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La decisione di George – 2° parte

By 5 Agosto 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Aaron… ooohhh Aaron!!!’ le grida di Kate Weaver riecheggiavano vuote nell’opulenta camera. La ragazza era a quattro zampe sul grande letto, i lunghi boccoli neri le coprivano il viso, ritratto di puro piacere. Il giovane atleta che la stava portando all’orgasmo anale, la stava penetrando con gran foga. Le schiaffeggiava le natiche, godereccio ogni due o tre pompate mentre i suoi muscoli cesellati si tendevano per i colpi di bacino.
‘Oddio Aaron! Oddio! Come godo!!!’ strillò la bella giovane e lui sogghignò.
‘Le cagne non parlano Kate, quante volte te lo devo dire!?’ la rimproverò colpendole di nuovo la pelle già arrossata dei glutei. Lei cominciò, allora, a mugolare in maniera animalesca, mordendosi il labbro inferiore, rientrando nel ruolo. Le sue curve burrose ballonzolavano gaie, mentre il respiro concitato le gonfiava ritmicamente il ventre, di norma piatto.
Il pene del ragazzo le entrava e usciva dall’orifizio senza alcuna tregua, come un pistone ben oliato, anche se lei sembrava volerlo sempre dentro di sé.
‘Fammi sentire quanto ti piace il mio cazzo, Kate!’ disse lui con squisita superiorità. La risposta della ragazza fu una serie di striduli latrati che divertì il giovane. La collanina di cuoio che aveva al collo gli batteva ritmicamente sul petto glabro e possente, ad ogni affondo. Nell’aria l’odore di sesso era palpabile e i vestiti dei due amanti giacevano disordinatamente a terra.
Dentro, fuori, dentro, fuori, la danza erotica dei due giovani corpi stava giungendo al termine e il ritmo non faceva che aumentare, così come il loro piacere.
‘Sei pronta per il pieno?’ disse lui ansimando. Gemiti confusi furono la replica e il giovane, dopo pochi secondi, si scaricò dentro di lei godendo senza remore.
Seguì il silenzio, interrotto solo dal loro fiatone.

Aaron si sdraiò sul letto, soddisfatto e la ragazza gli si rannicchiò accanto, carezzandolo e baciandogli i capezzoli. Dopo un minuto o poco più:
‘Allora? Hai cambiato idea?’ gli chiese lei tutta dolce e speranzosa arricciando il nasetto alla francese. Lui sorrise e le parlò paziente, come fosse una bimba.
‘Beh, mi hai fatto divertire, Kate, non lo nego… però…’ pausa ‘…no, è finita…’ continuò allegro ma fermo. Lei fece il broncio, sconsolata.
‘Te l’ho già detto, ce la siamo spassata ma non c’è niente di serio tra noi, è il momento di chiudere.’
‘Ma io ti amo Aaron!’ disse lei, melodrammatica. Il ragazzo rise.
‘Hahaha! Sei sicura di amare me?’ le disse afferrandola per i capelli ‘Sei sicura di non amare soltanto questo? Haha!’ le spinse la faccia sul pene umido di umori e lei aprì la bocca d’istinto, ingoiando, famelica, il pezzo di carne odoroso. Nessuna risposta.
‘Appunto! Hehe!’ se la rise Aaron lasciandole la testa e incrociando le braccia dietro la nuca. Lei non si mosse, intenta a succhiare e il biondo le permise di lavarglielo mentre continuava a spiegarle.
‘Dovresti essere contenta invece! Se ti scarico è perché non ho più niente da insegnarti.’ Kate non rispose, continuò a gustarsi il suo prelibato dolce ‘…quando t’ho conosciuta eri una verginella insipida, te lo ricordi? Mentre ora sei una bella cagna ammaestrata che fa tutto quello che le viene detto, hehe!’ infierì perfido senza ottenere, nuovamente, alcuna risposta.
‘Ho finito con te, adesso hai solo bisogno di essere scopata…’ continuò mellifluo ‘…e lo sarai, sta’ tranquilla, sono sicuro che Derek e Miguel saranno contenti di ricevere tutto il tuo…’ sogghignò prima di pronunciare l’ultima parola che trasudava sarcasmo ‘…amore, hahaha!!’ Lei smise di leccare e lo guardò col solito broncio, così carino, un po’ infantile e decisamente petulante allo stesso tempo, ma stavolta la ragazza sembrava anche un po’ schifata.
‘Ma sono due pezzenti…’ disse altezzosa e il ragazzo rise.
‘Haha! Hai ragione, principessa!’ le rispose divertito ‘Un giardiniere messicano e il ragazzo che mi pulisce le piscine, difficile scendere più in basso… eppure so che non vedi l’ora di diventare la loro puttana! Questo cosa fa di te, stronzetta classista, huh? Hehe!!’ la ragazza non replicò, ma fece il labbrino per essere stata sgridata.
‘Beh, comunque non sei certo obbligata, loro rimediano fighe ovunque, non hanno bisogno di te, erano solo disposti a farmi un favore…’ le disse col sorriso anche se il tono era un po’ scocciato ‘…ma se tu non vuoi…’ la guardò con un sopracciglio alzato e lei finì col sorridergli dolce.
‘Beh, in fondo sono due ragazzi così carini…’ anche Aaron sorrise.
