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Note dell’autore: Ho scoperto quasi per caso Violet Rain, astro nascente del porno, in uno dei suoi video che ha inspirato il racconto che segue. La sua innocente bellezza è qualcosa di veramente unico. Mi sono spinto a cercare più informazioni su di lei arrivando ad una triste scoperta. Jazmine infatti, nata in Arizona nel 1999, si è spenta in un ospedale di Los Angeles in circostanze misteriose nel 2019, ufficialmente a causa di una overdose. Dedico dunque il presente racconto alla sua memoria.

N.B. I protagonisti del racconto si intendono maggiorenni e consenzienti

La campanella che suonava e il solito trambusto di ragazzi all’uscita della scuola.
Tra i tanti che si apprestavano ad uscire mia sorella Jazmine e il suo ragazzo John che stavano discutendo. Dopo essere usciti, lui le aveva messo le mani addosso, le aveva stretto con forza un braccio, mentre lei gli urlava di lasciarlo. Questa la scena che mi si era presentata davanti.

Non so chi avesse ragione dei due, non so quale fosse l’esatto motivo del contendere, so solo che, per istinto, mi sono lanciato su John assestandogli un pugno in piena faccia.
Poi, mentre si portava le mani in faccia per il dolore, gli ho sferrato una potente ginocchiata tra le gambe e infine una forte gomitata sulla schiena per stenderlo definitivamente.

Ansimante e intontito dalla troppa adrenalina addosso, ricordo solo il volto terrorizzato di mia sorella Jazmine, il corpo di John a terra che si contorceva per il dolore, le facce sgomente dei ragazzi che avevano assistito e l’arrivo dei bidelli che mi prendevano di peso e mi portavano nella stanza della preside.

Dopo aver atteso l’arrivo dei miei, erano iniziata una sorta di processo con me unico imputato.
Nessuno era intervenuto a raccontare come fossero andate veramente le cose se non i bidelli che avevano visto John a tappeto e me davanti a lui ansimante e con i pugni serrati. Mia sorella aveva deciso di tacere così come gli altri ragazzi, in una terra in cui la gente ha l’abitudine di “farsi i fatti propri” tutti avevano preferito chiamarsi fuori e mantenere un atteggiamento omertoso. Anche io ero rimasto in silenzio, deciso a subire passivamente tutto quello che la preside e i miei avessero deciso.

Credevo di aver fatto una cosa giusta, di aver difeso mia sorella. Mi sarei aspettato che lei intervenisse e ricambiasse quel mio gesto difendendomi. Ma la delusione di quel suo comportamento mi aveva svilito e amareggiato così tanto da aver deciso di andare incontro con rassegnazione ad una ingiusta condanna e alla conseguente pena. Dopo aver ricevuto la sospensione da scuola per un mese, i miei avevano deciso di togliermi pc, telefonino, obbligandomi a non uscire da casa fino a quando non fossi rientrato a scuola: era l’inizio di un periodo che mi avrebbe cambiato la vita.

A casa continuavo a rifugiarmi in un rassegnato silenzio: il contatto con i miei era diventato una continua ramanzina, quanto a mia sorella Jazmine, non avevo più avuto il coraggio di guardarla negli occhi.

Cinque giorni dopo aveva deciso lei di chiarire: entrata in camera mia, aveva detto “dobbiamo parlare”.

“C’hai messo cinque giorni prima di dirmi ‘dobbiamo parlare’…complimenti!” – le avevo risposto in tono sarcastico e risentito

“E’ che io…” – Jazmine aveva iniziato a dire

“TU COSA!?!?!” – le avevo ruggito, guardandola negli occhi – “…avevo preso le tue difese, ho cercato di proteggerti da quel COGLIONE del tuo ragazzo, e tu? Cosa hai fatto in cambio? Hai taciuto sull’accaduto davanti alla preside, ai professori, ma soprattutto davanti a mamma e papa!”.

Jazmine, interrotta da quella mia ondata di parole rabbiose, era rimasta in silenzio. I suoi occhi neri si erano rapidamente gonfiati di lacrime.

“Vai via!” – l’avevo liquidata con tono perentorio, senza darle alcuna possibilità di giustificarsi.

Quelle mie urla avevano attirato l’attenzione di mio padre che, dopo essere piombato in camera mia, alla vista di Jazmine in lacrime, sebbene fosse lontana da me e io non l’avessi nemmeno sfiorata, aveva pensato che stessi per aggredirla.

