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Racconti Erotici Etero

La notte inattesa

By 12 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Leonardo era preparato al diversivo della trasferta. Si trattava di andare a vedere un edificio che la sua società voleva acquistare.
Bisognava esaminare le documentazioni relative a proprietà, licenza edilizia e dati catastali, poi andava fatta una visita sul posto, per accertare le reali condizioni dell’immobile, scattando un bel po’ di foto.
Alla fine di tutto, rientrati in sede, lui ed il suo collega avrebbero fatto una bella relazione che sarebbe andata direttamente al C.d.A.
Il collega che doveva accompagnarlo era un vecchio trombone, una persona noiosa e questo era l’unico aspetto della faccenda che non gli piaceva, per il resto amava andare in giro e fare cose nuove rispetto alla solita noiosa routine del lavoro d’ufficio.
Il trombone aveva dato forfait proprio il giorno prima, piegato da un attacco di sciatica, che l’aveva costretto a letto.
‘Domani, in trasferta, ci vai con Silvia’, gli aveva detto il capo.
Perfetto, era venuto meno l’unico elemento negativo: ora l’aspettava una giornata da trascorrere con una collega carina e piacevole, non avrebbe potuto augurarsi niente di meglio.
Silvia era una signora sui quarantacinque, alta, magra, con un bel viso sui cui spiccavano due grandi occhi chiari, che contrastavano con i capelli e la carnagione scuri.
Lei, invece, non era stata per niente contenta: pigra, freddolosa e pantofolaia, non era allettata dall’idea di doversi alzare molto presto e passare tutta la giornata in giro, lontana da casa. Per di più, le previsioni del tempo erano brutte ed annunciavano freddo e pioggia. L’unica nota positiva era il suo compagno di trasferta: tra tutti i colleghi era uno dei pochi che trovasse carino e simpatico.
La prima parte della giornata era filata liscia.
Leonardo era passato a prendere Silvia sotto casa e lei non l’aveva fatto aspettare neanche tanto, solo una decina di minuti.
Si era presentata abbigliata come se dovesse andare a fare un’escursione al polo: cappotto lungo pesante, guanti e addirittura un cappello di pelliccia.
Sotto, indossava un vestito attillato, poco sopra al ginocchio, da cui spuntavano le sue belle gambe lunghe, protette da una calzamaglia scura molto aderente, completavano il quadro degli stivali scamosciati con il tacco basso.
Il viaggio in macchina era durato un paio d’ore, trascorse a conversare piacevolmente.
Lui teneva sempre un occhio sulla strada, ma l’altro spesso si posava ora sul bel viso della collega, ora sulle sue gambe, visto, che sedendosi, il vestito era salito un bel po’.
Un pensierino? Be sì, ce l’aveva fatto diverse volte, ma via, tutte sciocchezze ‘
Durante la mattinata avevano sistemato tutte le faccende burocratiche, poi erano andati a pranzo in una trattoria consigliata da un geometra del catasto.
Un ottimo pranzo, cucina semplice, contadina, quella che piaceva a lui, ma anche la sua collega aveva apprezzato e si era dimostrata una buona forchetta, spazzolando ogni cosa.
Solo sul vino aveva passato la mano, lui non aveva insistito più di tanto, e si era finito da solo la caraffa di vino rosso.
Forse dipendeva proprio dal vino, oppure dall’aver passato parecchie ore a contatto con Silvia, ma Leonardo si ritrovò sempre più spesso a pensare alla sua collega.
Nel pomeriggio visitarono l’edificio e, mentre lei segnava sul taccuino e sulle piante diverse annotazioni, lui si occupò delle fotografie.
Quando uscirono stava facendo buio e cadeva una pioggia fitta e gelida.
Sulla via del ritorno si scatenò il diluvio e Leonardo pensò preoccupato al passo.
Era il punto più alto del percorso ed avrebbero potuto trovare neve e ghiaccio, forse avrebbe fatto meglio a prendere l’autostrada, ma era molto più lunga e poi, ormai, era impensabile tornare indietro.
Il traffico era molto scarso e, mano mano che salivano la temperatura scendeva. Alla pioggia si sostituì il nevischio e poi, negli ultimi chilometri, cominciò a nevicare fitto.
