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Racconti Erotici Etero

Il mare scorre dai finestrini

By 10 Luglio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Di sfide ne ho fatte fin da bambina, quando da sola col fiato sospeso, m’accovacciavo a carponi lungo i binari, e scoprivo le gambe e m’alzavo la gonna. Era un fremito intenso ribelle e impunito, perché sapevo che non m’era concesso, era un segreto che covavo nascosto, tra le mie gambe scomposte e insolenti, che s’aprivano ad ogni fischio distante, che veloce avanzava perdendosi oltre. Che importava se era un locale o diretto a Parigi? Mi bastava che fosse pieno di gente, che sguardi che occhi mi vedessero dove, sentivo vero un istinto bollente.

Ora quel treno lo prendo ogni giorno, guardando il mare che scorre dai finestrini, lungo le onde di carezze vicine, della mia mano ammiccante che sale che sfiora, le pieghe di luce intermittenti dell’alba, la pelle del seno che bianco lo offro, che sfrontato mi preme e dà forma al vestito. Dietro i miei occhiali neri rinasco ogni volta, punto il mio sguardo fisso di fuori, lungo quegli alberi che si rincorrono storti, mentre accavallo le mie gambe più dritte, per essere bella unica e rara. Come signora che s’incipria la faccia, dentro uno specchio impolverato di rosa, di luce che gioca e fa solchi con l’ombra, da dove vedo quello che offro, quello che a caso mi lascio guardare, proprio nel punto dove scoprivo la gonna, dove dai vetri riconosco le case, i pali di luce che corrono contro, una bimba sfacciata che mostrava le gambe.

Poi a caso un’ombra qualunque, si siede accanto e mi sfiora la mano, e non capisce perché mi lascio guardare, senza conoscere almeno il suo nome, o dove sta andando a quest’ora dell’alba, senza una borsa una valigia una giacca. Gli viene naturale allungare una mano, slacciarmi il vestito scoprire il mio seno, strofinarlo sul viso sul naso la bocca, e morderlo ingordo goloso e cattivo, come da bimbo per sentirne il possesso, come da grande per averne ragione, per vederlo obbediente che si lascia aspirare, tutta la voglia che fa sudore e condensa, tutto il piacere che fa brividi densi, come in un sogno quando tutto è concesso, che sia di moglie sorella o d’amante, e l’uomo che succhia ha solo una bocca.

Per un momento mi guarda e lascia la preda, come un cane che crede d’avermi fatto dolore, e si pente e si scusa dentro attimi lunghi, vuoti distanti dove si perde l’incanto, d’una donna che chiede senza aprire la bocca. Ma lei afferra entrambi i suoi seni, per non farlo distrarre per fargliene dono, ed ancora e di nuovo lui li prende li lecca, per sentire il sapore di femmina calda, che scende e risale poi indugia e risucchia, nell’infinita ricerca di farla godere.

Sento il suo respiro intorno al piacere, baci umidi e soffi di pelle increspata, baci di bocca che arrivano in fretta, di lingua che a tratti si ferma e riparte, e m’asciuga e mi bagna in un incredulo giorno, che nasce e poi muore dentro questo vagone, di stazione in stazione d’odori e di pieghe, sotto il mio vestito di foglie e di fiori.

Vorrei dirgli’ ma che dico? Come potrebbe capire una donna, che da bimba scopriva il tesoro e la gonna, ed ora si lascia sgualcire le labbra, spostare la cinta che stingeva i suoi fianchi, per liberarla di quello che è pronta ad offrire. Intingo le dita dove mi schiudo e mi sfioro, le infilo più in fondo per coglierne il succo, l’essenza che mi fa battere il cuore, d’una bimba che corre insieme al suo cane, lo stesso profumo d’erba e calore, lo stesso fastidio d’ortica e mia madre, che chiamava distante il mio nome nel vuoto.

Sussulto e gli offro le gocce più dense, lui mi guarda e fa per aprire le labbra, verrebbe da dirgli che lo sono davvero, una ninfa di grazia una troia volgare, un regalo che viaggia su un treno all’alba, che porta al mare e mi porta distante. E’ mattino troppo presto per sapere se piove, per cogliere il sole tra le chiome dei pini, dentro le case che si svegliano piano, che corrono svelte dai vetri del treno. Ma io ho già tutto il calore che voglio! Lui mi lecca mi bagna sopra le dune, sopra la sabbia vergine e intatta, che bello che voglia lasciarle l’impronta, di due giovani amanti vestiti di bianco, che fanno l’amore senza cercare un po’ d’ombra, e lui urla la tocca e le strappa i capelli, come il vento che tira e fa la ruota alla gonna.

Chissà se è sposato se ha dei figli già grandi, se stamane ha lasciato una donna nel letto, se sopra questo treno ci passa mattine, e poi pomeriggi al ritorno più stanco, pensando ai risparmi che non bastano ancora, per una casetta col giardino sul fiume. Chissà se ha una figlia che si lascia baciare, accarezzare dal vento che asciuga le pieghe, immonde di sera dentro quelle preghiere, dove giuravo sincera e convinta, che un altro tramonto non m’avrebbe trovata, a spalancare le gambe al mondo che corre.

