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High Utility – Episodio 44

By 28 Settembre 20242 Comments

High Utility

Episodio 44

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Il foglio virtuale bianco di Word campeggiava sullo schermo del computer portatile di Giada ma, escludendo il titolo “‘Il fu Mattia Pascal’ di Luigi Pirandello” in cima, il resto era intonso, con il selettore che lampeggiava quasi fosse il piede della relazione che, nervosa, batteva sul pavimento in attesa di una reazione da parte della ragazza. Giada stava con il mento posato sulle mani, a loro volta appoggiate sul tavolo, il naso a pochi centimetri dal touchpad; nonostante ciò, i suoi pensieri erano rivolti a ben altro che al compito che avrebbe dovuto portare il giorno dopo per la lezione di italiano.
Ormai doveva accettare il fatto: la storia di amore tra lei e Luca, che aveva sognato a lungo, vissuto nella sua fantasia in ogni possibile sfumatura di rosa, per la quale aveva sofferto quando lui era l’amante di Sam e poi di Flavia, per la quale si era abbassata al livello di una zoccola infoiata durante quella festa, per la quale aveva dato il suo NFT a Sofia, stava fallendo. Non c’era nulla di cui discutere, nessun appiglio: il suo adorato Luca, quel ragazzo bellissimo, dimostrava di non amarla come lei si meritava e, anzi, metteva in discussione ogni sua scelta relativa a lui.
Com’era possibile, si chiedeva Giada. Lei, che aveva un corpo perfetto, per il quale lavorava cinque o sei ore alla settimana in palestra, che seguiva una dieta, che non sgarrava quasi mai, non fosse venerata da Luca? E, peggio ancora, lui aveva dimostrato di avere ben più considerazione per quella vecchia zoccola con le rughe e quella rossa con le tette piatte, priva di qualsiasi bellezza, che nei suoi confronti!
E, in più non la rispettava a letto, pretendendo di possederla da dietro come faceva con quelle due squallide, che amano farsi scopare come gli animali, tanto arrapate da abbandonare ogni considerazione dell’amor proprio e accettare posizioni degne dei più luridi postriboli… Giada ebbe un moto di disgusto all’idea di Flavia, nuda, con quel corpo banale, a cui la natura aveva donato ben poco se non i capelli rossi, con il magnifico Luca a cavalcioni, che le spruzzava in faccia la sua bega dopo che lei glielo aveva succhiato con passione… li vedeva ridere, divertirsi, lei sottomettersi alle perversioni di lui pur di averlo con sé…
– Figa, che schifo… – mormorò, la voce appena udibile e il fiato che annebbiava un istante il piano lucido del tavolo che usava per i compiti. – Non gli permetterei mai una cosa simile, anche se è un gran pezzo di manzo… – Poi, nella sua mente, apparve il ricordo del loro primo rapporto sessuale, nella stanza da letto di qualcuno a casa Favaro, e subito, come se fosse stato il trailer di un film al cinema, vide scorrere il momento in cui lui le possedeva l’ano, con una mano la ditalinava e con l’altra la stringeva al collo, dandole piacere e, al contempo, soggiogandola.
Volle scacciare quel pensiero, la memoria di aver goduto mentre lui la trattava come la sua sgualdrina, le faceva capire che era sua e che non avrebbe avuto mai più la possibilità di fare nulla che lui non volesse… ma al contempo stava godendo, quelle due dita che le possedevano la passerina erano qualcosa di fantastico, meraviglioso… Giada deglutì, la sua mente che le diceva che quanto era successo era sbagliato, che lui l’aveva trattata incredibilmente male, e il suo bocciolo di rosa aveva iniziato a prudere e a bagnarsi, un senso di malessere sollevarsi come una colonna di aria calda verso il suo cervello e riempirlo di desiderio.
– Dannazione… – imprecò, stringendo i denti e le cosce, imbarazzata con sé stessa di essersi eccitata. Il pensiero di quel ditalino, di quel momento in cui lui smetteva di fotterle il culo per assicurarsi che lei godesse, che potesse vivere un momento di puro piacere… e poi sentì di nuovo le dita di Luca stringerle, stringere delicatamente, la sua gola, quel senso di paura, quell’attimo in cui la sicurezza che potesse fidarsi completamente di lui per quanto riguardava la sua incolumità, il terrore appena accennato che potesse rivelarsi un mostro, l’istinto di sopravvivenza che cercava di sopprimere il desiderio di godere e che sembrava invece aumentare ulteriormente… E poi si era ritrovata a godere come mai prima di allora, come nemmeno aveva immaginato si potesse davvero godere. Lei stordita, il cuore che le batteva nelle orecchie più di una grancassa, lui che si concedeva a sua volta un orgasmo nel suo retto, scoprendo com’è godere con una ragazza bellissima.
