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Racconti Erotici Etero

Il mio signore non fa mai regali.

By 2 Gennaio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Ti ho visto arrivare da lontano: quel passo sicuro, lo sguardo fiero che punta sempre avanti a te. Difficilmente hai le mani in tasca: mi sembra quasi che tu voglia toccare il mondo prima ancora che il mondo ti sfiori: vuoi essere padrone della situazione, padrone di quello che ti circonda. Padrone di me. Scendi le scale che ti portano all’entrata della mia casa che indossi gli occhiali da sole: posso immaginare, anche dalla mia posizione, su cosa ti poserai non appena mi guarderai.
Ti attendo così, in ginocchio, le gambe divaricate. Totalmente nuda davanti all’uscio: &egrave così che vuoi che ti attenda, lo sguardo basso in atteggiamento remissivo, il collare al collo. Spalanchi la porta: vuoi che l’aria pungente di inizio novembre mi colpisca completamente e mi avvolga, come quel desiderio che so, stai respirando. Chiudi la porta e avvicini la tua mano alla mia bocca. La mia lingua ne percorre il profilo, le mie labbra l’avvolgono con golosa voracità. Non oso alzare lo sguardo, posso solo immaginare come tu sia vestito. L’altra mano, fredda dell’autunno ormai inoltrato, si posa sulla mia schiena e mi provoca un lungo brivido. Non so dire se sia l’eccitazione del momento, l’effetto che la tua presenza, mio signore, ha su di me, o lo sbalzo di temperatura, ma tutto il mio corpo &egrave percorso da un fremito profondo. La mia bocca &egrave ancora sulla tua mano destra’ Ora vuoi che riservi lo stesso trattamento anche alla sinistra ed anche lei &egrave presto dentro di me. Con calma, oggi non abbiamo fretta. Hai un buon sapore, devi avere lavato le mani prima di uscire di casa. O prima di arrivare da me, non so dove fossi prima di varcare la mia soglia. Sono baci lenti e profondi quelli che ti dedico, morsi leggeri e audaci quelli che ti riservo. Sento che mi stai guardando e che, forse, stai sorridendo. Fai un passo indietro e mi chiedi di alzarmi in piedi. Non porto tacchi, oggi: sono di fronte a te e percepisco tutto il mio corpo, in ogni fibra del suo essere. Ecco cosa i tuoi occhi sono capaci di farmi, ecco perché non sono in grado di opporre resistenza. Vuoi che ti guardi mentre ti togli gli occhiali, mentre sfili via la giacca e rimani solo con la camicia: quella bianca, che sai mi fa impazzire. Disegni il contorno delle mie spalle con le dita, correndo lungo il petto e poi sul mio capezzolo. E’ il tuo modo di salutarmi, di darmi il benvenuto nel tuo mondo. Lo stringi, torcendolo ed ogni volta, per me, &egrave come se fosse la prima volta. Alzo la testa, perché non mi abituerò mai a questo trattamento. E tu mi ripeti, con voce tagliente, ‘devi imparare a stare ferma. Te l’ho già detto’. Così mi prendi per i capelli e mi costringi a inginocchiarmi. Afferri il collare che indosso e mi conduci in sala. Le luci sono spente, e tu accendi quella sul tavolo. Vuoi che veda tutto, ma allo stesso tempo non vuoi che i nostri occhi siano distratti da una luce troppo invadente. Ti accomodi sul mio divano e rimani in attesa. Io sono davanti a te, pronta a scattare a un tuo ordine. A un tuo desiderio. Stai decidendo che cosa fare di me, lo avverto, anche se non me lo dici. ‘Il tuo signore &egrave stanco’, dici all’improvviso, rompendo il silenzio. ‘Sono sicuro che un massaggio ai piedi sarebbe l’ideale per riprendermi’. I tuoi occhi sono giudici di ogni mio movimento, di ogni mia piccola esitazione. Ma io non cedo, non esito. Non voglio darti la soddisfazione di avermi colto in fallo. ‘Posso usare anche le mani, mio signore’? ti domando con dimessa umiltà. ‘Si’. E’ solo una parola quella che mi dà il via. Mi avvicino alle tue scarpe e con studiata lentezza le slaccio. Lentamente. Voglio sentire i lacci che mi scivolano fra le mani. Inizio da una scarpa, che allontano con cura, perché ti appartiene. Sfilo via anche il calzino, rigorosamente blu. Avvicino il mio viso al tuo piede nudo e inizio a leccarlo con voracità. Ha un odore forte, intenso, ma non fastidioso. Assaggio ogni dito, il meraviglioso collo, il tallone, fino a salire su verso la caviglia. Non mi servono le mani ora, così le appoggio a terra. Non riesco a non immaginare la scena ‘dall’esterno’, guardandomi praticamente sdraiata a terra, con il sedere verso l’alto e la mia bocca intenta a procurare refrigerio ai tuoi piedi. Sento che ti piace, perché mi chiedi di non smettere. Non posso farlo, perché c’&egrave anche l’altro di cui prendersi cura. Mi dedico anche a lui, fratello gemello di piaceri ed eccitazione. Sempre nella stessa posizione, sempre con il mio sedere rivolto verso l’alto. So che questo ti eccita, ti distrae, ti lascia immaginare di poter fare di me e del mio corpo ciò che più ti aggrada e ti compiace. ‘Ora basta’, dici dopo un tempo che non so quantificare. ‘credo tu ti sia rilassata abbastanza’. Mi chiedi di alzarmi. Vuoi vedermi in piedi davanti a te. Provo a sostenere il tuo sguardo, ma la tua mano abbassa la mia testa ‘non dimenticare mai che io sono il tuo signore e tu mi devi il rispetto che merito’. Quella frase mi fa pensare, ma non voglio perdere la concentrazione, non voglio distogliere la mia attenzione. Ti alzi, mi giri attorno e infili un dito nella mia intimità. ‘Sei bagnata. Sei calda. Sei eccitata. Molto bene, questo faciliterà le cose’. Non so a cosa ti riferisci, ma sono pronta a provare. Mi chiedi di avvicinarmi al tavolo della sala e di appoggiarmi lì. Le mani distese sul tavolo, il sedere in fuori. ‘Culo in fuori’. Sai che non amo le parolacce e io so perché lo hai detto. Lo accarezzi con cura, con passione. E poi sento che un dito si insinua. Questa &egrave una cosa che mi spaventa, e tu lo sai. ‘Rilassati, mi sussurri’ Vedrai quanto ti piacerà’. Il tuo dito impertinente corre addosso a me e scivola veloce nella mia intimità. Capisco così che lo stai lubrificando a dovere per farlo entrare da qualche altra parte e così &egrave’ Sento che prova a forzare il mio buchino, che all’inizio oppone una netta resistenza. Ma le tue mani conoscono l’arte sapiente della pazienza ed &egrave così che lentamente, senza fretta, varchi la soglia e sei dentro. Non so dire cosa provo, ma so che, nonostante l’iniziale fastidio, quello che sento mi piace. Dopo averlo estratto lo porti alla mia bocca: ha un sapore diverso da quello dei miei umori, un sapore più deciso, ma non sconveniente. ‘Desidero che ti abitui a questo’ voglio che quando arrivo, tu sia già pronta per me’. Ecco allora che appoggi sul tavolino davanti a me un plug, trasparente di dimensioni relativamente piccole. Mi chiedi di inserirlo, da sola, mentre tu guardi quello che faccio, ogni mio movimento. Sembra una cosa naturale, ma i tuoi occhi indagatori e folli eccitano ogni particella di me. Per inserirlo, dopo averlo lubrificato, devo essere molto paziente e lasciarlo scivolare con attenzione. So che tu stai guardando il mio ano che si dilata, la mia intimità che si ingrossa. Ti sei seduto su una sedia, non vuoi perdere nemmeno un fotogramma di questo spettacolo, che &egrave tutto per te. Il plug &egrave più grande di un dito, non &egrave così semplice farlo entrare. Provo a farlo ruotare, ma &egrave come se ci fosse qualche cosa che fa resistenza. ‘Io non ho fretta’, sussurri suadente. Sento che stai sorridendo. Io non so se provare più vergogna per quanto mi trovo esposta ai tuoi occhi o più eccitata, perché voglio farlo e voglio che tu ti goda lo spettacolo.