In cima, se ricordava bene, c’era un piazzale con un ristorante, forse sarebbe stato meglio montare le catene, prima di affrontare la discesa.
Quando arrivarono era ormai buio. Nel piazzale, davanti alla costruzione rossiccia del ristorante, c’erano parcheggiate diverse auto e oltre, nel punto in cui iniziava la discesa che portava verso la pianura, c’era un’auto della polizia con i lampeggianti accesi.
Sentì bussare sul vetro ed abbassò io finestrino.
‘Mi spiace signore, ma non si può proseguire, più avanti la strada è bloccata.’ A parlare era stato un tipo con una cerata gialla sopra il giaccone, con la faccia ed il cappuccio pieni di neve.
‘Accidenti’, disse Leonardo, ‘Allora mi tocca tornare indietro.’
Pensò che a fare tutto il giro dell’autostrada sarebbero rientrati tardissimo.
‘Non è possibile, la strada è chiusa anche dall’altra parte, lei è stato l’ultimo a passare, prima che un Tir si mettesse di traverso, bloccando tutto.
Il ristorante fa anche da locanda ed ha qualche stanza a disposizione.’
Silvia non fu affatto contenta nell’apprendere che sarebbero rimasti lì per la notte, mentre Leonardo era eccitato dall’idea di quel fuori programma.
Ma le sorprese non erano ancora finite.
‘Mi dispiace, ma non vi posso dare due stanze’, gli disse l’anziano proprietario del ristorante locanda, ‘ne è rimasta disponibile solo una, lei e la signora vi dovrete adattare, questa è una situazione d’emergenza’.
Silvia protestò vivacemente: ‘non possiamo dormire insieme, nella stessa stanza, è ‘ sconveniente’.
Le era uscita quella parola strana, e a Leonardo venne da ridere.
Altro che sconveniente, lui trovava molto eccitante, passare la notte con lei.
‘Se è per questo, replicò l’albergatore, dovrete dividere anche il letto …’
‘Cosa?’, disse lei con voce alterata, ‘questo non è proprio possibile …’
‘Mi spiace, ma la stanza ha un unico letto matrimoniale, con un’unica rete ed un unico materasso. l’alternativa, per questa notte, è soltanto una sedia nella sala da pranzo.’
Leonardo dovette faticare molto a convincerla, ma alla fine lei si rese conto che erano bloccati lì e non c’erano altre possibilità.
Intanto rimandarono il problema andando a cena e la mente di lui cominciò ad elaborare un piano: non si trattava più di fare un ipotetico pensierino sulla sua collega, avrebbe sfruttato la situazione propizia, non poteva lasciarsi scappare una occasione che non si sarebbe mai più ripetuta.
Anche a cena Silvia spazzolò tutto, ma questa volta mangiò con molta calma, forse perché voleva rimandare il più possibile il momento in cui sarebbero saliti al piano di sopra per passare la notte.
Lui le mise il vino nel bicchiere e questa volta lei bevve.
Intanto, nella sua mente, il piano aveva preso forma in ogni dettaglio, se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbe stata una notte inattesa, ma molto interessante.
Silvia aveva bevuto due bicchieri di vino ed ora sembrava leggermente su di giri.
Mentre salivano la vecchia scala di legno che portava al piano superiore, lo guardò fisso.
‘Senti, non combinare scherzi …’
‘Ma dai, hai paura che ti mangi?’
Mangiarti no, molto meglio, pensò.
‘Naturalmente non ne parleremo con nessuno di questa faccenda.’
‘Ma certo, sono sicuro che farai meglio a non dirlo al tuo fidanzato.’
Lei aveva da tempo una relazione con un professionista e, scherzando lo chiamava così.
‘Non ce l’ho più il fidanzato, l’ho lasciato, tu piuttosto, farai bene a non dirlo a tua moglie.’
La stanza era piccola ed antiquata, quasi completamente occupata da un grande letto con le testate di legno scuro scolpito.
L’albergatore aveva ragione: l’unica possibilità era dormire entrambi nello stesso letto.
A questo punto, Leonardo aveva messo a punto ogni singola battuta della rappresentazione.
‘Senti, facciamo così, tu adesso vai in bagno e ti sistemi, mentre io aspetto fuori.