Giada sentì la testa girarle leggermente, un’ombra di disagio che nasceva in lei quando non poteva ancora essere l’amante di Luca. Si alzò dal tavolo, ignorando lo schermo del computer che, in quel momento, decise di spegnersi, e si trascinò in bagno. Si sentiva come se fosse stata un passo fuori dalla realtà, come se si fosse trovata in un videogioco dopo anni che non ne usava uno, la sua mente che sembrava incapace di connettersi perfettamente con il mondo esterno e, soprattutto, con quello dentro di sé.
Chiuse la porta del bagno, si appoggiò al lavandino con una mano, temendo per un attimo di crollare a terra. Fu tentata di sedersi sulla tazza, ma abbandonò quell’idea: per qualche motivo che ignorava, doveva stare in piedi. Anzi, sentiva il bisogno di stare inclinata in avanti.
Fece un paio di passi indietro sul tappeto bianco dal pelo lungo, si slacciò i jeans, sentendoli scivolare lungo le gambe e afflosciarsi sulle sue scarpe, poi infilò una mano nelle mutandine, che scoprì intrise di desiderio.
Si sentì come quando aveva la febbre alta, un calore sembrava emanarsi dalla sua pelle con una tale intensità che, se avesse guardato il suo riflesso nello specchio, avrebbe certamente visto il muro attorno a lei distorcersi convulsamente come l’orizzonte sopra l’asfalto nei giorni di canicola, e la sensazione che la sua mente fosse stata chiusa in un sacco e gettata via. Percepì due polpastrelli scivolare sulla commensura e poi fendere le sue grandi labbra, quindi sprofondare fino ad accarezzare la seta che celavano quelle piccole, sensibilissime.
Chiuse gli occhi, inalando il profumo del proprio sesso bagnato, ardente, desideroso, che sembrava ritrarsi dal suo tocco e intanto invocarlo. L’immagine di Luca dietro di lei, pronto a possederle il culo, ma ancora intento a preoccuparsi del piacere della sua donna fece fremere il suo corpo e la sua anima, la sensazione del suo braccio libero che cingeva il seno prosperoso parve più reale del freddo della ceramica tra le dita.
“Sei la mia piccola gioia” le sussurrò in un orecchio, mentre la mano, poco avvezza in quel compito, scivolava dentro di lei, la punta di due dita che cercavano di ricordare come faceva lui in quel momento. Un po’ più dentro… un po’ di più… no, più vicino all’ingresso! Lì… quasi… ecco, sì!
– Fammi godere, Luca… – sussurrò, mentre le dita premevano un po’, poi aumentavano la pressione.
“Sì, mia dolce dea!” rispose lui, baciandole il collo. “Voglio farti felice.”
Il miele aveva cominciato a colare lungo le dita, scivolare fino alle nocche e formare gocce, pronte a piovere sul pavimento. “Dopo mi succhio le tue dita, bambina mia” gli sussurrò, mettendo una mano su un suo gluteo. “Poi, se fai la brava, ti lecco il fiore qui dietro.”
– Sì, Luca… – ansimò Giada, la mente ottusa dal desiderio che la stava colmando. Quant’era bello ditalinarsi pensando al suo amore… perché non lo faceva mai? Immaginare lui intento a muoverle due dita nella sua passerina, che faceva come voleva lei, che la trattava come meritava…
Ma più andava avanti, più esplorava il suo sesso, più si impegnava, e meno sembrava giungere a qualcosa. Era lì, ad un passo dall’orgasmo, dall’esplodere in un godimento che solo il vero Luca le poteva donare, ma non riusciva a colmare quel piccolo tratto che mancava per accedere al paradiso. Chiuse gli occhi, aumentò la forza, la velocità delle dita, si sforzò ad immaginare Luca baciarla, dirle che era meravigliosa, perfetta, fantastica… il rumore viscido, ormai disgustoso, le dita che iniziavano a farle male, un senso di amarezza e delusione cominciava a prendere il posto dell’eccitazione quando, sconfitta, prossima ad abbandonarsi alle ombre del rammarico, quasi che la mano fosse improvvisamente dotata di volontà propria, si staccò dal bordo del lavandino.
Si mosse lentamente, quasi a strappi, la volontà di Giada di non essere come le altre due zoccole che lottava con il suo desiderio più primitivo di godere. Pareva dovesse percorrere chilometri invece di mezzo metro, ma quando giunse a destinazione, le dita si serrarono sulla gola della ragazza. “Finalmente, puttanella,” le sussurrò Luca, “hai intenzione di farti fottere quella figa…”. Le parve di sentirlo appoggiare il cazzo nello spacco tra le chiappe. “Poi ti sfondo il culo, troietta, ma prima…”
