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Racconti Erotici Etero

il colloquio di lavoro

By 25 Aprile 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero a Parigi da sei settimane. Io e Andreina avevamo trovato in affitto un appartamentino vicino a Porte de Chatillon, nei pressi della città universitaria. Non centralissimo, certo, ma nemmeno troppo fuori mano: un quarto d’ora di cammino, circa, fino a Montparnasse. Era una bella casa, luminosa, con le pareti imbiancate da poco, mobili moderni, puliti, e una bella finestra ampia affacciata su un parco.
Io mi trovai subito benissimo, e l’aria parigina in pochi giorni mi fece passare la malinconia per la spinosa situazione che avevo lasciato a casa. Ultimamente però, i soldi che avevo portato con me dall’Italia cominciavano a scarseggiare.
Dopo essermi fatta fare diversi prestiti da mia cugina, giunse il momento in cui necessariamente dovevo darmi da fare a cercare un lavoro per tirar su qualche soldino.
Cominciai dunque ad affrontare una incredibile serie di colloqui di lavoro. Commessa, segretaria, magazziniera, barista. Tutti quelli con cui sostenevo i miei colloqui erano concordi nel dire che ero bella, simpatica, gentile, ma il mio francese era proprio brutto. Ragion per cui, pur con un delicato ‘se ne avremo la necessità, terremo conto di lei’, mi scaricavano tutti.
Dopo un paio di settimane e una cinquantina di incontri, ero a pezzi. Così, mentre con aria sconsolata attraversavo Boulevard Voltaire, mi guardavo intorno alla ricerca disperata di cartelli che richiedessero personale. Niente. Ero abbattuta, stanca. Entrai in un bistrot e ordinai un caffè. Mentre lo sorseggiavo, mi cadde lo sguardo su una bacheca all’ingresso. ‘Emploi voulait’. Seguiva un numero di telefono. Chiamai immediatamente. Mi rispose una voce maschile, molto suadente. ‘Bon après-midi, avec qui je parle? ‘.
Mi presentai, con il mio francese un po’ zoppicante. L’uomo al telefono sembrò abbozzare una risata, poi mi chiese : ‘Italien ? ‘. risposi di sì. ‘ Femmes italiennes sont charmants ‘, commentò, con tono sornione. Gli domandai di che impiego si trattasse, e gli spiegai che avevo molto, molto bisogno di lavorare. ‘ Et immediatement ‘, specificai.
‘ Immediatement ? ‘ replicò lui. Mi spiegò che era un posto da commessa in una gioielleria, e aggiunse che, se volevo, potevamo incontrarci anche subito, se non ero lontana dal suo ufficio. Era in Rue de Rivoli. Feci due rapidi calcoli : potevo arrivare in un paio di minuti a Place de la Nation, percorrere Rue du Faubourg St. Antoine ed arrivare in Place de la Bastille. Da lì, entrare in Rue de Rivoli e giungere all’ufficio. Un tratto lungo, certo, ma abbastanza agevole. Accettai. Prima di mettermi in cammino, mi feci indicare la toilette. Qui, mi controllai i capelli, misi un po’ a posto il trucco e diedi una sistemata alla camicetta, che era stretta da una alta cintura di cuoio infilata su una gonnellona di cotone giallo chiaro, in stile provenzale.
Da lì all’ufficio di monsieur Gradaux, così si chiamava, fu una piacevole passeggiata: giunsi con i capelli un po’ meno composti, un fiatone leggero, e la testa vuota, emozionata come una scolaretta. Il palazzo che ospitava l’ufficio era splendido, antico, con grandi scaloni di marmo, il corrimano in ferro battuto, e un’atmosfera suggestiva. Ansante, giunsi al 3′ piano e suonai al campanello.
Mi aprì una signora raffinata,sui sessant’anni, in tailleur blu modello Chanel, i capelli biondo cenere legati in una piccola crocchia, alcune collane d’oro al collo. Mi sorrise, e io, nel mio penoso francese, le spiegai perché ero lì.
Lei sorrise ancora, e mi condusse all’interno dell’ufficio, verso una grande porta di mogano. Bussò, mi introdusse nella stanza. Monsieur Gradaux era un uomo di età un po’ vaga, poteva avere tra i 55 e i 70 anni. Era alto, robusto, aveva baffi grigi molto ben curati, un abito gessato dal taglio costoso, una risata spontanea, e la bellissima voce che avevo udito al telefono. Sedette su una poltrona in cuoio, molto elegante, in una sorta di salottino a due posti.
Mi fece accomodare di fronte a lui, e cominciammo a parlare. Io ero un po’ tesa, ma lui seppe farmi sciogliere. Era gentile, aveva una risata calda, rassicurante, e mi disse che il mio francese era affascinante, perché lo parlavo già in modo corretto, pur essendo a Parigi solo da un mese e mezzo, ma aveva quell’accento italiano che lo rendeva assai intrigante.
Parlammo delle mie esperienze precedenti di lavoro ‘ minime, e glie lo dissi -, della mia capacità di comunicare, dell’essere convincenti con gli altri.