Mi sto innervosendo, perché non riesco a inserirlo con facilità e non posso guardarti, mio signore, per trovare la conferma che sto facendo bene. All’improvviso appoggi la tua mano sulla mia schiena. La tua voce &egrave così dolce e comprensiva che credo di potermici perdere. ‘Respira’. E rilassati’. Sento che l’altra mano afferra il plug e inizia a forzare e come per magia il plug supera ogni resistenza ed &egrave dentro di me. E’ un dolore forte quello che provo che però passa in fretta. La tua mano, artefice del ‘miracolo’ &egrave pronta a sfiorare la mia intimità per assaggiare quanto io sia eccitata al pensiero di avere dentro di me un oggetto: &egrave la prima volta. Mi chiedi di camminare, per sentirlo aderire a me. E’ una sensazione strana: mi sento grande all’improvviso, sento di avere superato un limite.
Mi chiedi di sedermi sul divano e di allargare le gambe. Da davanti non si vede praticamente nulla, se non un rigonfiamento delle pareti. ‘Che sensazione si prova a sentirsi così pieni?’ mi chiedi. Io non so spiegarlo, mi sento allo stesso tempo impacciata e bellissima. ‘Pieni così” e mentre parli le tue dita si insinuano dentro di me e mi strappano un urlo di piacere. Mi scivoli dentro e fuori con velocità, toccando le grandi e piccole labbra, sfiorando il clitoride che riluce di splendore. Non riesco a rimanere ferma come tu vorresti ed &egrave allora che le tue mani mi bloccano le cosce e la tua bocca si avventa su di me. Vuoi farmi godere, non vuoi che io resista. La tua lingua &egrave l’estasi per i miei sensi e le tue mani che mi bloccano mi fanno perdere il contatto con la realtà. Sono piena, riempita e pronta ad esplodere ed &egrave la punta della tua lingua a liberare u orgasmo potente e profondo. Mi sento come un fiume in piena che non riesce a smettere. Il piacere arriva a ondate inarrestabili che non riesco a controllare. Mi sento squassata dall’interno, vorrei gridare ma la tua mano &egrave sulle mie labbra. Continui a sfiorarmi anche quando l’orgasmo sta arrivando al termine. Fa quasi male, ma tu continui. Non ti fermi. Ho il fiatone per quanto mi sento esausta, svuotata, appagata. Se non ti conoscessi, direi quasi che hai voluto farmi un regalo gratuito. Mi lasci così sul divano, senza la forza di muovere un muscolo. Mi guardi, mi osservi e mi lasci tempo. Ho la testa che gira e le braccia che formicolano, ma so che non &egrave finita qui. La tua bocca &egrave molto vicina alla mia ‘adesso &egrave il tuo signore che vuole godere’.’
‘adesso &egrave il tuo signore che vuole godere’.’ Questa frase mi giunge da lontano, come da un’altra dimensione. Il mio corpo &egrave ancora pieno di quell’orgasmo a lungo desiderato e portato all’estremo. Sento gambe e braccia intorpidite e ti basta uno sguardo per capirlo. Ti allontani da me giusto il tempo di prendere dell’acqua fresca ‘ ci tieni molto al fatto che io beva ‘ e me la fai sorseggiare, lentamente. Mi chiedi se sto bene, se ce la faccio a mettermi in piedi. Ti guardo e ti sorrido, quel cenno di dolcezza inaspettato mi ridà nuovo vigore. Il pensiero che tu possa andare via insoddisfatto, non appagato, non orgoglioso della tua sottomessa &egrave una vergogna troppo grande per me. Ti sorrido di nuovo, ti dico che sto bene. Mi guardi e nei tuoi occhi c’&egrave qualche cosa di ancora nuovo per me, che non riesco a comprendere del tutto. Mi prendi per mano, mi fai accomodare al centro della stanza. Mi chiedi di inginocchiarmi di nuovo e di attendere lì, in quella posizione. Le ginocchia mi fanno male, ma non voglio cedere. Sento i tuoi passi muoversi nella mia casa, fra le mie cose e penso che tutto qui sa di te. Quando ritorni, la sola cosa che posso vedere sono i tuoi piedi nudi e bellissimi, che contrastano con il parquet del mio salotto. Li porti proprio vicini alle mie ginocchia. Con una mano, alzi il mio mento, affinch&egrave io ti possa guardare negli occhi. ‘Adesso tu farai esattamente quello che io ti dirò. E’ chiaro?’. Non c’era molto da discutere, la mia risposta &egrave un sussurro lieve ‘si, mio signore’. ‘Brava bambina’. Ti inginocchi anche tu di fronte a me e vedo che nell’altra mano ci sono dei cubetti di ghiaccio. Sai che sono molto sensibile al freddo. Me li passi prima sulle labbra, disegnandone il contorno. Poi &egrave la volta del collo; avverto le prime gocce colare lungo il petto, sulla pancia, rimanere in bilico nella piega dell’ombelico. E’ un contrasto imprevisto quello del ghiaccio e delle tue sapienti mani che mi corrono addosso. Avvicini i cubetti di ghiaccio ai miei seni, ai miei capezzoli, che all’improvviso lasciano esplodere tutta la loro sensibilità. Adori vederli cambiare forma, colore. Adori vederli rigonfi del loro turgore e sapere che sei stato tu a provocare in loro quella reazione. E’ una lenta tortura quella che mi stai dedicando: all’improvviso inizi ad alternare al ghiaccio delle piccole schicchere, precise e meticolose, che mi fanno sobbalzare. E’ come se mille spilli mi colpissero addosso: tutti i miei sensi sono all’erta, mi sembra che il dolore e il piacere si propaghino paralleli dentro di me. Sorridi. ‘Ma che capezzoli sensibili che abbiamo’, mi ripeti’ ‘Tutti da leccare’ mordere’ succhiare’. E’ il modo in cui pronunci queste parole che mi fa fremere’ Sai che con me la parola, l’intenzione, l’emozione, l’immaginazione hanno un potere ben più forte che l’azione stessa.
