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Racconti Erotici Etero

Io, Francesca, la donna invisibile

By 12 Dicembre 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Francesca – 1
Com’&egrave esattamente che &egrave cominciata questa storia? Forse con quel curiosi misto di prurito e fitta che m’ha preso una sera, tardi ‘ saranno state le undici passate ‘ tra l’ombelico e il monte di Venere, sotto la pelle? Bello da scrivere, di sicuro ancora più bello e intrigante da leggere, mi sa. No, voglio essere onesta, devo essere onesta, se ho deciso che questi quarantacinque minuti che devo dedicare a me, solo a me ed alla mia introspezione, devono essere sinceri. No, non &egrave cominciata lì tutta questa cosa. Datiamola per bene: un anno e due mesi fa. &egrave cominciata allora, questa storia. E credo che non sia ieri, la giornata in cui questa storia leggerà o ha letto il capitolo fine. Perché temo sia molto più probabile che ieri si sia chiuso solo il prologo di una storia ancora tutta da scrivere. Almeno, questa &egrave la sensazione che ho, in questo momento. Non arriva improvvisa; la sento ferma sul palato, poco prima dell’ugola, assieme al ricordo di quel glande grosso come una noce e caldo, umido e dolciastro, che lascio entrare e uscire, fino ad accarezzarlo con le labbra e risentirlo pochi istanti dopo fino quasi in gola. Sì, un ricordo che non se ne va.

Ha senso dirvi che mi chiamo Francesca, ho 43 anni, lavoro in amministrazione per un grosso ente, sono separata da un anno e due mesi ed ho un figlio di quasi dieci anni che divido, a targhe alterne ‘ non mi spettano i week-end, dal venerdì sera alla domenica sera – con il mio ex marito? Non so che senso abbia per voi, ma per me un senso ce l’ha. Perché &egrave lì che &egrave cominciato tutto.

Un anno e due mesi fa, quando con una certa liberazione, dopo un paio d’anni trascinati tra routine e incomprensioni, silenzi e solitudini reciproche, ci siamo detti che avevamo forse sbagliato a tirare per le lunghe un fidanzamento di quindici anni di assoluta fedeltà, affetto, comprensione e amore. E ci siamo scoperti poco oltre i quaranta con tanto ancora da scoprire e vivere e molta poca voglia di condividere queste novità con la scontatezza di un partner che conoscevamo come le nostre tasche. Ci siamo separati nel massimo rispetto e nella massima stima reciproca, senza strepiti e piatti sfasciati in terra. Scegliendo con calma e serenità come dividere tutto quello che avevamo unito. Un anno e due mesi fa &egrave iniziato tutto, sì. Perché a me, un anno e due mesi fa il mondo sembrava un nuovo giardino inesplorato. E invece’ Invece mi sono accorta nemmeno due settimane dopo che quel giardino non riuscivo a viverlo. Ci ho provato, credetemi’ Ma in quel giardino, per quanto facessi, avevo preso a sentirmi invisibile. E quella sensazione di invisibilità c’ha messo un attimo a dipingermi tutta di vernice cristallina, rendermi invisibile davvero. Non so se sia stata io a rendermi così, inarrivabile, invisibile, per nulla interessante’ Ma in men che non si dica sono rimasta sola. Serenamente sola. Forse dovrei dire rassegnatamente sola. Piena nella mia vita solo del mio bambino, del mio lavoro e di pochi passatempi che mi hanno sempre fatto star bene: la cucina e la lettura.

Per Natale, lo scorso anno, Paola, una collega ‘ dovrei forse dire una sorella ‘ mi regalò un reader digitale e un buono da spendere in ebook. Qualsiasi donna alla ricerca di quel giardino nuovo e da scoprire l’avrebbe lasciato sul comodino, un reader. Io mi ci tuffai dentro. Quel regalo fu il trenino sempre visto in vetrina, quello che non ci si poteva permettere. Lo riempii di grandi classici, all’inizio. Poi passai a cose più leggere: genere romance. Finii per farmi anche l’abbonamento ad un bel sito che permetteva la lettura di tantissimi titoli ad un costo irrisorio al mese. Finii per cominciare a divorare titoli e titoli di quelli che un tempo si chiamavano ‘serie rosa’.

Un anno di un giardino tutto da scoprire fatto di sveglia, cucciolo a scuola, lavoro, pranzo, compiti del cucciolo, nuoto del cucciolo o pianoforte del cucciolo, qualcosa di bello e sfizioso da preparare per la cena, cena col cucciolo, nanna del cucciolo, reader reader reader nanna mia. Ogni tanto, ma davvero ogni tanto, shopping con un paio di colleghe e amiche. Ogni tanto, ma davvero ogni tanto, un cinema o una pizza fuori. Unica scapola tra tante ammogliate.