‘Brava cagnetta, hehe!’ gli diede l’ennesimo bacio sul pene, poi gli chiese:
‘…pensi che mi tratteranno bene?’ Lui rise pensando ai due giovani, con cui aveva stretto amicizia, nonostante fossero suoi dipendenti.
‘Hehehe! Ti tratteranno come meriti, Kate e tu li adorerai per questo!’ lei, rassicurata dalle sue parole, sorrise lasciva mentre riprendeva la sua opera di pulitura. Aaron prese il cellulare dal comodino.
‘Da brava, fammi un bel sorriso mentre lecchi, voglio mandargli un’anteprima, hehe!’ la giovane donna obbedì mettendosi in posa col suo pene in bocca e le dita delle mani alzate in segno di vittoria. Aaron scattò ed inviò loro la foto su Whatsapp, scrivendo:
‘Tutta vostra. Fate del vostro peggio! ;-)’
Neanche trenta secondi più tardi arrivò la risposta dei due.
‘Contaci, capo! LOL’ il ragazzo ridacchiò.
‘Ti chiameranno entro stasera, vedi di non farmi fare brutte figure, cagnetta!’ si raccomandò sorridendole. Anche lei sorrise vogliosa:
‘No, farò la brava, promesso!’ seguì una languida leccata ‘Non vedo l’ora di conoscere i loro amichetti, anche sarà difficile dimenticare il tuo!’ glielo succhiò un’ultima volta, porca più che mai e il ragazzo rise. Poi:
‘Beh, io vado a farmi una doccia, succhiacazzi, devo andare a trovare una persona…’ le disse alzandosi dal letto e privandola del suo lecca lecca. Lei si tirò indietro i capelli e gli disse con una dolcezza che avrebbe sciolto un iceberg:
‘Ma scusa, non ti fai dare neanche un bacio d’addio?’ il ragazzo rise:
‘Haha! Ma di che parli? Me l’hai baciato finora, no?’ le disse perfido ‘Guarda che ti è rimasta della sborra sul labbro!’ lei, famelica, leccò prontamente, socchiudendo gli occhi per gustarla meglio. Lui rise scuotendo la testa, poi si voltò e si avviò verso il bagno.
‘Vestiti e vattene. Non voglio trovarti quand’ho finito!’ e chiuse la porta.

Era bello sentire il vento tra i capelli mentre sfrecciava su Hillcrest Road con la sua Lamborghini nera a tettuccio abbassato. La calura della giornata stava lentamente scemando, man mano che il sole tramontava, allungando le ombre delle palme che costeggiavano il viale. La scritta Hollywood, sulla collina alla sua sinistra, lo accompagnò finché non si diresse verso East Los Angeles. Erano passati circa cinque mesi da quando aveva fatto il debutto nell’alta società. La versione ufficiale era che avesse vinto alla lotteria, motivo per cui poteva permettersi la nuova vita. Era ciò che aveva detto a tutti: parenti, amici, conoscenti, persino alla madre che, all’inizio contenta come una pasqua, era andata su tutte le furie sentendosi proporre un misero vitalizio di mille dollari al mese e solo a condizione che sparisse dalla sua vita una volta per tutte. Tuttavia, in maniera molto pratica, aveva finito per accettare, pensando che, tutto sommato, l’accordo fosse meglio di niente ed aveva promesso di non cercarlo più, dandogli l’ennesima prova dell’assoluta inesistenza del suo istinto materno. Ora Aaron era libero, libero di spendere i suoi milioni in qualunque modo volesse e si era certamente dato un bel da fare nel poco tempo che aveva avuto a disposizione.
Stava vivendo la vita vera, il sogno americano per eccellenza. Abitava in una reggia a Beverly Hills, con tre piscine e un parco auto. Dava grandi feste che brulicavano di ragazze, così da poter scegliere chi portarsi a letto. Aveva piacevolmente scoperto che i soldi comprano anche il rispetto, nella maggior parte dei casi e di soldi adesso lui ne aveva proprio tanti. Cosa poteva chiedere di più un diciottenne cresciuto ad Hacienda Heights.
Soltanto una persona conosceva la verità. Era un bel po’ che non si faceva vedere dal suo caro zietto e stavolta, aveva deciso di fargli una visitina a sorpresa, a casa sua. Un sorrisetto divertito lo accompagnò per tutto il viaggio, fino ad entrare negli squallidi sobborghi del quartiere più degradato di L.A.
Le case erano piccole e brutte, le strade tutte spaccate, metà dei lampioni divelti, i bidoni della spazzatura vomitavano disgustosi sacchetti e i marciapiedi pollulavano di prostitute. Non esattamente il luogo più indicato dove andare con una Lamborghini ma Aaron procedette fino all’indirizzo che aveva.
Parcheggiò lungo la strada e sgogghignò guardando la topaia dove il grande e potente George M. Reed era costretto a vivere per poter finanziare i suoi divertimenti.

George M. Reed spense le luci del suo grande ufficio ed uscì.
‘A domani, Shelly’ disse alla sua segretaria sopprimendo uno sbadiglio.
‘A domani George, mi saluti tanto Aaron se lo vede, è un po’ che non viene a farci visita.’ l’uomo sorrise ed annuì.
‘Già, è un po’….’ disse mestamente.