Prendi i miei capezzoli fra le dita e la tua bocca &egrave l’arma per rendermi vulnerabile. Le tue labbra succhiano con avidità, alternando piccoli morsi e strette possenti. Le mie ginocchia vacillano, ma ho promesso di fare tutto ciò che avresti ordinato. E desidero che il tuo piacere sia intenso, totale. Lasci che il ghiaccio mi si sciolga addosso, completamente, affinch&egrave le gocce disegnino sul mio corpo astratte immagini. Sempre in ginocchio mi conduci verso il divano, nuovamente, sul quale ti accomodi con cura. ‘Adesso mi farai godere’. Mi bastano queste quattro parole perché la mia mente inizi a vorticare. Mi hai regalato un orgasmo inaspettato e incredibile e io, mio signore, non desidero essere da meno. Ti domando se posso usare le mani per sfilarti via i pantaloni, o se preferisci che usi solo la bocca. ‘SOLO LA BOCCA. Sarà più divertente.’ Mi avvicino al bottone dei pantaloni per slacciarli ma tu mi fermi. Non volendo, ti ho servito una grande idea su un vassoio d’argento, e così, con un gesto elegante, ti sfili la sciarpa che hai ancora intorno al collo e leghi le mie mani dietro alla schiena. Non &egrave un nodo stretto, ma &egrave un nodo che mi impedisce totalmente di utilizzare le mani e le braccia. ‘Ora sei perfetta. E bellissima’. Sono in ginocchio davanti a te, nuda, con le braccia legate dietro la schiena e gli occhi bassi. Adesso mi dai il permesso di accostarmi al bottone dei pantaloni e grazie a un colpo di fortuna riesco ad aprirlo agevolmente. Per fortuna indossi un paio di pantaloni con la lampo, il che facilita le operazioni. Mi stai permettendo di sfiorarti con la bocca, con le labbra e sento dai tuoi movimenti impercettibili che ti piace, che vuoi che continui e che non smetta. Lentamente, con la stoffa fra le labbra, tiro giù i lembi: sollevi il bacino per permettermi di sfilare via tutto e lentamente, senza rischiare di farti male, finalmente sfilo via i pantaloni. Stesso trattamento riservo ai boxer, non prima di essermi soffermata su di te, per annusare il tuo odore. La tua erezione &egrave già visibile e questo mi riempie di orgoglio e di fierezza. E così avvicino le mie labbra a te e accolgo la tua intimità nella mia bocca. Ti sento gemere, capisco che lo desideravi, che ne avevi una voglia incredibile. Ti succhio, ti lecco, ti mordo. Il tuo turgore si fa prepotente nella mia bocca, lo sento crescere e muoversi, ma voglio donarti qualche cosa che non ho mai fatto. Adesso &egrave la mia lingua che gioca con la tua erezione: si sofferma sulla punta e sul contorno, scende verso la base e verso i testicoli, nella parte di sotto. Indugia sugli inguini e ancora sotto e capisco che &egrave un punto delicato per te. Lo capisco perché ti fai avanti con il bacino. E’ quello il tuo modo di dirmi che ti piace. E’ quello il tuo modo di dirmi di non fermarmi. La mia lingua si fa curiosa e dispettosa: avanza prima con la punta, per scoprire mondi inesplorati, poi con tutta la superficie, per donarti piacere e godimento. Vado sempre più giù, sempre più in profondità, fino a raggiungere il tuo buchino. E’ stretto, ma umido. E allora &egrave lì che la mia lingua si sofferma e ti sento gemere senza ritegno e ti sento contrarre e rilassare i muscoli.
Capisco di avere fatto centro e allora proseguo, senza sosta, respirando a fatica vista la posizione e il punto in cui mi trovo. Continuo a leccare e a succhiare e mi accorgo che stai perdendo i freni inibitori. Gemi, ansimi, ti muovi e capisco troppo tardi quello che sta per succedere. Lo capisco solo quando sento qualche cosa di molto piccolo e morbido cadere sulla mia lingua e dentro la mia bocca. E’ un lampo e mi sento soffocare. Con una voce profonda mi chiedi di ingoiare e io lo faccio, mentre calde lacrime escono dai miei occhi. Mi chiedi di aprire la bocca, per vedere se ho fatto quanto hai ordinato e sulla mia lingua non c’&egrave più traccia di niente. E’ allora che esplodi in un orgasmo violentissimo e sento i tuoi umori nella mia bocca, sulle mie labbra, addosso a me. Non credevi ci sarei riuscita. Ho ingoiato tutto di te, oggi. E’ successa la cosa più intima e personale che ci sia. Mi guardi, ancora con il fiatone. Prendi il mio viso fra le mani: con i pollici asciughi le mie lacrime e lasci cadere un tenero e lungo bacio sulle mie labbra.
Un dito scivola su di me, lungo i miei fianchi fino a raggiungere la mia intimità: entri dentro di me mentre mi baci, scivolando senza difficoltà. ‘Sei un lago’ un bellissimo lago’. E portando un dito alle mie labbra, lasci che io lo lecchi e poi mi baci ancora.
Dopo quel giorno ho avuto bisogno di tempo. Tempo per pensare, tempo per elaborare quello che era successo. Non ero pronta al tuo dono. Non ero pronta a sentire nella mia bocca, dentro di me, quello che mi avevi regalato di te. Allo stesso tempo, avvertivo una vicinanza, uno scambio, un’intimità senza pari. Adesso conosciamo tutto, l’una dell’altro, pensavo, e nonostante questo ‘o forse proprio per questo- siamo ancora qui. Il giorno successivo mi hai domandato come mi sentissi: la verità &egrave che non lo sapevo, non lo riuscivo a razionalizzare. Sentivo ancora quell’odore, quel sapore, che più cercavo di respingere, più invece cullavo dentro di me, perverso e meraviglioso meccanismo. Guardandomi allo specchio potevo vedere una luce diversa nei miei occhi: la luce di chi ha compreso, di chi ha accettato, di chi vuole sentirsi donna, di chi finalmente si vede tale.