Quando ti sei infilata nel letto mi dai una voce, allora io entro e vado in bagno.
Quando sono pronto, tu spegni la luce, così posso infilarmi anch’io nel letto.
Questo per rispettare la privacy di entrambi.’
Era una proposta ragionevole e lei si chiuse in bagno.
Prima di uscire, lui si avvicinò alla grande porta finestra che dava sul balcone, e l’aprì leggermente.
La pesante tenda le avrebbe impedito di accorgersi dell’apertura.
Prima di andarsene chiuse anche la manopola del termosifone.
Silvia ci mise un bel po’ a prepararsi e Leonardo era molto preoccupato che, dopo tutto quel tempo la stanza si raffreddasse troppo. La temperatura era fondamentale per il suo piano.
Quando finalmente senti la voce di lei che lo chiamava, entrò subito.
Si era tirata le coperte fino al mento ed i suoi lunghi capelli scuri sparsi sul cuscino, le facevano come una corona intorno al viso.
La temperatura era già scesa di parecchi gradi e fra un po’ avrebbe fatto veramente freddo, nella stanza.
Vide i vestiti di lei piegati ordinatamente su una sedia e si chiese cosa si fosse tolta e cosa si fosse invece lasciata addosso.
Per un attimo pensò di spogliarsi completamente, ma era meglio non esagerare e rischiare di farle capire subito le sue intenzioni.
Quando aprì la porta del bagno e si affacciò, scalzo e con soltanto lo slip addosso, lei dormiva.
Russava leggermente, vinta dalla giornata faticosa e piena di imprevisti e, soprattutto dai due bicchieri di vino rosso.
Leonardo spense la luce e si infilò nel letto.
Aspettò qualche minuto, per essere sicuro che Silvia dormisse profondamente, poi sollevò le coperte.
Aveva tenuto le mutandine e la maglietta di cotone a mezze maniche.
Rimase un po’ a guardare le sue gambe lunghe e dritte, il ventre piatto poi il suo sguardo si posò sulla maglietta.
Sicuramente si era tolta il reggiseno, tutte le donne lo tolgono, quando vanno a dormire, ed i suoi piccoli seni si muovevano leggermente, al ritmo del suo respiro.
Basta, ora era il momento di agire.
Rimise a posto le coperte, si mise in ginocchio in mezzo al letto e la scoprì dall’altro lato, quello esterno, tenendo le coperte sollevate in modo che l’aria fredda la colpisse su tutto il corpo.
Ora la stanza era diventata un frigorifero, lei avrebbe avuto bisogno di calore e lui glie lo avrebbe dato.
Si muoveva e si lamentava nel sonno e, quando accennò a svegliarsi, lui riabbassò le coperte.
Si lamentò ancora e, alla fine si svegliò, mentendosi a sedere sul letto.
‘Tutto bene?’, chiese lui con finto tono premuroso.
‘No, sto morendo di freddo.’
‘Se vieni un po’ da questa parte, ti scaldi.’
‘Ma sei impazzito? Non ci penso per niente.’
‘Ma no, io mi sposto verso il bordo e tu vieni dove stavo prima io. Vedrai che starai più calda.’
Silvia fece un po’ di storie ma alla fine seguì il suo consiglio.
Ora erano molto più vicini e quasi i loro corpi si toccavano.
‘Meglio?’
‘Un po’ sì, ma ho ancora freddo.’
‘Dai, fatti più vicina, non c’è niente di male, ho freddo anch’io un po’.’
Alla fine lei, timidamente, si accostò.
Ora il loro fianchi erano a contatto e Silvia poggiò la testa sulla spalla di lui.
Tempo cinque minuti e si era addormentata di nuovo.
Ora veniva la parte più difficile e, se fosse andata male, lui avrebbe trascorso la notte raggomitolato su una sedia al piano di sotto.
Cominciò a carezzarla leggermente, lei aveva un’espressione distesa, mentre a lui stava venendo un’erezione come non gli capitava da tempo.
Le spostò la testa dalla spalla, poggiandola sul cuscino, poi si inginocchiò su di lei, tirandosi appresso le coperte.
Ora doveva rimanere calda, mentre lui la carezzava.