Così invisibile da aver fatto anche passare il gusto, a qualche amica fidata, di suggerirmi di dedicare un po’ più di cura e di attenzione a quel tipo lì o a quell’ammiccamento là. A furia di ‘sì, certo, figurati se &egrave a me” chi mi stava intorno deve aver smesso. A furia di ripetermi che stavo bene così, sì, mi ero resa io, invisibile. Quel mondo fatto di me, mio figlio, il mio lavoro, le mie passioni, mi piaceva. Mi dava un senso di serenità, quiete e sicurezza. Mi ero sorpresa addirittura felice quando qualcuno mi aveva garbatamente informato che il mio ex aveva cominciato una storia, una storia sentimentale nuova, fatta di viaggi, concerti, musei, novità. Giuro, felice. Mi ero semplicemente detta che, forse, quel che cercavo era la quiete e la serenità di una solitudine’ Che del resto, davvero, non mi era mai piaciuto troppo dividere passioni e interessi con gli altri. Mi dissi che sicuramente era andata così: lui aveva voglia di altro, io avevo voglia di non dividere quel che mi piaceva con nessuno.

Invisibile, serena e sola. Io, il mio cucciolo, il mio reader, la mia cucina, il mio lavoro.
Poi sono inciampata in Gianni Badesi. Due mesi fa. Così, per caso, scorrendo la Top100 dello store di ebook da dove rifornivo il mio reader. Sono inciampata così in un libro che era catalogato sia come ‘sentimentale’ che come ‘narrativa erotica’. L’ho tirato su incuriosita. Un ora e dieci come tempo di lettura. L’ho divorato in meno’ si lasciava leggere. Sebbene fosse completamente diverso dal resto delle cose che avevo letto fino ad allora. Sebbene fosse molto più diretto, esplicito. Sebbene il centro caldo di tutta la narrazione e la vicenda, fosse il sesso. Il sesso diretto, esplicito, senza sconti e belletti. Chiuso il primo, la sera stessa, ne ho scaricato un altro. E la sera stessa ne ho messi in coda altri cinque.

E’ uno che scrive un sacco. Ed un sacco di roba diversa. Il giorno dopo, di sabato, mi sono dedicata ad una incursione nella vita di questo autore. Scoprendo che usa uno pseudonimo, &egrave psicoterapeuta di coppia e semplicemente ha una bella penna. Con tutto quello che sente, studia e vede, nella sua professione, c’ha fatto praticamente un secondo lavoro. Ce n’ho messo, di tempo, ma dopo un giorno intero di ricerche e navigazione’ salta fuori anche una sua foto, ben nascosta nelle pieghe del tempo. Forse invisibile, come me, alle navigazioni superficiali. Una foto e la sua mail. Ed una serie di informazioni che smascherano una realtà diversa: tutto quel che di lui si sa, ancora, &egrave una finzione. Troppo giovane per esercitare davvero da una ventina d’anni ed un lavoro molto, davvero molto diverso.
Appuntai la mail. Quella sempre presente in coda a tutti i suoi ebook. Con quel senso di pizzicore e fastidio tra ombelico e monte di Venere che vi dicevo prima. E con un pizzicore crescente, fermo lì, ho vissuto la settimana successiva, sempre in bilico tra il leggere il suo ennesimo racconto oppure mandare una mail, così, al suo indirizzo. Appena e solo perché sapesse che aveva un’altra fan. Lo feci al primo momento utile. Il primo venerdì disponibile. Dopo cinque minuti che mio marito aveva richiuso la porta alle spalle con lo zainetto di mio figlio nella sinistra e la manina del cucciolo nella destra. Il prurito era troppo forte.
Poche righe: ‘Solo e soltanto i miei più vivi complimenti per quello che scrive e per come lo scrive’ Sa trascinare davvero al centro della storia! Non smetta di scrivere, la prego’ Sua nuova fan Francesca’.

Una risposta, nemmeno un’ora dopo. Lapidaria, stringata. ‘Grazie. Felicissimo che quel che scrivo ti rapisca. Una buona serata e buone letture, Francesca. GB’.
Alzo gli occhi sul monitor a destra, cercando l’orologio. Trentacinque minuti. Poi saranno le 20:30 e il campanello strillerà, annunciando il ritorno del cucciolo e del mio ex marito che lo riaccompagna, entra, poggia in cameretta lo zainetto, saluta il piccolo con un bacione e me con due bacetti sulle guance, come facciamo da tempo, ormai. Mi porto istintivamente la destra sotto il naso. Inspiro. Bagno schiuma. Adesso, come tutte le altre volte che l’ho odorata oggi. Innumerevoli. E lo faccio guardando la porta sul corridoio, come se qualcuno potesse entrare da un momento all’altro a frugare in questa intimità che, di colpo, istintivamente, voglio sia segreta.

