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Racconti Erotici Etero

I confini dell’odio

By 19 Novembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

‘La Rocca’.
A vederla così, nella sua elegante ed essenziale architettura, con linee semplici e sobrie, non dava certo l’idea di una ‘rocca’, una fortezza, una specie di bunker.
Intorno molto verde, curato: alberi, aiuole, siepi, vialetti ben tracciati, un gazebo e la lunga veranda all’ingresso principale. Molto vetro. Lastre speciali, di quelle che non permettono di curiosare nell’interno e consentono, invece, a chi sta dentro, di godere il panorama.
Intorno, un muretto che si intonava perfettamente col paesaggio, e il grosso cancello scorrevole, con ai lati due cancelli minori; pedonali.
Però, in effetti, era una specie di fortino. Un luogo protetto e molto sorvegliato.
Telecamere, ben nascoste, un po’ dovunque, che riportavano sui monitors interni tutto quello che accadeva lungo il perimetro, ai cancelli. Impianti di allarme, specie alle entrate della villa. Quattro pastori tedeschi addestrati alla vigilanza.
Nessun grosso tesoro da custodire, ma desiderio di non essere disturbati, di non ricevere’ visite’ sgradite. Specie di questi tempi.
‘La Rocca’
Così era scritto sulla lucida e grande targa sul cancello.
‘La Rocca’, il cognome del proprietario: Ignazio La Rocca.
Vi abitava con Susanna, sua moglie, e con Pag e Sanian, i domestici filippini, una coppia. Tore, era un po’ giardiniere e autista. Scapolo, e a lui avevano assegnato i due piccoli locali a fianco alla rimessa, mentre i Filippini occupavano la piccola dependance, alle spalle dell’edificio principale.
Ignazio La Rocca possedeva l’intero pacchetto azionario del gruppo che si interessava di costruzioni meccaniche, un po’ in tutto il mondo, grazie alla rete che aveva saputo sviluppare.
Quella villa era stata un po’ una sua idea. Era andato ad abitarci con Susanna, ormai da qualche anno, dopo aver lasciato il vasto e comodo appartamento in città, nella grande strada alberata, ma troppo frequentata e chiassosa per i suoi gusti.
Ignazio aveva poco più di cinquanta anni, di media statura, prediligeva il ‘casual’ a quelle che chiamava le ‘divise manageriali’. Lui, pur essendo amante della musica, della letteratura, della pittura e della scultura, era essenzialmente un ‘pratico’, di quelli che mirano al risultato e al come conseguirlo.
A volte, lo ammetteva, i mezzi non erano esemplari e del tutto lineari, ma’ non li sfuggiva.
Susanna aveva sei anni meno di lui. Erano sposati da venti anni.
Quando si soffermava a riflettere sulla loro vita di coppia, Ignazio finiva sempre col concludere che quella era stata la ‘iniziativa’ meno riuscita della sua vita.
Susanna veniva da una famiglia medio borghese, più preoccupata dell’apparenza che dell’essere. Questo, però, non aveva impedito ai Muci ‘i genitori di lei- di considerare con la massima attenzione la ‘sostanza’ economica di Ignazio, per cui non solo gradirono le attenzioni del giovane ingegnere verso la loro unica rampolla, ma le favorirono; in qualche modo le incoraggiarono.
Erano trascorsi venti anni.
Susanna era piacente, in un certo senso anche appariscente, del resto le cure che dedicava alla propria persona, e la meticolosità che poneva nell’abbigliamento, avevano la loro parte in tutto ciò.
Era un po’ una specie di bambolona di porcellana, di quelle che devi solo guardarle, non toccarle, altrimenti si rovina il trucco, si sgualcisce il vestito.
Susanna era così.
Non poteva definirsi una ‘frigida’, nel senso scientifico della parola, ma era una che considerava il sesso un ‘accidente’ dell’esistenza, e non un qualcosa di essenziale.
Figuriamoci, poi, accettare le piccole e grandi fantasie che in genere abbelliscono la vita sessuale di una coppia.
Quando, dopo sposati, Ignazio tentò di baciarla là dove diceva lui, con la lingua palpitante, Susanna si ritrasse indignata, disgustata, offesa.
‘Che, Gnazio, mi pigli per una di quelle!?’
Il suo perbenismo ipocrita non le consentiva di usare il termine esatto: puttana!
