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Il mio sporco mondo

By 25 Gennaio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Qualche giorno fa passo vicino casa di Davide, non so resistere alla nostalgia, e premo il citofono.

“Chi è?”. Mi risponde la madre al citofono.
“Sono un amico di Davide, è in casa?”
“E’ uscito un minuto, torna subito. Sali.”
Salgo le scale del condominio due a due. Trovo la porta di casa semiaperta, cosa che considero un po’ azzardata, visto che al citofono non mi ha riconosciuto.
Mi affaccio timidamente. Ritrovarmi in quelle mura riporta alla mia mente l’odore della cioccolata calda che la madre di Davide ci portava nei pomeriggi invernali mentre studiavamo in cameretta per l’esame di maturità. Io e Davide eravamo sempre insieme in quel periodo, e anche dopo la scuola continuammo a frequentarci, ma non frequentai più questa casa.
“Permesso…”
La signora fà capolino dalla cucina.
“Prego… ma sei tu!”
Si pulisce le mani con l’asciugamano e mi viene incontro, abbracciandomi, ed io rispondo imbarazzato all’abbraccio. Non ha profumi addosso, ma odora di pulito.
“Quanto tempo, eh? Non sei più venuto a trovarmi.” E’ felice di rivedermi, sinceramente felice.
Noto che si è rifatta. Un semplice ritocco alle rughe, ben fatto, che le toglie molti anni ma purtroppo le dona anche uno sguardo un po’ artificiale, lo sguardo di una bella donna che si impegna molto per apparire, rimpiangendo i tempi della freschezza.
“Lo so, mi spiace, purtroppo la vita…” non so come finire la frase, ma per fortuna mi interrompe.
“Mi ha detto Davide che studi”. Intanto andiamo in cucina e lei si mette a preparare il caffè.
“Sì, studio.”
Mi concentro su di lei, la osservo. Ha cambiato pettinatura, ora porta i capelli neri più corti, meno curati. Ma il corpo è invitante come sempre. Mi torna alla mente che quando studiavo con il figlio nella sua cameretta, non perdevo occasione per guardare la madre. Era più giovane allora, ma per un ragazzino era una signora matura, uno visione che alimentava le costanti voglie.
“Studio all’università”, continuo.
Lei ride. “E dove dovevi studiare, alle superiori?”
“Scusi, ha ragione”. Rispondo al sorriso, impacciato. Lei si gira e mi mostra il sedere che sognai tante volte. E’ ancora come dieci anni prima: sodo, alto, carnoso, perfetto. Poco seno, ma un fondoschiena scolpito. E con quel viso rifatto da donna voluttuosa…
“Lo sa che anni fa, quando venivo sempre qui, lei mi piaceva molto?”
Non rimane sorpresa, ma capisco che la notizia le fà piacere perché, mentre riempie la macchinetta del caffè, vedo dei sorrisi di divertimento.
“Davvero? E’ normale, appena diciottenni, gli ormoni…” mi risponde.