Ma i giorni passavano, e il mio signore mi sembrava sempre più lontano e distante. Pochi messaggi. Zero incontri. Il mio corpo ardeva di desiderio e le provavo tutte pur di poter lenire quella mancanza che, di ora in ora, mi urlava dentro come un rombo di tuono. C’erano momenti in cui mi chiedevo se ti potesse giungere l’eco dei miei pensieri, perché mi sembrava fare così tanto confusione che mi pareva impossibile che tu non lo sentissi. Ho temuto, seriamente, che il mio signore mi avesse abbandonata, senza una spiegazione, senza un chiarimento. Non ero abbastanza femmina per lui? E poi quel messaggio arriva, in un giorno che sembra uguale a mille altri giorni ed io sento il ventre contrarsi dall’emozione e dal piacere. Il mio signore &egrave oltre la porta: mi basterà aprirla e lui sarà qui, in casa. Sa che può farlo, sa come mi troverà. Nuda, pronta, con il collare al collo. Ed &egrave così che lo accolgo. E’ su di me in un attimo, ma c’&egrave una sorpresa che non avevo considerato. Siamo vicino a Natale e il mio signore ha un regalo per me. Si tratta di un collare nuovo, nero, con dei piccoli brillanti. E’ diverso da quello che indosso di solito: questo &egrave un collare vero. ‘L’ho comprato in un negozio apposito, spero che ti piaccia. Indossalo, per favore’. La sua voce &egrave come miele nero per me’ Mi basta sentirla che già una cascata di umori permea le mie cosce. ‘Mio signore, se posso osare’, dico io con un coraggio che non ricordavo di avere. ‘Mi piacerebbe, se posso dirlo, che fossi tu a togliermi il vecchio collare e a mettermi quello nuovo. Ci terrei’. I miei occhi sono sempre bassi, ma lo sento sorridere. Questo suggerimento da parte mia lo eccita, lo alletta: lo sento dal respiro cambiato, lo sento perché sa che, dopo avermi agganciato il collare nuovo, la mia appartenenza a lui sarà totale. Mi porta davanti allo specchio e mi fa vedere la mia immagine. Sul momento ho difficoltà a riconoscermi: chi &egrave quella donna estremamente sensuale riflessa? Tutto di lei risplende, tutto di lei ha il sapore della femminilità. Mi guardo e non riesco a trattenere un grido. ‘Sei bellissima’. Mi dice così e mi bacia a lungo, con forza. Sento le sue mani corrermi addosso, scrutarmi e desiderarmi ancora. Non saprei dire come sono arrivata sul divano della sala. So che quel giorno il contatto con il pavimento &egrave stato diverso dal solito. Ero io a sentirmi diversa dal solito: quel collare così animalesco ma terribilmente sexy mi faceva sentire una pantera nelle mani abili e sapienti del suo cacciatore. Mi chiese, senza troppi preamboli, dove avessi messo gli oggetti che mi aveva ordinato di acquistare qualche giorno prima. ‘Conosci il cassetto’, &egrave stata la mia risposta. Tesi le orecchie, per sincerarmi che avesse capito il mio riferimento e lo sentii rientrare in sala dopo qualche istante.
– ‘Hai fatto una scelta interessante per la tua prima frusta, l’hai sperimentata?’ mi chiese il mio signore tenendo fra le mani una frusta completamente nera, composta da un manico rigido e delle cinghie di cuoio, anch’esse nere.
– ‘No mio signore’, risposi io con un luccichio negli occhi ‘volevo che fossi tu il primo. Tu mi insegnerai. Tu mi guiderai, se lo riterrai opportuno’.
Il primo colpo quasi non lo sentii, e dentro di me ringraziai della scelta fatta. Sentii l’aria vibrare e poi un leggero colpo sul sedere, apparentemente impercettibile. Ma i colpi continuavano, e più andavano avanti più la mia pelle si mostrava sensibile alla maestria del mio signore. Colpi forti, decisi, ora leggeri, ora continui, ora ancora più forti. E sempre lì, sempre sullo stesso punto, fra il fianco e la natica destra. Io contavo, cercando di restare immobile, ma dentro di me affioravano mille sensazioni. Sentivo i miei caldi umori colare lungo le cosce, avvertivo il desiderio dirompente di essere posseduta senza poterlo domandare. La mia pelle iniziò a cambiare colore: al suo naturale candore si sostituì un rosso intenso, con striature profonde, più scure.
Furono 184 colpi, in tutto. Me ne aspettavo 130. La mia eccitazione era palpabile, quasi quanto il mio dolore. Volevo piangere, urlare, ma allo stesso tempo avvertivo un piacere immenso, che saliva dal basso e mi conquistava tutta. Volevo la sua lingua addosso, che lentamente percorresse il mio corpo e andasse a lenire i segni. Volevo sentire la sua saliva, la morbidezza delle sue labbra, la brezza del suo lieve respiro sul mio corpo.
– ‘Sei stata brava’, mi disse ‘per essere la prima volta. Sappi che il tuo signore &egrave molto orgoglioso di te’. A queste parole tirai indietro la testa: mi sentii percorrere da un lungo brivido e istintivamente portai una mano fra le cosce.
– ‘Ferma. Non provarci nemmeno. Ho un regalo per te’. , pensai. Dalla giacca tirò fuori una scatolina verde, che non osai guardare: ero completamente combattuta fra la curiosità di alzare lo sguardo e il desiderio di non contrariare la mia naturale e doverosa sottomissione a lui. Fu così che estrasse un oggetto che non avevo mai visto, ma di cui compresi in fretta l’utilizzo: si trattava di morsetti, legati fra loro da una catena. Non aveva terminato con le sorprese. Sempre dalla giacca estrasse dei pesetti di acciaio. Provò più volte a stringere i morsetti alle mie grandi labbra, senza troppo successo. ‘Sei troppo bagnata’, mi disse. ‘Sei terribilmente e meravigliosamente bagnata’, aggiunse e con le dita esplorò la mia intimità facendomi fremere di piacere e di desiderio. Le sue dita indugiavano dentro di me scavando, sfiorando, lentamente picchiettando ed io mi sentivo completamente in suo potere. All’improvviso, decise di interrompere questo meraviglioso trattamento per dedicarsi ai miei capezzoli.
– ‘Voglio vederli turgidi, voglio vederli dritti e rossi, voglio sentirti godere alla sola idea di ciò che sto per farti’. Fu così che agganciò i morsetti ai miei capezzoli, stringendo le viti per tenerli ben saldi e cominciò ad attaccare un peso alla volta. ‘Voglio che i tuoi capezzoli siano tirati, voglio vederli ardenti di desiderio, voglio tormentarli a dovere’. Ogni parola era per me un’incredibile estasi, avrei voluto che non finisse mai. Riuscì ad attaccare tutti i pesi, iniziando anche a tirare la catenella verso il basso. Lasciai andare un grido, un misto di dolore e di piacere, acuto, intenso. Ed in un secondo, quando i miei capezzoli gridavano pietà, il mio signore strappò via i morsetti e si avventò con le sue labbra su di me, sul mio seno gonfio e desideroso, sulle areole rosse e ardenti. Non saprei descrivere che cosa provai in quel momento: la sensibilità era alle stelle ed il semplice contatto con la sua lingua mi provocò un orgasmo che non riuscii a prevedere. Né a fermare. Ero scossa da mille brividi, sentii le gambe cedere e mi inginocchiai davanti a lui.