Segreta, come quello che si chiama senso di colpa’
Odoro le dita, pur avendo lavato le mani qualcosa come dieci volte, dopo la doccia di stamattina. Odoro e mi sembra di sentire ancora l’odore ‘ mi censuro, avrei voluto scrivere la puzza ‘ del mio piacere. Sì, perché stanotte, dopo quel che &egrave successo, mi sono toccata e coccolata. Per ore, fino allo sfinimento. Non lo facevo da non so più quanto tempo. Non l’avevo mai fatto, in questo anno e due mesi passati. Nemmeno dopo tutte le letture degli ultimi due mesi. Da non crederci? Magari sì’ Ma &egrave così. Non so quante volte l’orgasmo mi ha scossa. Ad un certo punto non li ho contati più. Come non ho più contato le promesse, fatte ogni volta che riprendevo fiato, tra una scossa l’altra, che quello sarebbe stato l’ultimo e mi sarei messa a nanna. E giù a rimandare a memoria le ricette di dieci piatti diversi, che finivano per confondersi l’uno con l’altro, tra antipasti e secondi, contorni e dessert. E giù la mano, vanti andare. Poi ho provato con le fatture da registrare, col lavoro. I numeri si rincorrevano e si confondevano. Non mi era mai successo. E giù la mano, di nuovo, avanti andare.
Succedeva di continuo: più mi sforzavo di mettere gli ingredienti al posto, le fatture in ordine, più ritornava quella immagine: la mia auto, ferma, nel parcheggio di uno dei più grandi poli commerciali della grande città dove vivo. La mia auto in quel parcheggio chiacchieratissimi, quello che di notte si trasforma, mantenendo la stessa logica di un ipermercato e cambiando i prodotti: ogni settore del parcheggio un gusto ed una offerta differente del grande mercato del piacere. Transessuali, coppie di scambisti, guardoni, esibizionisti, prostitute, incontri al buio’ Come fossero elettronica, elettrodomestici, casa, arredo bimbi, gioielleria, abbigliamento e pelletteria. Fino alle 21, il parcheggio di un grande polo commerciale’ Dopo le 21 la merce cambia, la logica resta la stessa: arrivare, parcheggiare quanto più vicino a quel che si cerca, consumare o acquistare e tornare a casa.

Più mi sforzavo di rimettere in fila gli ingredienti, ricomputare le fatture, più la mia macchina prendeva nitidezza e consistenza. E allora la mia mano tornava a scendere, animata di vita propria. Ogni volta cedevo. Resistere non aveva senso; quelle immagini non si scacciavano. L’ombra che si avvicina, la sigaretta tra le mie labbra che trema impazzita. L’ombra che si fa vicino allo sportello. Io che apro. L’ombra si mette tra le e lo sportello, apre il cappotto. Mi guida la mano. Lo offre perché valuti la mercanzia.

E le dita impazzite dentro, indice e medio. E il pollice a carezzare il clitoride, sempre più forte’ Fino a sentirlo bruciare. E l’altra mano a palparmi il seno, tormentare dolcemente un capezzolo prima e poi l’altro.. E l’orgasmo. Prima forte, inaspettato, di quelli che arrivano e tu sei lì scioccata a dire: ‘Non me lo ricordavo così” Poi sempre più bramato, ossessivamente, violentemente, con testardaggine. Col bruciore sotto il pollice. Col dolore a fasciare le altre dita, che le pareti attorno non ce la fanno più a tendersi e stringersi, congestionate da una ripresa dei lavori inaspettata e troppo, troppo intensa.
Smettevo di mettere in ordine gli ingredienti e me ne stavo lì, con la mente, seduta in macchina, in quel parcheggio, ben dopo le 21. Io, quella invisibile di sempre. Io che non mi vedevo da fuori. Io che fuori della macchina non vedevo nient’altro che quell’ombra. Me ne stavo lì ferma, con la mano destra stretta attorno a quel cazzo di ombra e di carne, sempre durissimo, dalle dimensioni sempre sfocate’ Sempre bollente. E con la mano dell’ombra che saggiava la mia, di mercanzia, massaggiandomi con brama il seno. Bollente, indelicata, come le mani di chi si rigira il pacco di sottilette tra le mani, cercando la scadenza.
Ho preso sonno che faceva quasi alba, con le mani che puzzavano del mio piacere ed il mio centro caldo, tra le gambe, che in fiamme urlava pietà. Mi sono calmata solo con una promessa: scriverò due righe a Gianni, anche se non me lo ha chiesto’ E dopo scriverò per me e solo per me quello che penso, di tutto quel che &egrave successo ieri. Mi calmerà.

Sì, perché l’alternativa era continuare a massacrarmi alla ricerca non tanto più del piacere, come avevo fatto all’inizio di quella nottata. No. Perché dopo il primo, il secondo ed il terzo, avevo cominciato a massacrarmi per vincere la tentazione di andarci davvero, in quel parcheggio, a quell’ora di notte, a vedere se davvero un’ombra si sarebbe avvicinata a guardare quanto ero invisibile. A mettermi il cazzo in mano perché saggiassi la mercanzia. E saggiare me e la mia terza di seno che cede alla gravità. E magari a propormi ‘qualcosa di soft se &egrave la prima volta per te”
Come aveva fatto Gianni la sera prima ‘ alle 19, però ‘ al nostro primo incontro. A quello che, c’aveva tenuto a precisarlo, sarebbe stato solo un caff&egrave. Il nostro primo caff&egrave. Stesse parole: ‘saggiare la mercanzia’ e ‘qualcosa di soft, che &egrave di sicuro la prima volta’.

