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Racconti Erotici Etero

La grazia

By 22 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ una storia vera.
L’ho vissuta attraverso i protagonisti e, in un certo senso, ho avuto anche un ruolo.
Nomi e luoghi sono di fantasia.
Nessuna irriverenza, e tanto meno ironia.
Solo verità, così come si sono svolte le cose.
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Il ‘Gran capo’ mi chiamò, mi dette un plico di lettere. Buste color avorio, con un indirizzo scritto a mano: Signora Carla Bianchi, Via Mare 21, Ravenna.
‘Legga, legga’ mi sono state mandate dal marito della signora Bianchi, che &egrave una nostra impiegata a Ravenna’ Legga. Le ha scritte Vasco Neri, che io non conosco, ma che lei conosce bene perché &egrave un suo collaboratore, &egrave capo ufficio ass’. Legga’ ne apra una a caso’ adesso”
Era irritato, soprattutto perché di ciò era a conoscenza anche quel baciapile di Beppe Rosati, che con quella sua chiusura mentale, e quel suo misoginismo patologico era anche un pericolo. Sarebbe stato capace di coinvolgere anche un alto prelato.
Aprii una busta, ne estrassi la lettera.
Lettera di un uomo che scrive alla sua donna, che le ricorda i bei momenti trascorsi insieme, e si augura di poterla incontrare con maggiore assiduità. Vi erano anche particolari espliciti dei loro incontri intimi.
Ripiegai il foglio lo rimisi nella busta, guardai il ‘boss’.
‘Ha letto? Un uomo di cinquantacinque anni, sposato, padre di famiglia, che si mette con una trentenne!’
Non conoscevo quel lato moralistico del mio ‘Gran capo’, perciò lo guardai sorpreso.
‘Capisco il suo sguardo. A me non interessa niente della vita privata dei nostri dipendenti, ma qualche lettera l’ha avuta il ‘sciùr Peppin” e lei può capire. Senta un po’ dal Neri come stanno le cose’ e tenga lei le lettere. Mi faccia sapere.’
Cose del genere, da noi, non erano un’eccezione. Tra l’altro, la Bianchi stava a Ravenna e Vasco non era nella stessa sede.
Tornai nel mio ufficio, telefonai a Vasco e gli dissi che lo invitavo a pranzo.
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Vasco aveva qualche anno più di me, era un uomo allegro, compagnone, col suo spiccato accento livornese, e lavorava in Azienda da quando aveva poco più di venti anni, dopo il diploma di ragioniere e il servizio militare.
Ci trattavamo con una certa familiarità e lui insisteva, scherzosamente, nel chiamarmi ‘badrone’, con la cadenza che si attribuisce al ‘bovero negro’.
Andammo a pranzo in una piccola trattoria, verso la campagna. Niente di elegante, ma tutto pulito e cucina ottima.
Gli chiesi come andassero le cose nel suo ufficio, ed anche di quanto avesse già realizzato del traguardo che gli avevo fissato, e lui accettato.
Eravamo al caffé.
‘Allora, Vasco, come sta Carla?’
Rimase con la tazza a mezz’aria.
‘Carla chi?’
‘Dai, non fare il fesso, lo sai’ o ti devo mostrare le lettere che le scrivi?’
‘E tu come le hai?’
‘Me le ha dato il ‘Gran capo’ e qualcuna &egrave giunta anche al ‘sciùr Peppin’!’
‘Orca!’
‘Orca sì, sono cavoli amari. Allora, me ne parli?’
Alzò le spalle.
‘Come superiore o come amico?’
‘Come cacchio vuoi’ ma parla”
‘Tu lo sai, ‘badrone’, che io da tempo sono malato e che a quanto dicono i medici, non ci sono terapie risolutive e che la lenta evoluzione potrebbe, da un momento all’altro, precipitare. Io cerco di farmi forza con l’allegria, con le barzellette, ma ho una fifa nera’ mi attacco a tutto’ anche al miracolo’ per questo ho deciso, l’anno scorso, di andare in pellegrinaggio, a chiedere la grazia.’
Il volto era divenuto livido, tirato, gli occhi erano pieni di pianto, la voce non era più ridanciana.
Lo ascoltai in silenzio, a lungo. Ero tentato addirittura di prendere appunti, ma me ne astenni.
Solo dopo, nel mio ufficio, ho preparato una relazione per il ‘boss’.
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Vasco Neri si era iscritto al pellegrinaggio, ma per un comprensibile senso di riservatezza si era rivolto all’organizzazione di un’altra provincia, non vicina: Ravenna.