‘Beh, da quando sta con la mia Kate sono inseparabili, benedetto il giorno che li ho fatti incontrare! Non l’ho mai vista tanto felice, lo sapevo che era perfetto per lei, un ragazzo così dolce, per bene, e soprattutto all’antica…’ sospirò ‘…ce ne fossero come lui!!’ l’uomo sorrise di nuovo.
‘Ha proprio ragione, ma come Aaron…’ disse sognante ‘…c’è solo Aaron, mi creda e Kate è…’ cercò la parola giusta ‘…fortunata ad averlo!’ la Moore sorrise tutta contenta, completamente all’oscuro della sordida verità.
Entrò nell’ascensore. Aveva lo sguardo fisso e delle profonde occhiaie. Era stanco morto, non aveva mai lavorato tanto come negli ultimi cinque mesi, da quando la sua vita era… cominciata. Si era appena aggiudicato un contratto da 400 milioni per costruire, nei successivi due anni, quattro resort di super lusso tra Malibù e Palm Beach, spuntandola sui concorrenti, all’ultimo soffio. Aveva provato a chiamarlo per dargli la buona notizia ma non gli aveva risposto. Lo faceva spesso ultimamente. Il suo padrone, la sua unica ragione di vita, lo ignorava. Erano settimane che non lo vedeva ed egoisticamente soffriva terribilmente per la sua mancanza. Ma era giusto così se Aaron lo riteneva giusto.
Socchiuse gli occhi e pensò al nipote. Bello, bellissimo, perfetto. George provò a ricordare com’era cominciato tutto, come era finito lì. Era stata la frustrazione sessuale a portarcelo. Dopo alcuni anni dal matrimonio si era accorto che fare l’amore con quella ninfomane di sua moglie gli diventava sempre più una pena, la desiderava sempre meno e con meno passione. Era stato un durissimo colpo per lui, rendersi conto che la sua sessualità aveva qualcosa di nuovo, di diverso, d’innaturale. Che gli stava succedendo? Non sapeva dove andare a sbattere la testa. Internet era stata una salvezza temporanea. Aveva trovato siti di narrativa amatoriale che pubblicavano storie porno di qualunque genere e, dopo una disperata ricerca di qualcosa che lo eccitasse, si era accorto che i racconti che lo facevano letteralmente esplodere erano quelli di dominazione in cui un padrone (di solito bello e bastardo) umiliava e schiavizzava la sua vittima. Così aveva cominciato a masturbarsi di continuo, leggendo ed immaginandosi le varie scene. Si era anche accorto che il sesso della vittima non gli importava minimamente: donna o uomo che fosse, non era sulla vittima che la sua mente si posava e questo perché il nostro George s’identificava con essa. Quando leggeva, vedeva i bei visi arroganti dei giovani protagonisti guardarlo dall’alto in basso, crudeli, nient’altro. Per rendere le sue fantasie più reali, prendeva in prestito le sembianze di persone che conosceva ed immaginava di fare loro da schiavo, rivivendo nelle sue fantasie le parole degli autori sul web. Chiunque poteva andare, dai muratori in cantiere agli impettiti tirocinanti appena usciti dall’università a cui lui dava lavoro. L’importante era che fossero giovani, maschi, avvenenti. Altro duro colpo. George, allora trentenne, si ritrovava a piangere e a disperarsi dopo ogni orgasmo. Piangeva per la vergogna e per il senso di colpa. Piangeva perché lo rivoltava il pensiero che una mente malata come la sua crescesse due bambini adorabili come Mike e Cindy. Aveva quindi cominciato a trascorrere più tempo possibile fuori casa, a lavoro riuscendo così a costruire quell’impero che aveva sempre sognato. Per dieci anni non aveva fatto altro che lavorare masturbandosi come un pazzo, leggendo le nefandezze più luride online. Poi, a quarantaquattro anni, uomo di potere, padrone di milioni di dollari, aveva voluto concedersi un regalo. Era stufo marcio di farsi le seghe, gli sembrava di essere tornato adolescente, cazzo! In un attimo di passionale impeto, si era iscritto a quel sito. Era incredibile che fra migliaia di utenti avesse trovato proprio quell’annuncio:
‘Padroncino diciottenne cerca schiavo frocio da sottomettere a piacimento. No perditempo, se mi contatti vai fino in fondo!’
Solo le foto erano bastate per farlo venire: un corpo snello e liscio, con le armoniche muscolosità di un atleta al pieno della sua forma. E così l’aveva contattato.
Sorrise, pensando a come si erano incontrati. Si erano dati appuntamento nel parcheggio del palazzo dove aveva gli uffici, dopo le 6 in genere non c’era più nessuno. Alle sue spalle, all’improvviso aveva sentito un familiare:
‘ciao zietto!’ si era voltato, sorpreso di vedere suo nipote.
‘Aaron? Che ci fai qui, è tardi, del progetto per la scuola ne riparliamo domani!’ gli aveva detto un po’ scocciato. Il ragazzo aveva ridacchiato.
‘Veramente sono qui per incontrare il frocetto merdoso che un’ora fa mi ha implorato di farmi da schiavo, tu ne sai niente? hehe!’
George ricordava perfettamente il senso di vuoto immenso che d’improvviso gli si era aperto dentro. Come se il pavimento gli fosse stato tolto da sotto i piedi gli era sembrato di precipitare in un abisso senza fine. Il terrore l’aveva attanagliato, bloccandogli perfino la parola.