Passo indietro, doveroso. Non so se &egrave il senso di colpa a farmi dire queste cose, ma’ Quel caff&egrave alla fine l’avevo quasi preteso io, da Gianni. Tampinandolo per un mese buono con le mie mail, soprattutto dopo aver scoperto che davvero, come avevo intuito da alcuni dettagli sparsi nei suoi racconti, era delle mie parti. Sì, l’ho tampinato, con mail brevi alle quali ha sempre risposto in maniera molto molto telegrafica. Che m’aspettavo, che potevo aspettarmi, del resto? Invisibile. Una tra tante, troppe, forse. Tre settimane e più di mail, una al giorno, con le mie considerazioni su tutto quel che lui scriveva e che io leggevo. Sempre molto gentili e telegrafiche le sue risposte. Fino a quando, convinta che tanto m’avrebbe detto no, non ho spinto io le cose un po’ più avanti. ‘Un caff&egrave, un pomeriggio di questi? Io sabato sera sarei libera”
‘Sabato andrà bene, sono libero. Ma solo tra le 19 e le 20, dopo ho un impegno purtroppo non prorogabile. Altrimenti dovremo rimandare a sabato prossimo”
Quando lessi che per lui andava bene, quasi non ci credevo. Mi era sembrato un gioco, invitarlo. Adesso era tutto vero. Adesso avrei dovuto rispondere. Risposi che andava benissimo. Mi ripetei che tanto sarebbe stato un caff&egrave, come tanti, con una lettrice, una fan, come tante.
‘Peccato che non potrai farmi l’autografo, sul reader” ‘ ‘Un selfie assieme al tavolino del bar di solito fa lo stesso, per le altre. Per te?’ Considerai che, alla fine, nel mondo del digitale e dei libri sul reader, beh, un selfie era la stessa cosa che una dedica autografata dietro la copertina. Accettai. Quando mi disse dove ci saremmo potuti incontrare, dissi che mi andava bene’ Ma lo feci con una battuta.

‘Davvero vuoi vedermi in quel parcheggio? E’ lo stesso dove sono ambientate le storie di Teresa, vero?’ Il parcheggio di quel centro commerciale’ Il parcheggio dove nella notte ho incontrato l’ombra più di una volta. Il parcheggio dove sarei corsa, tra una toccata e l’altra, tra una coccola e l’altra, tra una tortura e l’altra, la notte prima.
‘Alle 19 non succede nulla di male, Francesca. Ma se per te &egrave un problema, facciamo altrove. Semplicemente &egrave un posto facile da raggiungere per tutti e due’ E ci sono dei bei bar nella Galleria commerciale. E poi, pensavo che sarebbe stato meglio trovarci al terzo piano dell’interrato, lontano dal piazzale. Anche perché lì, di solito, c’&egrave molto posto. Incontrarci sarebbe più facile’ A proposito, tu mi hai visto in foto, io no’ Come ti riconosco?’
Rimasi ferma per un po’. Non ci eravamo scambiati il numero di telefono, per espressa richiesta di Gianni. Non voleva che le vite vere entrassero troppo in contatto. Mi chiesi se non sarebbe stato giusto inviargli una foto. Mi dissi che no, non serviva’ Ero un volto trasparente. Ero invisibile. Non avrebbe cambiato nulla.

‘Ho una Panda nuovo tipo, blu. Dietro, sul lunotto, proprio al centro, c’&egrave un adesivo con su scritto Bimbo a bordo” Rispose con una delle citazioni strambe che spesso usava nei suoi racconti. ‘Sì, sembreremo Pina e Fantozzi: tu sarai Timidasperanza ed io Luposolitario” Mi strappò un sorriso ed un sospiro rilassato. Così rilassato che abbassai le difese per attaccare, con quella che in quel momento mi sembrava solo una battuta di spirito.
‘Beh, posso stare tranquilla, allora’ Solo un’ora’ A meno che non ti piacciano le sveltine, sarà davvero solo un caff&egrave” Fu lapidario, forse anche un po’ freddo nel rispondere. Rimise ferrea una distanza, tra noi. ‘Non porto a letto tutte le mie lettrici. Non al primo appuntamento, soprattutto.’ Niente punti di sospensione. Non lasciava nulla in sospeso. Risposi con un’altra batuta, per cercare di stemperare quella che mi sembrava una inutile tensione creata da me e solo da me: ‘Ed io che pensavo’ Vabb&egrave, dai, fa nulla’ Alle 19, allora”

La sua risposta mi gelò il sangue, lasciandomi per un bel po’ a chiedermi se non fosse meglio davvero disdire tutto. Non per paura, ma per la figuraccia che avevo fatto, la pessima figura che avevo messo su. ‘S questo &egrave quel che cercavi, questo &egrave quel che pensavi’ Vedremo cosa si può fare. Solitamente tengo le distanze, a volte corro davvero tanto. Tu sappi solo che ti basta ricordarmi che dobbiamo solo prendere un caff&egrave, se avrai cambiato idea. A domani, allora, 19 terzo piano interrato. Scusami ma devo scappare.’

