, fissando i suoi occhi al di là del vetro, con la consapevolezza che non poteva sentire. Dario continuava a possedermi con fare animalesco, lasciandosi sfuggire grugniti di piacere, poi i suoi fianchi cominciarono a muoversi più lentamente cominciando ad intensificare l’affondo, e cercavo di soffocare i gemiti ogni volta che spingeva forte, alla fine, mi lasciai andare in un orgasmo intenso, lungo, e lento; Dario estrasse il suo cazzo pulsante e copiosamente sparse a fiotti il suo caldo sperma sulla mia schiena, inaspettatamente, mi ritrovai fra le sue braccia che mi stringeva teneramente; mi sorprese quel gesto così dolce; mi sentii in imbarazzo e immediatamente mi separai da lui ricordando che Marcello ci stava osservando. Dovevo raggiungerlo; bloccai l’impulso di corrergli incontro; sentivo il vischio caldo di Dario colare lentamente lungo i glutei. Aprii il balcone e lo liberai senza incontrare il suo sguardo. Intanto Dario aveva terminato di risistemarsi e stava finendo il bicchiere, per lui poteva bastare. L’erezione di Marcello sembrava sconvolta, il bassoventre ed il pene erano incollati ed invischiati del suo seme. Mi guardò e fece un cenno con la testa indicando Dario, mi coprì le spalle col plaid prima di allontanarmi. ‘è stato un vero piacere, Dario’ sorrisi ‘Il piacere è stato tutto mio’ rispose con languida soddisfazione Marcello, nel frattempo era rientrato, fece un cenno con la mano a Dario senza aggiungere una parola. Quando Dario lasciò l’appartamento, presi la mano di Marcello e lo invitai in bagno, dopo essersi spogliato completamente mi raggiunse sotto la doccia, ci prendemmo cura l’uno dell’altra; con fare innocente; insaponandoci e lavandoci a vicenda. Quella notte, Marcello rimase a casa, restammo abbracciati nel letto senza fare altro, senza parlare, un muto desiderio che accomunava entrambi. Quella nuova esperienza anche se piacevole, in un certo senso ci aveva scossi.

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