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In Estate, di nuovo a casa

By 23 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero tornato a casa dopo alcuni mesi passati a Milano per gli studi universitari, mia madre e mia sorella erano entrambe contente di rivedermi, io ero contento di vedere loro. Erano i mesi estivi, mia sorella, fresca 18enne, aveva concluso l’anno scolastico, non senza difficoltà, e mia madre passava il suo tempo tra la casa ed il suo ufficio, sacrificio che le permetteva di pagare i miei studi e la vita agiata della figlia ormai viziatissima. Sapevo quanto fosse dura per lei, per questo davo il massimo nello studio per poterla ripagare degli sforzi e poter assicurare a me un futuro da avvocato. Era però tempo di ricaricare le batterie e posto migliore del paesino tra campagna e montagna dove avevo dimora non esisteva: le giornate erano soleggiate, a volte anche troppo, ed i vecchi amici da rivedere e frequentare per delle belle bevute serali non mancavano. I muri delle case erano accarezzati da un leggero Grecale, che con il suo soffio attenuava l’altrimenti insopportabile afa.

Anche mia sorella se la spassava, usciva di casa dopo pranzo e spesso non la si vedeva fino a tarda notte, mangiava fuori e passava il suo tempo tra centri commerciali e case di amici ed amiche, per poi dormire fino a tardi, anche oltre l’una di pomeriggio, nel suo letto sempre sfatto e ricoperto dai vestiti. Ovviamente le pulizie di casa toccavano a me, il che mi scocciava un po’ ma neanche tanto, ci avevo fatto l’abitudine fin da ragazzino ad ovviare alla superficialità di Marta, della quale sono 3 anni più vecchio. Ogni tanto i vecchi amici dei tempi delle superiori, con i quali ero rimasto in contatto grazie ad internet, mi raccontavano di quanto fosse tutt’altro che una santarella, e nonostante i loro termini edulcorati avevo capito che le piaceva saltare da un cazzo all’altro. La cosa inizialmente mi infastidiva, avendole fatto quasi da padre per molti anni ero iperprotettivo e finanche possessivo nei suoi confronti, ma in un secondo momento capii che era poco razionale da parte mia, poiché io stesso certo non me ne rimanevo casto e puro nella movimentata Milano che mi ospitava, facendo anzi esperienze che sarebbero state impensabili nella mia terra d’origine.

Mia madre, rimasta da sola con mia sorella, non aveva proprio il tempo però di educare la figlia a dovere, la quale, rimbecillita dalla mediocrità della televisione e della società nella quale cresceva, era convinta che il proprio futuro sarebbe stato nel campo dello spettacolo o della moda e che avrebbe avuto bisogno soltanto della spinta giusta per entrarci. Ovviamente non era l’unica, da queste parti tutte le ragazze che non erano cessi totali avevano le stesse convinzioni: una volta finita la scuola sarebbero emigrate in una grande città, possibilmente Milano, con il pretesto dello studio ma con bene in mente l’obiettivo di entrare nelle grazie della gente giusta che le avrebbero piazzate nelle produzioni che contano, mentre le più pigre avrebbero aspettato che il successo bussasse direttamente alle loro porte senza che loro alzassero un dito. Tra i ragazzi della zona ce n’era uno, Giovanni, che fin dalle medie era stato soprannominato Pade, che non mancava di sfoggiarsi del fatto che suo fratello maggiore facesse il fotografo proprio nel capoluogo Lombardo, cosa che gli permetteva di attirare l’attenzione delle ragazze, le quali gli ronzavano spesso attorno, o comunque evitavano di ignorarlo come invece avrebbero giustamente fatto senza quella sua importante parentela, sperando di poterlo prima o poi utilizzare come trampolino per la concretizzazione del proprio sogno, o meglio della propria illusione.

