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La moglie dell’ingegnere – 9. Dove vuole essere portata?

By 5 Marzo 2022No Comments

Si adegua subito al gioco: “Dove vuole essere portata, signora?” e comincia a camminare in lungo e in largo per la stanza. Il suo sesso rigido piantato dentro di me, muovendosi al ritmo alternato dei passi, mi regala un massaggio intimo nuovo ed eccitante. Poi pare aver preso una decisione… Come in un sogno, mi ritrovo ad attraversare il salone impalata su di lui, che si dirige sicuro verso la camera, verso il letto ancora disfatto dove cadiamo, sempre profondamente incastrati: lui sopra o io sotto.

Eccola, la posizione del missionario che conosco tanto bene… ma che missionario… altro che quello dell’ingegnere. Favorito dalla sua assoluta rigidità e dall’abbondanza delle mie secrezioni, aumenta e diminuisce il ritmo dei suoi colpi accordandolo con le oscillazioni dei miei fianchi. E scava, scava, scava fino in fondo e senza fretta, risvegliando tutte le pieghe della mia femminilità in una successione di piccole scosse che corrono lungo la schiena fino alla base del cervello. Non si stacca da me nemmeno quando si libera dell’accappatoio: riesce a farlo contorcendosi tutto, ma rimane affondato tra le mie cosce, e io lo imito facendo lo stesso con la sua camicia.

Alterna i suoi affondi a una lenta danza rotatoria che porta il suo pube a strofinarsi sul mio, stimolandomi le grandi labbra. Senza più ritegno, allungo una mano per aprirle e offrire il clitoride a quella carezza. A tratti si ferma assaporando le contrazioni ritmiche dei miei muscoli vaginali, per poi riprendere, senza preavviso alcuno, a sbattermi con una foga che mi spacca, mi apre in due come un’ostrica. Entra ed esce con ritmo veloce e profondo nella palude ribollente che ho tra le cosce. Senza un attimo di tregua… sempre più dentro… sempre più fuori… sempre più dentro… sempre più fuori…

Gemo il mio piacere ad alta voce… sto per venire, e lui se ne accorge, ma evidentemente ancora non vuole, perché si tira indietro uscendo dal mio corpo. No, no… cavolo, no… sbattimi ancora… L’ho gridato o l’ho solo pensato? Non lo so, ma ottengo comunque l’effetto voluto. La galoppata riparte, se possibile più travolgente di prima. Ha il respiro affannoso e sento che anche lui sta per venire, ma ancora una volta si sottrae, esce da me, si ferma. No… no… no… la pancia contratta da un spasimo di desiderio, allungo le mani verso il suo sesso palpitante, lo afferro e cerco di rimetterlo dentro ma è troppo bagnato e mi scivola via con la frustrazione che mi strappa un singhiozzo… eddai… dai… dai…

Rieccolo: un’altra raffica di colpi violenti alternati da affondi di una lentezza struggente, ancora il vuoto della vertigine che mi scoppia tra pancia e testa, di nuovo la sensazione che dentro di me lui divenga sempre più grande, sempre più caldo, sempre più vibrante. Mi accorgo che anche lui sta per venire… ora ti frego io… e mi avvinghio con le cosce sudate ai suoi fianchi frenetici, lo imprigiono nel nucleo caldo del mio piacere, pianto i talloni nei suoi glutei spronandolo come si fa con un cavallo recalcitrante. Non può più scappare, e ora l’iniziativa è mia: sono io a roteare i fianchi intorno al baricentro rigido che mi riempie, a spingere il bacino in alto per non perderne nemmeno un millimetro, a graffiargli la schiena mentre lo stringo forte a me fino a che non si arrende, fino a che non lo sento gridare, fino a che il primo spruzzo arriva a lenire il mio bollore.

Ora davvero non scappa più, e posso anche rilassarmi, abbandonarmi all’indietro come una bambola di pezza, lasciando che le spinte incontrollate del suo orgasmo regalino anche a me il piacere finale. Poi lo spingo di lato, mi raggomitolo al suo fianco, allungo la mano a impadronirmi del suo sesso ancora scosso da lievi sussulti e mi addormento sfinita e felice.

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