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High Utility – Episodio 23

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Fu per Luca un sollievo scoprire che la camera da letto di Flavia non era dotata di un sistema di ripresa audiovideo come quello presente nella stanza della madre. Anzi, quanto quello di Sam appariva ammobiliato e acconciato con coperte e suppellettili ricercati per creare un’atmosfera di sensualità e raffinatezza, oltre a dare l’impressione che la donna fosse davvero irlandese, come faceva credere il nickname preso in prestito dalla dea di una qualche religione diffusasi in passato sull’isola, tanto la stanza della figlia era palesemente quella di una diciottenne, con le sue passioni da ragazza appena maggiorenne, come dimostravano i peluche dei Pokemon su un ripiano, i poster di un paio di cantanti e un tablet grande quanto un televisore di piccole dimensioni dallo chassis rosa. Quando la ragazza chiuse la porta della camera e spinse, con un sorriso che lasciava presagire molto piacere sulle labbra, Luca su un copriletto morbido e spesso, rosso con delle greche bianche, lui fu grato che questo non fosse appoggiato su un materasso ad acqua.
Mentre la mente del ragazzo era persa in queste futili riflessioni, a differenza sua, Flavia non aveva perso tempo, prendendo d’assalto la zip dei jeans di Luca, il bottone di metallo già fuori dall’asola. Il cursore si scorse un attimo dopo, e la rossa, lottando con i pantaloni, li abbassò fino a metà delle cosce. Luca contemplò Flavia studiare le sue mutande deformate dal desiderio di possederla.
Il ragazzo fu sul punto di dire qualcosa, la prima che gli uscisse dalla bocca, ma la ragazza non gli diede la possibilità di fare una battuta prima che lei vedesse il suo cazzo, perché un attimo dopo era un obelisco eretto in onore della bellezza di Flavia e dell’amore che lui provava per lei.
La ragazza lo afferrò con un gesto lento e studiato, chiudendovi attorno un dito dopo l’altro. – Davvero non male – commentò, soddisfatta. Mosse la mano, facendo sorgere la cappella dalla pelle. Flavia annuì mentre una goccia di precoito sgorgava dal meato e brillava nella luce del pomeriggio.
Luca alzò le mani verso di lei, fermandola. – Aspetta.
Lei sollevò lo sguardo dal cazzo al viso del ragazzo. – Cosa c’è? Voglio farti una sega e un pompino per cominciare.
– Voglio iniziare io – ribatté lui con vigore, per poi aggiungere, con più calma: – Voglio che sia tu la prima a godere. Siediti sulla mia faccia.
Il volto di Flavia mostrò alla perfezione quanto apprezzò l’offerta. – Mai sentito parlare di “69”? Ci diamo piacere contemporaneamente.
– Non dire cazzate – ribatté lui, cercando di apparire, senza riuscirci completamente, autoritario a causa del movimento di mano che la ragazza stava pigramente applicando al suo sesso, – voglio godermi il sapore della tua figa e dei tuoi gemiti di piacere senza essere distratto da te che giocherelli annoiata con il mio cazzo.
Flavia non riuscì a trattenere una genuina risata, scuotendo il capo. – Sei fuori di testa… – disse, ma accettò tacitamente. Abbandonò il suo lavoro di polso e, dopo aver appoggiato una mano sulla fronte di Luca come a sorreggersi, salì mettendo le gambe ai lati del suo addome, quindi gattonò fino alla sua faccia e si sedette sulla sua bocca, le labbra di lui e del sesso di lei che si univano per la prima volta. Prese a muovere il bacino avanti e indietro, la sua passera che sfregava contro il volto del ragazzo. – Fammi scoprire se vale la pena succhiartelo, dopo… – lo provocò con una voce sommessa, afferrandolo per i capelli sopra la fronte.
Luca inalò profondamente con il naso il profumo del sesso della ragazza che da anni faceva battere il suo cuore, inondandosi la mente e l’anima. Era delicato, appena percepibile, ma al contempo sembrava volesse occupare completamente il suo olfatto, un profumo rotondo e fluido… gli ricordava quello della pianta dai fiori bianchi che la vicina di casa di sua nonna usava per come siepe. Ligustro, gli parve si chiamasse.
– Ti farò godere così tanto che non vorrai più toglierti di bocca il mio cazzo – le promise. L’afferrò per i fianchi stretti, come se avesse avuto paura che volasse via come l’angelo che era nella sua percezione, e cominciò a baciare le labbra del suo sesso.

***

Flavia si era scoperta piena di aspettative, curiosità e, cosa inspiegabile, nonostante avesse fatto sesso per mesi con quattro ragazzi e due ragazze diverse volte alla settimana, un certo imbarazzo quando aveva abbassato le mutande di Luca. Doveva ammettere che sua madre non aveva scherzato quando aveva detto che il ragazzo non era messo affatto male in mezzo alle gambe: non aveva le dimensioni dei cazzi di Diego o Vittorio, ma, sempre dando retta a Sam, lui era più bravo.