Figuriamoci, poi, regalare al suo sposo una di quelle magnifiche ‘fellatio’ che lui tanto gradiva. Prenderlo in bocca? Ma che, era matto?
Va da sé che se, per caso o meno, il glande coniugale le sfiorava lo sfintere, saltava su come una matta e scuoteva la testa allibita, mormorando, ma ben forte per farsi sentire, che quell’uomo era proprio affetto da psicopatia sessuale.
Anche i capezzoli erano sacri e inviolabili.
Per Ignazio un vero tormento che, poi, andò sempre più trasformandosi in irritazione, stizza, rabbia. Una rabbia che conduce al risentimento, al disprezzo, all’animosità, all’odio, e induce a cercare con ogni mezzo di dimostrare tale sentimento: disprezzare, offendere, dileggiare, profanare. Si questo era il motivo ricorrente allorché pensava a Susanna e ai loro rapporti. Farla cadere dal piedistallo, insozzarla, profanarla’
Poi scuoteva la testa e si rimetteva al lavoro.
Ogni tanto, per motivi di correttezza mondana, di mantenimento delle relazioni col prossimo, partecipavano, insieme, a feste, concerti, riunioni culturali.
Susanna era Vice Presidente del Cine-Forum, non poteva mancare alla riunione. Ci andò anche Ignazio.
‘A clockwork orange’, un film degli anni 7′, di Stanley Kubrik, tratto dal romanzo di Anthony Burgess.
In Italia il titolo era ‘Arancia meccanica’. Una trama non semplice, con scene, sapientemente girate, di stupro e violenza. Più intuiti che visti.
Se ne era parlato tanto: censura, denuncia al magistrato, assoluzione piena.
L’edizione di quella sera era originale, con sottotitoli in italiano.
Interessante dibattito, che in gran parte sottolineò la colonna sonora e il suggestivo adattamento delle note della Nona di Beethoven, specie passaggi 2′ e 4′.
Il commento di Susanna, in auto, fu che era certo frutto di una mente malata quella fantasia di immonda violenza.
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L’indomani, Ignazio si fece accompagnare in auto da Tore, l’autista-giardiniere. Gli venne in mente la pellicola della sera precedente.
‘Tore, tu l’hai visto il film ‘Arancia meccanica?’
‘Certo che lo vidi, ingegnere, e l’ho rivisto anche diverse volte.’
‘Ti &egrave piaciuto?’
‘Un po’ forte, direi, ma certe scene’.’
‘Perché?’
‘Mi scusi, ingegnere, ma mi piacevano e non mi piacevano”
‘Si, però le hai volute rivedere.’
‘Il male attrae più del bello, ingegnere.’
‘Che ne dici?’
‘Pensavo di parlarne con Nico Pulìa, quello dello scarico merci. Lei lo sa, vero, che &egrave stato accusato di aver violentato una donna, ai mercati generali. Poi, tutto &egrave stato chiarito. Assolto! Quella gran bottana era stata respinta da Nico, altro che violentata!’
Giunsero a destinazione.
‘Che fa, ingegnere, l’aspetto?’
‘Si, fra un’ora devo andare in Banca.’
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31 ottobre.
A pranzo, Ignazio si disse molto contrariato per gli impegni che aveva dovuto prendere per quella sera.
Un Consiglio d’Amministrazione straordinario, avente come tema soprattutto la ripresa dei rapporti con la Libia. Doveva profittare della presenza del MEA Manager, Middle East Africa, che l’indomani sarebbe andato proprio a Tripoli. Cosa lunga e noiosa, ma indispensabile.
Loro, come da programma, sarebbero andati per qualche giorno a Taormina, dove aveva prenotato al San Domenico.
Pag e Sanjan avrebbero avuto qualche giorno di ferie, da trascorrere con gli amici filippini a Napoli. Avevano il treno quella sera stessa, dopo aver riassettato la cucina. In villa sarebbe restato solo Tore.
‘Se vuoi andare al cine, Susanna, ti accompagniamo noi, e poi ti mando Tore a riprendere.’
‘Grazie, Gnazio, ma preferisco essere autonoma. Io in due ore sarò di ritorno, tu chissà che ora farai.’
Ignazio chiamò Tore, disse di preparare l’auto.
Dopo poco si allontanò, accompagnato dall’autista.
L’ultimo spettacolo del cinema era alle ventidue, mancava più di un’ora.
