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Racconti Erotici Etero

Intimità 3

By 16 Gennaio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Nanà dovette affrontare con Roberto l’argomento dell’imminente viaggio in itinere. Naturalmente, glielo prospettò come un’occasione per la sua carriera; come durasse solo quattro giorni; come andasse con il suo capo, Gianfranco, che lui conosceva bene e ne stimava la natura di gentiluomo; che era indispensabile per la sua carriera e bla, bla, blà! Alla fine Roby non si convinse, ma, ob torto collo, accondiscese vista l’ineluttabilità dell’evento. Roberto, tuttavia, concluse la conversazione con una frase sibillina: “Allora ti sono creditore di un viaggio da solo.” e questo non le piacque. Ma, ormai era fatta e s’era infoiata per questo mal…benedetto viaggio col “Capo”.

Cercò tutta la notte di analizzare quel sentimento che le cresceva dentro. Non poteva ridurlo soltanto alla categoria di sfizio. Come dannazione succede in tutte le donne il desiderio è concatenato ad un sentimento. E lei riconobbe che il suo stato d’animo stava annichilendo ogni sua resistenza. Voleva proteggere ciò che, “in nuce”, era già un grande amore. Ma di che cavolo stava fantasticando? Doveva scacciare quelle fantasie e concentrarsi sul lavoro. Ma, si sa, la gatta torna al lardo. E le diventò impossibile chiudere occhio per tutta la notte, mentre quello stupido, insulso ometto dormiva della grossa accanto a lei.

Avrebbe voluto saltargli addosso e cavargli…! Povero, innocuo Roby. L’aveva considerato sempre un minus abens, da quando aveva dovuto prendere atto delle sue desolanti, scarse doti sessuali. Ma perché, allora, se ne era uscito con quella affermazione cretina sul “credito”? Che non fosse così come lo vedeva lei? Che intenzioni aveva? E se fosse stato un…”finocchio”? No, no, non era possibile! Non aveva di quelle fantasie e sembrava accontentarsi pienamente dell’ars amatoria di lei. Insomma, il sesso era regolare, fatte le opportune riduzioni in scala delle quantità di durata e di capacità di penetrazione. O forse era lei che pretendeva troppo. Ore di amore, di congiunzione carnale non erano possibili con lui. E poi chissà se lei l’avrebbe voluto. Si era lei che pretendeva troppo!

Occorreva una controprova, una cartina di tornasole che avesse potuto verificare la sua reazione difronte a una situazione più coinvolgente. Cazzo di dubbi! Proprio ora che doveva riposare e cercare di stare più calma possibile.
Mentre la pallida Aurora distendeva le sue rosee dita sul soffitto della stanza, lei cadde di colpo in un sonno profondo. Una nube dorata la ricoprì e Giove scese a darle pace. L’avvolse nella soffice coltre e la possedette dolcemente. Tanto era lungo quanto duro lo strumento che la riempiva fino in fondo. E lei si agitava, cercava di uscire dalla costrizione in cui era tenuta. Immobilizzata dal morbido peso che le gravava sullo stomaco e la penetrava profondamente, ipnotizzata da quel dono divino, restava trafitta, offrendosi in olocausto al potente Dio.

Provava ondate di calore che salivano dalle pelvi alla testa, facendole scoppiare le tempie. Il cuore accelerava come un treno che rompeva i freni. La gola le si gonfiava dal desiderio, mentre cercava di assaporare ogni centimetro di quella goduria che le sconquassava il basso ventre. Ansimava, sbavava, urlava di dolore misto a piacere e udiva le sue grida: “Ancoraaaaa…!”

D’un balzo si trovò seduta al centro del letto. Respirava a fatica come dopo una corsa affannosa. Si guardò intorno per rendersi conto di dove fosse. Riconobbe il suo letto, le lenzuola stropicciate che aveva gettato di lato. Accanto non c’era nessuno e la stanza era luminosa. I raggi del sole spiavano dalla serranda appena sollevata. Roberto era scomparso com’era scomparsa la nuvola dorata e il suo fallico contenuto. “O Dio!” – pensò coprendosi la faccia con le mani – “Che male ho fatto per ridurmi in queste condizioni? Assatanata come una ninfomane!”.