‘E così il mio caro zietto è una checca succube, eh? Hahaha!!’
‘A.. A… Aaron, ti prego, non puoi dirlo a nessuno io…’ il ragazzo lo guardava divertito ‘…è soltanto un gioco stupido….’ continuava ad arrampicarsi sugli specchi ‘…facciamo così, ti do…’ aveva tirato fuori un rotolo di soldi ‘…50, anzi no, 100 dollari, tieni, prendili… e facciamo finta di niente, ok?’ gli aveva detto, sorridendo incoraggiante. Aaron aveva preso i soldi, sorridendogli a sua volta, ma con aria furba:
‘Se vuoi pagarmi a me sta bene zietto, ora però fai il bravo e inginocchiati ad adorarmi, ok?’ a George era scappato un risolino isterico. La cosa era assurda, per l’amore del cielo!
‘Aaron, ma che dici? Sei impazzito? Sono tuo zio e pretendo il rispetto che…’
‘Hahaha!! Rispetto? Rispetto? Hahaha!!! E da quando in qua gli schiavi vogliono rispetto? Hahaha!’
‘Io non sono il tuo schiavo!’ gli aveva urlato l’uomo nel parcheggio deserto. Un dolore lancinante l’aveva raggiunto nel basso ventre facendolo cadere in ginocchio, senza fiato. Suo nipote stava di fronte a lui a pugni chiusi guardandolo con lo sguardo duro.
‘Non l’hai letto il mio annuncio? Detesto perdere tempo, hai idea di quante troie sottomesse vorrebbero essere al tuo posto?’ L’uomo aveva tentato di alzare lo sguardo ma il ragazzo gli aveva messo un piede sulla nuca spingendolo a terra:
‘Giù, ho detto!’ aveva mugolato dolorante. La sua scarpa destra lo teneva schiacciato a terra, mentre l’altra l’aveva a pochi centimetri dal viso.
‘Aaron…’ aveva detto piagnucolante ‘…non possiamo, tu sei… sei mio nipoteeeeeeaaaaahhhh!!!!’ aveva urlato a metà parola. Il ragazzo gli era salito sulla faccia con entrambe le scarpe e aveva cominciato a ballonzolare.
‘Risposta sbagliata! Hehehe!!!’ si era divertito ad umiliarlo. Dopo averlo calpestato per bene:
‘Ora riproviamo…’ gli aveva detto parlandogli con quella perfida dolcezza che adesso amava alla follia.
‘Tu sei il mio ‘?’ stravolto dalla situazione, sdraiato sull’asfalto di un parcheggio, con le palle doloranti e un labbro sanguinante, George non poteva ignorare l’erezione di marmo che aveva nei pantaloni. Un po’ per paura un po’ per lussuria gli aveva detto:
‘schiavo…’
‘Hehehe!! Bravo frocetto, lo vedi che non era difficile? Hehehe!!’ aveva le lacrime agli occhi ma non aveva mai goduto tanto.
‘Oooh, ma guardati, hai il labbro rotto…’ gli aveva detto sarcastico il ragazzo e lui si era leccato il taglietto:
‘E’ stata questa scarpa?’ aveva continuato con quel tono a presa di giro con la suola spalmata su tutto il suo viso. George aveva annuito facendolo ridere:
‘Baciala’ gli aveva detto secco e lui aveva obbedito muovendo la testa per baciare la suola.
‘Hehehe! Lezione numero uno: come si dice quando il tuo padrone ti prende a pedate in bocca?’ l’uomo, disperato, aveva risposto tra le lacrime:
‘Gr… grazie padrone…’ scatenando le risa del nipote.

Dischiuse gli occhi al ‘tin’ dell’ascensore che si apriva esattamente sul parcheggio di quella sera, quasi un anno prima. Ripensò a come il suo rapporto fosse cambiato con quel ragazzo. Quel trattamento che aveva ricevuto l’aveva sconvolto a tal punto da fargli scattare una molla dentro. Il desiderio più puro e il piacere più intenso, nascosti per quarant’anni e in un brusco momento liberati, avevano piantato il seme della follia. Il suo non era amore, né infatuazione, era un’ossessione che non era riuscito a mandare via in nessun modo, nonostante, almeno all’inizio, ci avesse provato strenuamente. Si era però reso conto che servirlo lo rendeva felice più di quanto non lo fosse mai stato in vita sua. Nessuna gioia che aveva vissuto era comparabile a Lui. Né il suo matrimonio, né… per quanto se ne vergognasse era la pura verità: neanche la nascita dei suoi figli. Tutto si affievoliva e sfigurava accanto a Lui. Con Aaron, George aveva scoperto sensazioni a cui si era assuefatto e da incredibile egoista quale era, aveva dato tutto a questo ragazzo… TUTTO.

Mary Reed non riusciva a credere ai suoi occhi. Possibile che l’avvenente giovanotto che aveva davanti fosse proprio suo nipote.
‘Aaron, tesoro, stento a riconoscerti, lo sai?’ gli disse aggiustandosi i capelli mentre il ragazzo entrava in casa.
‘Sei cresciuto così tanto, sei… bellissimo!’ concluse in uno slancio di sincerità la donna allargando le braccia. Il giovane rise.