Molti malati, nel treno, e qualcuno anche in pessime condizioni.
I volontari che li accompagnavano e li assistevano erano affettuosi, gentili, premurosi.
La giovane donna che chiamava i nomi dell’elenco, per indicare a ciascuno degli ‘autosufficienti’ il posto assegnato, quando pronunciò ‘Vasco Neri’, lo guardò, gli sorrise.
‘Sono Carla Bianchi dell’Ufficio di Ravenna’ la conosco di nome’ verrò a salutarla durante il lungo viaggio.’
E andò a trovarlo, mentre il treno iniziava il lungo percorso verso il luogo dove quasi tutti si recavano per implorare una grazia o per ringraziare per quanto era stato ricevuto.
Era una giovane donna, sulla trentina, avvenente anche nel semplice abito che indossava, sul quale risaltavano le iniziali dell’organizzazione per la quale prestava servizio volontario.
Lo faceva da tempo, ormai.
La prima volta era andata col marito, in pellegrinaggio.
Volevano un bambino, ma non giungeva. La scienza aveva detto che entrambi erano sanissimi, e non aveva rilevato alcuna disfunzione, né alterazione morfologica. Erano state tentate delle terapie, interpellati luminari, anche all’estero. Nulla.
Si era parlato, vagamente e confusamente, di cause psicologiche, ed erano stati consultati insigni psicologi, senza alcun risultato. Infine, speranza ultima dea, si era ricorsi al pellegrinaggio. Lei e il marito.
Unico risultato di quel viaggio, fu la conoscenza di una umanità dolente, che, piena di fede, sperava, fortemente sperava, affidandosi alla carità dell’onnipotente. Umanità immiserita nel corpo, ma con spirito ardente. Persone, ancora giovani, immobilizzate, altre condannate, inesorabilmente.
Carla, da allora decise di dedicarsi, almeno una volta all’anno, ai pellegrini bisognosi di assistenza.
Vasco accennò, senza drammatizzarlo, come era sua abitudine, al suo problema, alla sua patologia, allo scetticismo terapeutico, ma non rivelò che più della fede era stata la spinta familiare a fargli intentare quel viaggio.
Il treno correva, era un treno speciale, senza fermate se non per servizio, e in circa cinque ore doveva raggiungere Genova, per unirsi al resto del convoglio.
Pur in quell’ambiente, di sofferenza e di preghiera, Vasco non poté fare a meno di guardare con occhi’ maschili’ la bella Carla, certo che in quelle vesti modeste s’era qualcosa di veramente pregevole e, come diceva lui, idonea a incondizionato servizio.
Non solo nelle ore, fino a Genova, ma anche dopo, e ci vollero altre dodici ore, Carla era più da lui che altrove, specie durante la notte, e Vasco ne profittò abbondantemente, per far finta di essere assonnato, pencolare, e finire con la testa prima sulla spalla e poi sul seno prospero e accogliente della donna. E per stare più comodo l’abbracciò.
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Il racconto di Vasco mi torna frequentemente in mente, perché spesso ricordo lui.
Me lo immagino, Vasco, il suo perenne sniffare dietro ogni gonna; la leggerezza con la quale non tralasciava occasione per sfiorare un seno o un posteriore. A tutte; alle sue impiegate e perfino alla monumentale e non attraente Rota, non più giovanissima, piuttosto acida, occhialuta, giunta affannosamente ai fasti della dirigenza.
‘Badrone’ ‘mi disse- ‘lo sai che la Rota ci ha il culo duro come quello d’un cammello? Io credo che a quella serva proprio una ripassatina’ di sicuro perderebbe acidità!’
Come facesse, poi, a sapere che il c’ del cammello &egrave duro’!
Quando alcuni anni dopo, l’avanzare della malattia si avviava alla fase risolutiva, e lui, sono sicuro ne era conscio, l’andai a trovare, il suo carattere non era cambiato. Il fisico si. Più magro, di colorito itterico, con gli occhi che sembravano più grandi e le labbra esangui.
Era in clinica, indossava una vestaglia avana.
‘Facciamo due passi in corridoio, ‘badrone’, mi metto sottobraccio.’
Andammo nel corridoio, passeggiammo. Una sculettante infermiera ci superò, lo salutò allegramente. Vasco si fermò e con lo sguardo seguiva quel notevole ancheggiare.
Mi guardò con aria sorniona, mi strinse il braccio.
‘Mi devi promettere una cosa, ‘badrone’, quando sarò morto devi occuparti affinché delle mie ossa ne facciano cannule vaginali e rettali!’