Ieri non ero assolutamente in tiro. Non avrei nemmeno saputo da dove cominciare, onestamente. Non mi sono messa a cercare una ‘sistemata’ da non so quanto’ Non avrei cominciato ieri. Non mi sembrava avesse un senso. Anche perché non potevo nemmeno immaginare quel che sarebbe successo. Invisibile, ricordate? Avevo addosso uno spolverino termico corto, jeans e sneackers e sotto una maglia a dolcevita. I miei occhiali rettangolari, con la montatura in cellulosa nera e discreta. Il mio caschetto quasi nero, ordinato, con la frangetta. Una mamma con gli occhiali, non una segretaria o una maestrina’ Una mamma invisibile. Felice così. Sono arrivata dieci minuti in anticipo. Ho parcheggiato e aspettato in macchina, concedendomi una sigaretta. L’ho visto arrivare qualche boccata dopo, con la sigaretta a poco dal filtro. Camminava svelto, spedito. Un parka lungo e slavato sui toni del verde militare. Il pantalone di una tuta parecchio oversize sotto e ai piedi delle scarpe ginniche. Cappellino di lana panna calzato in testa. Giovanilissimo. Fin troppo sportivo per come qualcuna potrebbe immaginarsi per un appuntamento con una donna. Fin troppo sportivo per uno scrittore.
Mi fissa avvicinandosi. Da solo uno sguardo al centro del parabrezza per vedere se dietro c’&egrave l’adesivo. Io sorrido, guardandolo. Tiro una boccata. Le dita tremano. Mi fissa. Non mi saluta. Si guarda indietro e si fa vicino allo sportello. Non mi sorride. Bussa al vetro, dalla mia parte. Lo guardo, gli sorrido ancora. Abbasso il cristallo. ‘Ha da accendere signora?’ mi fa lui a voce bassa. Ha la voce molto calda, quasi roca. Tremo, lo guardo interrogativa. ‘Gianni?’ chiedo per rompere il ghiaccio.

‘Lasci stare i nomi, sono puri purissimi accidenti” E’ lui’ &egrave la sua solita frase.

Mi chiede ancora se ho da accendere’ Abbasso gli occhi. Non so che fare, non so che dire’ In quelle storie, quelle di quel parcheggio, nel grande popolo degli incontri al buio, comincia sempre tutto con quella domanda. ‘Ha da accendere?’ Ed io non so se cercare l’accendino o dirgli che siamo lì per un caff&egrave, magari sorridendo, per dire che ok, lo so che scherza’ Mentre ci penso, la mano sta correndo alla borsa, per cercare l’accendino che s’&egrave infilato chissà dove e non si fa trovare.

‘La cicca andrà bene, sa?’ E sento una nota divertita nella sua voce. Va avanti, con voce più impostata ‘Ma forse sto solo equivocando e lei &egrave qui solo per un caff&egrave” Lascia sospesa la frase e io mi dico che &egrave davvero solo tutto un modo un po’ strambo per rompere il ghiaccio. Non può essere altro. Così gli allungo quel che resta della sigaretta. Lui la lascia cadere a terra non appena gliela porgo’ E prosegue: ‘Prima volta vero?’ Mi sono accorta che non lo sto guardando, che ho gli occhi fissi sulle sue labbra’ Devono sembrargli bassi. Scuoto leggermente la testa, come a dire che non ho capito cosa vuol dire. Lascio uscire un sì sussurrato. &egrave uno scherzo, non può essere altro che uno scherzo, dai! ‘Si capisce dallo sportello sa?’ Ha ancora la voce che sorride, pur roca com’&egrave. ‘Se lo tiene chiuso, come si fa a valutare la mercanzia?’ Avvicina la mano alla maniglia del mio sportello ‘Posso?’ Sussurro di sì. Sento che col busto vado di qualche centimetro indietro. I sto difendendo indietreggiando o gli sto facendo strada? Non &egrave come sembra, &egrave solo uno scherzo.
Apre. Si infila tra me e lo sportello. Avvicina la mano alla mia, dolcemente mi viene adesso da dire. Lo dico ora, perché in quel momento quasi non m’ero accorta che la mano si stesse avvicinando. Nient’altro che uno scherzo. Mi prenderà la mano e mi tirerà dolcemente fuori per portarmi a fare il caff&egrave. Mi lascio prendere la mano.

Bollente. Duro. Pulsa appena lo tocco. Ho la mano dove lui l’ha tirata, sotto il suo parka aperto appena sotto la cintura. Lo aveva già tirato fuori della tuta, evidentemente. Bollente. Duro. E pulsa da morire. Ho le dita attorno all’asta. Sotto il palmo sento sbattere qualcosa di grosso, durissimo. Scotta. Non so quanto sia grosso. Così, nascosto dal giubbotto, sembra enorme. Quant’&egrave che non tocco un cazzo? Quant’&egrave che non ho un pisello per le mani? Non lo so’ un anno e mezzo, forse, che già prima della separazione con mio marito’ Bollente, duro e pulsa. Sembrano interminabili i momenti. Sembra un tempo infinito. Sento che torce leggermente il busto. Si sta guardando intorno, forse. Sento la mano paralizzata, immobile lì, a contatto con quella carne durissima e tesa. Mi arriva quasi per sbaglio la sua voce, roca e calda: ‘A me non fa saggiare nulla?’ E l’altra mano, la sua, s’infila nell’abitacolo. S’infila sotto il giubbino, sul petto. Mi cerca i seni. Li tocca, affamato ma senza forzare. Cerca tra pollice e indice i miei capezzoli, sopra al maglione e al reggiseno. Ritrae la mano. Si stacca dalla carrozzeria, si sfila richiudendo il giubbotto. ‘A me piace’ Se le va sono in macchina lì in fondo. B5. Aspetto cinque minuti, poi vado via’ Tranquilla, se &egrave la prima volta ci fermiamo a qualcosa di soft”