– ‘Bene, bambina. Adesso &egrave il mio turno’.
Ancora vibrante di piacere e di desiderio, fui molto rapida a sfilare via i pantaloni e i boxer, che liberarono un’erezione massiccia. Il membro del mio signore desiderava essere accolto dalle mie labbra, essere accarezzato dalla mia lingua, essere solleticato dalla mia fantasia. Ed io non mi tirai indietro. Volevo che il suo godimento fosse totale: volevo dimostrargli la mia gratitudine e iniziai a sfiorarlo fra gli inguini, sulla punta del pene, che già luccicava di umori. Scesi per tutta la lunghezza, giocai con i testicoli aiutandomi anche con le mani, fino a raggiungere il buchino. Il grido animalesco che lasciò andare mi indicò di essere sulla giusta strada. E leccai, mi infilai, mordicchiai: e più leccavo più sentivo le contrazioni del suo sfintere intensificarsi. Stava godendo profondamente ed io non desideravo altro che liberasse un orgasmo da troppo tempo sopito. In un attimo mi chiese di sdraiarmi a terra: sapevo già che cosa stava per accadere, questa volta ero pronta. Prima che il suo orgasmo fosse totale, sentii una massa solida e tiepida scendermi in bocca e allo stesso tempo lo sentii gridare ‘sputala, voglio vedertela addosso’. Io non capii molto di quello che accadde dopo’ Mi sentii inondata del suo liquido, e compresi che era venuto con violenza, con desiderio, con eccitazione. Sentivo ancora il suo sapore dentro la mia bocca e sapevo di essere cosparsa del suo umore appena espulso: ce lo avevo sul viso, fra i capelli, sul seno.
Rimasi a terra, sfinita, sena forze. Non riuscivo a muovere un muscolo, tanta era stata la tensione liberata all’istante, l’adrenalina che si era scatenata nei nostri corpi. Lo sentii chinarsi su di me, con un bicchiere di acqua che portò alle mie labbra. ‘Sei stata incredibile’. E con questo collare sei uno splendore di femmina. Una meraviglia di donna’.
Il giorno successivo al nostro incontro avevo appuntamento con l’estetista. Sentivo tutto il mio corpo indolenzito e sofferente, ma non avevo la benché minima idea che i segni sul mio corpo fossero ancora così visibili. Di solito, la mia pelle riprende in fretta il suo color latte. Quel giorno, invece, il mio sedere e le mie gambe erano ricoperti di striature violacee e rosa, segno inequivocabile che qualche cosa doveva essere successo. ‘E ora come diavolo ci vado dall’estetista, conciata così’?
L’idea che qualcuno potesse vedere e toccare con mano i segni di quanto accaduto la notte precedente mi agitava e mi eccitava allo stesso tempo. Avrebbe capito? Mi avrebbe fatto delle domande? E io’ che diavolo avrei potuto rispondere? Anche la doccia fu una faccenda complicata quel giorno: la spugna sfregava sulla pelle dolorante, l’acqua calda un dolcissimo tormento su quei segni. Più cercavo di essere delicata, più la mia pelle riportava alla memoria quello che era accaduto il giorno precedente: i colpi, i gemiti, i lamenti, il godimento pieno e oscuro per il quale, al solo pensiero, ancora correva un lungo brivido sulla schiena. Anche il contatto con l’accappatoio era per me fonte di dolore: nonostante la grande quantità di crema lenitiva, la pelle proprio non voleva saperne di sentirsi più sollevata.
E ora, la mia estetista che cosa avrebbe pensato di me? Avrebbe certamente fatto delle domande, e io che cosa le avrei potuto rispondere?
Questo pensiero mi tormentava e mi faceva sentire totalmente esposta. Allo stesso tempo, però, ero pervasa da una profonda eccitazione: solo sottoponendomi alla ceretta quindicinale lo avrei scoperto. Il tragitto con il motorino sembrava non finire mai. Arrivai puntuale, come tutte le volte e suonai il campanello. La mia estetista mi aprì, con il solito sorriso. Mi chiese di spogliarmi e di accomodarmi sul lettino. La procedura era sempre la stessa: prima la parte anteriore, poi la parte posteriore. Avevo ancora tempo, quindi, per pensare a qualche cosa che fosse convincente circa i segni che avevo addosso. Mi sdraiai sul lettino, che lei aveva scaldato per me e iniziò a stendere la cera sulle gambe e a rimuoverla con le strisce, con il suo tocco deciso che si portava via ogni pelo dal mio corpo. Lei sa che amo una ceretta accurata e approfondita, in questo ci siamo proprio trovate.
Diversamente dal solito, una volta finita la parte anteriore del corpo, mi chiese di girarmi. ‘E l’inguine’? chiesi io quasi impaurita.
– ‘Oggi abbiamo fretta eh” mi rispose lei, con un sorriso. Ormai non potevo più temporeggiare, dovevo per forza voltarmi e avrei affrontato le sue domande’ Qualche cosa in mente mi sarebbe venuta! Così mi voltai. Con calma, e senza apparente stupore, semplicemente mi chiese:
– ‘Che cosa ti &egrave successo qui?’
– ‘Una brutta caduta su una discesa’. Fu tutto quello che riuscii ad inventarmi sul momento, sebbene ci avessi pensato e ripensato.
Lei non disse nulla, ma fu molto più gentile del solito nel portare via i peli dal mio corpo. Ogni strappo era un tormento, ma ogni strappo riportava alla memoria le sue mani, quella frusta, quei gemiti. Mi sembrava di riviverli ancora e mi rendevo conto che mi stavo bagnando. Ma adesso era la volta dell’inguine’ non potevo permettermi una simile distrazione!
Vidi la mia estetista allontanarsi un momento per andare nell’altra stanza, e la vidi tornare con una spatola molto più piccola del solito. ‘Ecco’, mi disse ‘oggi useremo questa’.
Lentamente, cominciò a stendere la cera sugli inguini, indugiando in maniera diversa dal solito. Il suo contatto, diversamente dalle altre volte, mi provocava dei brividi che non sapevo spiegare. Non era la stessa estetista di sempre e il modo in cui mi stava facendo la cera ne era la chiara testimonianza. Strappo dopo strappo si stava avvicinando alle grandi labbra che, lo volessi o meno, erano ricche di umori. La vidi sorridere e non dire nulla, continuando intenta nel suo lavoro. A lavoro terminato, feci per alzarmi, ma lei mi disse di voltarmi ancora, di divaricare un po’ le gambe, appena appena, che mi avrebbe fatto un massaggio con l’olio, visto che avevo le gambe molto irritate a causa della ‘caduta’.
Mi sdraiai, decisa a rilassarmi il più possibile e chiusi gli occhi. Sentii le sue mani calde sui miei piedi, sulle caviglie e sui polpacci massaggiare ogni fibra del mio corpo con lentezza e con dedizione. Mi diceva di rilassarmi, di non pensare a niente, che sarebbe stata lei a occuparsi di me.