‘Grazie zia Mary, ma tu, piuttosto, sei uno splendore!’ le disse un po’ imbarazzato abbassandosi per baciarla sulla guancia. La donna avvertì il buon odore di pulito sulla sua pelle bronzea
‘ooohhh, ma smettila!’ gli rispose civettuola, infinitamente gratificata dal complimento.
‘…è qualche anno che non ci vediamo, mi sei mancata…’ le disse affettuoso, abbracciandola. La donna si stupì piacevolmente. Dopotutto non erano mai stati molto legati per via di sua madre, anche se sapeva che suo marito aveva ricominciato a frequentare il ragazzo da un po’ di tempo. Eppure, evidentemente, lui aveva sviluppato dell’affetto sincero per lei. ‘Che amore…’ pensò la donna.
‘Oooh, tesoro, anche tu!’ gli rispose ‘…prego, accomodati!’ continuò indicandogli, chiaramente in imbarazzo, il minuscolo salottino/cucina che praticamente coincideva con l’ingresso. Il suo tono era più che imbarazzato, a dire il vero, era la vergogna a parlare, la vergogna di dover ospitare persone in quella miseria desolante.
‘Grazie!’ le rispose il biondo con una punta di compassione nella voce.
Mary sorrise nuovamente. Ormai i suoi sorrisi erano robotici, senza alcun reale sentimento dietro, tutto quello che provava era profonda e triste disperazione. Ci fu un momento d’imbarazzante silenzio, poi la donna ruppe il ghiaccio.
‘Allora! Tuo zio mi ha detto della lotteria, non sai quanto sono contenta per te!’ lui sorrise minimizzando, ma era a disagio.
‘Grazie zia, sei gentile…’ assunse un’aria mesta ‘…a me invece ha detto della bancarotta…’ l’impassibile maschera della donna s’incrinò per un istante. Ebbe un tuffo al cuore e non gli rispose. Il giovane si affrettò a scusarsi.
‘Mi dispiace, non avrei dovuto parlarne… è che…’ si guardò intorno e lei sorrise per tentare di metterlo a suo agio.
‘Tranquillo tesoro, non è certo un segreto! E poi è inutile fare finta di niente, no?’ aveva il viso tirato ‘mi pare piuttosto evidente che non abbiamo più nulla…’ e così la voce. Si accorse che il ragazzo provava pietà e gliene fu stranamente grato.
‘Dev’essere stata dura…’ la donna fece un verso isterico.
‘Non ne hai idea, tesoro, non ne hai idea!! Non credevo che ce l’avrei fatta…’ gli disse con la gola chiusa ‘siamo passati da…’ non riuscì a continuare, ogni volta che ci pensava era la stessa storia. Aaron le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla per consolarla
‘Mi dispiace tantissimo, zia, non sai quante volte ho chiesto allo zio di accettare dei soldi… io ne ho talmente tanti che non ha senso tenerli lì!’ la donna si destò dalla disperazione e tese le orecchie, attenta. George non le aveva detto niente di questa storia. Possibile che questo giovanotto fosse disposto ad aiutarli? Dopotutto loro non l’avevano mai fatto quando la situazione era opposta. Che fosse la volta buona per… Stava per dire qualcosa ma il ragazzo continuò a girare il dito nella piaga ‘…tutti quei milioni ammassati nei mie conti… volevo darvi una mano…’
‘Si tesoro fallo!!! Ti prego!!’ stava per gridare ma…
‘Tranquilla, non ci proverò di nuovo: mi è bastata la partaccia dello zio! Mi ha spiegato tutto! Mi ha detto che siete gente forte e che volete farcela da soli…’ provò a interromperlo disperata ‘…e che regalarvi dei soldi sarebbe un disonore che non meritate, specie per via dei cattivi rapporti tra la mamma e lo zio…’ di nuovo provò a dire qualcosa, a fermarlo, a farlo smettere con quella sequela di stupidaggini ‘…e io vi rispetto tantissimo per questo e giuro…’ alzò le mani come ad arrendersi ‘…che non ci proverò MAI più, giuro non vi regalerò un centesimo, sarebbe come trattarvi da morti di fame e io non potrei mai insultarvi!’ La donna stette lì a guardarlo, cinerea, senza dire una parola. Che cosa poteva dire di fronte a quel discorso. Non faceva una piega. Lo stupido orgoglio di quel borioso idiota che aveva per marito gli aveva precluso l’unica via d’uscita da quell’inferno. Avrebbe voluto gridare a perdifiato dalla frustrazione infinita che provava. Invece ingoiò e cercò di sorridere a quel giovane così gentile. Ci riuscì, anche se aveva gli occhi lucidi.
‘Grazie tesoro, sei troppo carino ma che vuoi farci, siamo fatti così!’ gli disse finta come mai. Il ragazzo le prese la mano e gliela strinse sorridendole. Non disse niente ma quei meravigliosi occhi azzurri la cullarono dolcemente per alcuni secondi, confortandola come nessuno prima, finché lo scricchiolio della porta non la riportò alla realtà e la fece voltare verso due familiari figure.

Quando Mike Reed strinse la mano a suo cugino, rivedendolo dopo tutto quel tempo gli venne in mente una sola parola: figo. Non ce n’erano altre in effetti per descriverlo. Era innegabilmente bello, alla moda, gentile, simpatico e aveva una macchina che valeva più di tutto il quartiere dove abitavano.
