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Racconti Erotici Etero

IL PROFUMO DEL PIACERE

By 27 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

– Sei sola, stasera?

– Sì ‘ rispondo io.

– Allora vengo a prenderti?

– Come vuoi, alla stessa ora, al solito posto, con la tua Lamborghini.

Oh, quante, quante volte l’abbiamo fatto sui sedili di quell’automobile, io e il mio uomo! Quante volte sono uscita con lui, anche solo per provare le mie nuove scarpette rosse col tacco a spillo, o per fargli sentire il mio nuovo profumo.

Passeggiamo spesso sottobraccio, mano nella mano, lungo il gran viale del mio giardino, piantato a ippocastani e tigli.

D’autunno, le foglie cadono dolcemente dagli alberi, ed un vento leggero le disperde nell’etere. Io mi appoggio a quella spalla, dò un bacio sulla bocca al mio amante, sì, con le mie dolci labbra rosse, socchiudo gli occhi e sogno.

Gli ho confidato ogni mio segreto di giovinezza.

Erano segreti di perla, fatti per essere sussurrati al vento, od essere regalati al mistero stellato della notte.

In essi, riponevo tutto il mio esser donna.

A volte, m’immergo, bianca, nella vasca da bagno che ho fatto portare nel mio giardino. Nessuno mi può vedere, grazie alla grande siepe di rododendri, che difende la mia solitudine dagli sguardi crudeli.

Mi spoglio nuda, regalo i miei abiti al vento, velo dopo velo, calza a rete dopo calza a rete, reggiseno dopo reggiseno.

A volte, prendo un ramoscello di betulla, e con quello mi faccio massaggiare la schiena dal mio uomo.

Più spesso, però, sono sola, allora prendo quelle dolci foglie e le uso per frustare dolcemente la mia pelle.

A volte, mi sfuggono sospiri. Sono fatti di silenzio e di solitudine, sono fatti di tante piccole cose, che conoscono soltanto le donne.

Mi capita di giocare a fare le bolle di sapone. Lo faccio tante volte, quando sono sola in casa, dopo aver coccolato i miei dalmata dal manto pezzato. Una ad una, mille bollicine blu nascono dal mio soffio e dalle mie labbra, come tanti baci smarriti, regalati al vento, che li porterà lontano, chissà, forse, a qualche amante deluso.

Vorrei diventare uno dei miei alberi.

Ho scritto il mio nome sulla corteccia di ciascuno. L’ho fatto con un temperino sottile, che prima ho voluto consacrare al piacere della carne (non prendetemi per pazza, ma i centri del piacere e del dolore sono vicini!). Comunque, non ci siamo fatti male. Con quello stesso oggetto ho inciso su quei tronchi anche il nome del mio uomo.

Quando piove, sono folle.

Mi spoglio nuda, e mi metto allegramente sotto il diluvio. Tante gocce bianche imperlano il mio corpo, carezzano i miei seni nudi, grandi, le mie gambe lunghe, sode, tornite, la mia schiena eburnea, le mie mani leggere, il mio volto muliebre e soave, che sa stregare. Ricevo la pioggia sulla pelle, con le palme delle mani rivolte verso il cielo, le labbra semiaperte, come per sospirare, gli occhi socchiusi, le chiome fluenti rivolte all’indietro, sciolte, completamente abbandonate al vento.

Allora, capita sovente che la mia mano furtiva sfiori la mia femminilità, s’insinui tra le mie gambe, per farmi sognare, addormentata nel bacio della natura.

Nessuno può vedermi.

Già ve l’ho accennato, però vi devo anche sussurrare che non posso escludere che qualche sguardo appassionati si insinui tra le foglie dei rododendri, per toccare l’avvenenza delle mie forme, o spiare la mia segreta sensualità.

Se fa freddo, resto in casa.

Posso trascorrere interi pomeriggi al telefono, per parlare con il mio amore lontano.

Gli faccio la corte.

Lo spoglio, e lo coccolo con le parole.

Talvolta, però, &egrave lui che conforta me. Non &egrave un gioco piacevole e un po’ malizioso? Non fa piacere alla vostra fantasia?

L’ho invitato tante volte al di là dei rododendri. Lì, gli dico sempre, nessuno può scoprirci. E lui accetta spesso il mio invito.

Avevo fatto portare tante statue bianche nel giardino. Raffiguravano Giunone e Venere, nude. Non ricordo quante fossero, le avevo disposte in cerchio, e nel bel mezzo mi ero ripromessa di far costruire una fontana.

Lui venne a trovarmi’ Eravamo senza veli, uomo e donna, tra quei capolavori che illustravano
la venustà e la perfezione greche. Eravamo statue tra le statue.

Le braccia di lui cingevano le mie forme d’alabastro, le mani sue erravano sulla mia schiena liscia, delicata, sul mio petto ansante, sul mio ventre piatto e sui miei fianchi leggiadri. I passerotti soltanto erano testimoni di quell’incontro.

Sì, i passerotti, e i rododendri.

Avevo licenziato tutta la servitù. E lo facemmo tutto il pomeriggio; verso le quattro cominciò a piovere, e le gocce mistiche d’acqua piovana toccavano i nostri corpi, sembravano perle, sulla pelle, scorrevano lungo la schiena e le gambe come un fiume di piacere naturale e ardente.

L’uno era avvinghiato all’altra, in una illusione carnale che poteva durare un eternità di silenzio.

Poi, tutto svanì.

I rododendri bruciarono, e, con essi, il mio sogno di passione.

A volte, piango di nostalgia, pensando agli istanti che mi regalarono. E d’estate, quando metto il profumo preferito, ho l’impressione di spargere accanto a me le fragranze di quelle siepi selvatiche.

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