Skip to main content
Racconti Erotici Etero

LA CLINICA DELLE TRE FELICITÀ

By 21 Gennaio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

C’era una volta una nuvola nera, che saliva da un lago tranquillo, sul quale si specchiava un castello abitato dai fantasmi.
In quella nube bruivano mille voci grigie e malinconiche, pareva di udire il rintocco di innumerevoli campane, che suonavano a morto e piangevano per un amore lontano, impossibile e vago, che nessuno più riusciva a ricordare.
Rammento che nel Medioevo il popolo inferocito aveva bruciato una giovane, per essere troppo bella. Dicevano che doveva essere stata generata dagli spiriti maligni, per essere tanto meravigliosa e venusta.
– Guardatela! &egrave troppo graziosa per essere umana! Costei deve essere il demonio travestito da donna! Liberiamo il mondo da questo essere immondo!
Dapprima l’avevano presa a sassate, poi, mentre lei ancor gridava disperata e si prendeva il volto insanguinato tra le mani, qualcuno aveva appiccato il fuoco alla sua lunga mantella e le fiamme l’avevano divorata, in mezzo al pianto e alle risa di scherno.
– Vi perdono tutti ‘ aveva mormorato la bella, morendo e giungendo le mani. ‘ Vi perdono tutti’
Centinaia di anni dopo, in quei luoghi cupi costruirono una clinica bigia, dalle mura che ben presto divennero ricoperte di muschio verdastro, dal tetto marrone e spiovente, dai comignoli neri, dai quali saliva al cielo un fumo che sapeva di morte e sofferenza.
Io non so bene se fosse una clinica, un ospizio o piuttosto un manicomio, perché i ricordi mi ritornano in mente confusi in una nuvola opaca, tetra, nella quale vola la malinconia e la mia testa si smarrisce.
La clinica sul lago era piena di vecchie inservienti, che andavano su e giù, vestite con delle divise bianche e grigie e con non so quali cappellacci sul capo. Erano donne dai volti paffuti, rotondi, ricoperti di nei e di brufoli, non sapevano che cosa fossero la gentilezza e la compassione. Mi sembra ancora di sentirle’
– Avanti, sbrigati, tu! Vieni qua con quella roba! Spicciati, che perdo la pazienza!
Alcune lavoravano nelle cucine, insieme ai cuochi, che erano degli omoni dalle mani tozze e dai volti gonfi. Vi confesso che non di rado usavano degli stivali per preparare il brodo.
C’erano anche dei dottori, che andavano su e giù per i corridoi e le stanze, vestiti con dei camici bianchi un po’ logori e con in mano degli oggetti che assomigliavano a degli strumenti di tortura.
Di quando in quando, nella clinica stregata scoppiavano delle grida misteriose, cupe, terribili; i ricoverati si mettevano in piedi sui loro letti, strillavano e strepitavano, talvolta si azzuffavano, oppure davano delle testate contro il muro. S’udiva:
– Lasciatemi! Voglio tornare a casa! Non sottoponetemi a questo trattamento! Che mi fate? Aiuto! Basta! Bestie, ve la farò pagare! Chi &egrave stato a farmi questo?
Allora, gli sciacalli intervenivano quasi subito, forse anche con delle camicie di forza; poco dopo, il trambusto si spegneva vagamente, in una sorta di silenzio nero.
Si diceva che fosse un luogo in cui le famiglie più ricche rinchiudevano i loro membri più indesiderabili, nell’attesa che la morte si ricordasse che c’erano anche loro al mondo e li facesse suoi.
Dovete sapere che nella clinica erano rinchiusi anche giovani uomini e giovani donne di ammirabile bellezza e venustà.
Uno di loro scriveva lettere d’amore, clandestinamente, quando nessuno lo vedeva’ ‘Ti amo quanto l’immenso e i fiori dei campi di maggio’. Questo ed altro lessero un giorno i miei occhi sui suoi fogli.
Io so chi era la destinataria delle sue premure amorose’ Si trattava di un’inserviente affettuosa e cara, una delle poche che, in quella sorta di incubo, conservava un cuore che sapeva amare. Sì, vi devo confidare che la clinica triste era sempre avvolta in paesaggi tetri e lugubri, con nuvole nere e nebbie che passavano e la avvincevano nelle loro braccia vaghe! Si trovava in una valle tanto angusta, dinanzi ad un lago la cui vista faceva tremare anche d’estate’ Sembrava fosse sempre inverno! E quante cattiverie! Quante vendette! Quante liti si consumavano fra quelle mura!
Il padrone era un uomo col cappello a cilindro e il bastone dal pomolo d’avorio’ Una volta, passando in rassegna il personale delle cucine, s’imbatté in una nuova cameriera, che per errore fece cadere per terra delle stoviglie, che andarono in frantumi’ Cielo! Egli le parlò in un orecchio come se avesse voluto mangiarsela viva! La picchiò a sangue davanti a tutti, senza che nessuno osasse dire una parola’ Poi, non so che cosa altro le fece’ Dovete sapere che il padrone era un uomo cattivo e provava diletto nel tormentare le sue maestranze, nel fare dei dispetti ai suoi subordinati, nel chiuderli a chiave in stanzini tenebrosi e’ Oh!
Chi scriveva le lettere d’amore si faceva chiamare Heinz e consumava degli abbracci affettuosi con l’inserviente buona nel cortile, nelle cantine e nei corridoi della clinica nera. I due amanti speravano che gli sguardi dei cattivi non li sorprendessero, perché altrimenti sarebbe stato come se anche il loro idillio dorato fosse inghiottito dal grigiore di quel cielo minaccioso, al pari di tutte le cose di quella valle.
– Il mondo ci &egrave nemico, ma non ci separerà mai ‘ mormorò una volta la bella inserviente, negli orecchi del suo amato. ‘ Il nostro immenso affetto &egrave più forte di questi cattivi, di queste montagne maledette, eternamente ricoperte di nevi fredde, dei corvi che gracchiano alle finestre, di queste nuvole cupe, che impediscono alle primavere di sbocciare in tutto il loro verde!
I baci sulla bocca dei due amanti erano ardenti, bollenti e’
Una volta, l’inserviente e Heinz si chiusero in una stanza, dove c’era un letto di ferro, da rifare; i due decisero di scambiarsi colà delle calde manifestazioni d’affetto.
– Non ci vedrà nessuno, non ci scoprirà nessuno ‘ disse lei, che sembrava vestita come un’infermiera.
Io vidi le loro ombre disegnate sul muro, una lucerna brillava vagamente nella stanza, lei stava con la gamba e col piede alzati, mentre lui la faceva godere, entrando e uscendo dal suo grembo con la sua virilità forte. Le aveva accarezzato il bel ginocchio, le aveva lodato i fianchi sinuosi, i piedi grandi, la vita stretta, il petto abbondante, che lei non si stancava di tenere appoggiato al suo.
Nella stanza grigia, c’era un ritratto del padrone cattivo, un armadio di legno tarlato e una specie di macchina, che forse poteva servire per torturare le persone, chissà!
Qualcuno che stava dietro la porta udì i sospiri affettuosi dei due amanti e fece la spia’
Per i due innamorati, fu l’ultimo istante di felicità. Infatti, allorché il nero padrone venne a sapere di quella storia d’amore, perseguitò senza pietà la bella inserviente e disse ai cani che facevano parte delle sue maestranze che potevano fare di lei ciò che volevano.
– Addio, amore mio, addio per sempre’
Questo sussurrarono le labbra della cara giovane.
Dopo che l’ebbero fatta piangere, la mandarono via e i due amanti non si rividero mai più.

Leave a Reply