‘E’ tua quella meraviglia?’ gli disse il ragazzo. Aaron gli sorrise
‘Puoi scommetterci cuginetto, dobbiamo andare a farci un giro insieme una volta!’
‘Wow!! Quando vuoi amico!!’ gli rispose al settimo cielo.
‘Aaron…’ Mike si voltò a guardare suo padre ‘…Aaron… è una bellissima sorpresa!’ C’era qualcosa di strano nella sua voce, come un… boh, non seppe definirlo e lasciò perdere.
‘Ti avevo promesso che sarei venuto a trovarti a casa, ricordi?’ gli rispose Aaron allegro.
‘Sono così felice che tu l’abbia fatto, ragazzo mio!’ Mike si vergognò un po’ per l’espressione vetusta usata dal suo vecchio e fece una sorta di boccaccia che non sfuggì al cugino. I due ragazzi sorrisero condividendo il momento. Poi Aaron si schiarì la voce:
‘Sai stavo dicendo alla zia che vi siete sistemati bene…’ pausa imbarazzata su quello che era palesemente un complimento di forma ‘…considerando tutto…’ Mike vide suo padre sorridere e dirgli un po’ sognante:
‘Già… Casa dolce casa…’ il ragazzo alzò gli occhi al cielo per l’esasperazione.
‘E poi è uno specchio, zia…’ continuò suo cugino ‘…sei eccezionale, è tutto perfettamente in ordine!’ disse guardandosi attorno ‘Io non so come fare con casa mia, è così grande e io sono un tale casinista… dovrei cercare qualcuno ma non mi fido a lasciare gente che non conosco sola in casa!’ disse il ragazzo pensieroso. Mike, da ragazzo pratico qual’era, pensò a una soluzione ed ebbe un’idea geniale che non poteva tenere per sé:
‘Mamma, perché non vai tu a pulirla? Ti hanno appena licenziata dal tuo vecchio lavoro e ti lamenti che stai sempre in casa!’ i visi di tutti e tre si girarono verso di lui che si sentì le guance in fiamme per l’attenzione ricevuta e si morse la lingua per aver parlato.
‘No… non potrei mai chiederglielo! E’ mia zia, Miky!’ le parole di Aaron allontanarono gli sguardi e Mike gliene fu grato.
‘Beh, ma…’ tentennò un po’ Mary ‘…in effetti a me non dispiacerebbe tesoro!’ sua madre sembrava un po’ imbarazzata. Non tanto per il lavoro, negli ultimi cinque mesi avevano tutti abbassato la cresta, non potendo permettersi altrimenti. Tuttavia la donna voleva essere sicura di essere pagata e probabilmente non sapeva come fare ad entrare in argomento.
‘Dici davvero, zia? Sarebbe perfetto!’ fu il commento entusiasta del cugino.
‘Beh, tanto non ho niente da fare!’ continuò con un risolino nervoso.
‘Ottimo, a me non pare il vero, quando puoi cominciare?’ il suo tono diventò più pratico.
‘Quando vuoi, tesoro’ gli disse lei ansiosa.
‘Facciamo così, perché non vieni da me domani pomeriggio così vedi la casa e magari puoi cominciare lunedì mattina.’ la donna sorrise.
‘E’ un’ottima idea!’
‘Ti pagherò quello che vuoi, naturalmente…’ poi guardò suo padre e fece una faccia colpevole ‘…accidenti zio, stavo per cascarci di nuovo, scusami…’ si grattò la testa ‘…facciamo così, non la pagherò un soldo di più di una normale domestica, sei d’accordo?’ il padre di Mike, che non aveva detto una parola per l’intera conversazione, si scosse dall’espressione imbambolata che aveva giusto il tempo di dire:
‘Certo Aaron, mi sembra giusto, sono d’accordo…’ Aaron tirò un sospiro di sollievo, come a dire ‘pericolo scampato’. Mike non aveva idea di cosa fosse appena successo. Si accigliò ma non disse niente:
‘Meno male, non vorrei aver creato problemi…’ Mary sorrise:
‘Nessun problema tesoro, non vedo l’ora d’iniziare, davvero!’ il sorriso che aveva sulle labbra era talmente tirato che Mike credette che a sua madre si sarebbe scucita la faccia da un momento all’altro. S’immaginò già la litigata che i suoi avrebbero fatto non appena Aaron se ne fosse andato. Invidiò fortemente sua sorella Cindy, a lavoro in pizzeria fino a notte fonda.

‘Lo accompagno alla macchina, torno subito…’ Mary neanche rispose al marito. George chiuse la porta accogliendo l’aria un po’ più fresca della sera. Non ce la faceva più, sentiva un dolore alla bocca dello stomaco che aveva da giorni. Non c’era nessuno in giro e l’uomo, a neanche un metro dalla porta di casa, s’inginocchiò come di consueto a leccare le scarpe al nipote.
‘Aaron…’ gli disse come aveva fatto un milione di altre volte. Il ragazzo sorrise.
‘Il tuo padrone è tornato, frocetto, sei contento? Hehehe!!’ un mugolato felice fu la risposta.
‘Avevo dimenticato che la tua mogliettina fosse tanto sexy, hehe!!’ altri gemiti lo raggiunsero.
‘Lo sai? Ho avuto la netta sensazione che la zietta non assaggi un bel cazzo da un sacco di tempo, ho ragione?’