Quella fu l’ultima volta che lo vidi vivo.
Ma torniamo alla sua storia.
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Dopo il lungo viaggio, giunsero a destinazione.
Lui si mostrava più debole di quanto non fosse in realtà. Carla lo sorreggeva e lui vi si aggrappava scegliendo bene dove.
Erano assegnati allo stesso albergo.
Carla gli chiese se fosse in grado di fare tutto da solo ‘spogliarsi, bagno, andare a riposare un po’- o se avesse bisogno di aiuto.
‘Non credo che ce la faccio, da solo”
Fu la risposta.
‘Allora, aspetti qui un momento, sieda in poltrona, mi libero in un attimo e l’accompagno io, tanto le camere sono sullo stesso piano, al secondo, l’una di fronte all’altra.’
Vasco sedette. Non aveva quella che si definisce ‘una bella cera’, ma era perfettamente in grado di essere autonomo, non aveva bisogno di aiuto, ma lui aveva sempre un pensierino fisso. Carla era proprio un bocconcino da re!
Fu subito di ritorno, con un fattorino che si incaricò di portare il bagaglio nelle camere. Presero l’ascensore, salirono. Andarono nella camera di Vasco.
‘Segga nella poltroncina, ci penso io. Intanto si tolga la giacca, l’aiuto.’
Vasco era quasi immobile, collaborava appena, era come spogliare un manichino.
Carla era nel suo abitino. Si era aperto un bottone sul petto, e s’intravedeva il reggiseno e il florido contenuto. A delizia degli occhi intriganti di Vasco.
Carla gli sbottonò la camicia, lo guardò.
‘Forse &egrave meglio che prenda un pigiama’ sono nella valigia?’
L’istrionismo di Vasco gli suggerì di annuire, senza parlare, per dare la sensazione di essere molto stanco e debole.
La donna andò alla valigia, che era stata posta sulla panca, l’aprì, trovò subito il pigiama, lo prese, lo dispiegò sul letto. Si avvicinò a lui, lo fece sedere di nuovo, slacciò le scarpe, le tolse, così le calze. Gli disse di alzare il sedere per sfilare i pantaloni che piegò e mise su una seggiola.
Vasco era in boxer e camicia sbottonata. La guardava affaccendarsi, e ogni tanto si’ appoggiava a lei’
Carla si alzò.
‘Vuole fare una doccia?’
‘Non credo che sia in grado’da solo..’
‘Allora, forse, &egrave meglio un bagno. Così sarò in grado di aiutarla’ aspetti che vado a prepararlo”
Andò nel bagno, adiacente, si sentì lo scroscio dell’acqua. Tornò.
‘C’&egrave un telo di spugna per asciugarsi, ma non c’&egrave sapone”
‘E’ nel necessaire nella valigia’ e ci dovrebbero essere anche delle pantofole. Per favore”
‘Non si preoccupi, ci penso io.’
Prese bagnoschiuma e lo portò in bagno, chiuse l’acqua. Tornò da lui.
‘Infili le pantofole, si alzi’ ecco’ così’ le tolgo la camicia”
Lo prese sottobraccio, lui le cinse la vita’ andarono nel bagno.
Quando, necessariamente, anche il boxer fu tolto, Carla alzò gli occhi verso il volto impassibile di Vasco, perché era evidente lo stato di eccitazione sessuale. Fece finta di niente, lo aiutò a entrare nella vasca. Lui si sdraiò. L’acqua, abbastanza calda, non fece che aumentare la incipiente erezione.
Carla prese del sapone liquido, lo mise nel palmo della mano, e iniziò a insaponare la schiena, poi si voltò, prese il piccolo asciugamano del bidet e con quello cominciò a strofinare, anche sul petto. Poi scese all’addome, più giù’ e s’incontrò col fallo, ben dritto! Lo guardò negli occhi. Quelli di Vasco sembravano quelli di un bambino mentre la mamma gli fa il bagnetto, solo un po’ più furbescamente vivi.
Carla scosse il capo, con un lieve sorriso sulle labbra.
Insaponò attentamente e lentamente, anche il fallo, il pube, lo scroto. E si assicurò che il solco balanico fosse pulito’ con particolare diligenza’ Non poteva negare che quel ‘coso’ vibrante era piacevole da carezzare, e qualcosa, tra le sue gambe, lo confermò. Indugiò in quella igiene particolare, tanto che Vasco pensò che se avesse insistito ancora un po”.
Carla deglutì più volte.
