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Racconti Erotici Etero

IL RANDAGIO

By 30 Settembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Non ci andavo spesso al ‘Circolo’, perché preferivo, com’&egrave nella mia natura, andare in giro, vagare, bighellonare, vagabondare senza scopo, curiosare. Ma quella volta il tema della conferenza mi attraeva: ‘L’uomo e la sua natura’!
Per come la pensavo io ci sarebbero voluti anni di discussione, e comunque non risarebbe arrivati a nulla. Natura, &egrave un termine vago, generico, indeterminato, che comprende sostanza, struttura, animo, istinti, qualità, specie, tipo, genere. Tanto per accennare appena a qualcosa!
Per esempio, io sono considerato un ‘randagio’. Questa &egrave la mia naturale tendenza, attitudine, vocazione. Sono sempre stato così. E anche un po’ disordinato.
Ad un certo punto della mia vita ho lasciato la scuola e sono andato a lavorare come apprendista in una società che si interessa chi comunicazioni radiotelefoniche. Poi, frequentando corsi serali, sono riuscito a conseguire il diploma di perito industriale, sempre in quel settore, ed ho seguitato a lavorare, a studiare. Ho viaggiato tanto, un po’ dovunque, e non ho mai pensato a mettere su famiglia, come si dice.
De randagio avevo anche la peculiarità dei cani senza padrone, quelli che vanno in giro, vagando, fermandosi qua e là, e annusando dovunque, specie ogni cagna che passa, senza badare a razza, età, taglia. Se quella ci stava, era fatta. Alla prossima. Se si dava delle arie poteva pure andare a quel paese.
Così, a 57 anni, ero pensionato, ma ogni tanto facevo qualche lavoretto, cio&egrave mettevo a disposizione di altri la mia competenza e la mia esperienza.
Avevo guadagnato benino, nel passato, tanto da poter acquistare qualche appartamentino, non grandi, perché così si affittano facilmente e alla gente che non ha molto da spendere, anche qualche negozio, lo stesso avevo fatto con la liquidazione. Sicch&egrave, ora, con pensione, reddito immobiliare e qualche consulenza, non potevo proprio lamentarmi.
L’idea di iscrivermi al ‘Circolo’ me l’aveva data un ex collega, più anziano di me, ma la prospettiva di andare in quelle sale, per leggere il giornale, giocare a carte o a bigliardo, o partecipare a qualche banale ‘festicciola’ non mi attraeva proprio. Neppure le ‘Concùl’, Conferenze Culturali, mi invogliavano. Fu così che per ‘L’uomo e la natura’, dopo alcuni mesi, rimisi piedi al Circolo.
Un tavolino, nell’ingresso, con un foglio, dove gli intervenuti erano pregati di apporre la firma.
‘Lei’ era vicino al tavolo, in piedi e con un sorriso invitava a firmare.
Di media altezza, con un completo bianco, gonna alginocchio, giacca di buona fattura. Volto leggermente truccato. Un filo di rossetto sulle labbra, che si stagliavano sul viso appena roseo, occhi celesti, capelli corti, biondi, evidentemente appena colorati e pettinati. Mani curate, dita sottili. Scarpe eleganti, gambe snelle, ed anche il bacino era ben proporzionato, mentre la parte alta del tronco era piuttosto robusta. Il seno che si intravedeva era abbastanza florido, forse un po’ troppo per tutto il resto.
Quanti anni poteva avere? Forse più di cinquanta, anche se l’aspetto era molto giovanile, ma era difficile stabilirlo.
Mi diede il benvenuto, e chiese se fossi socio. Alla mia risposta affermativa si dimostrò meravigliato di non avermi mai visto, al Circolo. Le dissi che ero un socio poco assiduo.
‘Mi auguro che, invece, lo frequenti, signor’.?’
‘Luca Moretti.’
Mi tese la mano.
‘Sono Tecla Sarno. Posso contare di rivederla? Adesso sono la vice presidente’ devo curare i nostro soci, specie quelli renitenti”
E, stringendomi la mano, mi donò uno splendido sorriso.’
Mi avviai verso la sala, mi voltai. In effetti, aveva una bella silhouette, e un fondo schiena di tutto rispetto.
Non ero tra i più eleganti: pantaloni quasi stirati, camicia sbottonata, giacca’ come i pantaloni. Solo le scarpe ‘mia fissazione- erano di marca e luccicavano!