Nel sonno, mentre le passava le mani sulle gambe e sui fianchi, lei faceva dei piccoli versi di piacere, per ora sembrava apprezzare.
Si fermò solo un attimo per liberare il suo arnese imprigionato nell’elastico delle mutande, poi infilò le mani sotto la maglietta.
Quando le sue dita raggiunsero i capezzoli, lei si mosse parecchio e lui temette che si svegliasse.
Beh, alla fine si dovrà svegliare per forza, però la devo lavorare un altro po’.
Aveva due tette piccole e sode, con i capezzoli duri e sporgenti.
Andò avanti ancora per qualche minuto poi, all’improvviso, Silvia spalancò di colpo i suoi occhioni.
‘Ma che cazzo combini?’
In genere non si esprimeva così, perché era una signora molto per bene, ma era stata così grande la sua sorpresa che, per un attimo, aveva perso il controllo.
Tentò di allontanarlo premendo sulle sue spalle, ma lui era molto più pesante.
Intanto Leonardo continuava a carezzarle i seni e Silvia sentiva che non era poi così sicura di volerlo respingere.
Alla fine le sue mani allentarono la presa sulle spalle di Leonardo e lui le fu sopra.
Cominciò a baciarla sul collo mentre i due corpi aderivano completamente.
Non poté non notare la cosa dura che le premeva contro la pancia e quando sentì che le stava sfilando le mutandine, non trovò niente di meglio da fare che conficcargli leggermente le unghie nella schiena.
Lui giocò un po’, strofinando prima il suo arnese contro la pancia ed i peli pubici di lei, poi si spostò più in basso.
Lei ora respirava forte e, quando gli piantò le unghie nella carne ancora più profondamente, le entrò dentro.
Fece piano, perché temeva che un movimento brusco o violento, avrebbe potuto spezzare l’incantesimo e all’inizio si mosse piano, facendo in modo di non forzare mai il ritmo.
Ad un certo punto Silvia allargò le gambe per farlo sistemare meglio e poi gli strinse i fianchi con le cosce, fu allora che capì che aveva vinto ed il suo piano era perfettamente riuscito.
Lei assecondava il suo movimento e lo teneva stretto come se avesse paura che lui se ne andasse, ma quella era l’ultima cosa che Leonardo potesse desiderare in quel momento, e continuò cercando di non far sollevare le coperte, perché fuori dal letto, ormai, l’aria era gelida.
Raggiunse l’orgasmo con la sensazione piacevole dei capezzoli di lei, duri e sporgenti, che premevano sul suo petto.
Silvia non mollò e continuò a muoversi, costringendo anche lui a proseguire, finché non venne anche lei, emettendo delle grida acute.
Era andata.
Andò in bagno a darsi una sistemata e, al ritorno, senza farsi accorgere, riaprì il termosifone e richiuse la finestra.
Si addormentò quasi subito, stanco ma soddisfatto.
Quando si risvegliò era l’alba, e un po’ di chiarore cominciava a filtrare dalla finestra ma non era stata la luce a destarlo.
Avvertiva una sensazione curiosa ma per niente spiacevole.
Si accorse che Silvia era accoccolata su di lui e lo stava masturbando dolcemente.
‘Non penserai mica di cavartela così a buon mercato?’, disse lei, mentre il suo arnese, sotto il tocco leggero delle dita della donna, riprendeva vita.
Pensò che non si sarebbe mai aspettato una simile iniziativa da lei, ma le sorprese non erano ancora finite, visto Silvia si chinò su di lui e se lo mise in bocca.
Le labbra strette intorno al suo pene ed il movimento in su ed in giù, dolce ma deciso, causarono un risveglio completo ed immediato.
Non perse tempo, gli si mise a cavalcioni e si abbassò, guidandolo con una mano dentro di lei.
E pensare che aveva avuto paura di essere respinto bruscamente, ora invece lei lo stava cavalcando con furia, con i lunghi capelli scuri, spettinati e sciolti sulle spalle, mentre i piccoli seni oscillavano sotto il movimento convulso del suo corpo.
Si mise comodo, deciso a gustarsela tutta fino in fondo.
Meno male che non ho detto a mio moglie che il mio collega ha avuto un attacco di sciatica, pensò, altrimenti mi avrebbe fatto il terzo grado.

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