Mi alzo e mi appoggio al lavandino, accanto a lei.
“Ogni volta, prima di andare via, chiedevo di andare in bagno. Passavo di corsa per la camera matrimoniale e prendevo il blocco di foto che teneva in un cassetto, dove c’era una foto di lei al mare, in costume. E sa cosa facevo in bagno?”.
Lei fà finta di nulla e stringe la macchinetta, senza guardarmi.
“Un’idea ce l’avrei. Birbante…”, mi dice col tono di un rimprovero ad un bimbo.
Inizio a toccarmi il pene da sopra i jeans. E’ dritto e duro. La forma si vede chiaramente, ed io l’accarezzo senza nascondermi.
“Mi sono fatto così tante seghe in questo bagno. Godevo da morire.”
Mi sbottono i pantaloni e infilo la mano dentro, accennando una timida sega da sopra le mutande. La squadro senza timidezza, sentendo il cazzo sempre più duro. Lei diventa rossa. Tenta di parlare ma non sa coa dire. “Mi fa piacere… che devo dire…”. Il caffè ora è sul fuoco, e non ha nessun’altra scusa per non guardarmi.
“Se hai bisogno di andare in bagno, sai dov’è”, dice ridendo,  tentando di rompere la tensione che si è creata, mentre fugacemente getta occhiate tra le mie gambe.
“Invece di una foto, posso segarmi guardando l’originale?”, e mentre lo dico tiro fuori il cazzo, lucido e diritto. Il piacere che mi dà scorrere la mia mano sul cazzo, con quella donna davanti, è indescrivibile. Ogni scappellata è un brivido. Ma non esagero, e aspetto il permesso.
Lei rimane fissa a guardarlo mentre si morde le labbra. Chissà cosa pensa.
“Fai pure.”
Non aspettavo altro. Mi masturbo con lentezza, ma con pienezza, avvolgendo il pene con tutta la mano e seguendo con gli occhi ogni punto del suo corpo. Più sego, più mi viene duro. E’ una sensazione liberatoria masturbarmi a due passi da quella donna che conoscevo così bene, la madre del mio amico, appoggiato al lavandino della sua cucina, e guardarla per cercare stimoli in quel bellissimo viso maturo e in quel corpo che vorrei tanto possedere. Inizialmente apparve imbarazzata: normale, vista la situazione, ma poi si abitua e mi guarda senza arrossire, mentre io mostro in volto l’espresione del piacere più puro. Sorride, felice di rendermi appagato col suo corpo. Probabilmente sta pensando che il ritocchino al viso è stata un’ottima spesa.
Arriva il caffè. Prende due tazzine e nel girarsi mi mostra il culo. Io ormai gemo di piacere e la vista di quell’opera d’arte mi porta ad accelerare la sega, facendo rumore con lo scappellamento. Potessi scoparmi quel culo, andrei in paradiso. Mi porge la tazzina fumante ed io la prendo con la mano libera, mentre con l’altra faccio tremare tutto il corpo. I miei occhi non si staccano dal suo viso; sogno di infilarlo in quella bocca e svuotare lì tutto quel che mi riempie. Ma non è il caso.
Sorseggio il caffè senza interrompere il piacere, che ormai è vicino al culmine. Pensavo che sarei venuto poco, perché la sega è stata rapida. Ma mi sbagliavo: la madre del mio amico è un’ottima musa. Poggio la tazzina trattenendo la sborrata, mi calo di qualche centimetro i pantaloni per avere più liberta, e poi, schiena dritta, mi giro per avere la signora davanti, ad un paio di metri, e sborro.
Non la prendo (mi sembrava maleducato sporcarla), ma la sborrata è davvero lunga, tanto da arrivare ai suoi piedi. Mentre schizzo tre o quattro volte, lei beve il caffè e guarda la punta del mio cazzo che sputa.
“Complimenti! Così tanta roba in poco tempo.”
“Merito suo…” Sono affannato. Mi abbottono i pantaloni e prendo un fazzoletto di carta per pulire lo sperma che macchia il pavimento.
Lei mi toglie il fazzoletto di mano e si china a terra. “Faccio io, lascia, non ti preoccupare”
E’ davvero tanto, devo farmi i complimenti da solo! Lo raccoglie usando il fazzoletto a mo’ di paletta, e prima di buttarlo nel secchio se lo passa sotto al naso, odorando. Noto nel suo viso, nel modo in cui chiude gli occhi, una curiosità morbosa.
Si rialza e ci guardiamo, in silenzio. Poi si apre la porta di casa. E’ Davide.
“Davide, guarda chi c’è!” fà la madre, accogliendolo.

 

Scritto da Mondo Sporco (ilmondosporco.blogspot.com)