Beh, ammise la ragazza, già il fatto che si fosse offerto di dare piacere prima a lei che a pretenderlo andava sicuramente a suo favore.
Adesso che, poi, aveva iniziato a muovere la lingua tra le sue piccole labbra, accarezzandola con la punta, lentamente, dimostrava di essere stato un ottimo e giudizioso allievo di sua madre. Le mani di Luca accarezzarono le sue cosce, con leggerezza, stuzzicandola, mentre il suo utero cominciava a bagnarsi sempre più e grosse gocce fuoriuscivano, colando sul viso del ragazzo e impregnando l’aria dell’odore della sua eccitazione.
Luca continuò diligentemente per diversi minuti in quella posizione, la lingua instancabile, quasi vorace, le mani che alternavano l’interno cosce, il suo sedere e le sue tette, strizzate veloci e palpeggi più lunghi, il tutto accompagnato da gemiti di apprezzamento del ragazzo. Finché lo stesso non la tenne per i fianchi, poi fece leva sulle sue gambe e non la fece cedere, distesa sul letto.
Il ragazzo si sollevò dal sesso luccicante di saliva e umori di Flavia, fissandola con il volto ancora più bagnato e, probabilmente, più soddisfatto di lei. – Adesso basta giocare – disse, quasi a rimprovero.
– Pompino? – domandò la giovane rossa, divisa tra il dispiacere che fosse già finito e il desiderio di dargli piacere e sperare che avrebbe ricominciato a leccargliela fino a portarla a…
– Che palle con ‘sto pompino, col cazzo che smetto di godermi la tua fica – rispose lui, fingendosi offeso, – adesso lascia fare come voglio io – spiegò, e ancora prima di aver finito di pronunciare quelle parole le labbra sul volto di Flavia si aprirono in un sorriso di piacere quanto il suo utero all’ingresso di due dita.
Le percepì scivolare con facilità nel desiderio per tutta la loro lunghezza, poi muoversi un po’ avanti e indietro come a studiare il suo utero, a mapparlo alla ricerca di ogni suo segreto. Il pollice si appoggiò sull’imbocco dell’uretra e iniziò a massaggiarla con un lento circolo.
Flavia afferrò i capelli biondi della testa di Luca. – Adoro i ditalini… – disse, mordendosi le labbra, incapace di trattenere il senso di piacere che quell’atto le stava già provocando.
– A me piace di più leccarla, – ribatté il ragazzo, – ma immagino che possiamo metterci d’accordo senza troppe difficoltà… – e detto questo, appoggiò la bocca sul bocciolo di rosa della sua magnifica amante, la lingua che guizzava un paio di volte nell’area lasciata libera dalle dita e finendo calamitata dal clitoride che si era eretto come un piccolo cazzo.
Il fiato di Flavia si mozzò mentre il ragazzo iniziava a leccare la sua perla, lento e leggero, prima ai lati poi sulla punta, indugiando sadico fino a quando non veniva ricompensato da un gemito della sua amante o da uno spasmo del suo culo, intervallando poi un paio di dita della mano libera una sorta di delicata sega al clitoride, mentre baciava il basso ventre piatto della ragazza, indugiando sul tatuaggio di un Mini Pony rosa che sorrideva all’altezza dell’inguine, e la pelle morbida dell’interno cosce.
Flavia sapeva che non era nemmeno l’inizio di quella scopata con Luca… no, il termine “scopata” era troppo squallido per descrivere l’amore e l’attenzione che il ragazzo stava usando per lei, per darle piacere, ma le sembrava di fargli un torto pensando alla semantica invece di vivere quell’istante meraviglioso. In ogni caso, nessuno dei ragazzi dell’orgia, e nemmeno Alena o Natalia, aveva mai messo nemmeno metà dell’impegno che lui stava profondendo.
– Luca… Luca… – sussurrò lei, mentre la testa cominciava a sembrarle svuotarsi della coscienza e a colmarsi di una nebbia che rendeva confuso ogni pensiero, che la stordiva ma al contempo sembrava rendere più vivida ogni emozione e sensazione che il suo corpo, specialmente il suo sesso, le comunicava. Si strinse un seno, diventato duro e doloroso, ma non poteva smettere di malmenarselo come avrebbe fatto il più volgare degli innamorati.