E così, dopo l’ennesima ramanzina, l’ennesimo ingiusto processo al sottoscritto e l’ennesimo silenzio omertoso di Jazmine, i miei avevano reso ancora più rigida la punizione a cui ero sottoposto: mi avevano vietato di uscire da camera mia per una settimana.
Mi ero così ritrovato recluso in pochi metri quadri privo di qualsiasi contatto con il mondo esterno.

Avevo il bagno in camera, e il cibo mi veniva portato dai miei che evitavano di rivolgermi la parola
Entravano, posavano il vassoio sul letto, attendevano che terminassi e poi andavano via.

Il tempo trascorso tra un pasto e l’altro sembrava essere infinito. Fortunatamente una larga collezione di comix, alcuni libri e un paio di giornaletti porno che avevo accuratamente nascosto, riuscivano a lenire un po’ quell’isolamento dal mondo.

Passata una settimana i miei avevano deciso di mettermi alla prova per capire se tutte le loro ramanzine su come avrei dovuto comportarmi avessero sortito un qualche effetto: quella sera avevano mandato Jazmine a portarmi il pranzo. Dopo aver bussato era entrata, aveva poggiato il vassoio sul letto, si era accovacciata in un angolino e aveva aspettato che terminassi di mangiare. Infine aveva preso il vassoio ed era andata via. Tutto era accaduto nel più totale silenzio. Credevo che “la prova” fosse andata bene, ma per i miei non era stato sufficiente: sarei rimasto confinato in camera finchè non avrei rivolto la parola a Jazmine, incaricata da quel momento di portarmi il cibo.

Passarono un paio di giorni senza che la scena tra me e Jazmine cambiasse.
Sebbene con il passare del tempo lei si fosse mostrata più rilassata, il silenzio continuava a regnare sovrano.

Un giorno, a ora di pranzo, Jazmine tardava ad arrivare. Probabilmente per qualche motivo era arrivata da scuola più tardi del solito. Per cercare di ingannare il tempo e i morsi della fame avevo concentrato le mie attenzioni su uno dei giornaletti porno. Sentendo i suoi passi avvicinarsi, mi ero fiondato sul letto in attesa del mio pasto, dimenticandomi del giornaletto sulla scrivania. Lei era entrata, aveva posato il vassoio sul letto e si era andata a sedere alla scrivania.

Concentrato sul cibo che avevo davanti, non mi ero accorto che il suo sguardo era caduto sul giornaletto. L’aveva fissato per un po’, dopodichè si era girata a fissarmi con un sorriso sornione.

“Tu! Vuoi scoparmi, vero?” – aveva chiesto, rompendo quel silenzio che c’era stato per giorni tra noi e rischiando di mandarmi di traverso boccone che avevo in bocca.

Un camion a 100Km orari sul muso mi avrebbe sicuramente stordito e spiazzato molto meno di quelle sue parole. Alzato lo sguardo, ero rimasto a fissarla basito.

“Vuoi scopare con me?” – era tornata a chiedere

“Jaz…ma…che…” – avevo balbettato, incapace di riuscire a dare un senso a quella sua domanda.

Avevo impiegato qualche secondo per riuscire a fare mente locale: Jazmine, la scrivania, il giornaletto porno. Avrei voluto morire.

“E questo?” – aveva continuato a chiedermi sollevando la pagina della rivista su cui campeggiava a chiare lettere la scritta FRATELLI INCESTUOSI seguita dall’immagine di due ragazzi intenti ad accoppiarsi.

“Quella…beh…è una cosa mia…cioè, una fantasia…mi piace l’idea che due fratelli possano…ma non pensare che io…con te…beh…insomma…e poi io e te…non siamo fratello e sorella…” – le avevo risposto cercando di arrampicarmi sugli specchi

Jazmine continuava a guardarmi con il suo sorriso sornione: “Cazzate!” – aveva risposto

Aveva ragione. Io e Jazmine non siamo consaguinei. Quando sono nato, durante il parto, mia madre ebbe delle complicazioni e, sebbene i medici fossero riusciti a salvare me e lei, avevano annunciato ai miei che non avrebbero più potuto avere altri figli. Questa cosa, malgrado il mio arrivo avesse dovuto portare solo allegria, aveva fatto piombare mia madre in una profonda depressione, incapace di accettare una famiglia con un solo figlio. Alla fine i miei decisero di valutare l’opzione adozione e, un paio di anni dopo era arrivata a casa Jazmine, una bellissima bimba dagli occhi e dai capelli neri che da quel momento sarebbe stata mia sorella. Io e Jazmine avevamo condiviso tutto fin dall’infanzia e, sebbene crescendo i nostri ci avevano raccontato la verità sull’adozione, noi avevamo continuato a sentirci fratello e sorella in tutto e per tutto.