E’ bastato che mi guardasse, che uno spicchio di gonna s’alzasse. L’ho fatto apposta lo giuro per cogliere l’attimo, per spalancargli quegli occhi che sanno di mare, sanno di more di lamponi e di spine, che graffiano i seni e m’arrossano il ventre, e sanno di campo dove la terra m’avvolge, ed il grano mi copre e mi solletica dentro. Avrà gli stessi miei anni, la stessa incoscienza di fare l’amore, in questa carrozza di polvere e sporco, che ora si ferma e salirà altra gente, odori diversi che sanno di case, di latte e caffè e dopobarba da poco. Ma ora siamo soli e nessuno s’è visto, un treno per due come un letto di casa. Ora mi spoglia la gonna le scarpe.

Oddio mio, sono nuda! E se venisse qualcuno? Vedrebbe una bimba che recita a mazzi, canzoni che al tempo non avevano un senso, ed ora sanno di prostitute e signore, che donano rose in mezzo le gambe, che offrono latte a piccoli sorsi. Ora ha fretta mi prende. E’ proprio così che volevo e lo voglio, così che si prende una donna che s’offre, quando lungo la fronte si staglia la voglia, lungo le labbra si sborda il contorno! Sarò indecente chissà cosa vede, il gonfiore degli occhi stropicciati dal sonno, ma giuro che la prossima volta mi vesto e mi trucco, mi lavo i capelli col sapone di viole. La prossima volta? Che dico? Lui è l’attimo che consuma un ricordo, un lampo nel cielo che t’acceca la mente, una bimba insolente che scopre le gambe. Lui non esiste c’è solo l’odore, un’ombra che tra poco mi scopa, un impalpabile niente duro nel punto, che riempie la pelle e sazia l’istinto.

Ora lo sento sono morbida dentro, chissà se riesco a farlo felice, se davvero sono culla per l’amore che dice, per il sesso che sottovoce lo chiamo, col nome volgare che il desiderio m’impone. Sento il suo respiro farsi più corto, per istinto allunga le braccia e dice ti amo, e tocca mi tocca senza creanza, ancora stordito d’aver trovato due gambe, che docili s’aprono senza chiedere in cambio, nemmeno un nome per far battere il cuore, una ragione per essere certa, che stamattina davvero ho fatto l’amore. Oddio lo sento che spinge che scava, che raschia pareti che crede disfatte, ma che da anni non c’era che sabbia, che terra arida e brulla quando non piove, dove crepe profonde s’allungano storte, e nemmeno un uccello si riposa per ore.

Sarà passato un niente almeno lo penso, e già corre veloce e il fiato s’ingrossa, mi bagna mi lecca sotto i capelli, sa di me di seno di fica di more, sento sul collo che sta per venire, ‘oddio ti prego’ gli dico e l’imploro, ‘se solo potessi aspettare un momento, che il mio ventre si schiuda ed escano i sogni, le attese compresse dalle rinunce degli anni.’ Lo sposto lo confondo l’imbroglio, lui mi guarda si riprende e sorride, come un bambino che smette di piangere, come un vecchio che ha bisogno di cure, gli do le mie dita perché siano ciuccio, lui le succhia le morde le bacia, come se fosse la mia bocca che gode.

Lo vedo che freme non riesce a fermarsi, ritraggo la mano e lo sento che affonda, l’abbraccio lo stringo per sentirlo più dentro. ‘Oddio ti sento non smettere ora, corri dai senza pause e punti, stazioni e paesi dove non sale nessuno, cercami dove nessuno è riuscito davvero, a raggiungermi dove m’accovacciavo da sola, nemmeno i richiami di mia madre d’allora, che lenti arrancavano come lumache. Perché io correvo sai al primo fischio lontano, al primo passaggio di treno, lasciavo ogni cosa che stavo facendo, lungo i binari per ritrovarmi da sola, tra ciuffi di erba che solleticavano il ventre. Sono scappata per anni incontro al piacere, che m’arrossava l’anima di ribrezzo e vergogna, che mi dava la certezza che un giorno lontano, avrei preso quel treno senza sapere per dove.

Che importa tutto questo se ora ti sento? Tu non capisci tu lecchi e mi fotti. Che importa se mi guardi allibito? Se come ladra ti rubo brividi e pelle, se ora esplodo in un fragore di carne, di gambe, di mare che scorre? Eccomi ti prego non ci sono fermate, raggiungimi ora in questo momento. Urlo, tra le mie ossa mi svuoto, passa in piena un fiume che tracima voglia. Urlo, tra le gambe ti sento, ci sei t’accarezzo i capelli, m’infili la lingua, mi baci la bocca.’

Il mare scorre dai finestrini, d’un treno che scivola lungo i binari, lungo le onde di carezze vicine, d’una voce insistente che mi chiama signora. ‘Mi scusi. Questo treno non fa più fermate! S’era addormentata e ho pensato di svegliarla. Mi scusi tanto se mi sono permesso.’ Sorrido ma nei miei occhi lo stesso terrore, di quando mia madre mi veniva a cercare, e interrompeva per sempre quel sogno infinito, di bimba dabbene vestita di bianco, che s’alzava la gonna ed apriva le gambe, agli occhi del mondo, ad ogni passaggio di treno.

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