Ogni colpo di lingua del suo splendido amante aveva la delicatezza di un’onda di mare che accarezzasse il lido sulla sua figa e l’impatto di un treno sulla sua coscienza, galoppando per il suo cuore impazzito. Una sensazione di calore straniante iniziava a crescere sempre più nel suo addome, un’ombra di stordimento a scivolare lungo ogni nervo, ogni muscolo sembrava dolerle in uno sforzo che sembrava non avesse mai sperimentato prima. La sua fica era il sole nella sua mente, luminosa e calda, bagnata e fremente, l’unica cosa nell’universo. Oltre a Luca, che la stava possedendo con la lingua e due dita come mai nessuno prima.
Lo sentì arrivare da lontano, quando ancora era solo un sussurro appena distinguibile dal baccano che faceva il suo sesso, quasi fastidioso, quasi indesiderabile. Poi crebbe, divenne un fastidio che prendeva possesso della sua colonna vertebrale, il materasso che sembrava pieno di ciottoli, quella sofferenza che faceva cercare una posizione migliore che si sapeva già non esistesse. Poi si ingigantì, le dita nell’utero che si muovevano direttamente nella sua anima, la lingua che titillava la sua mente, la sua coscienza che scivolava a grosse gocce lungo il suo perineo, ogni movimento del suo amante era un battito del suo cuore, una stretta del suo culo, una contrazione della sua fica. Poi smise di avere un corpo, fu solo piacere, piacere abbagliante, doloroso, che coprì ogni pensiero, ogni senso, ogni cosa. Piacere che l’aggrediva a ondate, che le straziava l’anima e le bruciava la mente, le annegava la coscienza. Non ci fu altro per l’eternità, fino alla fine dei tempi, fino a quando anche l’ultima stella si spense.
Anche quando un barlume di coscienza tornò, la cima di una montagna quando si ritirarono le acque dell’orgasmo, si scoprì a tremare, a emettere dalla gola un gemito simile al vento che soffia in una valle, i suoi muscoli che si contraevano e si rilassavano impazziti, le gambe che sobbalzavano, un vuoto doloroso nel suo inguine, le cosce bagnate come se si fosse urinata addosso.
Si lasciò sfuggire un gemito soffocato, scoprendosi stanca, sfinita, mentre cercava, senza forze, di non scivolare nel sonno. L’unica cosa che riuscì a scorgere, prima di assopirsi, fu il volto del suo amante, soddisfatto e al tempo stesso stupito, bagnato come se si fosse lavato. “Sono venuta in faccia a Luca…”, fu il suo ultimo pensiero, e si addormentò soddisfatta, in colpa e felice.
Fu una cosa di un attimo, forse un paio di minuti, durante i quali si era posta in una posizione fetale, come quando, da piccola, si addormentava nel lettone di mamma e papà, quando erano ancora una famiglia completa, quando suo padre, dopo aver salvato vite dal fuoco, la abbracciava e le baciava la nuca. Come in quel momento, con un paio di braccia che la stringevano e sue labbra si appoggiavano ai suoi capelli rossi, e qualcuno le sussurrava che era stata bravissima, che era orgoglioso di lei.
Avrebbe voluto rimanere per sempre in quella posizione, sotto quella coperta di tepore emotivo, in quell’abbraccio che non aveva ricevuto più da anni, ma sentì dentro di sé anche la necessità di ringraziare Luca per quanto gli aveva donato. Si voltò verso di lui in un movimento tanto scombinato, ruotando le spalle, le anche e il busto, che temette avrebbe incrinato quel momento magico ma fragile come il cristallo.
Lui le accarezzò il volto, lei lo baciò, trattenendo le risate quando si accorse che le sue labbra sapevano della sua stessa figa. Odorava dello squirto che aveva spruzzato poco prima. Poi il pensiero che anche sua madre avrebbe potuto venirgli in faccia, nelle settimane precedenti, attraversò la sua mente come un estraneo. Chissà se il suo viso aveva avuto lo stesso odore dell’utero in cui lei si è formata. Chissà quanto gli era piaciuto scoparsi la figa in cui era vissuta per nove mesi… Nonostante ci avesse pensato anche in precedenza, in quel momento sembrò acquisire una nuova consistenza.
Le loro labbra si staccarono e Flavia, avvicinandosi all’orecchio destro di Luca, gli sussurrò: – Ti chiedo un favore…
– Dimmi, qualsiasi cosa…
Lei tentennò un istante, dilaniata dalla paura di offenderlo e da quella di mettersi a ridere, prima di rispondere: – Non chiedermi di chiamarti “paparino” perché ti sei scopato mia madre.
Poi scoppiarono entrambi in una risata che spezzò la tensione che, nonostante l’orgasmo, era rimasta fino a quel momento tra loro due e che aveva impedito di unirsi davvero. A Flavia, però, sembrò che Luca non fosse proprio soddisfatto della cosa.
– Però, tu puoi… anzi, devi chiamarmi “puttanella”.