Tornando a quanto stava accadendo nella mia stanza: lei si era alzata e lentamente si era avvicinata a me, decisa a non mollare su quello scomodo argomento.

“Cosa stavi facendo prima che arrivassi? Ti stavi masturbando? Sei venuto? Oppure…” – quel suo incalzare mi stava mettendo veramente a disagio

“Jaz, ti prego…” – la imploravo disperato

“Sei riuscito a sborrare? Ho interrotto la tua sega? Eh? Eh?” – conoscevo bene Jazmine, sapevo che non si sarebbe fermata finchè non le avrei detto la verità

“No. Non ho fatto in tempo.” – le avevo confessato, sperando di essere riuscito a fermarla

“Fammelo vedere, tiralo fuori!” – Jazmine continuava ad insistere sul medesimo argomento: dopo avermi spinto sul letto e aver costatato che avevo ancora la zip aperta, aveva tirato giù l’elastico delle mutande liberando la mia erezione.

“Quindi…fammi capire, brutto porco pervertito…” – aveva continuato sorridendo – “…metti a tappeto il mio ragazzo, ti masturbi furiosamente leggendo storie di fratelli che scopano…e vorresti negare che non hai mai sognato di finire a letto con me?”

“Jaz, ti prego! Io…” – continuavo ad implorarla con poca convinzione, mentre lei aveva già preso in mano il mio pisello duro.

“Sei un grandissimo maiale…” – continuava a ripetermi mentre piacevoli sensazioni iniziavano ad offuscare la mia mente.

Con quel poco di lucidità che mi restava in corpo, avevo portato la mia mano sulla sua, deciso a fermarla, almeno finchè anche io non avessi ottenuto da lei la verità: “Jaz, aspetta…perchè? Perchè non mi hai difeso? Perchè hai lasciato che mi facessero tutto questo? Sai bene che ho picchiato John perchè ti stava facendo male.”

Il suo volto si fece serio.

“Tutta quella improvvisa violenza…il tuo volto deformato dalla rabbia…io ti conosco, o meglio, credevo di conoscerti più di me stessa. Vederti fare quelle cose, davanti a tutti…non era da te…ho avuto paura che fossi cambiato, che fossi posseduto…poi, quando sono venuta a spiegarti le mie ragioni mi hai ruggito in faccia…ancora una volta non eri il fratello che ho sempre amato, ma uno sconosciuto…” – mentre mi parlava i suoi occhi erano tornati a gonfiarsi di lacrime.

“Io ti amo profondamente. Amo la tua allegria, amo quando mi aiuti a fare i compiti, amo quando mi dai quegli abbracci stritolosi, amo il tuo bacio della buonanotte sulla fronte più di quelli di papà e mamma, amo le tue incursioni nel mio letto la domenica mattina, quando mi vieni a svegliare a suon di solletico facendomi rischiare di farmela addosso…” – Jazmine aveva continuato con un lunghissimo elenco di quelle che per me erano piccole, stupide azioni quotidiane, mentre per lei rappresentavano il suo mondo.

“Ma quel mostro…quella bestia violenta che hai tirato fuori a scuola…io non la conosco! Mi fa paura, non la voglio nella mia vita.” – si era interrotta per prendere il mio viso tra le sue mani – “Non puoi e non devi proteggermi in quel modo! Io rivoglio indietro il mio fratellone!”

Finalmente, dopo settimane, mi rendevo conto dove avevo sbagliato. La voce di Jazmine mi era arrivata al cuore riuscendo a togliere, con la sua immensa dolcezza, tutte quelle nuvole nere che per giorni mi avevano incupito.

“Ma allora John…?” – avevo protestato, tentando di capire cosa si sarebbe aspettata da me quel giorno.

“John è un imbecille. L’unica cosa che avresti dovuto fare era chiedergli di togliermi le mani di dosso.” – Jazmine si era interrotta improvvisamente e aveva chiuso gli occhi.

“Tu…vuoi scoparmi, vero?!” – ancora una volta quella domanda mi lasciava basito, intontito.

“Jaz…ma cosa c’entra adesso?” – era stata la mia risposta perplessa

“Quel giorno, con John…beh…ci eravamo appena lasciati. Lui continuava ad insistere, a chiedermi perchè di quella mia improvvisa decisione. Sapere che non provavo più nulla per lui, che amavo un altro. Non gli bastava. Voleva sapere chi fosse questa persona misteriosa che si era intromessa nel nostro rapporto…e nel tentativo di farmi parlare mi aveva messo le mani addosso” – Jazmine era tornata a raccontarmi di quel giorno maledetto, senza che io riuscissi trovare un nesso con la sua precedente domanda.

