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Giovane, carina e tentatrice

By 26 Ottobre 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Non c’è nulla di peggio, per una giovane donna, dell’essere considerata ancora troppo bambina dai propri genitori. Grazie al cielo, io non avevo di questi problemi, vivevo così lontana da casa da anni, ormai, che non sperimentavo le imposizioni di mamma e papà apprensivi praticamente mai, se non tramite quelle raccomandazioni sterili fatte al telefono sul “non metterti nei guai, non uscire tardi la sera, vestiti come si deve”. “Simmamma”, in questo caso, era l’unica risposta accettabile.

La mia migliore amica Marie non aveva quella fortuna. La frequentavo da qualche anno, da quando mi ero trasferita in Inghilterra per studiare in un collegio femminile e ci eravamo trovate a condividere una stanza per tutta la durata del liceo. Al tempo avevamo circa 15 anni, e ora ormai 23. Io ero rimasta alla Hullington fino al diploma, poi avevo trovato subito un lavoro come receptionist in un albergo e mi ero trasferita a Londra in attesa di mettere su qualche soldo per mantenermi ed iscrivermi all’università. Mary invece era tornata dai genitori in una cittadina sul mare non lontanissima dalla capitale, ma in confronto alla mia vita più libera nella metropoli, lei soffriva il castigo auto inflitto del controllo genitoriale. Non so perchè non si cercasse una sistemazione sua, anche se lavorava per la madre ed aveva soldi da parte. Credo fosse una questione di carattere, era sempre stata un’adolescente nostalgica della sua vita di famiglia e l’aveva forse idolatrata al punto da voler a tutti i costi rivivere l’idillio immaginario del focolare domestico e della sua infanzia. Ad ogni modo, ci frequentavamo piuttosto spesso quando io potevo allontanarmi dalla città e andare a stare da lei per qualche giorno, e ormai conoscevo i genitori come fossero una seconda famiglia. Non mi dispiacevano.
Mathilda, la madre, era dirigente di una piccola società di pulizie e organizzazione della casa, sempre attiva e sempre disponibile ma con una propensione per il bicchiere che la rendeva, a volte, dispotica e irragionevole, nonché tendente alla scappatella. Cosa che faceva infuriare suo marito Keith, il gigante buono della casa, insegnante di storia medievale inglese alla University of London, dove io studiavo economia. Lui, al contrario della moglie, sembrava un modello di santità: perfettamente educato, mai un capello fuori posto, galante ma non invasivo, divertente ed interessante nella conversazione, parlava in modo garbato e dignitoso. Era un buon marito e un ottimo padre, affettuoso e premuroso nei confronti di Maria e i suoi fratelli minori, Edward e Robert. Aveva l’unico difetto di essere un genitore alquanto all’antica, molto insofferente nei confronti dei ragazzi e delle ragazze che i figli portavano a casa durante i periodi in cui le loro frequentazioni sembravano prendere una piega seria. Non era esattamente così con tutti i ragazzi, ma aveva dei suoi personali standard di accettabilità; per esempio, Marie non poteva frequentare ragazzi più grandi di lei e che non fossero modelli di perfezione e buona condotta.
Il problema si pose proprio quando Marie finì col perdere la testa per uno dei clienti dell’azienda della mamma, un quarantenne divorziato e vivacemente donnaiolo.

Garrett e Marie si erano conosciuti in casa di lui, quando lei era andata ad organizzare tutto il suo appartamento e il suo guardaroba. Si era da poco trasferito in città, in un villino signorile. Era un tatuatore abbastanza famoso a Londra ma che ormai aveva ampliato la propria attività al punto da non dover necessariamente lavorare attivamente nei suoi negozi. Quindi aveva deciso di allontanarsi da Londra per comprare una casa tutta sua dopo il divorzio, approfittando del fatto che i prezzi fossero decisamente meno onerosi della capitale.
La loro relazione era iniziata quasi immediatamente: Marie, chiusa in casa dopo essere stata chiusa per anni in un collegio femminile, era più che felice di poter mettere le mani su un pezzo d’uomo come lui. La sua età non lo spaventava, anzi. Era estremamente felice di avere un posto comodo e lussuoso dove condividere notti di sesso e romanticismo, essere portata in giro per locali, vestirsi come una donna adulta e raffinata con quel bell’uomo al braccio. Tutto andava a gonfie vele ormai da mesi, il padre e la madre pensavano che i suoi weekend fossero passati nel mio monolocale o in qualche pub londinese insieme ai miei amici dell’università, come lei raccontava. Io stessa, invece, non la vedevo quasi più ormai, se non nelle occasioni in cui era a Londra con Garrett. Non che mi dispiacesse, ero più che felice per lei e per come la sua relazione andava avanti. Garrett mi sembrava seriamente innamorato di lei, e non ci aveva mai dato modo di pensare che fosse uno stronzo alle sue spalle o cosa.
Fu a Natale che l’equilibrio magico si ruppe.
Io ero tornata in Italia per passare in famiglia le vacanze, ma Marie, ingenuamente, continuava a sostenere di passare il tempo da me. Ovviamente, però, si era dimenticata di avvertirmi. Successe che in quel mese fuori Londra, su Facebook finirono innumerevoli foto di me con la mia famiglia, con i miei amici, nella mia città. E come se non bastasse, chiamai diverse volte la famiglia Darby per auguri e similari, facendoci parlare anche i miei genitori talvolta (c’era una sorta di amicizia telefonica tra loro, che si esauriva generalmente in auguri alle festività e ringraziamenti da parte della mia famiglia per essersi così gentilmente presi cura di me e via dicendo).
Questo significò che, una volta tornata a Londra e poi a Southend on Sea, io finissi nell’occhio del ciclone insieme a Marie. Non racconterò tutti i dettagli, dico solo che ci sentimmo veramente come ragazzine. Marie fu costretta, suo malgrado, a rivelare dettagli della sua relazione e di Garrett, specie la sua età; che ovviamente fece andare su tutte le furie Keith e mi garantì una ramanzina per non aver aperto bocca ed aver coperto la figlia. Era una sera di venerdì, io sarei rimasta a dormire da loro perchè ormai si era fatto tardi per tornare a casa, e quindi la giornata si concluse con questa specie di litigio quasi comico, vista la nostra età. Mathilda aveva, inutilmente, cercato di calmare il marito: secondo lei era assolutamente normale che Marie avesse una relazione con chi cazzo voleva. Almeno in questo caso l’adulta sembrava lei.

