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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

Gli sposi cenano, gli amanti pranzano……..

By 21 Maggio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Ogni volta che si vive un amore si pensa che non sarà mai più così. Che non ci sarà un altro uomo capace di farci bagnare in quel modo. Sbagliato.
Quando ho guardato Nymphomaniac nella scena in ospedale, quando la protagonista &egrave così eccitata che la fica le gocciola sul pavimento, ho pensato “che cazzata non &egrave possibile.” Sbagliato.
Insomma avevo questo amico un po’ particolare. Per circa due anni ci siamo visti tutti i giovedì nei ristoranti più chic della città per pranzare insieme e raccontarci le nostre complicate vite sentimentali. Nonostante tutti i pensieri negativi di quel periodo ci bastava uno sguardo occhi negli occhi per farci sorridere.
Ma questi pranzi erano segreti. Perché? Perché tenere questo segreto? Eravamo solo amici. Sbagliato.

Una volta in un libro ho letto questa frase: “Gli sposi cenano, gli amanti pranzano. Se vedete una coppia in un bar a mezzogiorno, provate a scattargli una foto e sentirete che insulti. Tentate la stessa cosa con un’altra coppia, la sera: la coppia si metterà in posa sorridente per il vostro flash.”

Noi non lo sapevamo, finché non mi ha invitata a pranzo a casa sua.