Mi sedetti verso il fondo della sala, così, se’ mi rompevo’ potevo filarmela.
Arrivò l’oratore, presentato dal Presidente.
Un uomo sussiegoso, del tipo di quelli che si degnano di spezzare il pane del loro sapere, senza curarsi se agli altri l’argomento interessi o meno.
Cominciò a parlare dell’uomo. Frasi fatte, trite e ritrite.
Mentre stavo pensando che se andava avanti così me la sarei squagliata, la ‘dama bianca’ venne a sedere accanto a me. Accavallò le belle gambe, scoprendo generosamente le cosce, e mi sorrise.
In tal modo, la ‘ritirata’ mi era difficile, e poi mi scocciava mostrare che certi argomenti, considerati da alcuni ‘fini e interessanti’ non riscuotevano la mia attenzione. Ricambiai il sorriso, un po’ forzato, stereotipato.
Come dio volle, bevicchiando ogni tanto dal bicchiere d’acqua che era sul tavolo, l’oratore terminò ed alzò la testa in attesa dell’applauso.
Dapprima qualche battimano timido, poi, pian piano, si unirono gli altri.
La mia vicina di sedia applaudì ed io mi ricordai che era consuetudine farlo. Lo feci!
Tecla tirò un lungo sospiro, come se si fosse liberata da un peso.
Si volse a me.
‘Le &egrave piaciuta la conferenza?’
‘Devo essere sincero?’
‘Sicuro!’
‘Ne ho sentito alcuni tratti, quando mi distraevo dai miei pensieri!’
Si avvicinò al mio orecchio, con aria furbesca.
‘La comprendo perfettamente.’
Il Presidente stava accompagnando l’oratore all’uscita, e tutti gli andavano incontro per congratularsi con lui e ringraziarlo. Io feci un cenno a Tecla e me ne andai in un angolo dell’ingresso.
Fu li che mi raggiunse.
Guardai l’orologio.
‘Ora cosa se ne fa, signor Moretti?’
‘Anzitutto, per favore, mi chiami Luca’ Ora penso di andare a cena.’
‘L’aspettano a casa?’
Alzai le spalle.
‘Sono single, vado al ristorante. E lei, dove se ne va?’
‘A consumare la mia cenetta in solitudine. Sono vedova da due anni.’
‘Cosa le piace per cena?’
‘Devo osservare una certa dieta, altrimenti’..’
Si passò le mani sui fianchi.
‘Anche io, non &egrave che sia un mangione, ma un’insalata e un filetto’ Non &egrave che mi farebbe compagnia?’
Mi guardò, indecisa.
‘Ma sì, volentieri. Mi aspetti, prendo la mia borsa.’
Tornò prestissimo, le dissi che ero riuscito a parcheggiare l’auto nel cortile.
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Mentre ci avviavamo al ristorante mi chiedevo, mentalmente, cosa mai mi ripromettessi da quella ‘avance’. Appunto, era una ‘avance’ un approccio, un tentativo ma di che? Che domande, risposi a me stesso, di portartela a letto! Così, a prima sensazione ne valeva la pena, ma si doveva ancora vedere bene!
Socievole, allegra, buona conversatrice durante la cena, ed entrambi facemmo onore al filetto, all’insalata, all’ottimo ‘rosso’.
Non mi ricordo il perché, ma mi trovai a mettere la mia mano sulla sua, non la ritrasse. Una pelle liscia, dita affusolate.
Tutti bene, d’accordo, ma, a parte le gambe, belle e snelle, ben tornite, e quanto ‘appariva’ del resto, seno, fianchi’ come si sarebbe rivelata una volta priva dei vestiti?
Mi venne un’idea.
‘Fai sport, Tecla? ‘ Scusi’ ho usato il ‘tu’!’
Ero veramente ipocrita!
Mi sorrise, deliziosamente.
‘Va bene, una barriera inutile e formalistica. Dunque, mi chiedevi se faccio dello sport’ ecco, facevo un po’ di nuoto, in piscina, ma &egrave da temo che’.’
Non la lasciai terminare.
‘Ottima cosa, anche a me piace il nuoto. Che ne diresti di andare in piscina, che so” domattina?’
Strinse le labbra, pensosa.