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Erano oltre le tre di notte quando finì il Consiglio d’Amministrazione. L’abilità di Ignazio aveva ottenuto l’unanimità. L’operazione Libia ripartiva alla grande. Si sapeva che era utile e opportuno qualche ‘pensierino’ per la ‘controparte’, ma Ignazio aveva pensato a tutto. Aveva prelevato cinquantamila dollari in contanti, in tagli da cinquanta: dieci mazzette da cento. Prima di partire, il MEA Manager sarebbe passato per la villa di Ignazio, a ritirare la valigetta con’ l’occorrente. Il Falcon Jet l’avrebbe portato a Tripoli in poco più di un’ora.
All’incrocio tra la nazionale e la strada che conduceva alla villa, c’era un’auto della polizia. Furono fermati.
Furono chiesti i documenti.
‘Lei &egrave l’ingegnere La Rocca che abita a Villa La Rocca?’
‘Si, perché?’
‘Mi scusi solo un momento, attenda.’
L’agente si avvicinò alla sua auto, parlò al telefono con qualcuno, tornò all’auto di Ignazio, guidata da Tore.
‘Scusi, ingegnere, sta venendo il commissario’.’
Giunse un’altra auto, civile. Ne scese un uomo alto, snello, si avvicinò a Ignazio.
‘Buona sera, ingegnere, sono il Commissario Pede.
Non si preoccupi, niente di irreparabile. La sua signora sta bene, &egrave stata trasportata in ospedale, mi hanno detto che &egrave ancora in preda a un po’ di shoc, &egrave naturale”
‘Ma cosa &egrave successo’ si può sapere?’
Ignazio era agitato, tremava’
‘Qualcuno, nella villa, ha aggredito la signora’ sicuramente &egrave stata una rapina”
‘Ma come &egrave possibile? Gli allarmi’ i cani’ gli impianti di sorveglianza”
‘Venga, andiamo alla villa’ ancora non &egrave tutto chiaro’ &egrave passata solo un’ora da quando siamo giunti qui”
Erano giunti al cancello, spalancato. Altre auto della polizia.
Entrarono nella villa.
A prima vista sembrava tutto in regola. Solo qualche poltrona spostata, alcuni soprammobili in disordine.
Ignazio guardò in giro, attentamente.
Su una poltrona, una grossa busta di plastica trasparente.
Dentro, gli parve di vedere, c’erano alcuni indumenti.
Quello sembrava un vestito di Susanna’
‘Commissario, cosa &egrave accaduto’ per favore’ come sta Susanna’?’
‘La signora sta abbastanza bene, le assicuro’ &egrave affidata alle cure dei medici”
‘E’ grave? Ferita?’
‘No, non &egrave grave e neppure ferita, cio&egrave non reca segni evidenti di lesioni. Forse avrà avuto qualche strattone”
‘Strattone?’
‘Ingegnere, non posso essere più preciso, non so neppure io cosa sia realmente accaduto nella villa’ Abbiamo avuto una richiesta di aiuto, al 113, siamo subito accorsi’ tutto spalancato, la signora sul pavimento, terrorizzata”
‘Perché in ospedale?’
Pede si raschiò la gola.
‘Vede, abbiamo motivo di credere che sia stata violentata.’
‘Violentata? Ma devo andare subito in ospedale”
‘Certo, ingegnere, la faccio accompagnare subito. Una sola domanda, per favore. Vede qualcosa di strano in giro? Ha dei valori, una cassaforte?’
‘Si, una cassaforte che uso non spesso. Mia moglie, in camera, ha una piccola cassetta di sicurezza, a combinazione, dove custodisce alcuni suoi gioielli.’
‘Le dispiace accertarsi che sia tutto a posto?’
‘Venga.’
Ignazio andò al piano superiore. La cassetta era chiusa, formò la combinazione, l’aprì. I gioielli erano al loro posto.
Tornarono al piano inferiore.
Nella sala da pranzo le credenze, dove erano in bella mostra pregiati argenti, erano chiuse e integre,
Nello studio, la porta che nascondeva la cassaforte era chiusa. L’aprì. Nessun segno di effrazione.
Andò alla scrivania.
Lo sportello di destra era forzato. La valigetta con i dollari scomparsa.
‘Ecco, commissario, qui avevo del denaro, in una valigetta, dovevo consegnarlo questa mattina a un mio collaboratore.’
‘Quanto?’
‘Cinquantamila dollari.’
‘Ah? E chi sapeva di questo denaro?’