Mi coprì i polpacci con un asciugamano bianco e caldo, per risalire lungo le cosce. Le sue mani coccolavano la mia pelle e il contatto con le ferite era doloroso e pieno di godimento allo stesso tempo. Nella mia mente si sovrapponevano due immagini: il mio signore con la frusta, il suo sguardo, i suoi colpi, le sue mani, e le mani di questa donna alla quale stavo permettendo di occuparsi di me’ Di toccare quello che solo il mio signore poteva toccare.
‘Ora rilassati completamente’ e lascia fare a me’. Prima che potessi realizzare quanto la mia estetista mi stava dicendo, sentii le mani di lei sulle mie natiche accarezzarle, stringerle, pizzicarle. Sentivo un calore immane crescere dentro di me, senza sapere esattamente se dipendeva da me’ o da lei’ Le sue mani si facevano più curiose del mio corpo, un corpo che conosceva alla perfezione. Nessuna donna mi aveva mai accarezzata in quel modo’ A nessuna donna lo avrei mai permesso. Le sue mani scesero nell’interno coscia e mi sfiorarono. So che si accorse di quanto ero bagnata, ma non potevo certo andarmene in quel momento. So che mi sfiorò con intenzione e io fremetti. ‘Shhhhh’ rilassati” continuava a dirmi, mentre le sue mani raggiungevano punti che un massaggio classico non avrebbe dovuto raggiungere. Le sue mani divaricarono ancora un po’ le mie cosce e io non avevo più il coraggio di opporre resistenza. La lasciai entrare. Massaggiò anche le mie labbra’. Il mio buchino’ e le sue dita si spinsero oltre. E io gemetti, cercando di non farmi sentire. Non potevo più trattenere la mia eccitazione. Esitò un secondo, prima di entrare dentro di me, per capire, dal mio corpo, se stava osando troppo. Tutto ciò che feci fu aprire leggermente di più le gambe e lei entrò con un dito. Le bastò un secondo. Ed io esplosi in un orgasmo potente e silenzioso. Tutto il mio corpo fu attraversato da una scossa violenta. E per tutto il tempo le sue dita rimasero dentro di me.
– ‘non avrei mai voluto che rimanessero residui di cera’, mi sussurrò all’orecchio allontanandosi da me, e lasciandomi il tempo di realizzare quello che era appena accaduto. Rimasi sdraiata sul lettino per qualche minuto, e di lei nemmeno l’ombra. Così mi alzai, mi rivestii e quasi mi stesse osservando lei entrò nella stanza, come se niente fosse accaduto.
– ‘quanto ti devo?’ le chiesi, cercando di nascondere il mio imbarazzo (ma anche il mio profondo appagamento).
– ’20, come al solito. Il massaggio &egrave stato un regalo per il tuo corpo’. Mi rispose lei tranquilla. E aggiunse ‘attenta alle discese, possono essere molto pericolose’.
– ‘ma anche terribilmente eccitanti’. E così la salutai. E lei salutò me.
Passarono i giorni e del mio signore nessuna notizia. Nemmeno un messaggio. Sebbene stessi cominciando ad abituarmi al fatto che ci fossero dei periodi ‘silenti’, ogni volta per me era difficile affrontarli. Era difficile perché mi chiedevo se non fosse colpa mia. Magari avevo detto o fatto delle cose che non gli erano piaciute, che lo avevano deluso e quindi aveva deciso di prendere le distanze. Spesso mi sono ritrovata a perdermi in questi pensieri, senza però arrivare mai a una conclusione che fosse abbastanza veritiera. Poi all’improvviso, un venerdì sera come tanti, ecco il suo messaggio: ‘questa sera ti vestirai con un abito corto e scollato. Non indosserai intimo, indosserai tacchi alti. Preparerai la tavola per una persona. Sarà una tavola curata. Non preoccuparti per il cibo, a quello penso io’.
Tutto mi sarei aspettata tranne una cosa di questo tipo. Soprattutto perché la settimana era stata abbastanza difficile e come ciliegina sulla torta ci si era messo anche un piccolo incidente con il motorino che mi aveva lasciato qualche livido di troppo. Ma non avevo alcuna intenzione di tirarmi indietro, così seguii alla lettera le sue indicazioni. Dopo una doccia molto veloce, scelsi l’abito che avrei indossato: un abito tra il verde e il grigio, con un profondo scollo, stile impero, le bretelline e un copri spalla, vista la mia naturale tendenza ad avere sempre freddo. Indossai i tacchi senza le calze, mi truccai e scelsi di non tirare su i capelli. Lo accolsi sulla porta in questo modo, sorridente, e appoggiata allo stipite destro.
Quanto il mio signore arrivò, sembrava rilassato e a suo agio. Mi diede un bacio sulla guancia, mi accarezzò il viso: in tutto e per tutto sembrava una serata di quelle assolutamente normali e quotidiane. Ci accomodammo in cucina, visto che aveva deciso di occuparsi lui della cena. Aveva preso della carne, che iniziò a preparare con cura e attenzione. Prima di ogni altra cosa, però, mi guardò attentamente, e decise che il mio abito ‘di suo gradimento- doveva essere leggermente modificato. E fu così che tirò in su il dietro, incastrando il lembo inferiore della gonna nello scollo superiore della schiena. In questo modo il mio culetto era assolutamente esposto ai suoi occhi e avrebbe potuto essere accessibile a lui in qualunque momento. All’inizio mi sentii un po’ a disagio per questo, ma piano piano iniziai a rilassarmi, a sentirmi a casa. Lo guardavo muoversi nella mia cucina come fosse la sua e vederlo alle prese con la carne, toccarla, stringerla, massaggiarla, mi eccitò a dismisura. Immaginai subito quelle mani su di me, quel tocco morbido e deciso, quel tocco che strige e che accarezza, che strizza, condanna e dona vita. Immaginavo le sue mani addosso a me, a frugarmi, a sporcarmi e purificarmi allo stesso modo. Trovavo tutta la situazione profondamente erotica. Lui sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione. Ogni tanto si voltava verso di me, accarezzava il mio fondoschiena e poi ritornava alla preparazione della (sua?) cena.
Conversammo amabilmente di tante cose, come fosse la cosa più naturale del mondo. La carne che sfrigolava in padella emanava un profumo buonissimo: il cibo preparato con amore &egrave quello che ha il sapore migliore. Mi chiese dove poteva prendere un piatto ‘ fondo sarebbe meglio ‘ aggiunse e io glielo diedi. Ci mise dentro alcuni bocconcini di carne, mentre gli altri li portò in tavola. Prima di sedersi, ispezionò con attenzione il modo in cui avevo predisposto il tutto e mi disse che gli piaceva. Io rimasi in piedi, con il mio piatto in mano, mentre lui si accomodò.