Uscito da casa della madre di Davide, con le palle vuote ed un sorriso di gioia sul volto, incontro per strada Giulia, la puttanella dei tempi del liceo. Giulia se la scopavano tutti, senza neanche chiederle il permesso. Era il buco dove ci svuotavamo quando la ragazza dei nostri sogni non ce la dava (cioè sempre).
“Ehi, ciao, chi si rivede.”
“Ciao Giulia, come va?”
“Va.”
Sono passati anni dall’ultimo giorno di scuola, e dall’ultimo pompino di Giulia. A guardarla non sembra cambiata. Ha sempre quei vestiti da mercato ed i capelli castani con quella via di mezzo tra lisci e ricci che danno un effetto di sporco. Un po’ culona, con le labbra pitturate di porpora. Non ha ancora imparato a truccarsi, né un minimo di buon gusto. Le sua labbra sembrano fettine di carne al sangue con venature rosa. Sembrano una figa col rossetto.
“Spompini ancora qua e la?” le chiedo.
“Si, ma ora mi faccio pagare. Venti euro a pompa.”
“E il culo?”
Ricordo con nostalgia il suo buco del culo, unico amico nei momenti tristi, protagonista di mille svuotate. Largo come il collo di una maglietta, caldissimo e sempre pronto per essere usato, senza sosta, in qualsiasi momento.
“Col culo ho smesso, mi faceva troppo male. Se lo devo fare come lavoro voglio stare tranquilla.”
“Credevo lo prendessi senza problemi”
“A scuola si, poi hanno cominciato ad incularmi in due alla volta, ad infilarmi bottiglie, vibratori giganti, cazzi vari. Ho dovuto fermarmi altrimenti finivo in ospedale. Ora uso solo bocca e mani.”
La mignottaggine di quella ragazza va oltre ogni misura. E’ spontaneamente troia. Non finge, non se la tira, è semplicemente troia, felice di esserlo e senza porsi problemi. Adorabile.
Mentre parliamo ci incamminiamo lungo la strada, verso nessun posto di preciso.
“Vuoi un pompino? Gratis, ovvio. Così intanto mi racconti di te.” mi chiede.
“Veramente dovrei fare dei giri”
Non ho voglia della sua bocca. Sia per le palle svuotate appena un’ora fa, sia perché Giulia mi ricorda i tempi della scuola, e a scuola (a parte le scopate) non è che ci stessi poi così bene.
 “Dai, ci tengo, fammi offrire una bocca. Eri tanto carino con me, voglio ricambiare. “
Mi sorride con i suoi occhioni grandi e mi illudo che sia diventata dolcissima, tenera, romantica. Dura solo un secondo, poi mi torna alla mente quando si lavò i denti usando lo sperma di tre miei amici come dentifricio, e la vera troia Giulia prende il posto dell’illusione.
Ad ogni modo, per educazione, ma anche un po’ per il gusto di avere gratis qualcosa che altri pagano, accetto.

Mi accompagna alla sua macchina e mi apre la portiera. Saliamo.
“Dovrebbero avercela i clienti la macchina. Così sembro io la puttana” scherzo.
Ride, felice.
“Hai ragione, ma io non batto per strada. I clienti mi chiamano e io li raggiungo dove mi dicono loro. Spesso in albergo, o in case di amici, ma a volte anche proprio a casa loro”
“Potresti fare la puttana porta a porta. Bussi dagli estranei, ti fai tutti i condomini e dici Io mi sbottonerei all’istante i pantaloni.”
Ride ancora, e mi sciolgo un po’ anche io. Continuiamo a scherzare sulla sua troiaggine finché non parcheggia davanti ad un bar del centro. Entriamo.
Immagino voglia bere qualcosa prima del servizietto e già inizio a scocciarmi. Non mi va proprio di allungare questa storia. Invece si dirige senza guardare nessuno nel bagno del bar, trascinandomi. Il ragazzo al bancone la segue con lo sguardo accennando un sorrisetto malizioso. Non so se dire qualcosa, così no dico nulla e mi lascio trascinare.