‘Nessuno, che io sappia, nemmeno mia moglie. L’ho prelevato io stesso in banca.
Ma commissario, avete trovato tutto aperto? E i cani? L’allarme?’
‘I cani dormivano saporitamente, evidentemente narcotizzati.
Gli allarmi li abbiamo trovato disattivati. L’impianto di telesorveglianza era ed &egrave acceso, ma sui monitors appariva una figura fissa, come una foto. I tecnici stanno accertando cosa sia stato fatto.
Se vogliamo andare all’ospedale’.’
‘Si, grazie, andiamo.’
Pede si rivolse a un suo collaboratore.
‘Ottavini, pensaci tu’ io vado con l’ingegnere. Aspettate, comunque, che io torni.’
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Susanna era nel letto, pallida. Con gli occhi aperti, sbarrati.
Quando sentì entrare Ignazio, si voltò appena, poi tornò nella posizione di prima. In silenzio.
Ignazio si avvicinò, si chinò su lei, le sfiorò la fronte con un bacio.
La donna ebbe un’espressione di fastidio, repulsione, sul volto. Tentò di sorridere.
‘Tesoro mio, cosa ti hanno fatto?’
In quel momento entrarono alcuni medici.
‘Sono Piero Marini, il primario.
Lei &egrave Ignazio la Rocca?’
‘Si professore’ noi già abbiamo avuto occasione di incontrarci.’
‘Si’ ricordo.
La signora &egrave sotto sedativi. Venga nel mio studio.’
Marini presentò la dottoressa Fani, la neuropsicologa, e il suo aiuto, Chiti.
Sedettero.
‘Vede, ingegnere, purtroppo la sua signora &egrave stata oggetto di violenze. Anche se agitata e in stato di evidente shoc, la Fani ed io siamo riusciti a farla parlare, a farci raccontare quanto era accaduto. Sono cose tremende, spiacevoli, anzi disgustose, criminali. Abbiamo registrato tutto, ma ricordo benissimo, parola per parola l’incredibile cronaca degli avvenimenti che ci ha fatto sua moglie. Sembrava che rivivesse le sequenze di un film dell’orrore.’
‘La prego, professore, mi dica”
‘Meglio che parli la dottoressa Fani, &egrave quella che &egrave riuscita a farsi dire tutto, a interrogarla con garbo e professionalità.’
Ignazio si volse alla Fani.
‘Mi scusi, ingegnere, ma sarà una esposizione dura, cruda. Perché lei comprenda, però, quanto &egrave capitato a Susanna devo, purtroppo entrare nei particolari.’
‘Dica, dottoressa, dica”
‘Sua moglie tornava dal cine. Come al solito ha agito sul telecomando per aprire il cancello. E’ entrata, ha parcheggiato l’auto dinanzi all’ingresso, ha salito i gradini della veranda, e si &egrave accorta che la porta non era chiusa.
E’ entrata e’ in quel momento si &egrave accesa la luce’ sul divano, sulle poltrone, erano seduti alcuni individui, tutti vestiti allo stesso modo, e con un cappuccio sul volto. Guanti di latice. Tuta quasi nera, scarpe di feltro.
Susanna &egrave rimasta impietrita, li ha fissati a lungo.
Si domandò come potessero essere entrati
Uno parlò.
‘Siediti, non stare in piedi.’
Susanna rimase in piedi.
Allora, l’uomo si avvicinò a lei. Le tolse la borsa dalla mano e la gettò su una poltrona.
Si voltò agli altri, che erano rimasti seduti.
‘Che ne dite, non &egrave un bel bocconcino? Che fa, vogliamo vederla meglio?’
Aprì il soprabito di Susanna, lo lasciò cadere per terra. Poi, con mossa improvvisa, afferrò i lembi della scollatura del vestito e lo strappò d’un colpo.
La donna restò in reggiseno e slip. Con le calze autoreggenti, di quelle con l’elastico ricamato.
‘Che vi avevo detto, amici. Roba fine. Jal&egravet, che te ne pare? E tu, Sam, te la faresti?’
Susanna aveva incrociato le braccia sul petto.
L’uomo gliele abbassò.
‘E che nascondi. Che fa, sei avara?’
Le slacciò il reggiseno.
‘Caspita che minne!’
Afferrò una mammella, la strinse, pizzicò il capezzolo, si chino a ciucciarlo, e lo strinse tra i denti.
‘Vediamo il resto!’