L’ho visto andare via, l’ho seguito con lo sguardo. Non s’&egrave voltato un attimo. Camminava sicuro, con i passi con cui si era avvicinato. Convinti, svelti. Devo essere sincera fino in fondo, se scrivo per me. Non lo so perché l’ho fatto. Potevo girare le chiavi nel quadro e ripartire. Invece no. Ho sfilato il mazzo dalla toppa e l’ho infilato in borsa. Sono uscita chiudendo lo sportello. Ho cercato il telecomando per far scattare la chiusura. Gesti meccanici, identici a quando torno a casa. Gli stessi. Forse perché mi davano sicurezza. Ho accelerato il passo, svelta, verso il fondo. B5. Passi sempre più rapidi. Veloci. Non pensavo a nient’altro che alle sue parole. Qualcosa di soft. Mi ripetevo che era stato solo uno scherzo. Tutto uno scherzo. Adesso saremmo andati a fare il caff&egrave. Il suo era stato un modo per rompere il ghiaccio’ Un modo degno dell’autore di romanzi e racconti erotici che era. Un modo, forse sempre lo stesso, riciclato per tutte le fan. Ogni volta lo stesso. Non stava succedendo a me.

Sono entrata nella sua macchina, una Renault nuova. Era lì, al fondo del parcheggio. Mi fissava, il viso inespressivo, gli occhi fissi su di me. Ho richiuso lo sportello. Era lì, il parka chiuso ma slacciato. Ho sentito il suo sguardo addosso, ma discreto. Non mi spogliava. Leggeva i miei gesti. Qualche attimo di interminabile silenzio, ancora. Adesso mi chiede se voglio un caff&egrave. ‘Qualcosa di soft, allora’ se &egrave la prima volta, giusto?’ Ancora la sua voce. Non l’ho sognata. Mi fisso la punta delle scarpe. Annuisco per nascondere il tremore. Non dico una parola. ‘Sicura?’ Adesso la sua voce sorride di nuovo. Annuisco ancora. Nemmeno un fiato’ Credo che stessi trattenendo il respiro. Sento le sue dita chiudersi, gentili però, sul polso destro. Il mio. Non stava capitando a me, alla donna invisibile. Non &egrave possibile. Sento il parka che fruscia via. Mi lascio portare via la mano. Sento quel cazzo duro e bollente di nuovo sotto la mano. Stringo le dita. Ha un sussulto. Lo strangolo come se poco sotto il glande quello fosse un collo, non un cazzo duro e bollente. Lo sento sussultare.
Sento il suo respiro venire fuori lentamente. Ma intenso. Inspiro. Inspiro forte. Poi non lo so com’&egrave’ Mi ci tuffo sopra. Occhi serrati e bocca aperta lo accolgo. Non controllo la discesa, con le labbra spalancate. Mi fermo quando sento quella noce dura e rovente che quasi mi sbatte contro l’ugola. Mi fermo. Stringo le labbra attorno all’asta. La mano scivola sotto, alla radice di quel tronco. La bocca si muove di vita propria per non so quante salite e discese, prima che io mi possa fermare un attimo a chiedermi, esattamente, che cosa stia facendo.
Un pompino. Nient’altro che un pompino, Francesca. Si chiama così. Tecnicamente ad uno sconosciuto. Tecnicamente dall’ultima volta sarà passato un anno e mezzo, forse due, ho perso il conto. Penso al fatto che sono in auto con un uomo che conosco solo via mail e via ebook’ E che gli sto ciucciando il cazzo. Penso che il cervello &egrave lì, tutto preso a farsi domande e darsi risposte e invece la bocca, da sola, di vita propria, ha deciso di fare altro, di concedersi. Di colpo mi viene in mente che usa di sicuro un buon sapone, uno di quelli che lasciano un buon profumo. Ha i peli morbidi; lo sento affondandoci il naso ogni volta che scendo. Ha il glande duro, umido e scivoloso. Una noce: ha la stessa consistenza e la stessa dimensione, almeno stando a quel che sento in bocca. Non conto più le discese, nemmeno le salite. Sento il mio respiro. Irregolare, affannato. Mi ricordo solo ora di quanto ho sempre trovato scomodo prenderlo in bocca in macchina, col freno a mano tirato proprio sotto il seno. E se &egrave vero com’&egrave vero che i pompini sono tutti uguali. Questo &egrave meno uguale degli altri. Perché finora non ero mai stata lì a chiedermi com’era il cazzo che stavo succhiando, com’era l’affare che avevo in bocca. Non averlo visto mi mette di colpo, non so perch&egrave, questa curiosità. E questo &egrave meno uguale degli altri perché non m’&egrave mai capitato di non saper dire, arrivata ad un certo punto, da quanto lo avessi tra le labbra. Ora invece &egrave così. Quel pensiero, quella domanda arriva all’ennesima pompata, mentre mi arrivano in testa mille domande. Sento che il ritmo rallenta. Sento che non sono più li a chiedermi cosa sto facendo. No, sento che di colpo arriva una domanda diversa: ‘Come lo sto facendo?’ E poi una nuova, ancora: ‘Perché lo sto facendo?’. Alla seconda non so rispondere’ Mi dico che non ha senso chiederlo. O forse che l’unico senso sta nel fatto che mi ci sono trovata, che mi sembrava impossibile potesse succedere e che quando &egrave successo non sono stata capace di dire no.