‘mmmm, si padrone, mmmmm…. è più di un anno che non facciamo sesso, mmm…’ il ragazzo rise scuotendo la testa.
‘Hehehe! Povera zietta, chissà che fame! Hehehe!!’ l’uomo continuava a leccare mentre ascoltava, perso, la voce carezzevole del nipote.
‘Non ti preoccupare, d’ora in avanti mi prenderò io cura di lei, checca, hahaha!!’ l’uomo alzò lo sguardo per un attimo:
‘mia… mia moglie?’ gli chiese e il giovane sorrise.
‘Si troietta, tua moglie. Qualche problema?’ gli intimò poi con un sopracciglio alzato. L’uomo rispose immediatamente:
‘No, Aaron, certo che no, perdonami, lo sai che puoi fare quello che vuoi…’ le sue parole erano sempre le solite e Aaron scosse la testa, chiedendosi se nella mente di quel verme ci fosse rimasta traccia, anche solo un barlume, di umana razionalità.

Adriana Martinez aspettava il suo ritorno con ansia. Gli aveva preparato una cenetta coi fiocchi, come tutte le sere del resto, le piaceva fare bene il suo lavoro, anche se il suo attuale principale era… beh, diverso. Dette un’ultima sistemata al piatto forte quando sentì la chiave nella serratura. Si voltò e si avviò verso l’ingresso. I pizzi e le trine della sua uniforme da cameriera d’altri tempi le ballonzolarono dietro.
‘Buonasera signor Reed!’ disse chinando il capo con grande deferenza, la giovane donna. Aaron le sorrise.
‘Ciao Ade! Pronta la cena?’ la salutò allegro.
‘Certo signore, tutto pronto!’ i due si avviarono in sala da pranzo e lei gli mostrò tutte le pietanze elegantemente disposte nei piatti. Dall’antipasto al dolce, tutto era perfetto. Il ragazzo sorrise e si sedette al tavolo:
‘Sembra tutto buonissimo!’ disse annusando in qua e là e la ragazza gradì molto il complimento.
‘Mi chiami quando ha finito signore…’ gli disse congedandosi.
‘Hey, dove vai?’ la donna si voltò cercando di spiegargli ma il ragazzo aveva quello sguardo negli occhi. Con un sorrisetto le disse:
‘Lo sai che non mi piace mangiare da solo, no?’ sostenne il suo sguardo per qualche secondo poi:
‘Come il padrone desidera…’ abbassando la testa. Il ragazzo rise. Lei s’infilò sotto il tavolino, di fronte alla sua sedia e gli sbottonò i jeans, rivelandone il pacco fasciato dai boxer neri. Perché doveva succedere? Si chiese disperata, ma ingoiò e cominciò a strofinarci sopra la faccia. Il giovane aveva sudato anche se quella sera l’odore non era troppo forte. Leccò il cotone.
‘Hai l’acquolina in bocca, eh?’ le disse lui con quel sorriso arrogante.
‘Sissignore!’ rispose zelante la donna mentre gli inumidiva ulteriormente il pacco. Poi gli abbassò l’elastico della mutande e come lo vide, non esitò a raccogliere, gentile, il suo pene con la lingua infilandoselo in bocca, assaporando il maschio per cui era un po’ più di una domestica. Sentì la risatina arrivare e guardò il bel viso del ragazzo:
‘Hehe! Che ingorda, che sei! Hai già cominciato? Haha! Che maniere sono? Me l’hai chiesto il permesso?’ la donna si sfilò il pene di bocca e un filo di bava restò ad unirla a lui. Lo guardava rannicchiata come un cane.
‘Le chiedo scusa signor Reed, non ho resistito…’ il ragazzo sorrise.
‘Posso cenare, signor Reed?’ continuò con quella serie di doppi sensi da lui iniziata.
‘hehe! Si Ade, puoi succhiarmi l’uccello finché non ho finito di mangiare, hehe!!’ continuò lui, stavolta diretto, tagliente, umiliante.
‘Grazie signore…’ gli disse con rispetto e passione, anche se nei suoi occhi non c’era traccia di trasporto. Era una cosa che le toccava fare. Non poteva permettersi il lusso di non accontentarlo. Aveva bisogno di quel lavoro più di qualunque altra cosa e aveva tutte le intenzioni di tenerselo. Grazie a tutti questi… ‘servizi extra’ lo stipendio non era male e pagava per i corsi di recitazione che la ragazza, appena ventitreenne, seguiva per realizzare il suo sogno.
Gli sfilò le converse e così i jeans e i boxer, ormai diventati d’intralcio. Il lento pompino che il giovane pretendeva ormai quasi tutte le sere non era fatto per farlo venire subito. Doveva succhiarglielo dolcemente, per poi passare a leccargli le palle e poi ricominciare a succhiare, tenendolo in tiro per l’intera durata della cena.
‘mmm… tutto buonissimo Ade, brava!’ disse divertito senza neanche abbassare gli occhi.
‘…mmmm… mai quanto questo, signor Reed, è squisito!’ replicò lei con molta più passione di quanto si sentisse.
‘Hehe! Non fare complimenti, lecca tutto!’ le disse ridacchiando mentre accendeva la TV. Il ‘sissignore’ della donna fu coperto dal rumore della partita. Lei si gettò a leccare il pube del ragazzo, pettinando con cura i suoi peli biondi, odorosi, poi le palle, le cosce, per poi tornare a succhiargli il membro possente. Il ragazzo non la degnò di uno sguardo. Mangiava, beveva e commentava il gioco nel godimento di una cena vissuta con tutti i sensi.