Il bagno è pulitissimo, incredibile. Grande, luminoso, bianchissimo. Giulia tira fuori dalla borsetta una chiave e ci chiude dentro.
“Hai la chiave del bagno?” dico sorpreso.
“A volte lo uso per lavorare.”
“Paghi proprietario?”
“Con la bocca, ovvio”
Ride di nuovo, un po’ sovraeccitata. Forse finge eccitazione, o forse no. In ogni caso, mi eccito anche io.
Mi appoggio al muro  e lei si china. Mi toglie i pantaloni ed inizia a lavorare.
Il cazzo non è durissimo, ma abbastanza per farla lavorare di lingua lungo l’asta. Poi gioca con le labbra sulla cappella, con quelle labbra carnose e larghe che aperte diventano una ventosa.
“Hai sborrato da poco, sa di sperma. E non diventa duro. Chi ti sei scopato?” chiede mentre mi guarda maliziosa.
“Mi sono fatto una sega di fronte ad una signora”
Non mi va di dirle chi era.
“Senza scoparla?” chiede senza vero interesse, concentrata a riempirsi la bocca col cazzo.
“No, è già tanto che mi abbia lasciato masturbare. Una gran donna”
“Certo che ora mi ci vorrà un bel po’ per farti godere.” dice, ma in realtà adora i cazzi che durano a lungo.
All’inizio non ne avevo voglia, ma ora quel piacevole slinguettio sul cazzo mi va a genio. Godo, piano piano, col cazzo indolenzito che torna in vita.
“Non ho fretta, te?”. Domanda retorica.
 “Neanche io, se vuoi ti dedico anche tutta la giornata, guarda. Mettiti comodo, siediti sulla tazza.”
Mi tolgo del tutto i pantaloni e anche le mutande. Mi siedo sulla punta della tazza, così che lei possa leccarmi palle e cazzo con comodità. Si siede per terra e con due mani mi sega lentamente.
“Allora, che hai fatto dopo la scuola?”
E cominciamo a parlare di noi due, mentre sega e pompino vanno avanti senza fretta.

Dopo un’ora abbondante le mie palle sono di nuovo piene, e il cazzo duro e lucido.
“E così Serena lavora al centro di telefonia in piazza? Ma da quando?”
“Da un mesetto”
“Non me l’ha detto nessuno. Quasi quasi passo a trovarla.”
“Lasciala perdere”, mi dice staccandosi un secondo dal cazzo impiastrato di saliva e rossetto. “Sennò ti torna la voglia di rimettertici.”
“Casomai la voglia di scoparmela! Quelle tette me le sono scopate in tutti i modi, che sogno che erano…”
“Le mie non ti piacciono?”
Me le mostra abbassandosi la maglietta, fingendosi gelosa.
“Sono piccoline! Serena faceva certe spagnole che te non puoi permetterti. In compenso, hai la bocca più larga e scopabile!”
Le prendo la testa e la schiaccio sul cazzo, togliendole l’aria. Entrambi sbottiamo a ridere di gusto, ma Giulia non riesce a staccarsi così si sentono solo mugugni singhiozzanti. Aspetto che si agiti per staccarsi, e poi le tengo la testa ferma e le scopo la bocca con forza.
“Questo Marta non se lo faceva fare, sei meglio te!”
Sto per schizzare, ho il cazzo gonfio e carico, così mi fermo. Giulia si tira indietro lasciando una ragnatela di saliva e prendendo aria, come un’atleta che riemerge dall’apnea.
“Ma sei matto!”
Si finge incazzata. Non l’ho mai vista arrabbiata, neanche quando le facevamo cose ben peggior, neanche quando le abbiamo gettato addosso una secchiata di sperma alla festa del suo compleanno, davanti a tutti gli invitati. Si riavvicina succhiando la saliva e giocando intorno al cazzo. Ha gli occhi un po’ arrossati.
“Voglio andarla a trovare Serena con le palle piene. Ti dispiace se non ti sborro?”
“Certo che mi dispiace. Vuoi sborrare la tua ex?”
“Si, voglio innaffiarla. Non ti offendere, anzi, ti ringrazio, mi hai caricato per bene. Cazzo, se mi seghi solo un po’ più veloce ti ricopro di sperma.”
Mi alzo, lasciandola triste sul pavimento del cesso.
“Come vuoi” dice con voce delusa. “Ma mi devi una sborrata. Un litro di sperma, a giudicare da quanto è viola la cappella. Uffa, è mia questa sborra, te l’ho tirata fuori io e ora se la gode lei!”
“Hai avuto sborra in abbondanza da me, in passato, non ti puoi lamentare”.
Imbronciata, con quella vocina arrabbiata da bimba, fa venir voglia di ultimare lì il lavoro e schizzarle in faccia. E’ faticoso resistere al viso morbido e lurido di Giulia.
Ma ho altri piani.

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