Giada si scoprì, con il poco di coscienza ancora rimasta a contatto con la realtà, ad ansimare, gocce di sudore avevano cominciato a sgorgare dai pori della pelle e le sue dita impazzire dentro la sua fregna, dolorose, animalesche. Il freddo della ceramica apparve per un istante contro la pelle del suo costato, ma subito svanì nella nebbia di tutto ciò che non concerneva con la scopata che stava subendo.
– Luca, sbattimi! – urlò in un ansito, tra un gemito e l’altro, – Sono la tua troia!
“Puoi scommetterci, che ti sbatto” rispose lui, la voce distorta dal ghigno sul suo viso. “Voglio sbattere ogni tuo buco, fottermi le tue bocce e poi venirti in faccia e renderti mia proprietà per sempre”.
– Sì, ti prego! – lo implorò lei, mentre le sue dita smettevano di avere la minima parvenza di rispetto verso il proprio corpo, gettando gocce di ambrosia come la sua bocca gettava gemiti strozzati.
La mano, una terza mano di Luca, si appoggiò sulla sua nuca, e mentre le devastava la fica e la soffocava, le spinse la testa dentro il lavandino. Finì con il viso congestionato contro il rubinetto ma non vi fece nemmeno caso.
“Mettiti a novanta, come la vacca da monta che non sia altro!”
– Sì… sì!
Ormai non sentiva più la mano, le dita avevano perso la sensibilità, un misto di freddo e bagnato era tutto ciò che sentiva, ma le sarebbe comunque stato impossibile percepire qualcosa sotto la sensazione di un orgasmo prossimo a deflagrare nel suo inguine, la sua fica che sembrava un crogiolo pieno di metallo fuso.
Poi esplose davvero, un senso di vuoto che le cancellò la mente, le distrusse la coscienza. Fu solo un immenso piacere abbagliante, il bruciore dei muscoli che urlavano tanto forte da non essere più udibili, la nausea che riempì il suo stomaco e il senso di vertigine che scosse le sue gambe.
Anni, forse decenni dopo, oppure era passato un solo secondo, quando l’universo si rimaterializzò ai suoi sensi ancora saturi di orgasmo, si ritrovò seduta scompostamente sul tappeto bianco, incapace di capire cosa ci facesse lì. Quando un senso cominciò a farsi strada nella sua mente drogata di piacere, scosse la testa e si portò una mano al viso, confusa.
Un profondo, asfissiante odore di sesso ed eccitazione gravava nel bagno, rendendo l’aria irrespirabile e imbarazzante, quasi quanto gli schizzi di un qualche liquido che colava lungo il sostegno del lavandino. Controllò il tappeto, e per sua fortuna il liquido assorbito poteva essere facilmente fatto passare per acqua caduta durante il lavaggio della faccia o delle mani.
Poi un pensiero l’assalì, sconvolgendola. In un episodio di capogiro dovuto allo scatto che aveva fatto per rimettersi in piedi il più in fretta possibile, sollevò il mento e, accendendo le tre lampadine sopra lo specchio, studiò attentamente il riflesso del proprio collo. Trattenne il fiato fino a quando non si rese conto che, fortunatamente, non c’erano segni delle proprie dita, lasciati mentre si stava auto-sottomettendo.
Questa nuova consapevolezza la turbò ancora più del rischio dei segni delle impronte. – Merda… – disse, avvertendo gli occhi cominciare a bruciarle e, questa volta davvero, la gola chiudersi. Di nuovo, cominciò ad ansimare, ma non per l’eccitazione, quanto piuttosto per il senso di costrizione che le aveva serrato il petto quando si rese conto che era attratta proprio da ciò che più la disgustava, dall’essere trattata come una donnaccia…
Passarono diversi minuti prima che Giada riuscisse a smettere di singhiozzare, e la vista di lei allo specchio con gli occhi rossi la depresse ancora di più. Mise le mani a coppa sotto il rubinetto dopo che lo aveva aperto e bevve un paio di volte, cercando di sciogliere il groppo che si era formato in gola. Si lavò il viso, bagnando questa volta per davvero con l’acqua il tappeto e, prima di risollevarsi i pantaloni, volle farsi un bidet per togliersi dalle cosce il liquido che aveva fatto schizzare mentre si ditalinava.
Immerse il sedere nell’acqua, ma poi si rese conto che ebbe bisogno di uno sforzo per potersi toccare le labbra, nemmeno fossero infette e purulente. Dovette imporsi di non provare nessuna emozione nel toccarsi, di non pensare a quanto aveva fatto e pensato un attimo prima, come se l’avesse data vinta a quelle due zoccole che avevano portato il suo amato Luca sulla strada del disprezzo e dell’odio nei suoi confronti.