Ma che ore erano? Si voltò di scatto verso il rumore che proveniva dal comodino. Quel cavolo di una sveglia aveva ripreso a suonare! Premette lo snooze prima che fosse impazzita per il cicalino in crescendo. Si abbatté sul letto, poi le venne in mente: “Non ho visto che ore sono?” e sollevò rapidamente il capo volgendolo verso la radio sveglia sul comodino. Le otto! Cazzo! E si catapultò nel bagno, mentre sfilava il négligé da notte sfilandosi le mutandine che volarono sul termosifone. Entrò rapida sotto la doccia, mentre calzava la cuffia per proteggere i capelli dall’acqua. Non aveva il tempo neanche per riprendersi dalla magnifica, onirica cavalcata mattutina.

Solita, grigia trafila quotidiana prima di approdare in ufficio. Attesa per l’ascensore. Fu allora che trasalì. Una mano le toccava l’omero, mentre un braccio le cingeva la spalla. Immersa com’era nei suoi contraddittori dubbi non s’era accorta del pericolo incombente. Guardò di lato. O Dio! Riconobbe il magnifico serpe che le circondava la spalla in un mortale abbraccio.
“Ciao, tesoro!” – Cinzia la salutò con finto gesto affettuoso e sardonica voce – “Hai dormito bene stanotte, spero?”. Lei avanzò attraverso la porta dell’ascensore che s’era aperta, protetta dalla sua “amica” che la sovrastava di dieci centimetri.
Era portata a divincolarsi, ma avrebbe dovuto spiegare agli occhi dei compagni di viaggio il perché del suo comportamento. E, infatti, il passo avanti che fece per entrare nella cabina aveva quello scopo. Si astenne, vedendo che lei continuava a “proteggerla” in quel modo insolito.

“Bene, grazie!”- rispose. Guardò verso il piede dell'”amica” e continuò, dispiaciuta: “Ti fa male il piede, tesoro?”.
Lei sorrise: “O no, cara! È stato un attimo e poi più nulla. Sai,… la distrazione fa brutti scherzi… a volte!” e le lanciò una stilettata avvelenata negli occhi. Sorrise poi, amabilmente. Era davvero un “angelo”.
“Tuo marito come sta?” fece Cinzia, distrattamente. Nanà la fissò un attimo, mentre pensava: “Che cavolo c’entra ora mio marito? Non se n’è mai occupata! E ora quell’interessamento… Lo conosceva perché s’erano incontrati una volta al ballo aziendale, ma, poi, più nulla. Non aveva neanche ballato con lui!”. Girò la testa davanti a sé, mentre rispondeva: “Bene, bene!” ritenendo che fosse chiuso l’argomento. Cinzia sembrava distratta e, guardando dall’altra parte, cantilenò, quasi con cortesia, ma rifacendole il verso:”Bene, bene…”. Nanà si sentì gelare. Che l’aspide stesse per mordere?

Il giorno passò in fretta fra mille adempimenti da portare a termine prima della trasferta. L’indomani sarebbero andati a prendere il volo Ryanair da Orio al Serio delle 14,40 per Saragozza con ritorno il Martedì successivo. “Vi mando i biglietti e le altre informazioni per Saragozza. Insieme al Voucer per l’albergo.” le comunicò Cinzia brevemente al telefono, concludendo “Buon viaggio, cara…” “Grazie!” e troncò,aggiungendo, in un soffio indistinto: “Stronza!”. Aveva avuto cura di chiudere l’interfonico prima di pronunciare l’ultima parola che avrebbe potuto comprometterla.