Il mattino seguente, mi svegliai da sola in camera. Marie aveva soltanto lasciato un bigliettino ed era uscita presto la mattina. Sul foglietto di carta stropicciato, aveva solo scritto “Sono da Garrett, non voglio subire di nuovo papà e le sue paturnie, se non torni a Londra ci vediamo stasera”. Uff, bene. Ora dovevo praticamente parlare io con suo padre per calmare le acque. Scesi in cucina e non trovai nessuno. I ragazzini erano impegnati in un torneo di tennis scolastico, sapevo che Mathilda invece lavorava di sabato mattina. Sperai che anche Keith fosse a lavoro, così magari mi sarei evitata il suo malumore.
E invece no. Entrò in cucina poco dopo che ero arrivata io, forse avendomi sentito scendere aveva immaginato che potessi essere Marie. Appena entrato mi squadrò e, come da copione, iniziò il terzo grado.
“Dov’è quella sconsiderata?” “Da Garrett, non chiedermi altro, mi ha solo lasciato un bigliettino e sarà uscita almeno un’ora fa”, risposi io. La notizia lo mise ancora più di malumore.
“Io non capisco che ci trova in quel tipo” “Beh, io l’ho conosciuto, penso che sia una persona perbene, nonostante l’età e il suo passato. È intelligente, generoso, tutti i nostri amici ormai lo apprezzano e gli vogliono bene. È anche molto giovanile alla fine”, dissi.
“E allora che cazzo ci trova lui in Marie? Ha 22 anni, porca puttana”. Urca che linguaggio; doveva essere davvero irritato, era la prima volta che parlava così di fronte a me.
“Senti Keith, io non so che dirti. Non è che le persone hanno degli standard predefiniti di cosa trovano attraente o meno. E poi, diciamocelo, ma qualunque uomo della vostra età troverebbe attraente una ragazza giovane, carina e intelligente”.

Keith mi guardò un po’ interdetto, come se per la prima volta riuscisse a vedermi veramente. Mi scrutò per qualche minuto in silenzio, mentre io gli davo le spalle e preparavo il caffè. Non potevo vederlo, ma istintivamente sentivo il suo sguardo su di me, mi sentivo sotto osservazione. Lì per lì fui imbarazzata all’idea che potesse stare lì a guardarmi con addosso una vestaglia e un paio di calzini addosso.
Quando mi girai, lui sembrò spostare lo sguardo all’improvviso. Gli porsi una tazza di caffè e lui, svegliandosi dal suo momento di distrazione, andò a prendere lo zucchero.
Stavamo lì, uno a fianco all’altra contro il bancone della cucina, quando tornò a chiedersi come fosse possibile che a un quarantenne interessasse una storia a lungo termine con una ragazza. Io ero anche un po’ spazientita, quasi provocata nell’orgoglio da un’affermazione del genere. In fondo avevo anche io l’età di Marie e mi offendeva l’idea che potessi non essere desiderabile agli occhi di un uomo più maturo… agli occhi di Keith. Lo guardai per un attimo: si, mi sarebbe piaciuto essere desiderata da lui. Fisicamente era un uomo molto attraente, i suoi capelli brizzolati lo facevano sembrare solo più signorile non più vecchio o trasandato. Gli occhiali cerchiati di metallo gli davano un’aria dolce e intellettuale, che mi ispirava sicurezza e fiducia.