‘Devo tirare fuori il costume, sai Luca, uso quello del tipo ‘olimpionico, perché ero una discreta dilettante’ e poi gli zoccoli, l’accappatoio’.’
‘Ma ricordi dove hai messo quella roba?’
‘Certo!’
‘Allora, non &egrave un problema. Passo a prenderti alle dieci”
‘Sai dove abito?’
‘Lo saprò presto’ ti accompagnerò a casa, non ti lascio certo ”
‘Potrei prendere il bus.’
‘Lascia perdere, dimmi quando quando vuoi andare, ci aspetta la mia macchinina!’
Non abitava molto lontano dalla mia casa, eppure non ci eravamo incontrati mai, adesso, una volta nella mia camera, toccava a me tirare fuori gli slip da piscina e tutto il resto.
Decisi di andare cauto, per non rischiare delusioni. Chissà se ci sarebbe ‘stata’. L’indomani, sicuramente, avrei avuto elementi sufficienti per capirlo.
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Era dinanzi al portone. Un comodo vestito sportivo, di quelli che si abbottonano davanti, sandali con tacco non molto alto, e un lieve cenno di trucco sul volto. Occhi splendidi. Mi sembrava ancora più giovane. Ero tentato di chiederle quanti anni avesse. Espressione allegra.
Le aprii lo sportello, sedette, allacciò la cintura.
Eravamo pronti per andare in piscina, dall’altra parte della città.
Le chiesi se avesse riposato bene. Scrollò un po’ la testa, strinse le labbra.
‘Pensieri che ti tengono sveglia?’
‘Forse.’
‘Scacciali.’
‘Non &egrave facile.’
‘Provaci.’
‘Ci proverò.’
Mi guardò, con insistenza.
‘Ma tu che attività esplichi?’
‘Sono in pensione, solo di quando in quando qualche piccolo lavoretto.’
‘Già in pensione? Così giovane?’
La fissai scrollando la testa.
‘Ma che giovane, ne ho quasi 57′ Sono in pensione, con qualche piccola rendita aggiuntiva, perché ho iniziato da apprendista, poi un po’ di studio’ operaio’ fino a divenire un discreto tecnico. Tu?’
‘Te l’ho detto, sono vedova da due anni, mio marito era analista in un laboratorio di ricerche, due anni fa un infarto l’ha portato via improvvisamente. Io ho fatto la maestra d’asilo per venticinque anni. Ora anche io sono una pensionata, di quelle che si chiamano ‘baby’, a cinquant’anni! Credimi che non credevo di restare così, sola, quando ancora potevamo vivere insieme, con mio marito, e forse godersi un po’ la vecchiaia.’
‘Non hai figli?’
‘Niente, né abbiamo fatto grandi indagini per saperne la ragione. Se non vengono &egrave triste, lo so, ma &egrave segno che così deve essere. Ho una nipote, figlia di mia sorella, vive coi genitori.’
Parlava a voce bassa, guardando la strada, e con una espressione triste.
Fu spontaneo metterle la mano sulla gamba, o meglio sulla coscia.
‘Dai, purtroppo &egrave la realtà della vita. Devi reagire. Cerca di distrarti.’
Poggiò la sua mano sulla mia. Quasi una carezza, mi sorrise.
Annuì.
Bella, tonda e soda, quella coscia.
Siamo alla piscina. Parcheggio, prendiamo le sacche, andiamo a fare i biglietti. Voglio piuttosto una cabina che non lo spogliatoio.
Mi dice che preferisce che vada prima io a cambiarmi, lei sfoglierà il giornale che abbiamo comprato. Ci metto due minuti. Lei si alza, mi dà il giornale.
‘Ora tocca a te aspettare, ma non credere che sarò rapida come te, io sono un po’ lenta’ in tutte le mie cose”
‘OK, do’ uno sguardo alle notizie.’
Sedetti vicino al tavolo, mi misi a leggere.
In effetti non si affrettò.
Ero assorto a leggere un articolo di politica quando, alzando gli occhi, vidi che lei era in piedi, di fronte a me.
Era veramente al di là di ogni più rosea speranza. Veramente un bel tocco di donna.
Delle gambe già sapevo. Le cosce erano perfettamente modellate. Fianchi stupendi e un sederino, non tanto ‘ino’, di tutto rispetto. Ventre piatto, e un seno abbondante, forse una mezza misura in più del necessario. Il tutto esaltato da un costume aderentissimo, blù mare, come il colore dei suoi occhi. Altro che 50 anni; se ne poteva togliere dieci e ancora andava bene!