‘Si alzi’ la asciugo”
Lui si alzò, lancia in resta, uscì dalla vasca, scese sul tappetino spugnoso.
Lei cominciò ad asciugarlo, sempre lentamente, e lui si appoggiava sulle spalle di lei. La mano scese un po” sul seno’ Nessuna reazione’ sul fianco’ nemmeno’ Era bello, carnoso e sodo’ Proprio un bel tocco di fi’gliola’ la Carla.
Gli sorrise, dette un colpetto a quella sorta di boma irrequieta.
‘Non sta, poi, tanto male’ anzi’! Venga di là, l’aiuto a mettere il pigiama e andare a letto’ deve riposare’ riposare’ capito?!’
Voce scherzosa, maliziosa.
Lo fece sdraiare sul letto, ed era evidente che l’eccitazione non scemava.
Si chinò su lui, gli sfiorò la guancia con la mano, e gli dette un lieve bacio.
‘Ora cerchi di riposare”
‘Si, &egrave una parola’ Mi lascia solo, così’. In queste condizioni?’
Riposi almeno un’ora’ io vado di là’doccia’cambio, e fra un’ora e mezzo vengo a prenderla per il pranzo’ stia buono’ però!’
‘Sì, io starò buono’ ma’. Solo io”
‘Ciao.
Lo salutò con la mano, andò alla porta, uscì, la richiuse.
Vasco, comunque, s’addormentò, e si svegliò solo quando Carla andò a destarlo.
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Il giorno successivo iniziava il consueto iter del pellegrini.
Carla disse ai responsabili dell’assistenza ai malati di non sentirsi molto bene, che non poteva interessarsi, come al solito, dei barellati, e che avrebbe cercato di rendersi utile presso quelli che, pur dichiarandosi autosufficienti, avevano pur sempre necessità di un certo appoggio.
Vasco ne fu felicissimo. Poteva, in un certo senso, giustificare il suo ‘aggrapparsi’ a lei. E lei, con sempre negli occhi quanto aveva potuto constatare allorché Vasco si era affidato alle sue cure di bagnina, ne era lusingata.
Non era una cacciatrice d’uomini, anzi. Aveva respinto le numerose avances, spesso interessanti, anche se l’ardore del marito non era proprio di quelli entusiasmanti. Ma quella volta aveva percepito qualcosa di diverso. Sicuramente c’era anche la componente che Vasco era un dirigente della direzione.
Ma no, andava pensando, &egrave che mi attrae, sento di doverlo proteggere e nello stesso tempo mi sento protetta. E mi ha intenerito, commosso, ed anche eccitato, lo ammetto, constatare l’effetto che gli faccio. Era evidente, nel bagno, e poi non avevo mai visto un uomo nudo, in quelle condizioni, in quello stato, ad eccezione del mio consorte. Non ho resistito alla tentazione di toccarlo’ la scusa c’era’ lavarlo’ asciugarlo’ Ma il mio grembo ha sussultato, si &egrave contratto’
E così, tra una visita e un rito, trascorsero la mattinata.
L’ascella di lei era tiepida, e il seno morbido. Vasco saliva sempre più su di giri.
Volle tentare un sondaggio.
Si rivolse a lei confidenzialmente, col tu.
‘Certo che preferiresti interessarti di un giovane aitante, non di uno che per età potrebbe essere tuo padre, un malato’ debole”
Lo guardò con aria maliziosa.
‘Debole, proprio non direi”
‘Ultime deboli faville d’un fuoco che va estinguendosi”
‘Dai, non buttarti giù’ e poi c’&egrave il vecchio proverbio: la piccola favilla si sviluppa in gran fiamma”
‘Si, ma per appiccare il fuoco la favilla abbisogna del combustibile che l’accolga”
‘Io sono per i vecchi adagi: ognuno ha il suo flash-point, il punto d’infiammabilità!’
Si capiva che era ‘scontato’ l’epilogo delle loro scaramucce verbali: sarebbero andati a letto!
Vasco non era nuovo a tale genere di’ distrazioni’ e ne aveva una lunga esperienza. Da qualche tempo, però, le condizioni fisiche lo avevano allontanato dal suo passatempo preferito: le donne. Carla lo attirava, lo eccitava, era ‘si ripeteva- un bocconcino prelibato, ma’ lui ce l’avrebbe fatta? E le sue forze? Il suo male?
Di tutt’altra specie i pensieri della donna.