Era un pomeriggio di una serie di giornate afose, mia sorella dopo essersi mangiata la solita insalata che avevo preparato per pranzo era uscita, io ero rimasto in casa per lavare i piatti e passare un po’ di tempo su internet, tra immagini sceme e news di mercato per la mia squadra del cuore, oltre che a chattare su facebook con alcuni degli amici con i quali avevo passato la serata precedente davanti ai soliti litri di bevande alcoliche. Mario, che io chiamavo Rio(o meglio, Ryo, come il personaggio di uno diei nostri cartoni dell’infanzia, I Cinque Samurai), mi fece sussultare con una indiscrezione che riguardava proprio mia sorella:
– Vecio, ma tua sorella che va dal Pade?
– Eh? Chi te l’ha detto?
– Lui, era su FB un’oretta fa, ha detto “e oggi di nuovo la sorella del Cise(che sarei io)!”
Era chiaro, Giovanni faceva promesse in cambio di “attenzioni speciali”, nel perfetto stile dei tanti truffatori che si vedevano nei programmi di giornalismo d’inchiesta che andavano in onda nelle TV in prima serata. Mia sorella, imbecille com’era, ovviamente gli dava corda. Cercai di informarmi meglio:
– Sai dove sono andati?
– In genere le porta lì del vecchio fienile di suo zio, è sempre deserto
Lo salutai, mi misi una maglietta ed un paio di scarpe ed uscii, incamminandomi verso il luogo in questione, un po’ alterato. Sapevo che mia sorella poteva fare quello che voleva con la sua vita, ma mi seccava che si comportasse in maniera così stupida con un individuo inetto come quello.

Il fienile era poco lontano, vicino al bosco e sotto al colle che affiancava il mio piccolo paesino. Ci arrivai in un quarto d’ora circa di camminata a passo abbastanza spedito. Davanti al fienile non c’era anima viva, decisi di fare il giro passando per il prato: girato l’angolo, eccola lì la Punto nera di Pade, e appena girato l’angolo lui stesso, che era seduto sul sedile del conducente, mi notò e si allarmò, facendo alzare in tutta fretta mia sorella Marta che era chinata su di lui in una pratica inconfondibile. Imbarazzatissimi si ricomposerò, lei uscì dalla portiera e mi chiese che cosa ci facessi lì, io con tono a metà tra il sarcastico e l’irritato risposi “nulla, stavo passeggiando”, cosa alla quale non sapeva rispondere. “Andiamo a casa”, aggiunsi, lei con il senso di vergogna che aveva addosso non osò nemmeno obiettare e acconsentì. A Pade non rivolsi la parola, decisi di rimandare la discussione a quando non ci sarebbe stata l’interferenza di mia sorella.

Camminammo per alcuni minuti in silenzio, questa volta il passo era molto più lento. Io avevo ancora in mente la scena, più ci pensavo e più mi eccitavo. Poi decisi di parlare e metterla in difficoltà:
– Insomma, cosa stavi facendo?
– Ma niente, parlavamo..
– Eh sì, con quale parte del corpo di Pade stavi parlando?
– Ahahah – rise nervosamente – ma no mi era caduta una cosa..
– Sì, come no.. Adesso però voglio che ne fai uno anche a me, lì dietro
Dissi ciò indicando, con un movimento della testa, in direzione del muro che faceva da recinzione ad una casa disabitata da diverso tempo, senza il cancello ed una quantità enorme di erbacce nel giardino. Fui totalmente diretto, la misi alle strette imbarazzandola forse ancora di più di quanto già non fosse. Dopo pochissimi istanti di silenzio, rispose con occhi sgranati e sguardo da partita di Poker e con voce evidentemente un po’ intimidita:
– Va bene