Quando aprii bocca, fu per provocarlo un po’, ma non immaginavo che saremmo passati a scenari meno che assolutamente innocenti.
“Scusa Keith, ma tu quindi non le trovi attraenti le ragazze giovani? Non c’è nemmeno un’universitaria che ti fa venire quantomeno voglia di un rapporto più stretto?” Lui mi guardò quasi scandalizzato, poi scosse la testa come a dire di no.
Mi avvicinai un po’ di più a lui, accarezzandogli la spalla e tentando la mia voce più seducente e il mio atteggiamento più provocatorio. “Andiamo, non dirmi che ora, avendo una bella e simpatica ventenne a fianco non provi proprio nulla…nemmeno se ti accarezzo così?” Iniziai a scendere con la mano destra, lungo il suo petto. Il maglioncino era morbido e tiepido contro le mie dita, poi arrivai alla consistenza liscia e rigida della sua cinta. Mi fermai, non volevo assalirlo… a meno che lui non avesse voglia di lasciarmelo fare.

Sarà che ero appena uscita da una relazione e il sesso nella mia vita scarseggiava, ma in quel momento mi stava assalendo, prepotente, una grande voglia di quel bel compunto padre di famiglia, di Keith. Non era un uomo a cui avevo mai pensato seriamente da quel punto di vista, ma mentirei se negassi di aver fantasticato, di tanto in tanto e in segreto, su come poteva essere il suo pene, quanto profondamente avrebbe potuto scoparmi e se un uomo come lui potesse essere meno bigotto e santo di come dava a vedere.

Keith mi guardò abbassando lo sguardo su di me. Aveva gli occhi appena lucidi e brillanti, il respiro più affannoso e potevo, nel silenzio della casa, sentire il suo cuore battere veloce e quasi immaginarmi il sangue scorrere rapido nelle vene.
Mi feci più vicina, gli sussurrai nell’orecchio. “Allora, Keith? Non mi hai mica risposto…”

Quello che successe subito dopo mi lasciò piacevolmente stupita e sorpresa. Keith non disse una parola, solo mi sollevò la mano dalla cinta dei pantaloni e la piazzò direttamente sopra al pube. Era duro come un sasso e sorrisi. Il suo piccolo gesto aveva parlato più di un fiume di parole.
Gli accarezzai il cazzo da sopra i pantaloni, e lui mi baciò. Appassionatamente, togliendomi il fiato. Sapeva di caffè , di colonia e di biancheria pulita. Mentre le nostre lingue si studiavano e si intrecciavano in una lotta amorosa, le sue mani mi afferrarono per le chiappe e mi tirarono ancora più contro il suo corpo. “Questa può andare come risposta?”

“Assolutamente si”, risposi deliziata, prendendo fiato per un minuto prima di tornare a baciarlo. Lui però si fece indietro, alzando una mano come per fermarmi. “Lisa”, disse, “sei una ragazza giovane e dolce. Non vorrei che ti facessi idee sbagliate se andassimo avanti con …tutto questo. Io non cerco guai: io e Mathilda non abbiamo più un granché di relazione, è vero, ma siamo una famiglia, abbiamo una responsabilità nei confronti dei ragazzi. Vorrei che questo ti fosse chiaro.”
Io sorrisi. L’ultima cosa che avrei voluto era di far soffrire la mia migliore amica e questa mia sorta di famiglia adottiva. Non significava che, se fosse stato d’accordo, non avrei comunque scopato il capofamiglia con molta gioia. Il sesso è sesso e, da quel punto di vista, provavo poco e nessun rimorso.
“Keith, non voglio rovinarti, né creare guai. Se vuoi possiamo chiudere qui la cosa, è stato un incidente e possiamo andare avanti con le nostre vite. Altrimenti possiamo continuare ciò che sembra abbiamo voluto entrambi iniziare, senza sentirci colpevoli e senza dover cambiare lo status quo della tua o della mia vita.” Mi allontanai da lui, pensierosa. “Io penso che sia meglio se adesso vado a prendere il treno e torno a Londra. Tu pensa a quello che vuoi, che desideri e che pensi di poter fare. Sai dove vivo e come telefonarmi, nel caso volessi cercarmi. Penso che verrò a trovare Marie tra un mesetto, e se non ti farai vivo entro quel momento, considererò ciò che è successo come un dimenticabile incidente e tornerò qui da amica di tua figlia e niente più. Non ti provocherò o cosa, manterrò la promessa. Se mi cercherai prima… beh, si vedrà da lì.”

Keith ci pensò un attimo su, poi annuì. Il resto della mattina lo passai in un turbine di emozioni, vestendomi rapidamente, riprendendo il mio bagaglio e tornando a Londra in treno. Piansi qualche lacrima leggera, quasi pentendomi di non aver forzato completamente la forza di volontà di quell’uomo per una scopata e via. Ma la mia onestà, in quel caso, aveva deciso di prendere il controllo della lussuria e del desiderio.

 

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