La visione incantevole fu trasmessa al cervello e di qui scese rapidamente, e con impeto, tanto che, alzandomi per accoglierla, fu necessario mettere dinanzi al mio slip il giornale!
‘Io andrei a bere qualcosa al bar, Tecla. Potremmo sedere a un tavolo ai bordi della piscina.’
‘Ottima idea, un bel succo di frutta.’
Il giornale nascondeva compostamente la esuberanza di ‘fausto’. Sì, perché io lo chiamo così, ‘fausto’, nel senso di felice, gioioso, lieto. E il suo comportamento giustifica benissimo il nomignolo.
La valutazione sulla venustà di Tecla era ovvia: più che idonea a incondizionato servizio. E come! ‘Fausto’ avrebbe voluto manifestare subito la sua gioia, era impaziente, e guidava gli occhi dappertutto, su lei, intrattenendosi sui punti essenziali.
Tutto bene, dunque, ma che avrebbe detto lei?
Terminata la bibita, mi disse che forse era il momento per un tuffo.
‘D’accordo, ma mi piacerebbe che andassi tu, intanto, per ammirarti anche quando nuoti.’
E calcai la voce su ‘anche’.
Si voltò, e si avviò alla scaletta, con lieve ondeggiamento dei fianchi, offrendomi l’incantevole spettacolo dei suoi glutei in movimento.
Nuotava molto bene, con lunghe bracciate e perfetta sincronia di movimenti.
Dopo qualche vasca, tornò alla scaletta, salì, venne verso me. Mi alzai e le andai incontro con l’accappatoio che aveva lasciato sulla sedia, l’aiutai a indossarlo. Era l’occasione per qualche contatto. Non sembrò disprezzarlo.
Tornò a sedere.
Considerai giunto il momento per qualche sondaggio’ almeno verbale.
‘Complimenti, Tecla, sei veramente molto bella. Certo la più bella di quante sono qui.’
Mi sorrise, allungò la mano verso la mia.
‘Grazie, sei galante e adulatore!’
‘Niente affatto, sto constatando, e tu lo sai bene che sei veramente attraente. Ma nessuno ha fatto breccia nel tuo cuore in questi due anni?’
Scosse la testa.
‘E’ triste a vivere sola, ma non &egrave facile, credimi.’
Annuii, ma non sapevo neanche perché.
Trovai una scusa per dire che non mi sarei tuffato.
Accettò di pranzare in un posticino che conoscevo, vicino al fiume.
Poi, l’accompagnai a casa.
Scesi anche io, andai fino al portone.
‘Vorrei rivederti, Tecla”
Le parlavo tenendole entrambe le mani, come un adolescente.
” vorrei conoscerti meglio”
‘Anche io.’
I suoi occhi erano splendidi.
Le baciai entrambe le mani.
Mi sfiorò la guancia con le sue labbra.
‘Fausto’ gongolava, per lui eravamo sulla strada giusta.
^^^
Bighellonavo senza meta, intorno al laghetto della villa, e non riuscivo a staccare il pensiero da Tecla.
In quel momento suonò il cellulare.
‘Pronto, Luca, sono Tecla.’
‘Ciao, cara, come stai?’
‘Non lo so, anzi, vorrei parlarne con te. Vieni a cena da me?’
‘OK, a che ora?’
‘Quando vuoi, io sono in casa. Per favore, non portare niente, c’&egrave tutto.’
‘D’accordo.’
Voleva parlarmi!
Il telefonino suonò ancora.
Era la sua voce.
‘Anzi no’ porta qualcosa’ il tuo pigiama’!’
E chiuse di nuovo la conversazione.
Rimasi come folgorato.
Tornai a casa. Giravo per le camere senza una ragione. Presi la mia piccola borsa da viaggio: pigiama, pantofole, rasoio, spazzolino, dentifricio.. ah! I profilattici!
Una lunga doccia, uno sguardo allo specchio.
Era ancora giorno quando bussai alla sua porta.
Mi aprì. Indossava una vestaglia molto elegante. Un po’ pallida, con un volto tra l’allegro e il pensieroso.
Pensai che non dovevo perdere la battuta.