Mi era andata di lusso, anche se un po’ me l’aspettavo, dopo che avevo imparato a conoscere l’universo femminile lontano da casa, in un ambiente come quello Milanese; e poi per lei, evidentemente, un pompino era una cosa di poco conto. Pochi passi ed eravamo al riparo dagli sguardi, anche se considerato quanto era deserto il paesino in quei giorni avremmo potuto metterci in mezzo alla strada e nessuno avrebbe mai saputo; mi misi con la schiena rivolta verso l’angolo del muro, lei davanti a me che evitava di incrociare i miei occhi. Mi slacciai i pantaloni, lei si abbassò piegando un ginocchio e poggiando l’altro a terra, tenendomi giù i boxer con enrambe le mani lo accolse subito nella sua bocca calda. Ci vollero pochi istanti per rendermi conto che l’esperienza sicuramente non le mancava, tutt’altro, il che non mi sorprese stando alla sua fama di puttanella che aveva e della quale mi era stato riferito in più di una occasione. Era partita alla grande, ciucciando bene la cappella e facendomelo venire durissimo fin da subito, per poi prodigarsi nel leccare bene tutta l’asta, accompagnando con un sapiente lavoro di mano.

Se lo faceva scivolare fino in fondo alla gola, ignorando qualsivoglia ‘gag reflex’ al contatto della mia cappella con la parte posteriore della sua calda lingua. Non mi guardava negli occhi, per il resto sembrava di essere protagonista di qualche scena di un film porno con attrici navigate ed addestrate all’antica arte della fellatio, si dilettava con il mio cazzo come una troia consumata, muovendo con maestria la lingua sulla mia sensibile cappella. Mentre me lo spompinava, e mentre io la incitavo chiamandola ‘troia’, ‘puttana’ e ‘succhiacazzi’ come solitamente facevo in quelle situazioni con altre ragazze, mi immaginavo a quanti ne avesse succhiati prima di quel momento per essere così esperta, sicuramente una quantità industriale. Cominciai a pensare che tutti i miei amici avevano messo il loro cazzo nella bocca di mia sorella, considerando anche come ne parlavano, d’altronde in una zona come quella la gente parla ed è sempre informatissima su tutti. “Sei proprio una troia nata”, le dissi, afferrandole la nuca ed iniziando a dare io il ritmo a quella bella pompa.

Godevo sempre di più, sentivo che ormai non mancava molto al momento in cui mi sarei liberato in una grande ed appagante sborrata. Ormai le stavo praticamente scopando la bocca, lei non riusciva più a spompinarmi con la stessa dovizia, si limitava a tenere la bocca aperta e le mani appoggiate al mio bacino per non farsi schiacciare troppo contro di me per la mia foga. Non sembrava divertirsi molto ma non mi interessava, dovevo sborrarle in gola e tutto il resto era secondario, ignoravo anche il suo sguardo che sembrava quello di un cane bastonato e che strideva totalmente con ciò che mostrava solo pochi attimi prima. Continuavo a chiamarla ‘zoccola’ e ‘troia’ e muovevo il mio cazzo dentro e fuori dalla sua bocca sempre più forte, lei resisteva a fatica e dentro di lei probabilmente pregava che io finissi il più presto possibile: fortunatamente per lei ero effettivamente al capolinea, chiusi gli occhi e sparai nella sua gola getti multipli del mio fiume di sperma, che sentivo essere densissimo, in fondo alla sua gola. Lei era in evidente difficoltà, voleva liberarsi dalla mia presa spingendosi via ma la trattenevo forte, non ebbe via di scampo fino a quando non fui soddisfatto.

Riuscitasi finalmente a liberare la testa della mia presa in evvidente difficoltà – tossiva e si schiariva la gola – le dissi di finire di pulirmelo. La sua risposta:
– Vaffanculo! Ma sei scemo, vuoi uccidermi? Non respiravo più!
– Ma non fare la delicata, si capisce che sei esperta..
– Ma fottiti, stronzo!
– Taci, sei una troia e ti tratto come tale, adesso finisci il lavoro.
– Fattelo pulire da una trebbiatrice, pezzo di merda!
Così dicendo, si alzò e se ne andò via incazzata, a passo spedito. Forse avevo esagerato.

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