Il ragazzo apparve un po’ incerto, ma accettò. Le prese la testa con entrambe le mani, una sotto una mascella, l’altra su una tempia, tenendola ferma, e la baciò con ben più passione che romanticismo, scivolando con la lingua nella sua bocca. Flavia l’accolse con impeto, facendovi danzare attorno la propria, provando un senso di eccitazione simile a scintille che balzarono nella sua mente, confondendo i suoi pensieri e facendole rivivere, per lo meno in una misura minore, quanto aveva sperimentato prima.
Quando lui uscì da lei, si sorrisero, soddisfatti. Poi lui le disse, non in tono perentorio ma che non avrebbe lasciato comunque la possibilità di replica: – Succhiami l’uccello.
Un sorriso sornione apparve sul viso di Flavia. – Succhiami l’uccello, “puttanella” – lo corresse. – E per punizione, tu leccami la fica, stronzo.
La ragazza si girò, appoggiò di nuovo l’inguine sulla bocca di Luca, il quale emise un gemito di piacere, si mise meglio e avvicinò il volto al bacino del ragazzo, che nel frattempo aveva afferrato le chiappe di lei e iniziato a baciarle e a leccarle di nuovo il sesso. Flavia chiuse per un istante gli occhi, sorridendo, godendosi di nuovo il lavoro di Luca con la sua lingua…
Nel tempo che lei era rimasta incosciente dopo l’indimenticabile orgasmo, lui si era spogliato prima di abbracciarla e coccolarla. Non era il ragazzo più muscoloso o in forma che avesse mai visto, ma provò verso quel corpo nudo un desiderio che non aveva mai sperimentato con nessun altro. Eh, sì, sua madre aveva ragione: in mezzo alle gambe non era messo affatto male.
Afferrò il cazzo in erezione, caldo e duro. Una vena risaliva in una serie di curve l’asta verso il glande, scivolando lentamente verso destra e circondandolo come un lazo. La cappella era grossa, rossa per l’irrorazione di sangue dovuta all’eccitazione e solcata da una goccia di liquido biancastro, che Flavia aveva visto spesso colare dal buco quando un ragazzo era arrapato. Sentì dentro di sé crescere un moto di orgoglio e soddisfazione all’idea che quel cazzo non si fosse gonfiato grazie alla vista dei corpi di sua madre, di Alena o Natalia, tutte maggiorate, ma per effetto del suo nomale corpo di diciottenne.
Non fu tanto il desiderio di ringraziare Luca per il piacere che le aveva donato poco prima quanto l’averle dato la certezza di essere anche lei desiderabile, di non essere quella in più nelle orge, che si faceva sbattere da uomini che non avevano trovato buchi liberi in due bionde tettone, a spingerla a dare il meglio di sé.
Abbassò lentamente la mano, facendo sbocciare la cappella in tutta la sua magnificenza, liberando nell’aria un odore forte e stordente, che sembrò le facesse percepire ancora più la lingua di Luca esplorare il suo sesso, le sue mani venerare il suo culo. – Adesso ti faccio provare io qualcosa di nuovo, cucciolo mio… – disse, poi baciò la punta del cazzo.
Sopraffatta da un impeto improvviso, Flavia sentì la necessità di possedere quel pezzo di virilità eretto solo per lei, che sembrava implorare le sue attenzioni, chiederle di permettergli di dimostrarle quanto la desiderasse. La lingua della ragazza dimostrò che, per quanto non potesse competere in stile e bravura con quella di Luca nel cunnilingus, si sarebbe fatta valere in impegno e perseveranza. Girò attorno alla cappella lentamente, assaporando il sapore salato della mucosa, poi un gusto appena accennato simile a cannella.
Se lo mise tutto in bocca, scendendo con le labbra fino quasi alle palle, sentendole riempire la bocca, premere contro il palato e la lingua, infilarsi tra le tonsille e quasi raggiungere la gola, un leggero senso di soffocamento che, dopo averlo sperimentato per decine di volte durante le orge, ormai aveva da tempo imparato ad apprezzare. Come se fosse il più goloso cibo al mondo, le sue fauci cominciarono a riempirsi di saliva e a colarle dalle labbra sull’inguine di Luca.
E Luca continuava a giocare con la sua fica, sebbene i gemiti che si lasciava sfuggire confermassero a Flavia che stava apprezzando il suo operato. Lei, comunque, dovette ammettere con sé stessa che aveva ragione lui: il 69 era una stronzata, che non permetteva di godersi al pieno il sesso dell’amante perché lo stesso ti disturbava cercando a sua volta di darti piacere. La volta successiva sarebbe stato diverso, si sarebbe goduta lei il cazzo di Luca, e lui il pompino di Flavia, senza nulla a distrare nessuno dei due.

Continua…

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