Appena rinchiuse l’uscio, con molta dolcezza, la presi tra le braccia e la baciai sulle labbra. Si dischiusero, le nostre lingue si cercarono, il suo ventre aderì a me, con forza. ‘Fausto’ stava impazzendo.
Mi prese per mano e mi condusse in un salotto-studio dov’era un comodo divano, mi fece cenno di sedermi, si mise sulle mie ginocchia.
‘Fausto’ ne sentì il dolce tiepido peso!
Tornammo a baciarci, ancora, con maggiore passione.
Provai a infilare una mano sotto la vestaglia. Non trovai altro indumento’ salii.. solo la sua pelle liscia, come la seta’.
Le sue nari erano dilatate. Gli occhi socchiusi, ne intravedevo solo il bianco. Mi venne in mente di prenderla sulle braccia e avviarmi verso la camera da letto. Ma dov’era?
Si alzò, mi guardò fissamente, deglutendo, aprì la vestaglia. Era completamente nuda. Bellissima, almeno per me e per l’eccitazione che mi aveva assalito. Il nero cespuglio tra le sue gambe era una calamita per il piccolo indemoniato ‘fausto’.
Mentre ancora stavo pensando su cosa fare, Tecla, con mani delicate ma decise, mi abbassò la zip dei pantaloni. Io, intanto, m’ero slacciata la cintura, mi alzai, li feci cadere a terra, seguiti immediatamente dal boxer, e con gesto dei piedi lanciai tutto lontano.
Il mio boma di carne fremente era impaziente.
Tecla, con dolcezza, mi spinse a sedere sul divano, si voltò lentamente, si abbassò, prese il fallo con una mano e lo condusse al tumido e caldo ingresso della sua vagina. Cominciò a impalarsi, lentamente.
Era molto stretta, incredibilmente stretta, ma il mio stantuffo ardente si faceva strada, avvinto tra quelle pareti che si contraevano voluttuosamente. Finalmente, le sue tonde e sode natiche, erano poggiate sulle mie gambe. Solo allora mi accorsi che di fronte c’era un grande specchio, che rifletteva la nostra immagine, soprattutto la sua: leggermente spinta indietro, con le cosce divaricate, e il mio ‘fausto’ che entrava e usciva da lei; il seno, abbondante, che sobbalzava fantasticamente; le sue mani sulle sue gambe; e i dentro-fuori del mio sesso che stava godendo in modo inenarrabile.
Tecla aveva lo sguardo vitreo, le labbra dischiuse dalle quali usciva un sempre più roco ah’ah’ah che andava aumentando di intensità. Ad un tratto sentii che vibrava come se fosse percorsa da una scarica elettrica. Dovevo controllarmi per non esplodere in lei’ ancora per poco’ dette quasi un urlo: siiiiiiiii’cosiiiiiiiiiiiiiiii’cosiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! Strinse le cosce e lo strizzò freneticamente, spingendosi verso me. Sentivo il mio glande battere nel suo grembo, e in quel momento ogni mio freno cedette, inarcai la schiena, l’afferrai per le tette, stringendola a me, voluttuosamente, mentre il mio seme, bollente, si spandeva in lei.
Spinse una mano dietro, afferrò la mia nuca. Riprese a muoversi.
‘Meraviglioso’. Meraviglioso’ Lo sapevo’..!’
Le sussurrai nell’orecchio che era una splendida femmina, passionale e ardente. Mi ringraziò con una deliziosa stretta del suo sesso.
Rimase così, non ricordo quanto tempo. Poi si sollevò, come a fatica, si voltò, si mise a cavalluccio, mi prese la testa e mi baciò sulla bocca, cercando avidamente la mia lingua.
Quando si staccò, sorridendo, con gli occhi splendenti, mi chinai e afferrai tra le mie labbra un capezzolo, turgido, carnoso, e lo ciucciai, a lungo, mentre lei si dondolava lussuriosa ed ancora vogliosa.
‘Fausto’ era felice, sazio ma non del tutto appagato’
Tecla mi sorrise ancora.
‘Una doccia, amore?’
Annuii.
Mi prese per mano, si alzò, si avviò lungo il corridoio, così come eravamo, lei completamente nuda ed io con scarpe e camiciola. Afferrò ‘fausto’ tra le sue dita affusolate, e raggiungemmo la sua sala da bagno.
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