Non poteva disconoscere che in fatto di efficienza fosse perfetta. Chissà se anche in quel… “campo” era all’altezza? D’altronde, con l’attrezzatura che si ritrovava doveva essere proprio una vera stronza per non essere efficiente. Finì in fretta il disbrigo delle ultime pratiche della giornata, raccolse i documenti che le servivano per la trasferta, li ordinò e li chiuse nel cassetto. Tanto il giorno dopo sarebbe partita per l’aeroporto alle 11, insieme al capo, con la macchina dell’ufficio. Avrebbe infilato quel che le serviva nella cartella portadocumenti che ricordava di custodire a casa. Salutò Gianfranco con un: “A domani.” per interfonico e uscì dall’ufficio. Erano quasi le diciotto.
Mentre guidava, tornando a casa, ripensò a Gianfranco e alla sua gentilezza. Allora le venne in mente. Si morse il labbro e fece un giro più lungo del solito. Doveva passare dalla farmacia! Naturalmente quella più lontana dal suo percorso, dove non la conoscevano. Per quel che doveva comprare non poteva rivolgersi al fornitore abituale a due isolati da casa. Già immaginava le battute ironiche dell’amico farmacista a proposito dell’acquisto. Comprò giusto quel che poteva servirle per il viaggio: la crema corpo, viso e mani. Non scordò il motivo per cui aveva operato la deviazione: la confezione di anticoncezionale che la ginecologa le aveva consigliato, salutandola qualche giorno prima:”Per ogni evenienza, cara!”.
Aveva una strana euforia quella sera.

Roby non era ancora rincasato. Nanà si cambiò d’abito, indossando la tuta che usava in casa, e iniziò a scegliere i capi di vestiario da mettere in valigia. Doveva essere una valigia light, cioè essenziale, senza fronzoli. Giusto il necessario per tutte le evenienze. E non era a dir poco! Per fortuna consisteva tutto in roba leggera, data la stagione. Solo che doveva prevedere due capi di vestiario, uno per la mattina e l’altro per la sera e in più il vestito elegante per una serata importante, più tutto il resto fra intimo e camicie da notte. Per fortuna il tessuto misto in seta e sintetico era facilmente ripiegabile e,soprattutto, non sgualcibile. Gli accessori più ingombranti erano le scarpe in cui infilò le buste delle calze per utilizzare ogni angolo vuoto. Poste ai lati della valigia si adattavano bene.

Ripassò mentalmente l’elenco dei capi che aveva inclusi nella valigia, commisurandoli alle necessità che avrebbero dovuto soddisfare. Quindi passò alla borsa da viaggio da portare a mano, cioè a tracolla. Mise nelle buste trasparenti gli accessori per il trucco e le confezioni da viaggio delle creme varie che aveva comprato. ‘Last, but not the least’, stipò le pillole progestiniche nella tasca segreta sul lato interno della borsa. Dette due pacche dall’esterno, lì dove le aveva sistemate, sorridendo a se stessa, e chiuse la zip. Era tutto.

Si girò e si ritrovò incollate le labbra da un bacio. “Roby…!” – sgranò gli occhioni. Roberto le era giunto alle spalle. Si ritirò dal bacio con un piccolo scatto. Poi, arrossendo violentemente, rifiatò: “Mi hai fatta spaventare!”. Era confusa e inquieta. Non sapeva da quando fosse lì e cosa avesse visto. “Calmati! Ora ti spaventi per nulla?” – la rincuorò lui.

“È che non ti ho sentito arrivare… ” – cercò di rispondere mentre lo squadrava per cogliere un gesto di irritazione nel suo interlocutore. “Sono rientrato ora. Non t’ho chiamata perché ho visto la borsetta nell’ingresso e la giacca all’attaccapanni. Beh, allora sei pronta per la partenza? Ti sei ricordata di tutto?”. Le sembrò che avesse rimarcato quel «tutto», ma pensò che fosse la sua coda di paglia a evidenziarlo. “Sì, sì! Ho preso tutto il necessario, anche se è così poco che non so se ce la farò per tre giorni.” – rispose in fretta.”Veramente sono quattro i giorni… ” – intercalò lui, volutamente senza espressione.”Quattro con il viaggio!” – ribatté lei, pronta.”Già, già… il viaggio.” – sembrava distratto.