Io ridevo, rispondevo in modo civettuolo, mi toccavo i capelli. Quell’uomo mi piaceva, come mi piaceva l’idea di lavorare in una gioielleria. Avevo già deciso che avrei fatto di tutto per ottenere quel lavoro. Più di una volta, mentre parlavamo, mi ero portata la mano al seno, accarezzandomelo appena. Ero seduttiva, accavallavo le gambe, mi infilavo le dita tra i riccioli, mi toccavo il collo, mi passavo la lingua sulle labbra. Monsieur Gradaux finse per un po’ di non notare queste manovre, ma poi non ce la fece più e fece un commento sui miei capelli. ‘Sono stupendi ‘ mormorò ‘ una chioma ribelle, così nera, gonfia’, e poi, con un sorriso malizioso, aggiunse, a voce bassissima: ‘Chissà com’è la sua cosina’.
Disse proprio così, in italiano, ‘la sua cosina’.
Io finsi imbarazzo, ma ero eccitatissima. ‘Cosa mi chiede, monsieur”, mormorai. Lui capì che era ormai fatta, e insistette, mettendomi una mano sul ginocchio: ‘Me la faccia vedere, su’.’.
Non me lo feci ripetere due volte. Sollevai con grazia la gonna. Era lunga, oltre il ginocchio, molto francese, con balze e inserti in sangallo. Sotto portavo una mutandina in cotone bianco, che sentivo già umida per l’eccitazione. Mi alzai la gonna fino alle cosce e le aprii. Monsieur Gradaux sorrise e con la mano cominciò a risalire, piano piano, fino ad arrivare all’inguine. Poi si fermò. Sentivo il calore delle sue dita sulla pelle. Ero bollente, bagnata. Lui non si muoveva. Teneva la mano immobile, caldissima sul mio inguine, e mi guardava negli occhi. Io non ce la facevo più, lo volevo, e così inarcai all’indietro la testa, sospirando e chiudendo gli occhi. ‘Devi farmi vedere la cosina’, disse lui allora, con la voce roca.
Mi piegai leggermente in avanti e cercai l’elastico delle mutandine. Lui ora non guardava più il mio viso. Mi fissava tra le gambe, come ipnotizzato. Con gesti lentissimi, cominciai ad abbassarmi lo slip. Piano, piano, mentre i miei umori avevano già appiccicato il tessuto ai peli, li liberai di quel piccolo pezzo di stoffa e mostrai all’uomo il mio sesso, in tutta la sua splendente bellezza.
‘Hai una cosina selvaggia’, lo udii mormorare. Sorrisi. Ero pronta, aperta e bagnata. Lui mi guardava la fica, adesso, incantato. ‘Quanti peli’così ricci, neri’indomabili, ribelli’come i tuoi capelli”e sollevando gli occhi mi guardò in viso. ‘Come te?’, domandò.
Risi , e risposi che sì, un po’ ribelle lo ero anche io. ‘Ribelle, come una cavalla selvaggia e indomita’, mormorò, infilandomi un dito nel sesso. Sobbalzai, il tocco era deciso, senza esitazioni. Dita sapienti, di un uomo che sapeva come toccare una donna, e cosa chiederle. Mi stuzzicò la vagina con il medio della mano destra, mentre con la sinistra si liberava dei pantaloni. Quando si tolse anche le mutande, mi venne il dubbio che non fosse anziano come credevo: la sua erezione era vigorosa, aveva un pene lungo, bello sollevato verso l’altro, anche abbastanza grosso. Se lo guardò, soddisfatto, poi se ne accarezzò la punta. ‘Ti piace? Vuoi cavalcarlo per me, mia bella puledra selvaggia?’. Era l’invito che aspettavo. Mi alzai, sollevai la gonna e a mi avvicinai a monsieur Gradaux, che continuava a tenermi un dito nella fica. Ero pronta, smaniosa di sentire dentro quel bellissimo pene. Lo presi in mano, e allargando le cosce mi sedetti sulla poltrona e sull’uomo, infilandomi dentro il suo cazzo. Godetti subito: ero così eccitata, che bastò averlo dentro per sentire l’orgasmo arrivare. Lanciai un piccolo grido e mi piegai in avanti, verso il mio amante, per godere meglio, strusciandomi il clitoride su di lui. Lui rimase immobile, attese che il mio orgasmo terminasse, poi commentò, ridendo: ‘Mi hai sfruttato, eh? Porcona mia’ora però devi fare la brava, devi cavalcarmi bene’. Ero ferma su di lui, ancora sussultante per il piacere di prima. Aveva un accento fantastico, molto eccitante, parlava in un buon italiano ma con quella inflessione francese che lo rendeva così sexy’mi aprì la camicetta, sollevò il reggiseno e mi prese i capezzoli tra le dita. Li massaggiava delicatamente, li leccava, li succhiava. Sentivo dentro il suo pene, grosso, ma lui non si muoveva. Così, aiutata dal piacere che mi davano i suoi baci sul seno, cominciai a muovere le anche. Lui reagì subito, cominciando a spingere. Mi bagnai di