“La verità è…che per anni mi sono illusa di poter trovare una persona da amare come amo questa persona…ho cercato di trovare in John un sostituto. Quel giorno, appena finita la ricreazione…ti ricordi cos’è successo?” – Jazmine era tornata ad aprire gli occhi e a fissarmi

“Jaz, non so…mi ricordo che ti diedi il solito saluto prima che ognuno di noi tornasse nella sua classe…” – le avevo risposto con naturalezza

“Mi hai dato un bacio sulla bocca! Cristo! Sulla bocca! Come cazzo fai a non ricordartelo, imbecille che non sei altro!” – Jazmine era furiosa, ma aveva ragione.

E’ vero, le avevo dato il solito bacio senza pensarci su più di tanto. Nella fretta di rientrare in classe non avevo fatto caso di averla baciata sulla bocca, convinto di averle dato il mio solito bacio sulla guancia.

“Mi hai lasciato lì, davanti alla porta della mia classe, sconvolta. In classe non sono più stata capace di seguire le lezioni. Quel bacio era riuscito a farmi rendere conto che stavo prendendo in giro John e me stessa, capisci?” – i suoi occhi continuavano a fissarmi con intensità.

Incapace di capire come quel mio bacio le avesse fatto capire che amasse qualcun’altro le avevo detto: “…Jaz, io continuo a non capire…se, come dici, non eri innamorata di John, perchè hai continuato a farti del male? Se, come dici, sei innamorata di un altro, perchè non sei andata subito da quell’altro a dirgli la verit…”

Mi ero improvvisamente interrotto. Uno strano presentimento si faceva strada nella mia mente.

“…perchè quel COGLIONE IMBECILLE di cui sono perdutamente innamorata continua a vedermi come una sorella, come un’amica e non come una donna innamorata!” – indescrivibile era stato l’effetto delle sue parole su di me. Provavo le medesime sensazioni della scarica di adrenalina dopo aver picchiato John. Mi sentivo incapace di parlare.

“Scoprire quel giornaletto sulla scrivania, sapere che è una tua fantasia quella di due fratelli che fanno l’amore…insomma, ti amo così tanto che sarei disposta a fare qualsiasi cosa pur di riaverti indietro.” – Jazmine era sicura di quel che stava dicendo – “Sono disposta a diventare la tua troia, pur di non perderti. Sono disposta a farmi scopare da te in tutti i modi possibili e immaginabili, sono disposta a fare qualsiasi porcheria per te, ma ti prego…”

Dopo aver preso un profondo respiro ed essersi accertata che la stessi guardando negli occhi aveva terminato il suo discorso dicendo: “Ti prego! Ridammi indietro il mio fratellone.”

Silenzio.
Un lungo silenzio dopo quelle parole. E un’incredibile ondata di sensazioni dentro di me.

Infine la mia risposta: “Jaz…io…io sono qui.”

Non c’era stato bisogno di aggiungere altro: la persona che Jaz amava era tornata da lei, consapevole del suo amore, consapevole di avere davanti non più solo una sorella ma anche una donna da amare per il resto della sua vita.

Ci siamo baciati e dopo quel bacio abbiamo fatto tutto quello che due innamorati avrebbero fatto con i loro corpi per esprimere all’altro il proprio amore.

Ho posseduto mia sorella, l’ho sentita gemere di piacere, ho succhiato i suoi piccoli capezzoli, ho carezzato i suoi lunghi capelli neri, ho provato il tepore delle sue viscere accoglienti, il piacere dei movimenti del suo corpo sopra di me, i brividi delle sue carezze, l’avidità della sua lingua sulla mia.
Qualcuno lo chiama semplicemente “fare l’amore”. Credo che non basti ad esprimere l’intensità di emozioni e sensazioni che io e Jazmine abbiamo provato quel giorno.

La mia vita da recluso era terminata quel giorno: Jazmine, dopo essere ritornata in cucina aveva detto a mamma e papà che avevamo fatto pace, che era riuscita a farmi capire dove avevo sbagliato e che mi aveva visto finalmente pentito per quello che avevo fatto.

Nei giorni seguenti si prese cura di me e io di lei…nel suo letto, nel mio, in cucina, in salotto…dappertutto. La notte eravamo tornati a dormire nello stesso letto, come ai vecchi tempi quando Jazmine dopo aver fatto brutti sogni, correva in camera mia in cerca di conforto, e finiva per addormentarsi nel mio letto, tra le mie braccia.

Sento di essere cambiato, in meglio.
E devo tutto a Jazmine.

Trovate questo e altri miei racconti su raccontidienea (punto) blogspot (punto) com

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