Via lo slip.
‘Bella femmina, proprio bella. Topa da signori.’
Intanto, gli altri si erano alzati, si erano avvicinati alla donna.
Susanna guardava in giro terrorizzata. Non aveva neppure la forza di gridare. Del resto, chi la poteva sentire.
Uno degli uomini sbottonò i pantaloni della tuta, estrasse un fallo, bene eretto, che sembrava quasi fumare.
‘In ginocchio!’
Susanna non si mosse.
‘In ginocchio, hai capito? O vuoi che cominci ad farti la barba?’
Tirò dalla tasca un coltello a serramanico, lo aprì. Sembrava un rasoio.
Susanna si inginocchiò.
Il glande, violaceo, era vicino alla sue labbra.
‘Dai, troia, succhialo!’
Le afferrò la testa e gli ficcò il fallo in bocca.
‘Succhia!’
La donna si muoveva maldestramente, sentiva rivoltarsi lo stomaco.
L’uomo la teneva per i capelli e le faceva fare avanti e indietro con la testa.
Lei si accorse che l’uomo stava per eiaculare, avrebbe voluto allontanarsi, di colpo. Ma lui la trattenne, spinse ancora di più. Sentì il seme caldo e salato nella sua bocca, la spinta della mano di lui. Qualcuno le batté sulle spalle. Ingoiò tutto. Le sembrava soffocare, cercò di respirare, ma non s’era ancora liberata da quella nauseante tortura, quando sentì che un altro le aveva già infilato il suo sesso in bocca, ed aveva cominciato a farle ripetere quanto appena finito con l’altro. E così via, a turno. Susanna aveva chiuso gli occhi.
Quello era l’ultimo, il quinto.
Socchiuse le palpebre, l’uomo stava ritirando il suo fallo gocciante. Era un nero!
Ma Susanna si era illusa.
Gli uomini, evidentemente, avevano un preciso programma.
Fu aiutata ad alzarsi.
Trascinata, quasi di peso, e con la bocca dalla quale scendevano rivoletti di sperma, verso il grande tavolo della sala. Spinta lì sopra. Supina. Con le gambe pendenti.
Questa volta il primo fu l’uomo di colore.
‘Dai Sam, tocca a te!’
Sam non si fece pregare, alzò le gambe della donna, se le mise sulle spalle, avvicinò il suo glande alla vagina e la penetrò.
Susanna cercò di divincolarsi, di muovere le braccia.
Altri due si avvicinarono, le immobilizzarono le braccia sul tavolo, e si misero a ciucciarle e mordicchiarle i capezzoli, mentre Sam ci dava dentro a tutto spiano, fin quando non si svuotò in lei.
‘Ora a te Jal&egravet.’
Cambio di colore ma non di strumento.
Una di quelle trombate che denotano lunga astinenza e desiderio represso.
Scopava quasi con rabbia Jal&egravet, ma il successivo, Mirko, fu ancora più impetuoso, sembrava volesse sfondarla. Ora Susanna era in completa mercé di quei criminali.
Quindi il successivo, di cui nessuno pronunciava il nome e, per finire, quasi furiosamente, il lungo stantuffamento di quello che le aveva strappato i vestiti da dosso.
Susanna, quasi svenuta, deglutì a fatica.
Sperava che tutto fosse finito.
Ma forse l’avrebbero uccisa.
No.
Due si avvicinarono a lei, la fecero alzare, voltare’ e la rimisero sul tavolo, questa volta a testa in giù; sul tavolo.
Sentì che le divaricavano le gambe.
Qualcuno raccolse con le dita l’appicicaticcio che abbondante colava dalla vagina, e lo spalmò sullo sfintere. Entrò col dito dentro. Ora era viscido, scivoloso.
Susanna era terrorizzata. Ma cosa volevano ancora?
La domanda fu subito esaudita.
Le sembrò di essere squartata.
Era certo un ariete quello che le stava sfondando il sedere.
Spinta inesorabile, prepotente.
Le dettero una forte pacca sulle chiappe.
Sentì mancarle il respiro.
All’improvviso, lo sfintere cedette, di colpo, e lo senti penetrare. Non finiva mai. Il bruciore era insopportabile. Ma quello entrava e usciva, incessantemente. Tra l’altro le stava martoriando il petto. Sentiva i testicoli battere sulle sue povere natiche.
La solita voce.
‘E’ proprio bella tosta, sta porca!’