nuovo, subito, l’uomo sapeva come muoversi, come procurarmi eccitazione. Ero spalancata, lui mi riempiva il sesso. Gli misi le mani sulle spalle e cominciai a salire e scendere sul suo cazzo, piano piano. Lui mugolava, mi leccava i capezzoli, mi palpava i seni. Scese con le mani lungo il mio corpo e mi prese per la vita. Io ero su di lui e lui mi dirigeva, aumentava e diminuiva la velocità del mio movimento. Era bellissimo, io avevo il sesso bollente, voglioso, ero caldissima e bagnatissima, cercavo già l’orgasmo, ma non volevo già smettere. Stavo scopando in modo meraviglioso, non ero mai stata sbattuta così bene. Lui mi penetrava a fondo, muoveva il pene dentro di me, avanti e indietro, stimolandomi il clitoride, il punto G, e poi spingeva di più, arrivava alla vagina. Mi guidava, mi eccitava. ‘Cavalcami, su’adesso”, mormorò, e io ubbidii. Stingendogli le scapole, cominciai a cavalcare, sempre più veloce, mugolando e sospirando, mentre il suo pene era lo strumento di piacere più perfetto che avessi mai avuto dentro. Lui mi prese per i glutei e aiutava la mia cavalcata, più a fondo, meno a fondo, e gridava: ‘Sì, scopami, mia bella puledra, cavalcami, vedi come ti faccio godere, la mia cavallona imbizzarrita, sì, brava, brava la mia puledra, senti che fica calda, sei la mia cavalla ribelle’. E mi scopava, come un pazzo. Eravamo sudati, esaltati, con gli occhi folli di piacere. Sentiii il calore al bacino giungere da lontano, e andai incontro all’orgasmo felice e pronta, come non ero stata mai. Godetti sorridendo, guardando negli occhi quell’uomo stupendo. Lui assecondò il mio piacere con colpi ben assestati, sorridendo anche lui, stantuffandomi da sotto, incoraggiandomi, e io gridai e piansi. Lui mi baciò sulle labbra, mi infilò la lingua tra i denti. Era un bacio profondo, quasi d’amore. Quando il mio battito cardiaco tornò normale, mi afferrò per i capelli, me li tirò dolcemente indietro e mormorò: ‘Ora è il mio turno, bella puledra, fammi godere’.
Mi sollevai su di lui e ripresi a cavalcarlo, stringendogli il sesso con i muscoli vaginali, sollevandomi e scendendo, sospirandogli sulle labbra. Durò poco: un minuto, poi anche lui si abbandonò al piacere. Gridò, mi strinse i seni tra le mani, e cominciò a venire, schiacciandomi su di lui, per sentire meglio la mia fica mentre la riempiva di sperma caldissimo. Godette anche lui sorridendo, una beatitudine estrema, mentre, in estasi, mi succhiava i capezzoli, come un bimbo che prendesse latte dalla madre. Gli avevo regalato un orgasmo altrettanto intenso quanto lui lo aveva donato a me, ed era una sensazione stupenda.
Il dopo fu dolcissimo, ci sbaciucchiammo, ci accarezzammo, giocherellammo coi i nostri corpi. Lui mi infilava le dita tra i ricci, mi accarezzava il volto. ‘Sei bellissima’, sussurrava, e poi mi mordicchiava il lobo, mi accarezzava il seno, e mi baciava il collo. Io ero felice come non mai, le sue mani calde su di me mi davano piacere, mi rassicuravano, e nel contempo mi eccitavano di nuovo. Mi passava le mani sui peli della vulva, ridendo, diceva che erano peli ribelli come me. Io ero bagnata, di nuovo, e avrei ripreso i nostri giochi, ma lui all’improvviso si scosse e si alzò all’improvviso: ‘Mon Dieux, ho un appuntamento’, gridò. Io ridacchiai e mi alzai, cominciando a raccogliere i miei vestiti.
Lui si rassettò e mi fissò, mentre mi rimettevo il cinturone in vita. ‘Sei veramente una cavalla indomita e selvaggia – mi disse, fissandomi negli occhi ‘ ma io ti domerò. Garantito. Il posto in gioielleria è tuo’.
Non sapevo cosa fare, cosa dire. Gli misi le braccia intorno al collo e lo baciai sul viso, ringraziandolo. ‘Mi chiamo Jean’: così replicò lui ai miei baci e al miei ringraziamenti. E poi aggiunse: ‘Nel privato, per te, sarò sempre Jean. Ma in negozio, sono monsieur Gradaux, ricorda, come tu per me sarai la signorina Vera. Bada: non ti ho dato il posto per le tue virtù amatorie, delle quali comunque approfitterò finchè tu ne avrai voglia, ma perché sei bellissima, educata, hai un buon francese e mi sembri un tipo adatto al commercio. Ma questo lo verificheremo nel tempo. Intanto, auguri, Vera. Benvenuta nel gruppo Gradaux’.
Mi abbracciò, e io mi sentiti felice, come non ero ormai da tanto, tanto tempo.

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