Appena più rinfrancata, ma ancora scossa e con l’impressione che il cielo si fosse riempito di nuvolaglie nere e che fossero cadute su di lei, uscì dal bagno e tornò a sedersi davanti al computer. Non poteva negare che, in quel momento, avrebbe voluto accanto a sé Luca, perché la stringesse e il calore del suo corpo sciogliesse un po’ di dubbi che strizzavano la sua mente, ma dubitava che si sarebbe presentato se l’avesse chiamato. Probabilmente era intento anche lui a fare i compiti, o a perdere tempo con la sua fotocamera con soggetti privi di interesse quando poteva avere lei come modella… Ma non poteva evitare di incazzarsi tutte le volte che lei gli muoveva qualche piccola critica, come se servisse studiare fotografia per riuscire a farne una bella, quando lei ne faceva di perfette con il suo smartphone.
– Che spesa inutile una fotocamera… cosa pensa cambia da quella di un telefono? – si chiese per l’ennesima volta Giada. Di certo non avrebbe posto quella domanda a Luca: orgoglioso com’era, l’avrebbe spellata viva piuttosto che ammettere che non ce n’erano.
Non poté impedirsi di immaginarlo a zonzo con la sua macchina fotografica, dopo il loro ennesimo, insensato litigio, a fingere di scattare foto solo per provarci con qualche zoccola e portarsela a letto. Magari qualcuna delle sue “amiche”… quelle stronze non volevano ammetterlo, ma erano attratte da lui. Tutte erano attratte da lui, così come ogni uomo desiderava mettere Giada nella posizione a novanta di prima e sbattersela fino a…
La ragazza scosse la testa, come a scacciare quel pensiero disgustoso che le fece distorcere la bocca.
Doveva fare qualcosa, trovare un modo per riavere con sé Luca, ma come?
Fissò per un momento lo schermo nero del computer, quasi illudendosi che lo stesso potesse animarsi e darle il consiglio che le serviva. L’unica cosa che le mostrava, però, era il suo stesso riflesso, quelle di una ragazza bellissima e desiderata… Che cosa non funzionava con lui, si domandò. Era una dea, era perfetta, glielo dicevano tutti, glielo ripetevano fin quasi alla nausea: perché Luca non si comportava di conseguenza? Perché non la venerava e faceva quanto lei gli diceva?
Lei gliela dava! Quanti avrebbero ucciso per fare sesso con lei, anche solo una volta, possedere il suo corpo stupendo? Quanti si sarebbero sdraiati ai suoi piedi, baciato la suola delle scarpe pur di avere il privilegio di palparle le bombe? Chiunque!
Ma Luca? Luca no, lui voleva fotterla come una troia, e una volta fuori dal letto vedere i suoi amici, andare in palestra quando voleva, gettare via tempo e denaro facendo fotografie. E vedere Alessio! Alessio! Come poteva anche solo pensare di frequentare il tipo che aveva avuto l’onore di introdurre il suo disgustoso uccello dentro di lei e credere di non mancarle di rispetto?
Giada si scoprì con le mani serrate in pugni tanto stretti da farle male i muscoli delle dita. Con uno sbuffo, appoggiò i polsi sul piano fresco del tavolo. Chiuse gli occhi, cercò di far defluire la rabbia dalla sua mente, rallentare il battito del suo cuore…
Dopo diversi secondi, quando sollevò le palpebre, una soluzione non era ancora giunta. Il portatile davanti a lei, però, le ricordò che anche il tema non era ancora stato completato o, per essere più precisi, se si voleva escludere il titolo in cima al foglio virtuale bianco, nemmeno iniziato.