Torno a chiedermi come lo sto facendo. Mi rispondo con una sola parola: male. Perché di sicuro una donna, se &egrave diventata invisibile, una ragione ci sarà. E quella ragione si chiama disinteresse, mio per primo, verso tutto quello che sono una donna ed un uomo assieme’ che &egrave anche un pompino. Male. Non gli sta piacendo. Perché non &egrave possibile che una donna come me lo sappia far bene. Male, perché altrimenti quella mano, la sua, che sento sulla nuca, invece di accarezzare appena un poco, starebbe lì bella premuta a chiedere di più’ Si sa, l’appetito viene mangiando e se quel calore non si sente’ ‘No, sto andando male’ questo mi ripetevo. E quella mano, quella mano se ne stava lì solo come timido incoraggiamento, come pietistica consolazione. Non sentivo il suo respiro. Troppo concentrata a sentire il mio? Forse no. Forse, semplicemente, non gli piaceva per nulla.
Poi, non lo so perché, ho cacciato via le domande. Ho ricominciato a farmene altre, altre che non ricordo. Non come ricordo, invece, la sensazione di pieno che quella noce bollente mi dava ogni affondo di più. Pieno. Duro. Scotta. L’ho sentito cominciare a pulsare, forte. L’ho sentito gonfiarsi e tendersi un attimo di più. Poi &egrave arrivato il bollente, dolciastro. Il primo schizzo contro il palato. Seguito da altri, un paio davvero potenti, copiosi. Mi sono bloccata con la bocca a mezz’asta, il respiro trattenuto, mentre lo sentivo contrarsi, pulsare e spruzzare. Ho sentito quel liquido scivolarmi dal bordo della bocca. Ho visto qualche goccia stillare giù e fermarsi spalmata sui suoi peli. Ho serrato, anche se non ricordavo nemmeno se mi piacesse, per evitare la figuraccia del farlo sporcare. Ho creduto di ricordare si facesse così, stringendo le dita attorno alla radice e muovendole verso l’alto. Una, due, tre volte, fino a che le contrazioni di quella noce bollente non avevano smesso di dare succo. L’ho sfilato piano dalla bocca. L’ho guardato per la prima volta. Un cazzo. Nient’altro che un cazzo. Ad essere sinceri, anche brutto da vedere, con quella testa decisamente sgraziata, grossa e tozza, su un’asta robusta e forse un pelo corta per la sua larghezza. Un cazzo, come tanti e come tutti diverso da ogni altro.
Mi sono spostata sul mio sedile ingoiando in silenzio, senza fare troppo rumore. L’ho sentito muoversi senza dire una parola. Poi m’ha allungato un pacchetto di fazzolettini dal quale ne aveva già tirato fuori uno, per tamponarsi. ‘Ti servono?’ L’ho preso ringraziando, con la voce arrochita dal silenzio e impastata da tutto quello che c’era rimasto spalmato, in bocca. ‘Sì, grazie’ e mi sono pulita gli angoli della bocca e la ciocca di capelli che s’era macchiata, in punta. E il collo, dove sentivo un gocciolone viscido che mi s’era appiccicato sulla pelle quando l’avevo finito con la mano, forse trascinata dalle dita.

L’ho sentito inspirare forte, l’ho intravisto risistemarsi i pantaloni. Io con lo sguardo fisso sul parabrezza e fuori. ‘Ti va un caff&egrave?’ mi ha chiesto con la voce che non sorrideva. Ho annuito. Sì, avevo voglia di quel caff&egrave. E avevo voglia di quel selfie al bancone. E’ uscito, m’ha aspettata fuori della macchina. Mi ha preso a braccetto e m’ha portato verso l’ascensore. Mi ha chiesto che programmi avevo per la serata. ‘Torno a casa, ho un cinema con le amiche’ ho mentito. Mi ha tenuto per mano e a braccetto, per le gallerie di quel centro commerciale. Abbiamo guardato delle vetrine parlando del più e del meno, dei suoi libri, delle mie giornate. Mi sono fermata a chiedermi se davvero quel pompino c’era stato o me l’ero sognato. Poi, dopo poco, di fronte alla tazzina del caff&egrave, l’ho sentito sussurrare: ‘Non pensavo affatto sarebbe andata così’ Pensavo ci saremmo solo accarezzati un po” Non mi era mai successo, prima d’ora” Ho abbassato lo sguardo. Mi sono sentita di colpo una stupida. Mi sono sentita morire d’imbarazzo e vergogna, lì, con la dimostrazione firmata e controfirmata sotto gli occhi che avevo fatto solo e soltanto la figura della puttana. O peggio, della sfigata. Altro che invisibile. Mi sono riscoperta a biascicare uno scusami. Mi ha stretto la mano. Mi ha sorriso. ‘Figurati’ figurati, non c’&egrave niente di cui scusarsi” Mi ha sorriso alzandomi il mento perché lo guardassi. ‘Allora, che film vai a guardare stasera?’ Non ho saputo che rispondere. ‘Decidono le altre e mi fanno sapere” ho sussurrato cercando di sorridere di rimando.