Nanà si spostò in cucina per preparare la cena, mentre lui si metteva in libertà in camera da letto. Si accorse della bottiglia di vino che Roby aveva comprato lungo la strada dall’ufficio e che aveva poggiato sul tavolo. La spostò nel frigo. Lui arrivò ciabattando e apparecchiò la tavola mentre lei rimestava l’olio nell’insalata che aveva approntato nella coppa. La ripose sulla tovaglia e aprì il frigorifero per prendere salumi e latticini che a lui piacevano tanto. Anche a lei piacevano, ma doveva stare attenta alla dieta light.

Mentre si muovevano in cucina, sfiorandosi da destra e da sinistra, Roby parlava della sua giornata. “A proposito, stasera sono passato dall’enoteca vicino all’ufficio. A proposito… dove hai messo la bottiglia che ho poggiato sul tavolo?” – intercalò, continuando il racconto. “In frigo!” – rispose Nanà,impegnata ad affettare il salamino.”Sai chi ho incontrato?” – continuò Roby. “Chi?” fece lei distratta.”Cinzia, la tua amica.”.
Involontario fu il colpo che assestò, più deciso, sul tagliere, scapitozzando dall’insaccato un pezzo più grosso del normale, come fosse una ghigliottina calata sulla testa del povero salame. Rotolò fuori dal “cippo” di legno, saltando nel piatto quasi fosse il cesto posto sotto la testa del povero decapitato. Si arrestò, spostando la ciocca di capelli che “non” le stava ricadendo sugli occhi. Fu solo un attimo, perché riprese con più lena ad affettare.

“Che ha detto?” – chiese, quasi indifferente. “Che ti salutassi. Ha curato lei la prenotazione del tuo viaggio. Ci ha tenuto a sottolineare «nei minimi particolari». Deve essere una brava ragazza, oltre che una bella donna. È stata molto affabile.” “Immagino!” – pensò Nanà. con gli occhi vitrei – “Dannata stronza! Che aveva in mente?”. Non credeva alla casualità dell’incontro. Quell’efficiente macchina del sesso non lasciava nulla al caso.

“E poi?” – chiese, accorgendosi di averne affettato troppo di salame.
“Ma quanto ne hai tagliato?” – chiese lui. “Lo conservo nella pellicola per te, se ne avessi bisogno nei prossimi giorni.” – si giustificò, provvedendo ad avvolgere le fettine nel foglio di plastica trasparente. “Poi? Niente! Ce ne siamo andati.” – concluse lui.”Beh, possiamo sederci a tavola.” – fu quasi un ordine il suo, mentre ripensava alla scena dell’enoteca appena rievocata dal marito.

Mangiò distrattamente, mentre lui scherzava. Chi sa perché era di buona vena! Finirono di mangiare. Lui le si avvicinò e le schioccò un bacio sulla bocca. “Facciamo all’amore?” – chiese con gli occhi ardenti. Nanà lo guardò con compassione. «Povero caro s’era agitato per la visione di quella stronzetta ed ora voleva sfogare con lei! – pensò – Forse era meglio assecondarlo per fargli sbollire la caldana, prima di partire.»

“Certo caro.” – e se lo tirò dietro, sbavando e scodinzolando come un bulldog dal troncone di coda, inserito a rovescio, che, invece di uscire dal coccige, lo precedeva fra le gambe.
Ciascuno spogliò l’altro con lentezza, assaporando l’assalto inevitabile che stava per consumarsi. Dentro di loro tremava tutto, dai cuori, alle viscere, alle ginocchia come in un terremoto al quarto grado della scala Richter. L’attesa scuoteva i loro corpi, ma ancor più le loro coscienze. Entrambi erano posseduti dal demonio della lussuria, inseguita, ma che presagiva l’ombra di una lascivia di vago sapore adulterino. Era insomma una promessa di tradimento.

Mai come quella sera si sentirono soddisfatti dal loro rapporto, accrescendo il tormento del senso di colpa per un adulterio solo ipotizzato.

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Nina Dorotea

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