– Invece di perdere tempo a insegnarci la vita di autori che non leggerà nessuno, – sussurrò, allungando una mano verso il mouse accanto alla tastiera, – farebbero meglio a spiegare come vivere senza tanti problemi e dubbi. Di certo, tornerebbe più utile di qualche nozione che potrebbe servire solo se si avesse davanti Gerry Scotti che vuole darti centomila euro…
Al movimento del piccolo dispositivo, Word emerse dal nero del monitor ma, sopra il candore immacolato del pomeriggio passato a rimuginare, appariva quasi strafottente il riquadro nero di una notifica. Prima che scomparisse, Giada mosse il mouse e la cliccò. Un istante dopo, il programma di videoscrittura venne coperto da una finestra di Skype, mostrando la conversazione che stava portando avanti con Tina da tempo.
Una mano gelida strinse il cuore della ragazza, improvvisamente timorosa di cosa stava per dirle quella che considerava la sua consulente finanziaria.
Tina
Ehi, Giada! Hai seguito il nostro progetto NFT del cuore?
La ragazza ebbe quasi paura a mettere le dita sui tasti del computer per chiedere cosa stesse accadendo. Dopo che aveva dato il suo “World of Girls” a Sofia come pagamento anticipato per il suo piano per sedurre Luca, aveva cancellato dai suoi contatti Twitter la pagina del progetto della casa produttrice di anime giapponese e aveva disinstallato Discord, non avendo nessun altro server che le interessasse. Dovette sforzarsi per digitare una risposta.
Giada
No. Cosa succede?
Sembrò quasi che l’amica la stesse attendendo con la risposta già pronta, che quasi comparve ancora prima di aver cliccato il tasto di invio del messaggio. E non furono tanto le parole in sé, quanto l’entusiasmo che ne sembrava sgorgare, quasi come il miele che aveva colato dalla passerina di Giada quand’era venuta in bagno, a conficcarle un coltello nel cuore.
Tina
To the moon! Siamo a più di tremila euro di valore! Stai per diventare ricca da fare schifo!
Ma, mi raccomando, non dirlo al tuo nuovo ragazzo, o quello potrebbe metterti in mente di vendere, quando dobbiamo tenere saldo e aspettare!
Giada non trovò le parole per ribattere. Cosa avrebbe potuto scriverle? E come avrebbe potuto, adesso che tutto era confuso per le lacrime che le stavano colmando gli occhi? Lasciò cadere il viso sulle braccia e pianse, bagnando il tavolo. Aveva dato via la possibilità di avere dei soldi per poter iniziare la sua vita da adulta con delle prospettive più rosee dei suoi coetanei per avere il ragazzo dei suoi sogni e adesso non aveva più nemmeno uno dei due…

Continua…

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2 Comments

  • Rebis Rebis ha detto:

    Ciao! È un po’ che seguo i tuoi racconti. Ho seguito anche la serie precedente. Ho spesso ammirato la tua prosa e i contenuti così ben esposti, ma questo, devo dire, è stato veramente magistrale. Dal lato psicologico è semplicemente perfetto e credo meriti veramente moltissimo. Attendo con impazienza il seguito!

    • William Kasanova William Kasanova ha detto:

      Grazie mille, Rebis, sono felice che ti stia piacendo. La scrittura è una cosa che mi permette di staccare un po’ la spina dalla quotidianità e dare sfogo alle mie fantasie. Ho in “cantiere” un altro paio di saghe e qualche racconto singolo ancora da pubblicare.
      Se vuoi questo racconto completo o gli altri che ho scritto in pdf, o fare una chiacchierata, non farti problemi a scrivermi una email a william.kasanova@hotmail.com o, meglio ancora, contattarmi su Telegram a questo indirizzo: https://t.me/WilliamKasanova

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