Non sono mai stata con un altro uomo. Conosco solo mio marito’ E poi, cos’&egrave questa attrazione per un uomo maturo, dell’età di mio padre’ o forse &egrave proprio ciò’ &egrave un trasfert’ in lui vedo mio padre’ Non lo so, sono confusa’ ma una cosa &egrave certa’ lo voglio, lo bramo, &egrave la mia mente, il mio cuore, il mio grembo che lo pretende!
E la cosa seguì il corso ineluttabile e logico, naturale.
Pranzarono insieme agli altri, dissero che il pomeriggio Vasco voleva riposare’ Salirono in camera, senza parlare, tanto era tutto predestinato’
Lei lo spogliò. Era eccitato.
Lui la spogliò. Era splendida, al di là di ogni immaginazione.
La baciò lentamente, la condusse sul letto, nascose il volto nei riccioli del pube, la lingua, avida e curiosa, la esplorò, attentamente, scoprì il punto di maggior sensibilità, mai prima di allora identificato, e presto raccolse il distillato d’un improvviso e travolgente orgasmo, che la sconvolse, ansante, per poi farla giacere, abbandonata, quasi esanime, con un volto estatico, ed occhi socchiusi. Un leggero sorriso sulle labbra.
L’eccitazione di Vasco era incontenibile. Si pose tra le gambe di lei, sulle ginocchia. Carla le alzò, poggiandosi sui talloni. Il suo sesso era lì, impaziente. Il glande fremente di Vasco si poggiò sull’orifizio rorido della vagina, iniziò a penetrarla, lentamente, fin quando poté, accolto da lunghe contrazioni peristaltiche, che lo stringevano, spremevano avidamente, e mentre lei tornava ad essere preda a un voluttuoso orgasmo, lui la invase col tiepido torrente del suo seme, con un abbondanza e una veemenza che ricordava tempi passati. Vasco si sorprese, gradevolmente, della propria forza, resistenza, profondità del piacere.
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Non fu l’avventura d’un viaggio.
Non era solamente attrazione sessuale, era anche tenerezza, affetto.
Le lettere, pur dense di particolari erotici, erano un vero e proprio inno all’amore.
Carla ne era presa nella mente e nei sensi, e sentiva che qualcosa di nuovo, di imprevisto, era in lei. Leggeva e rileggeva le lettere, e le conservava nel cassetto del suo secretaire, di cui custodiva gelosamente la chiave.
Poi la fatale distrazione: la chiave nella toppa, la sottrazione del suo tesoro, l’incredibile strano invio ai dirigenti della società’
Il succedersi degli eventi, Vasco va a insediarsi nella sua Agenzia’ il male procede, inesorabilmente, lo finisce nel corpo ma non nello spirito.
Ogni tanto mi parlava di Carla, fino all’ultimo momento, ma con una sorta di pudore, come se volesse custodirla segretamente nel profondo del suo cuore. Ne parlava con la stessa tenerezza che usava quando si riferiva alla moglie, ai figli’
Io non conoscevo personalmente Carla, neppure nella fotografia, ma sapevo tutto di lei.
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Aveva molti amici, Vasco, e tutti vollero essere presenti al suo funerale. Non conoscevo quasi nessuno, solo la moglie e i figli.
D’un tratto si avvicinò a me una bella ed elegante signora, con gli occhi gonfi di pianto e le labbra tremanti.
‘Lei non mi conosce, dottore, ma io conosco lei, non solamente per il posto che occupa nel Gruppo, quanto per quello che mi diceva Vasco. So come gli &egrave stato amico, lo ha aiutato. Io sono Carla”
‘Ah! Ci conosciamo in una circostanza dolorosa’
Neanche il Pellegrinaggio -perché &egrave lì che vi siete conosciuti, vero?- neanche il Pellegrinaggio lo ha conservato più a lungo.
Lui, anche se non lo diceva, sperava nella ‘grazia’. E invece”
Carla mi fissò negli occhi.
‘La grazia’ la grazia’ Vasco &egrave stato lui la mia grazia, e io sono convinta che la sua vita &egrave stato il prezzo della grazia’ guardi”
Aprì la borsetta, ne trasse la foto di un bimbo che a malapena si reggeva sulle gambette. Bellissimo, paffutello, allegro..
”guardi, &egrave Bernardo. Se fosse stata una femminuccia si sarebbe chiamata Bernadette’ &egrave la mia grazia’ e il tramite terreno &egrave stato Vasco’ Bernardo &egrave suo’ Lui seguiterà a vivere sempre in Bernardo, nella grazia che mi &egrave stata concessa’ che mi ha fatto lui!’
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