Avevo sistemato un tavolino basso davanti al divano, cosicch&egrave lui potesse rimanere comodo mentre’. Mentre io non sapevo bene che cosa avrei fatto! Mi chiese di inginocchiarmi accanto a lui e di appoggiare il piatto sul tavolo, alla sua destra.
Mi accarezzò la testa, prima di portare il primo boccone alle labbra e, sfilando via la stola che ancora portava intorno al collo, mi legò i polsi dietro la schiena. Io lo guardavo senza proferire parola, non capendo assolutamente che cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Lui sorrideva e taceva; avevo perfettamente capito che sapeva il fatto suo e che aveva un piano ben definito in mente.
A opera finita mi disse semplicemente ‘buon appetito.’. E aggiunse ‘se hai sete, dovrai dirmelo, e io ti darò dell’acqua’. Guardai il mio piatto e guardai lui. Una seconda volta e poi anche una terza e finalmente capii. Desiderava che io mangiassi la cena da lui preparata senza mani, solo’. Con la bocca! La prima cosa che pensai fu che non era stata una saggia mossa non legarsi i capelli, ma poi mi resi conto che non avrei avuto altre alternative e così mi avvicinai al piatto con il viso e presi il primo boccone con le labbra. Fu abbastanza facile, così sorrisi, facendogli capire che avevo accettato la sfida.
Il mio signore era accanto a me, mangiava di gusto e mi guardava: io ero accanto a lui, con il sedere all’aria, le mani legate dietro la schiena e le ginocchia che iniziavano a farmi male.
– ‘Mio signore’, chiesi con umiltà, ‘posso avere un cuscino sul quale appoggiarmi’. Non ero sicura che avrebbe accettato la mia proposta, e infatti all’inizio rimase un po’ interdetto.
Proseguii: ‘Te lo chiedo perché oggi ho avuto un incidente con il motorino e’ E non sono sicura di riuscire a mantenere questa posizione a lungo. Sempre che tu lo ritenga opportuno, naturalmente’. Sentendo quello che mi era successo, naturalmente prese il cuscino e me lo fece scivolare sotto le ginocchia. Mi guardò di nuovo, per capire se andava tutto bene. Io sorrisi e riprendemmo a mangiare.
Non so come, non so perché, ma quel contesto mi stava eccitando a dismisura. Il mio viso che si avvicinava al piatto, il naso che quasi ci sbatteva contro e la mia lingua, che muovendosi con attenzione e sensualità cercava di avvicinare i bocconi alle labbra per far si di poterli mangiare. Il mio signore voleva che io mangiassi così, bene: gli avrei donato lo spettacolo più erotico possibile. Spinsi il sedere in fuori, inarcando la schiena. I miei seni erano assolutamente visibili,grazie all’ampia scollatura dell’abito, e la mia lingua stava dando spettacolo. Volevo che immaginasse che cosa le mie labbra, i miei denti, avrebbero potuto fargli se al posto della carne ci fosse stato lui. Dopo ogni boccone lo guardavo, e più andavo avanti, più mi rendevo conto che stavo riuscendo nell’intento. Tiravo fuori la lingua con lentezza, cercando di non essere mai volgare.
– ‘Mio signore’, dissi a un certo punto. ‘Puoi darmi da bere, perfavore?’. Fu così che avvicinò il bicchiere alle mie labbra, ma lo versò un po’ troppo in fretta e dell’acqua mi colò lungo il mento, il collo, e naturalmente al centro dei seni. Fu quello il segnale, credo. La sua mano rapidamente seguì le gocce d’acqua e in un attimo agguantò il seno destro. Lo strinse, lo tirò, lo massaggiò come aveva fatto prima con la carne. Desiderava il mio corpo, lo desiderava con avidità. In un attimo scansò via il tavolo e lasciò scivolare lungo le spalle le bretelle del mio abito. Ora le mie tette svettavano di fronte a lui come due bandiere: la mia eccitazione la si poteva leggere nei capezzoli, duri come chiodi e dritti come fusi. Tutto il mio corpo anelava a sentirmelo addosso, a sentirmelo dentro. Tutta la cena era stata un preludio, ad alto tasso erotico, a questo momento, e a tutto quello che ne sarebbe seguito. Le sue mani scivolarono sul mio collo, lo strinsero appena per saggiarne la circonferenza e poi agguantarono i miei seni. Se avesse potuto, me li avrebbe strappati via tanto li desiderava. Prese a succhiare i capezzoli con avidità, senza rendersi conto che le mie mani erano ancora legate dietro la schiena. Mentre la sua bocca si gustava il dolce, slegò facilmente la stola e lasciò scivolare a terra l’abito, ancora impigliato nelle ginocchia. Non gli interessava: le sue mani furono sul mio culo, la sua bocca sul mio seno. Sembrava preso da una frenesia incontrollabile, mentre il mio corpo reagiva con abbondanti umori che non riuscivo a placare. Le sue mani penetravano la mia carne, sembrava volesse diventare un tutt’uno con il mio corpo. La mia bocca lo aveva eccitato a dismisura e ora non poteva più frenare i suoi appetiti.
‘Allarga le gambe’, mi ordinò in modo perentorio. Quando un ordine arriva così non si può fare a meno di obbedire. E così, allargai le gambe e alcune gocce colarono lungo le mie cosce.
‘Molto bene’, aggiunse. ‘Vedo che sei pronta’. E subito infilò un dito dentro di me. Lo infilò senza troppi complimenti; lo infilò e prese a girare con forza, a toccarmi, a stringermi, a muoversi. La sua bocca sempre sui miei capezzoli che avrebbero voluto gridare pietà e allo stesso tempo non avrebbero mai voluto che il mio signore abbandonasse la presa.
Si staccò giusto il tempo per guardarmi negli occhi e darmi un nuovo ordine:
‘Vai di là, prendi i due plug che ti ho ordinato di acquistare, le candele e un accendino e torna qui’.
E così andai nell’altra stanza, totalmente nuda, totalmente desiderosa di farlo godere a lungo. Questa sera, ne ero certa, avrei soddisfatto qualunque dei suoi desideri.