Quindi era lui.
Dopo un po’ sentì il liquido caldo che si spandeva nel suo ventre.
‘Sotto a chi tocca!’
E così il secondo, il terzo, il quarto’ l’ultimo. Che doveva essere quello di colore, perché mentre la stava bramosamente sodomizzando, mormorava parole incomprensibili, con la tipica cadenza dei dialetti dell’africa nera.
Sembrava tutto finito.
La sollevarono di peso e quasi la gettarono sul pavimento.
Uno era sparito per un momento. Tornò con una valigetta in mano.
Lei era giù, a terra, a pancia sotto.
Tutti le erano intorno.
Sentì del liquido caldo sulle gambe, sulle natiche, sulle spalle, sui capelli.
Le stavano orinando addosso.
Poi se ne andarono.
Susanna rimase così, non ricorda per quanto. Poi riuscì a trascinarsi al telefono, a formare il 113.’
La dottoressa Fani, aveva terminato.
Ignazio era esterrefatto.
Il primario intervenne.
‘Abbiamo molti campioni di liquidi organici, mischiati, confusi. Vedremo quello che potremo fare.
La signora &egrave stata oggetto di accurato esame ginecologico e rettale. Logicamente ci sono segni della violenza, qualche arrossamento interno, ma tutto si risolverà in poche ore.
Abbiamo anche provveduto a somministrarle un farmaco per evitare conseguenza sgradite.’
Ignazio lo guardò.
‘Cio&egrave?’
‘Quella che si chiama la pillola del giorno dopo. Non ci dovrebbe essere nessuna preoccupazione in proposito.’
Lungo e profondo sospiro di Ignazio.
‘Capisco, grazie professore.
Quando potrò riportarla a casa, Susanna?’
‘Credo che sia possibile anche domani.
Ricordi. La signora necessita di molta comprensione, e deve evitarle di tornare sull’argomento, almeno per i primi tempi.’
La Fani, intervenne a sua volta.
‘La signora deve ‘digerire’ l’accaduto. Solo quando sarà stato del tutto espulso da lei ritornerà come prima.
Io ritengo, ingegnere, che lei debba attendere che sia la signora a chiederle di avere rapporti sessuali. E ricordi che ogni volta che la signora si recherà al bagno per i suoi bisogni fisiologici, rivivrà quanto ha patito. Per Susanna sarà difficile anche toccare il suo stesso corpo, sotto la doccia.’
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Ignazio e il commissario tornarono alla villa.
Erano in corso rilievi d’ogni genere: impronte, fotografie, residui di materiale organico, il tappeto del pavimento, attento esame del tavolo dove era stata stesa la donna, sia sul dorso che sull’addome’ Foto del cassetto forzato’ un po’ di tutto.
Al termine, consultato il magistrato, a La Rocca fu detto che poteva disporre liberamente della sua abitazione.
Tore aveva fatto rientrare Pag e Sanjan.
Ignazio chiese che gli preparassero una delle camere per gli ospiti.
Tornò in ospedale, dove rimase fino a sera, consumando solo qualche panino.
A notte avanzata tornò a casa.
L’indomani curò personalmente, con l’aiuto di una infermiera assunta per la bisogna, il trasferimento di Susanna a casa.
La donna preferì mettersi a letto.
Ignazio le era vicino.
‘Susanna, per farti essere più libera e comoda mi sono sistemato in una camera degli ospiti.’
Lei annuì, senza parlare.
Lui seguitò, sotto voce, carezzevole.
‘Come vedi, non ti sfioro nemmeno con una carezza’ comprendo come puoi sentirti’ ‘
Nel pomeriggio andò in azienda.
Fece chiamare il direttore delle risorse umane.
‘Caro Masini, l’ho disturbata perché volevo sentire il suo parere su una certa idea che mi &egrave venuta.
Ho notato, allo scarico merci uno che si dà molto da fare, un certo Nico Pulìa, se non sbaglio.
Veda se gli possiamo fare un passettino avanti. Credo che lo meriti.’
‘Certo ingegnere’ si’ l’ho notato anche io, &egrave un tipo in gamba, deciso.
Ho visto che qualche giorno fa parlava con lei.
Le riferirò al più presto.’
Masini tornò nella sua stanza.
Ignazio rimase solo, a pensare.
‘Sì ‘rifletteva- in fondo io la odio Susanna.
L’odio non conosce confini.
E non é neanche caro!’
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