Assaggiato il dolce, assunse un’espressione deliziata. La guardò.
‘mmmmm… ti sei superata con questa torta… mmmm fantastica!’ le disse mangiandone un boccone dopo l’altro.
‘Non voglio fare l’egoista, devi assaggiarne un po’ anche tu!’ le disse. Poi aggiunse ridendo ‘Manca solo un po’ di glassa, haha!! Tieni questo…’ le porse il piattino con la fetta di dolce mezza mangiata. Lei lo prese ma non si mosse. Il ragazzo strinse il pugno sul pene gonfio e pulsante e cominciò a masturbarsi furiosamente, la rosea cappella a pochi centimetri dalla fine porcellana inglese che la donna aveva in mano. Non ci volle più di qualche decina di secondi perché il suo vischioso sperma bianchiccio ricoprisse il dessert, da lei meticolosamente preparato. Con un sorriso soddisfatto la guardò mentre prendeva il cucchiaino ed assaggiava quello schifo.
‘mmmm… signor Reed, lei è sempre così gentile con me!’ gli disse buttandone giù un secondo pezzo. Aaron continuò a godersi lo spettacolo da gran bastardo quale era.
‘mmmm…’ un pezzo dopo l’altro la donna ingoiò ogni briciola mugolando per il piacere del palato. Ridacchiando, il bel biondo prese il cucchiaino e se lo passò sul pene raccogliendo lo sperma rimasto:
‘Hehehe! E’ la parte migliore, Ade…’ le disse poi imboccandola ‘…non va sprecata, hehehe!!’ la donna ingoiò mugolando nuovamente, fingendo di amare ogni goccia. Lui la guardò per qualche altro secondo, divertito dalla sua performance, poi:
‘Beh, io vado a farmi una birretta sul divano!’ le disse alzandosi e lasciandola sotto il tavolo. Lei aspettò che uscisse dalla stanza per rilassare il viso in un’espressione sinceramente disgustata. Si alzò e cominciò a ripulire la sala da pranzo.
Dopo una buona mezzora raggiunse il giovane nel salone. Era comodamente rilassato sul divano di pelle nera, di fronte ad uno schermo gigante con la partita. Indossava una maglietta e un paio di shorts e aveva i piedi incrociati sul tavolino di fronte a lui. Anche lei si era cambiata per tornare a casa.
‘Se non ha bisogno di altro signore… io andrei…’ gli disse. Lui non la guardò.
‘Ok.’ fu il solo commento.
‘Ci vediamo domani signore…’ si voltò per andarsene proprio mentre il giovane le rispose calmo:
‘No…’ la donna si girò, non capendo:
‘Prego?’ chiese. Lui sorrise.
‘Non ci vedremo più Ade, sei licenziata.’ le disse allegro. La ragazza lo guardò allibita.
‘Come licenz… signore ma cosa… perché?’ gli chiese balbettando, incredula. Il ragazzo scrollò le spalle e con grande noncuranza disse:
‘Ho trovato qualcun altro…’ alla ragazza montò una rabbia istantanea che la irrigidì a tal punto da farla tremare. Controllando la voce gli chiese:
‘Qualcun altro?’ volendo, pretendendo una spiegazione più dettagliata.
‘Si! Sembri sorpresa.’ disse lui divertito, leggendo la sua espressione ‘Los Angeles è piena di troiette intraprendenti e bisognose, Ade. Non avrai pensato di essere insostituibile, vero?’ la ragazza lo guardava senza parole, livida.
‘Tra l’altro questa mi costerà anche meno. Farà quello che fai tu…’ ridacchiò tra sé prima di aggiungere ‘…e molto di più, hehe… per neanche un quarto, capisci, no?’ le disse allargando le braccia come a concludere una logica linea di pensieri. La donna non parlò per qualche secondo, lanciandogli fiamme d’odio con lo sguardo e quando lo fece la sua voce somigliava a un raspo gutturale:
‘Spero che bruci all’inferno, tu e tutti i tuoi milioni, figlio di puttana!’ sputò velenosa, in uno scatto d’ira. Lui fece una faccia ferita.
‘Oooh, Ade…’ le disse scuotendo la testa ‘…ti sei appena giocata il tuo ultimo assegno…’ l’avrebbe ucciso se avesse potuto ‘…oh, a proposito, in bocca al lupo per la tua carriera, come attrice fai schifo ma come bocchinara sei da oscar, hahaha!!’ rise il bel giovane mentre la ragazza si era già avviata, furente verso l’uscita.
Un familiare trillo catturò la sua attenzione proprio mentre sentì sbattere la porta. Rise di gusto quando aprì la foto che Derek gli aveva mandato. Kate in ginocchio a succhiare i loro due cazzi in contemporanea e un messaggio: ‘Bell’esemplare, capo! Docile e ubbidiente, uno spasso! :-)’
Non vedeva l’ora di sentire i dettagli l’indomani mattina, quando li avrebbe visti, ma nel frattempo prese un altro sorso di birra e tornò a guardare la partita. La sua squadra stava vincendo e sarebbe stata la fine perfetta di quel sabato così divertente.

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