Rientrai nel salotto con i due plug che il mio Signore mi aveva chiesto di acquistare. Da quando erano entrati in casa mia li avevo un po’ guardati con circospezione: sapevo a cosa servivano, ma non avevo ancora avuto il coraggio di utilizzarli. Il primo, più piccolo, di lattice trasparente, il secondo più grande, sempre di lattice, ma questa volta rosa. Il mio signore prese il primo, il più piccolo, e lo cosparse di lubrificante. Era lucido, splendente, e speravo davvero che potesse farne un uso diverso’ ‘Se dovessi infilarlo davanti, non dovrei certo lubrificarlo così” e, dopo avermi fatta sdraiare sul divano, iniziò ad infilarlo lentamente nel mio culo. Faceva resistenza, sembrava non volesse mai passare ed il mio Signore fu estremamente paziente. Iniziò a farlo ruotare dolcemente, a farmi sentire la pressione e la dilatazione. Dapprima, mi sembrò un dolore insopportabile, poi cominciai a rilassarmi. Mi resi conto che mentre mi stava infilando il plug da dietro, la sua mano stava scavando da davanti all’interno delle mie labbra. Lo sentivo avanzare, massaggiare il clitoride e scorrere lungo le labbra. Cominciai a concentrarmi su quel movimento ed in un attimo il plug piccolo entrò dentro, scivolando senza quasi che lo sentissi. Fu una sensazione stranissima: mi sentii riempita, completa e assolutamente incredula nell’essere riuscita a superare un limite che avevo da sempre considerato assoluto: il mio culo non era più vergine e questa idea mi sconvolgeva’ Sentivo la sua mano dentro di me, le sue dita muoversi agilmente e mi rendevo conto di essere totalmente bagnata. Lui si avvicinò al mio orecchio, con una voce che non gli avevo mai sentito prima: ‘come ci si sente’ dimmelo’ raccontamelo” e mentre mi diceva queste parole e la sua mano continuava a frugare la mia intimità, sentii il primo colpo arrivare sul mio sedere. Fu un colpo forte e improvviso, che mi tolse il fiato e mi fece gridare. A quello ne seguirono altri, ora lenti, ora decisi, ora simili a carezze. Io non capivo più nulla, non sapevo se concentrarmi sulla forza delle sue mani addosso a me, sul piacere che le sue dita stavano dando al mio clitoride o sul plug nel mio culo, che sembrava essere lì da sempre.
Non so quanti colpi arrivarono, ma io mi sentii come pervasa da una possessione: avrei voluto che quel trattamento non finisse mai, perché sapevo perfettamente che lo stavo eccitando. Sapevo quanto grande fosse il suo godimento nel vedermi nuda e disponibile ad ogni suo desiderio, ad ogni sua pulsione.
All’improvviso i colpi si arrestarono e lui mi disse: ‘togli il plug’. Io rimasi un attimo interdetta, perché in effetti non mi ero posta il problema di come espellerlo. Lui sembrò leggermi nella testa e mi disse con una semplicità disarmante’ ‘hai bisogno che ti spieghi come tirare fuori qualche cosa da lì?’ A me venne da ridere, sul momento, e così feci quello che mi sembrava naturale fare. Eppure’ fu doloroso e non potei non strappare un grido di dolore.
Dovevo abituarmi, ma quello che non sapevo &egrave che l’avrei fatto molto in fretta. Lui fu subito pronto a lenire i miei dolori massaggiando il mio buco, che mi sorpresi riprendersi in fretta.
Il mio signore, dopo essersi occupato del mio culetto, prese in mano il secondo plug, quello più grande. La sola idea che potesse entrare anche quello mi fece venire i brividi. Avevo estremamente paura del dolore, e tutto il mio corpo si sarebbe rifiutato, credevo, di farlo passare dentro di me.
‘Per questa sera’, mi disse il mio Signore ‘questo plug non entrerà nel tuo culo. Per questa sera. Immagina quando sarai così elastica da farcelo entrare senza sforzo’ quando scivolerà dentro di te e ti sentirai riempire” La mia mente non riusciva a immaginare che questo sarebbe accaduto, ma la sola idea mi eccitava a dismisura. Il mio signore prese il plug e, dopo aver constatato che la mia naturale lubrificazione lo avrebbe permesso, fece scivolare il plug più grande fra le mie labbra. Lo fece guardandomi negli occhi, sorridendo e fiammeggiando, con l’ardente desiderio di riempirmi il più possibile.
‘Sentilo tutto dentro di te. Sentiti piena. Descrivimi quello che provi, descrivimi i tuoi desideri’. Io ero completamente in estasi, perché si trattava di una sensazione del tutto diversa da quello che avevo sempre provato. Sentire qualche cosa di inanimato dentro di me prendere vita attraverso il tocco del mio Signore. Sentirlo entrare e uscire, arrivare così in profondità. Il mio corpo era scosso da mille brividi: le mie gambe spalancate ai suoi desideri e alle sue pulsioni.
‘Adesso ti scoperò la bocca. E voglio che mentre lo faccio tu tenga il plug dentro di te’. Le sue parole non erano parole che nascondevano un’idea: le sue parole erano un ordine e quel tono così forte e deciso mi fece eccitare ancora di più. In un momento fu dentro la mia bocca e lo sentii spingere così forte che quasi mi venne meno il fiato. Sentivo la sua erezione potente e forte dentro di me, lo sentivo muoversi lungo il palato, sulle pareti della mia bocca, fra i miei denti. La mia lingua scivolava lungo la sua asta per solleticarla, per eccitarla ancora di più, per portare il mio Signore a un godimento profondo e violento, quello che merita, quello che desidero donargli. Sentivo quasi il suo bacino sulle mie labbra, potevo avvertire l’odore di sesso e desiderio che sprigionava. Intanto con le mie mani solleticavo i suoi testicoli, stringendo e rilasciando la pelle che sembrava dura e tesa, tanto era carica di eccitazione. Arrivai a toccare anche il suo buco, ma questa volta solo con le dita. Avvertii le contrazioni di un orgasmo incipiente, ma volevo che godesse ancora di più. Volevo che arrivasse oltre il limite, così lentamente rallentai il ritmo. E poi ripresi. E poi rallentai ancora, in un gioco lento e senza sosta.
Intanto la mia bocca e la mia lingua si curavano di lui con grande attenzione: lo sentivo gemere e sopprimere dei singulti di piacere ‘oddio’.. oddio” continuava a ripetere, mentre le mie mani si occupavano di lui. Il mio dito si inserì nel suo culo e fu allora che esplose. Esplose potente nella mia bocca quasi all’improvviso, quasi senza che io potessi accorgermene. E mi inondò. Mi inondò le labbra, il viso, il corpo, il seno. Mi inondò disegnandomi di lui. Io fui pronta ad ingoiare il frutto del suo piacere e del mio godimento, fui pronta ad accogliere con il mio corpo ogni parte di lui. Lui rimase qualche minuto senza fiato sul divano, forse cercando un contatto con la realtà che sembrava molto lontana dal qui e ora.
Aprì gli occhi come dopo un lungo sonno, sembrava un altro. Sfilò via il plug che avevo ancora dentro di me e al suo posto inserì due dita. Scivolarono dentro e, non appena il suo pollice sfiorò il mio clitoride, venni anche io, senza riuscire più a trattenermi. Vibrarono le gambe, vibrarono le braccia, tutto il mio corpo fu percorso da una scarica violenta che non potei fermare. Ogni singola fibra del mio corpo era stata attraversata da una potente e irrefrenabile scarica elettrica.
Rimasi così’. Sdraiata a terra, occhi negli occhi con il mio signore. Esausta. Sfinita. Appagata. Riempita, sebbene a cena non avessi mangiato poi molto’

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