Mi sono svegliata quella mattina felice come una bambina che deve partire per un viaggio a Gardaland. Ho indossato un bel completino col reggiseno a balconcino, o meglio a terrazza date le dimensioni del mio seno, un vestito bianco sbracciato, leggero, con la gonna a ruota, lo smalto rosso sulle unghie di mani e piedini e i sandali. Sapevo che lui era un appassionato di piedi. Cosa diavolo stavo facendo?
Tutta bianca come una sposa, con le cosce lisce di porcellana al vento, sono andata in enoteca a prendere una bottiglia di Primitivo, il suo vino preferito.
Fremevo tutta. Poi mi fermavo a riflettere e mi dicevo: ma che hai? E’ Marco, lo conosci da sempre. Intanto guidavo nel traffico e stringevo le gambe perché sentivo il basso ventre un po’ troppo caldo.
Mi ha aperto il portone e mi ha sorriso, con quegli occhi liquidi e le pupille grandi, come quelle degli animali che guardano la loro preda. Brivido. E la prima goccia tra le gambe.
Di nuovo la voce della mia seconda personalità, quella seria e ragionevole, mi chiedeva: sei impazzita?
Lo guardavo mentre cucinava, in giacca e cravatta senza sporcare un solo centimetro del mondo al di fuori della padella saltapasta, con quel bel culo. E osservavo il suo profilo che conoscevo a memoria, mentre mi si seccava la bocca e mi diventava il muso caldo. Sentivo come una strana sete, ma non di acqua, né di vino.
Chiacchiere, battute, storie, consigli, i Beatles in sottofondo, ma io ero posseduta dal demone bagnato. Accavallavo le gambe di continuo, prima l’una e poi l’altra, ancora e ancora, mentre stavo seduta dall’altra parte del lungo tavolo, gli sorridevo e diventavo rossa in viso. E non solo. Il seno ormai era duro e si affacciava dalla terrazza, e mi sentivo tutta la fica turgida e bollente. Un altro bicchiere di vino. Una sigaretta. Silenzio. L’ho guardato dalla testa alle scarpe da tre piotte ed ho visto una bella erezione stretta in quei pantaloni. Non ero la sola a navigare nel mare del sesso platonico. Qualcosa fino a quel giorno era rimasto negli abissi ma stava arrivando la tempesta. Mi ha fissata entrandomi nella testa attraverso i miei occhi color acqua e si &egrave avvicinato troppo, incollando delicatamente la sua bocca sulla mia, e il suo corpo contro il mio.
Le nostre lingue si sono attorcigliate come se avessimo avuto quindici anni e tutto &egrave diventato vorticoso. Ho sentito le sue mani sotto la gonna, si &egrave scostato e mi ha tirato giù le mutandine. Mi ha sussurrato: toglile e resta senza, vai a preparare il caff&egrave così. Ho ubbidito senza fiatare. Con quell’abito quasi trasparente senza niente sotto sono andata ai fornelli per mettere la moka sul fuoco. Stava in piedi dietro di me e mi sollevava il vestito restando a guardare un po’ distante. Plink. Stavo gocciolando, come quella del film. Non ci potevo credere. Ho spento il fornello. Mi sono girata e gli ho slacciato la cinta. Come se fino a quel giorno non avessimo fatto altro ogni volta, mi sono inginocchiata con naturalezza, con la gambe larghe e un rivolo che gocciolava lungo la coscia, e gliel’ho tirato fuori, anche se era praticamente saltato fuori da solo.
Tra me e me ripetevo piacere bel cazzone, peccato non averti conosciuto fino ad oggi. Ho iniziato a leccarlo come un gelato, delicatamente, ascoltando i suoi gemiti, mi staccavo e lo accarezzavo, cercando il suo sguardo e il suo sorriso stupendo, la prima cosa di cui mi ero innamorata la prima volta che ci siamo visti, ma non lo sapevo. Poi ho iniziato a succhiare. Mi sembrava di non aver fatto mai un pompino fino ad allora, assaporavo ogni centimetro, respiravo il suo odore dal palato come fanno i gatti. Iniziavo a scalpitare. Lo volevo dentro.
Come al solito mi ha capita telepaticamente. Mi ha presa con forza per i polsi e mi ha tirata su, penetrandomi la bocca con la lingua e la fica fradicia con le dita contemporaneamente. Così fradicia che ha riso di gusto, soddisfatto, dandomi della porca. Ero molto imbarazzata.
Siamo finiti in camera da letto, dando botte ai muri del corridoio mentre stavamo avvinghiati con le mani sui sessi spalmandoci la saliva dappertutto. Proprio come fanno due vecchi amici.
Ci siamo spogliati in pochi istanti. Non l’avevo mai immaginato nudo. Non avevo mai immaginato di fare queste cose con lui. O forse sì, ma non volevo ammetterlo.
Avevo le gambe aperte e i capezzoli dolenti, nella penombra di un pomeriggio d’estate in una camera con la tapparella un po’ abbassata, e lui era ormai su di me, e se lo teneva in mano puntandomelo contro piano piano. Come quel bacio sulle labbra, così era il tocco della sua cappella pulsante. Poi mi &egrave entrato dentro. O forse mi era sempre stato dentro, ma non volevo ammetterlo.
Abbiamo iniziato a fare sesso, che però era amore negli occhi. Spingeva forte e io godevo più forte. Ansimavo tantissimo ed ero affamata di lui, nonostante quel primo piatto da chef che mi aveva preparato per pranzo. Mi scopava bene come in un film, mi tirava su le gambe e se le poggiava sulle spalle, tenendo le mani sui miei piedi. Ogni tanto me li guardava ed io sospettavo come sarebbe andata a finire. Vibravo tutta ad ogni colpo, per trattenere quell’orgasmo che mi sentivo sulla punta della fica da quando mi ero alzata quella mattina. Anche lui vibrava. Ogni tanto si fermava, mentre mi contorcevo tutta perché ne volevo di più. Poi si &egrave appoggiato tutto su di me, gli ho messo le mani sul petto, toccandolo come un cieco che tocca una scultura, e ha iniziato a spingere lentamente. Mi sembrava di essere sul limitare di un precipizio e fare un passo verso il vuoto ogni volta che affondava il cazzo. Finché non ho spiccato il volo invece di cadere. Ho gridato. Ho gridato un orgasmo bellissimo e gli ho affondato la faccia nel collo riempiendolo di baci.
Poi piano piano &egrave scivolato via accarezzandomi, col pisello durissimo in mano, e si &egrave inginocchiato in fondo al letto. Gliel’ho preso con i piedi. Ed &egrave impazzito del tutto. Gli ho fatto una sega con i piedi come una scimmia. Inarcava la schiena e mugolava, finché non si &egrave divincolato e mi &egrave venuto sui piedi.
Tutto questo mi sembrava così assurdo che mi veniva da ridere.
Da allora però abbiamo iniziato ad uscire per cena.
;-)

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