Ha scritto il suo numero di telefono sul retro dello scontrino. ‘La mia mail ce l’hai’ Non voglio ora il tuo numero’ Se i va me lo farai avere, altrimenti usa pure la mail” Siamo tornati nel parcheggio. Mi sono lasciata accompagnare alla macchina. Mi sono lasciata salutare con un bacetto sulla guancia. Casto e ordinario. Sono rientrata in auto e l’ho guardato andare via. L’ho visto voltarsi prima di entrare in macchina e salutarmi con la mano. Quando ho visto sparire sulla rampa gli stop della sua auto, istintivamente mi sono scoperta con le dita della destra sotto il naso e la sinistra che toccava i capelli. Non perché mi sentissi sporca. Semplicemente perché, davvero, tutto era stato così strano che ero lì a chiedermi: ‘E’ successo davvero?’
Ho passato la serata guardando la tv. Non lo facevo da mesi, da tanto. Ho passato la serata senza pensare. Ho passato la serata senza ricordare.

I pensieri, i ricordi, le sensazioni’ Mi &egrave piombato tutto addosso nel letto, appena spenta la luce. L’ombra ha bussato al finestrino. E la prima volta l’ho lasciata entrare, chiedendomi come sarebbe stato. Come sarebbe stato farlo davvero. Rivestirsi. Mettersi in macchina. Arrivare. Parcheggiare. Aspettare. E intanto ho sentito la mano, mossa da vita propria, scendere giù’ E darmi piacere. La prima volta l’ombra &egrave sparita. Ha fatto spazio a quella noce che se mi concentro sento ancora contro il palmo, contro il palato. Ha fatto spazio a quell’umido dolciastro, alla patina di piacere che gli cresceva goccia dopo goccia sul glande. Ai ricordi di quel pompino. E quando nel ricordo, l’ho sentito esplodere’ Ho goduto anch’io, coi piedi tesi, la mano premuta, le dita dritte e i denti stretti. Ho goduto come non godevo da tempo.

Poi c’&egrave stata la seconda, la terza volta’ Quella notte. L’ombra bussava sempre’ Era il pompino a tornare sbiadito. Era il glande a sfumare. Tornavano le domande, tornava la fantasia. Il glande se ne stava lì, in bocca, premuto’ Ma diventava Un glande e non più Il glande. Non era più il cazzo di Gianni quello che pompavo forte. Era il cazzo dell’ombra. Stessa forma, stessa consistenza, stesso calore’ Non era più il suo, però. Ed ogni volta, per godere, non pensavo più all’esplosione del piacere di Gianni’ No. Mentre pompavo inferocita ogni volta di più quel cazzo, lo sentivo venire e scoppiare solo se ripensavo all’ombra. All’ombra ogni volta diversa che mi metteva il cazzo in mano, che mi palpava il seno, che mi chiedeva se c’andavo, se m’andava’

E le fatture. E le ricette. E le dita dentro. E l’ombra’ E quella tentazione forte, fortissima, di mettere addosso le prime due cose che avessi trovato davanti e prendere la macchina. Per vedere se davvero ero invisibile. Se davvero era bello e spaventoso come lo immaginavo. Se avrei tremato davvero, di nuovo, con un cazzo fatto d’ombra in mano. Se davvero sarebbe stato d’ombra come non lo ero stata io, in macchina, con Gianni, la sera prima.
M’&egrave passata con il sonno. Stremata. M’&egrave passata con la doccia e col pensiero del dolce da preparare al mio cucciolo, che sarà qui tra pochi minuti. M’&egrave passata quando mi sono ripromessa che qui, in questo file, ci avrei scritto davvero tutto. M’&egrave passata quando ho scritto due righe a Gianni, poco prima di cominciare a scrivere qui, ringraziandolo del selfie, del bel caff&egrave e di tutto.
‘Non scusarti, anzi, grazie’ Se ci penso, sono stata bene! Francesca’

M’&egrave passata. Ma ancora ora, se ci penso, ho bisogno di sentire se le dita profumano di pulito. Se i capelli sono in ordine. So solo che sento ancora quella noce in gola’ Ma so che non &egrave quella di Gianni. E’ una noce fatta di carne e d’ombra. Dura, bollente e viva. Me la sento in gola mentre tra le dita sento che strozzo il tronco lì sotto.
M’&egrave passata’ Mi chiedo solo se mi sarà passata anche quando il cucciolo che ha appena suonato al campanello tornerà dal papà, venerdì prossimo, per il suo week end. Il tempo di salvare il file ed aprirò la porta.

M’&egrave passata. Mi chiedo solo se assieme mi passerà anche quella patina invisibile che sento spalmata addosso. E’ quella che mi fa più paura. Più paura di quel pompino che non pensavo avrei fatto. Più paura di quel cazzo messo in mano nemmeno fossimo al mercato. Più paura del desiderio di rivestirmi e correre in un parcheggio alle due di notte. Più paura della paura che ho già, di un’altra notte stretta a me.

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